11 gennaio 2013

Il denaro






Beninteso, tutti preferiscono averne un po’ di più che un po’ di meno. «Il denaro non dà la felicità, ma vi contribuisce», dice l’adagio popolare. Bisognerebbe tuttavia sapere che cos’è la felicità. Nel 1905, Max Weber scriveva: «Un uomo non desidera “per natura” guadagnare sempre più denaro: vuole semplicemente vivere come è abituato a vivere e guadagnare quanto gli occorre per farlo». In seguito, numerose inchieste hanno mostrato una relativa dissociazione tra la crescita del livello di vita e quella del livello di soddisfazione degli individui: superata una certa soglia, avere di più non rende più felici. Nel 1974, i lavori di Richard Easterlin avevano stabilito che il livello medio di soddisfazione dichiarato dalle popolazioni era rimasto praticamente lo stesso dal 1945, malgrado lo spettacolare aumento della ricchezza nei Paesi sviluppati (questo “paradosso di Easterlin” è stato nuovamente confermato recentemente). Ben nota è anche l’incapacità degli indici che misurano la crescita materiale, come il PIL, di valutare il benessere reale; soprattutto sul piano collettivo, poiché non esiste una funzione dall’indiscutibile valore che permetta di associare le preferenze individuali alle preferenze sociali.
È allettante vedere nel denaro solo uno strumento di potenza. Purtroppo, il vecchio progetto di una radicale dissociazione tra il potere e la ricchezza (o si è ricchi o si è potenti) resterà ancora a lungo un sogno. Una volta si diventava ricchi perché si era potenti, oggi si è potenti perché si è ricchi. L’accumulazione del denaro è presto divenuta non il mezzo dell’espansione commerciale, come alcuni credono, ma lo scopo stesso della produzione delle merci. La Forma-Capitale non ha altro oggetto che l’illimitatezza del profitto, l’accumulazione infinita del denaro. La capacità di accumulare denaro dà evidentemente un potere discrezionale a coloro che la possiedono. La speculazione monetaria domina la governance mondiale. E il brigantaggio speculativo resta il metodo di captazione preferito dal capitalismo.
Il denaro non si confonde tuttavia con la moneta. La nascita della moneta è spiegabile con lo sviluppo dello scambio commerciale. È soltanto nello scambio, infatti, che gli oggetti acquistano una dimensione di economicità, ed è ugualmente nello scambio che il valore economico si trova dotato di una completa oggettività, perché i beni scambiati sfuggono allora alla soggettività di un unico individuo per misurarsi con la relazione esistente tra soggettività differenti. In quanto equivalente generale, la moneta è intrinsecamente unificatrice. Riportando tutti i beni a un denominatore comune, essa rende allo stesso tempo gli scambi omogenei, come già constatava Aristotele: «Tutte le cose che vengono scambiate debbono essere in qualche modo paragonabili. La moneta è stata inventata a questo scopo e diventa, in un certo senso, un intermediario, perché misura tutte le cose». Creando una prospettiva a partire dalla quale le cose più differenti possono essere valutate con un numero, la moneta le rende in qualche modo uguali: essa riporta tutte le qualità che le distinguono a una semplice logica del più e del meno. Il denaro è quel metro di misura universale che permette di assicurare l’equivalenza astratta di tutte le merci; è l’equivalente generale che riconduce tutte le qualità a una valutazione quantitativa, dato che il valore commerciale è capace solo di operare una differenziazione quantitativa.
Nello stesso tempo, però, lo scambio rende uguale anche la personalità di coloro che lo esercitano. Rivelando la compatibilità delle loro offerte e delle loro domande, instaura l’interscambiabilità dei loro desideri e, a lungo andare, l’interscambiabilità degli uomini che sono il luogo di questi desideri. «Il regno del denaro», osserva Jean-Joseph Goux, «è il regno della misura unica, a partire dalla quale tutte le cose e tutte le attività umane possono essere valutate […] Appare qui chiaramente una certa configurazione monoteistica della forma valore equivalente generale. La razionalità monetaria, fondata sull’unico metro di misura dei valori, fa sistema con una certa monovalenza teologica». Monoteismo del mercato. «Il denaro», scrive Marx, «è la merce che ha come carattere l’alienazione assoluta, perché è il prodotto dell’alienazione universale di tutte le altre merci».
Il denaro non è dunque semplicemente denaro, ma molto di più, e crederlo “neutro” sarebbe l’errore più grande. Come la scienza, la tecnica o il linguaggio, il denaro non è neutro. Già ventitré secoli fa, Aristotele osservava che «la cupidigia dell’umanità è insaziabile». “Insaziabile”, questa è la parola; non ce n’è mai abbastanza e, dato che non ce n’è mai abbastanza, non può evidentemente mai essercene troppo. Quello del denaro è un desiderio che non può mai essere soddisfatto perché si nutre di se stesso. La sua quantità, qualunque essa sia, può infatti sempre essere aumentata di una unità, cosicché il meglio vi si confonde sempre con il più. Non se ne ha mai abbastanza, di ciò di cui si può avere sempre di più. Proprio per questo, le antiche religioni europee hanno continuamente messo in guardia contro la passione del denaro in sé, con il mito di Gullveig, il mito di Mida, il mito dell’Anello di Policrate; lo stesso “declino degli dèi” (ragnarökr) è la conseguenza di una bramosia (l “oro del Reno”).
«Corriamo il rischio», scriveva alcuni anni fa Michel Winock, «di vedere il denaro, il successo finanziario, divenire l’unico metro della considerazione sociale, l’unico scopo della vita». Siamo arrivati proprio a questo punto. Ai giorni nostri, il denaro mette tutti d’accordo. La destra ne è diventata da molto tempo la serva. La sinistra istituzionale, con il pretesto del “realismo”, ha clamorosamente aderito all’economia di mercato, ossia alla gestione liberale del capitale. Il linguaggio dell’economia è divenuto onnipresente. Il denaro è ormai il punto di passaggio obbligato di tutte le forme di desiderio che si esprimono nel registro commerciale. Il sistema del denaro, tuttavia, non durerà a lungo. Il denaro perirà attraverso il denaro, ossia attraverso l’iperinflazione, il fallimento e l’indebitamento eccessivo. Allora si capirà, forse, che si è ricchi davvero solo di ciò che si è donato.

di Alain de Benoist 

08 gennaio 2013

Grandi banche indagate per frode







In questi giorni di fine 2012 le grandi banche internazionali, soprattutto quelle europee, sembrano infastidite. Si lamentano dei controlli più attenti, ma da loro ritenuti troppo invadenti, da parte degli organi di vigilanza.

L’ultimo caso riguarda l’UBS, la più grande banca svizzera, che ha accettato di patteggiare e di pagare oltre un miliardo e mezzo di dollari di multa per chiudere il caso dello scandalo-truffa del Libor!

In merito si ricordi che alcuni mesi fa, la SEC, la lenta e burocratica agenzia di controllo americana, e l’inglese British Financial Service Authority denunciarono una ventina di banche internazionali per aver manipolato il famoso London Interbank Offered Rate (Libor), cioè il tasso che stabilisce la base per definire tutti gli altri tassi di interesse applicati sui mercati finanziari. Erano quelle del cosiddetto cartello delle “too big to fail”: le inglesi Barclays, HSBC, Royal Bank of Scotland, la Deutsche Bank tedesca e le americane, JP Morgan, Citigroup e Bank of America.

Dal 2005 al 2007 le banche in questione avevano gonfiato i loro dati per far salire il Libor e incassare sui tassi alti. Dopo lo scoppio della crisi hanno invece giocato i loro dati al ribasso per mascherare le proprie difficoltà e abbassare il costo dei prestiti di cui avevano bisogno per sopravvivere. Hanno quindi semplicemente fornito informazioni fasulle a proprio profitto.  

Sei mesi fa, la Barclays, ritenuta una delle capofila di tale “frode organizzata”, ha pagato 450 milioni di dollari di multa per chiudere la faccenda. Adesso è toccato all’UBS.

Di primo acchito le multe sembrano molto salate. In realtà, per tali banche sono solo dei fastidiosi esborsi, a fronte degli enormi profitti incassati negli anni della “grande truffa”.

Si stima infatti che circa 800 trilioni di dollari di prodotti finanziari, a cominciare dai derivati Otc, siano legati all’andamento del Libor. Perciò la sola manipolazione di uno 0,01% equivale mediamente a 80 miliardi di dollari all’anno di profitti da spartire tra i grandi operatori finanziari.

Inoltre, come sappiamo dai dati della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea e dell’Office of the Comptroller of the Currency (Occ) americano, sono state, e lo sono tuttora, sempre le stesse banche indagate per la truffa del Libor a controllare la quasi totalità delle operazioni finanziarie globali. 

Vi sono poi le indagini nei confronti della Deutsche Bank, i cui uffici sono stati “visitati” per ben due volte in pochi giorni dagli investigatori delle polizia tedesca che ha sequestrato montagne di documenti.

Uno degli scandali-truffa riguarda una evasione fiscale per circa 300 milioni di euro frutto del commercio dei certificati CO2 nei mesi a cavallo del 2009-10. Uno schema tristemente noto anche in Italia, su cui sarebbe doveroso indagare.

Per l’intera Europa l’Europol stima una truffa ed una evasione fiscale legata ai certificati CO2 per oltre 5 miliardi di euro! Oramai si specula e si truffa anche sull’aria che respiriamo!

A seguito di accordi internazionali e dei tanti movimenti e dibattiti sulle questioni ambientali e climatiche, l’UE ha stabilito un “Emissions Trading System” che assegna un tetto di emissione di anidride carbonica ad ogni impresa e ad ogni impianto di produzione di energia. In pratica si è creato un mercato per acquistare certificati-permessi per maggiori emissioni e per vendere eventuali surplus. Su ciò si è innestato anche un mercato di derivati.

I casi della Barclays, dell’UBS, della Deutsche Bank, così come quello precedente dell’inglese HSBC coinvolta anche nel riciclaggio dei soldi della droga tra Messico e Stati Uniti, sembrano assegnare un ruolo centrale nel malaffare alle banche europee. Ma in realtà sappiamo quanto pesantemente siano state coinvolte le maggiori banche americane nelle truffe dei mutui sub prime e dei prodotti finanziari strutturati.

Tutte queste banche continuano a giocare sul ricatto di essere “too big to fail” per sottrarsi alle indagini ed a ogni forma di regolamentazione. Le frodi venute alla luce provano che il loro comportamento, già responsabile della crisi finanziaria ed economica globale, non è minimamente cambiato.

In relazione a ciò ed al progressivo peggioramento della situazione economica e finanziaria delle economie degli Usa e dell’Europa saranno determinanti le decisioni che il rieletto presidente Obama prenderà entro i prossimi mesi.

Se, con l’indispensabile collaborazione dell’UE, saprà operare con la stessa determinazione di Franklin Delano Roosevelt del 1933 nel mezzo della Grande Depressione allora potremo costruire la necessaria riforma della finanza e dell’economia e rimettere in moto la ripresa del sistema produttivo. 

Se invece il presidente americano sarà tenuto sotto scacco dalle lobby di Wall Street e dei vari “gattopardi”, come è avvenuto nel suo primo mandato, allora dovremo essere consapevoli che una seconda e più violenta crisi sistemica potrà verificarsi.

Di questo ovviamente dovranno preoccuparsi anche il prossimo governo e le autorità europee. 

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

07 gennaio 2013

L'energumeno Monti







  

La discesa (o salita, come ama dire  l'interessato nel suo sconfinato egocentrismo, che non ammette di collegare in alcun caso la sua persona col verbo “scendere”) di Mario Monti  in campo, forse perché condotta sul filo dell'ammissibilità costituzionale, ha determinato reazioni  altrettanto squinternate. Bersani, preoccupato che il suo partito non abbia quel trionfo totale prospettatogli fino a pochi giorni fa dai sondaggi, dice di sperare   che   Monti sappia mantenersi  “super partes”. Dal momento che non può essere super partes chi, proprio perché disceso (anzi salito) nell'agone, è già  parte a tutti  gli effetti,  l'auspicio prepara il terreno per il dopo  nella speranza che, se ne avrà bisogno, stia dalla  “sua” parte in cambio di qualche strapuntino nel governo e non pretenda invece la poltrona principale.
    Berlusconi, giocando  sulla faccenda della discesa-salita,  ha commentato  che Monti sale, perché era un presidente del consiglio di rango inferiore, mentre lui stesso, Berlusconi, era di rango superiore.  Insomma, se si è capito bene, a parte gli altri che vanno via  piatti, ci sono in campo un contendente che sale  (Monti)  e uno  (Berlusconi) che scende.  Contento lui.
     Beppe Grillo ha definito l'inatteso concorrente (ma può stare tranquillo,  chi pencola verso l'universo grillino ha altri  difetti, ma  non voterà mai per Monti)  un “energumeno anticostituzionale”. Quanto all'anticostituzionale  è  vero che fin  dalla sua prima apparizione sotto l'ala protettrice di  Giorgio Napolitano e di Angela Merkel sono stati sollevati  da più parti dubbi  sulla conformità al sistema democratico  della  nomina e  delle modalità di subentro al precedente governo. Tuttavia la definizione di “energumeno” (peggio ancora nella sua versione british,  “brute”) risulta quanto mai inappropriata per  il compassato e algido rettore bocconiano.  E' vero che ha già fatto più danni di quanto avrebbero potuto farne il pelide Achille o i  due più noti energumeni mitologici, Ercole e Marte, e che altri, forse peggiori, si appresta a farne, ma il genere è diverso, quello dell'acqua cheta che rovina i ponti.
    Fin qui   tutto da ridere se non  fosse che  siamo tutti in  ballo e, quindi, inferiori o superiori che siano questi candidati al governo del  paese, energumeni o acque chete, a rischio  coinvolgimento nel crac finale. Più seria, ma appunto per questo preoccupante, la presa di posizione del Vaticano, che, avendo  letto nella sua  agenda l'aspirazione ad una politica alta e nobile, auspica che Monti possa intercettare il consenso della  maggioranza degli italiani, che appunto ad una politica di  questo genere aspirano. Di rinforzo, il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco,  ha informato l'opinione pubblica della sua convinzione che  “sulla onestà e capacità di Monti ci sia un riconoscimento comune”. Quanto all'onestà il termine ha molti significati  e prima di pronunciarsi  occorre vedere a quale il cardinale si riferisca (certamente non all'impegno a suo tempo preso di non partecipare alle elezioni). Sulla capacità, nel giro di un anno il comune consenso, stando ai sondaggi, è precipitato dal 75 al 35% (e il trend negativo prosegue). L'esperienza sta  insegnando qualcosa anche ai più ottimisti.bResta l'agenda. Basta leggerla (la si trova facilmente su Internet)  per rendersi conto che la politica alta e nobile sta tutta nelle parole, negli intenti e nei fini che  si proclama di volere raggiungere nell'interesse del popolo italiano, mentre nulla o ben poco si dice  dei mezzi da utilizzare per realizzarli. Esattamente  come nei programmi di tutti i partiti. A chiacchiere uno più nobile dell'altro.
      Inevitabile chiedersi  cosa, nonostante la sua  millennaria prudenza e la scarsa propensione a cedere al fascino delle millanterie e delle chiacchiere, abbia spinto la Chiesa italiana, la Cei, a scendere in campo.  E' verosimile che  la risposta si trovi nel timore  di una totale  vittoria, fino ad oggi ritenuta inevitabile (con appena qualche riserva per la maggioranza in Senato), di un Partito democratico che, perfettamente consapevole di non potere muovere foglia in economia che l'Europa non voglia, quanto alle riforme punta tutto, anche per compiacere  il co-équipier Vendola, sui cosiddetti (molto cosiddetti) “diritti civili”, così  entrando in piena collisione con quelli che la Chiesa considera (molto giustamente) “valori non negoziabili”.
   In realtà di questi valori, con tutta la sua elevatezza e nobiltà, non c'è traccia nemmeno nell'Agenda Monti,  tuttavia mai come in questo caso, in una situazione già  data  persa (nel Pd i cattolici, oltre ad essere “adulti”, contano come il due di picche), il silenzio è d'oro.

di Francesco Mario Agnoli -

11 gennaio 2013

Il denaro






Beninteso, tutti preferiscono averne un po’ di più che un po’ di meno. «Il denaro non dà la felicità, ma vi contribuisce», dice l’adagio popolare. Bisognerebbe tuttavia sapere che cos’è la felicità. Nel 1905, Max Weber scriveva: «Un uomo non desidera “per natura” guadagnare sempre più denaro: vuole semplicemente vivere come è abituato a vivere e guadagnare quanto gli occorre per farlo». In seguito, numerose inchieste hanno mostrato una relativa dissociazione tra la crescita del livello di vita e quella del livello di soddisfazione degli individui: superata una certa soglia, avere di più non rende più felici. Nel 1974, i lavori di Richard Easterlin avevano stabilito che il livello medio di soddisfazione dichiarato dalle popolazioni era rimasto praticamente lo stesso dal 1945, malgrado lo spettacolare aumento della ricchezza nei Paesi sviluppati (questo “paradosso di Easterlin” è stato nuovamente confermato recentemente). Ben nota è anche l’incapacità degli indici che misurano la crescita materiale, come il PIL, di valutare il benessere reale; soprattutto sul piano collettivo, poiché non esiste una funzione dall’indiscutibile valore che permetta di associare le preferenze individuali alle preferenze sociali.
È allettante vedere nel denaro solo uno strumento di potenza. Purtroppo, il vecchio progetto di una radicale dissociazione tra il potere e la ricchezza (o si è ricchi o si è potenti) resterà ancora a lungo un sogno. Una volta si diventava ricchi perché si era potenti, oggi si è potenti perché si è ricchi. L’accumulazione del denaro è presto divenuta non il mezzo dell’espansione commerciale, come alcuni credono, ma lo scopo stesso della produzione delle merci. La Forma-Capitale non ha altro oggetto che l’illimitatezza del profitto, l’accumulazione infinita del denaro. La capacità di accumulare denaro dà evidentemente un potere discrezionale a coloro che la possiedono. La speculazione monetaria domina la governance mondiale. E il brigantaggio speculativo resta il metodo di captazione preferito dal capitalismo.
Il denaro non si confonde tuttavia con la moneta. La nascita della moneta è spiegabile con lo sviluppo dello scambio commerciale. È soltanto nello scambio, infatti, che gli oggetti acquistano una dimensione di economicità, ed è ugualmente nello scambio che il valore economico si trova dotato di una completa oggettività, perché i beni scambiati sfuggono allora alla soggettività di un unico individuo per misurarsi con la relazione esistente tra soggettività differenti. In quanto equivalente generale, la moneta è intrinsecamente unificatrice. Riportando tutti i beni a un denominatore comune, essa rende allo stesso tempo gli scambi omogenei, come già constatava Aristotele: «Tutte le cose che vengono scambiate debbono essere in qualche modo paragonabili. La moneta è stata inventata a questo scopo e diventa, in un certo senso, un intermediario, perché misura tutte le cose». Creando una prospettiva a partire dalla quale le cose più differenti possono essere valutate con un numero, la moneta le rende in qualche modo uguali: essa riporta tutte le qualità che le distinguono a una semplice logica del più e del meno. Il denaro è quel metro di misura universale che permette di assicurare l’equivalenza astratta di tutte le merci; è l’equivalente generale che riconduce tutte le qualità a una valutazione quantitativa, dato che il valore commerciale è capace solo di operare una differenziazione quantitativa.
Nello stesso tempo, però, lo scambio rende uguale anche la personalità di coloro che lo esercitano. Rivelando la compatibilità delle loro offerte e delle loro domande, instaura l’interscambiabilità dei loro desideri e, a lungo andare, l’interscambiabilità degli uomini che sono il luogo di questi desideri. «Il regno del denaro», osserva Jean-Joseph Goux, «è il regno della misura unica, a partire dalla quale tutte le cose e tutte le attività umane possono essere valutate […] Appare qui chiaramente una certa configurazione monoteistica della forma valore equivalente generale. La razionalità monetaria, fondata sull’unico metro di misura dei valori, fa sistema con una certa monovalenza teologica». Monoteismo del mercato. «Il denaro», scrive Marx, «è la merce che ha come carattere l’alienazione assoluta, perché è il prodotto dell’alienazione universale di tutte le altre merci».
Il denaro non è dunque semplicemente denaro, ma molto di più, e crederlo “neutro” sarebbe l’errore più grande. Come la scienza, la tecnica o il linguaggio, il denaro non è neutro. Già ventitré secoli fa, Aristotele osservava che «la cupidigia dell’umanità è insaziabile». “Insaziabile”, questa è la parola; non ce n’è mai abbastanza e, dato che non ce n’è mai abbastanza, non può evidentemente mai essercene troppo. Quello del denaro è un desiderio che non può mai essere soddisfatto perché si nutre di se stesso. La sua quantità, qualunque essa sia, può infatti sempre essere aumentata di una unità, cosicché il meglio vi si confonde sempre con il più. Non se ne ha mai abbastanza, di ciò di cui si può avere sempre di più. Proprio per questo, le antiche religioni europee hanno continuamente messo in guardia contro la passione del denaro in sé, con il mito di Gullveig, il mito di Mida, il mito dell’Anello di Policrate; lo stesso “declino degli dèi” (ragnarökr) è la conseguenza di una bramosia (l “oro del Reno”).
«Corriamo il rischio», scriveva alcuni anni fa Michel Winock, «di vedere il denaro, il successo finanziario, divenire l’unico metro della considerazione sociale, l’unico scopo della vita». Siamo arrivati proprio a questo punto. Ai giorni nostri, il denaro mette tutti d’accordo. La destra ne è diventata da molto tempo la serva. La sinistra istituzionale, con il pretesto del “realismo”, ha clamorosamente aderito all’economia di mercato, ossia alla gestione liberale del capitale. Il linguaggio dell’economia è divenuto onnipresente. Il denaro è ormai il punto di passaggio obbligato di tutte le forme di desiderio che si esprimono nel registro commerciale. Il sistema del denaro, tuttavia, non durerà a lungo. Il denaro perirà attraverso il denaro, ossia attraverso l’iperinflazione, il fallimento e l’indebitamento eccessivo. Allora si capirà, forse, che si è ricchi davvero solo di ciò che si è donato.

di Alain de Benoist 

08 gennaio 2013

Grandi banche indagate per frode







In questi giorni di fine 2012 le grandi banche internazionali, soprattutto quelle europee, sembrano infastidite. Si lamentano dei controlli più attenti, ma da loro ritenuti troppo invadenti, da parte degli organi di vigilanza.

L’ultimo caso riguarda l’UBS, la più grande banca svizzera, che ha accettato di patteggiare e di pagare oltre un miliardo e mezzo di dollari di multa per chiudere il caso dello scandalo-truffa del Libor!

In merito si ricordi che alcuni mesi fa, la SEC, la lenta e burocratica agenzia di controllo americana, e l’inglese British Financial Service Authority denunciarono una ventina di banche internazionali per aver manipolato il famoso London Interbank Offered Rate (Libor), cioè il tasso che stabilisce la base per definire tutti gli altri tassi di interesse applicati sui mercati finanziari. Erano quelle del cosiddetto cartello delle “too big to fail”: le inglesi Barclays, HSBC, Royal Bank of Scotland, la Deutsche Bank tedesca e le americane, JP Morgan, Citigroup e Bank of America.

Dal 2005 al 2007 le banche in questione avevano gonfiato i loro dati per far salire il Libor e incassare sui tassi alti. Dopo lo scoppio della crisi hanno invece giocato i loro dati al ribasso per mascherare le proprie difficoltà e abbassare il costo dei prestiti di cui avevano bisogno per sopravvivere. Hanno quindi semplicemente fornito informazioni fasulle a proprio profitto.  

Sei mesi fa, la Barclays, ritenuta una delle capofila di tale “frode organizzata”, ha pagato 450 milioni di dollari di multa per chiudere la faccenda. Adesso è toccato all’UBS.

Di primo acchito le multe sembrano molto salate. In realtà, per tali banche sono solo dei fastidiosi esborsi, a fronte degli enormi profitti incassati negli anni della “grande truffa”.

Si stima infatti che circa 800 trilioni di dollari di prodotti finanziari, a cominciare dai derivati Otc, siano legati all’andamento del Libor. Perciò la sola manipolazione di uno 0,01% equivale mediamente a 80 miliardi di dollari all’anno di profitti da spartire tra i grandi operatori finanziari.

Inoltre, come sappiamo dai dati della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea e dell’Office of the Comptroller of the Currency (Occ) americano, sono state, e lo sono tuttora, sempre le stesse banche indagate per la truffa del Libor a controllare la quasi totalità delle operazioni finanziarie globali. 

Vi sono poi le indagini nei confronti della Deutsche Bank, i cui uffici sono stati “visitati” per ben due volte in pochi giorni dagli investigatori delle polizia tedesca che ha sequestrato montagne di documenti.

Uno degli scandali-truffa riguarda una evasione fiscale per circa 300 milioni di euro frutto del commercio dei certificati CO2 nei mesi a cavallo del 2009-10. Uno schema tristemente noto anche in Italia, su cui sarebbe doveroso indagare.

Per l’intera Europa l’Europol stima una truffa ed una evasione fiscale legata ai certificati CO2 per oltre 5 miliardi di euro! Oramai si specula e si truffa anche sull’aria che respiriamo!

A seguito di accordi internazionali e dei tanti movimenti e dibattiti sulle questioni ambientali e climatiche, l’UE ha stabilito un “Emissions Trading System” che assegna un tetto di emissione di anidride carbonica ad ogni impresa e ad ogni impianto di produzione di energia. In pratica si è creato un mercato per acquistare certificati-permessi per maggiori emissioni e per vendere eventuali surplus. Su ciò si è innestato anche un mercato di derivati.

I casi della Barclays, dell’UBS, della Deutsche Bank, così come quello precedente dell’inglese HSBC coinvolta anche nel riciclaggio dei soldi della droga tra Messico e Stati Uniti, sembrano assegnare un ruolo centrale nel malaffare alle banche europee. Ma in realtà sappiamo quanto pesantemente siano state coinvolte le maggiori banche americane nelle truffe dei mutui sub prime e dei prodotti finanziari strutturati.

Tutte queste banche continuano a giocare sul ricatto di essere “too big to fail” per sottrarsi alle indagini ed a ogni forma di regolamentazione. Le frodi venute alla luce provano che il loro comportamento, già responsabile della crisi finanziaria ed economica globale, non è minimamente cambiato.

In relazione a ciò ed al progressivo peggioramento della situazione economica e finanziaria delle economie degli Usa e dell’Europa saranno determinanti le decisioni che il rieletto presidente Obama prenderà entro i prossimi mesi.

Se, con l’indispensabile collaborazione dell’UE, saprà operare con la stessa determinazione di Franklin Delano Roosevelt del 1933 nel mezzo della Grande Depressione allora potremo costruire la necessaria riforma della finanza e dell’economia e rimettere in moto la ripresa del sistema produttivo. 

Se invece il presidente americano sarà tenuto sotto scacco dalle lobby di Wall Street e dei vari “gattopardi”, come è avvenuto nel suo primo mandato, allora dovremo essere consapevoli che una seconda e più violenta crisi sistemica potrà verificarsi.

Di questo ovviamente dovranno preoccuparsi anche il prossimo governo e le autorità europee. 

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

07 gennaio 2013

L'energumeno Monti







  

La discesa (o salita, come ama dire  l'interessato nel suo sconfinato egocentrismo, che non ammette di collegare in alcun caso la sua persona col verbo “scendere”) di Mario Monti  in campo, forse perché condotta sul filo dell'ammissibilità costituzionale, ha determinato reazioni  altrettanto squinternate. Bersani, preoccupato che il suo partito non abbia quel trionfo totale prospettatogli fino a pochi giorni fa dai sondaggi, dice di sperare   che   Monti sappia mantenersi  “super partes”. Dal momento che non può essere super partes chi, proprio perché disceso (anzi salito) nell'agone, è già  parte a tutti  gli effetti,  l'auspicio prepara il terreno per il dopo  nella speranza che, se ne avrà bisogno, stia dalla  “sua” parte in cambio di qualche strapuntino nel governo e non pretenda invece la poltrona principale.
    Berlusconi, giocando  sulla faccenda della discesa-salita,  ha commentato  che Monti sale, perché era un presidente del consiglio di rango inferiore, mentre lui stesso, Berlusconi, era di rango superiore.  Insomma, se si è capito bene, a parte gli altri che vanno via  piatti, ci sono in campo un contendente che sale  (Monti)  e uno  (Berlusconi) che scende.  Contento lui.
     Beppe Grillo ha definito l'inatteso concorrente (ma può stare tranquillo,  chi pencola verso l'universo grillino ha altri  difetti, ma  non voterà mai per Monti)  un “energumeno anticostituzionale”. Quanto all'anticostituzionale  è  vero che fin  dalla sua prima apparizione sotto l'ala protettrice di  Giorgio Napolitano e di Angela Merkel sono stati sollevati  da più parti dubbi  sulla conformità al sistema democratico  della  nomina e  delle modalità di subentro al precedente governo. Tuttavia la definizione di “energumeno” (peggio ancora nella sua versione british,  “brute”) risulta quanto mai inappropriata per  il compassato e algido rettore bocconiano.  E' vero che ha già fatto più danni di quanto avrebbero potuto farne il pelide Achille o i  due più noti energumeni mitologici, Ercole e Marte, e che altri, forse peggiori, si appresta a farne, ma il genere è diverso, quello dell'acqua cheta che rovina i ponti.
    Fin qui   tutto da ridere se non  fosse che  siamo tutti in  ballo e, quindi, inferiori o superiori che siano questi candidati al governo del  paese, energumeni o acque chete, a rischio  coinvolgimento nel crac finale. Più seria, ma appunto per questo preoccupante, la presa di posizione del Vaticano, che, avendo  letto nella sua  agenda l'aspirazione ad una politica alta e nobile, auspica che Monti possa intercettare il consenso della  maggioranza degli italiani, che appunto ad una politica di  questo genere aspirano. Di rinforzo, il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco,  ha informato l'opinione pubblica della sua convinzione che  “sulla onestà e capacità di Monti ci sia un riconoscimento comune”. Quanto all'onestà il termine ha molti significati  e prima di pronunciarsi  occorre vedere a quale il cardinale si riferisca (certamente non all'impegno a suo tempo preso di non partecipare alle elezioni). Sulla capacità, nel giro di un anno il comune consenso, stando ai sondaggi, è precipitato dal 75 al 35% (e il trend negativo prosegue). L'esperienza sta  insegnando qualcosa anche ai più ottimisti.bResta l'agenda. Basta leggerla (la si trova facilmente su Internet)  per rendersi conto che la politica alta e nobile sta tutta nelle parole, negli intenti e nei fini che  si proclama di volere raggiungere nell'interesse del popolo italiano, mentre nulla o ben poco si dice  dei mezzi da utilizzare per realizzarli. Esattamente  come nei programmi di tutti i partiti. A chiacchiere uno più nobile dell'altro.
      Inevitabile chiedersi  cosa, nonostante la sua  millennaria prudenza e la scarsa propensione a cedere al fascino delle millanterie e delle chiacchiere, abbia spinto la Chiesa italiana, la Cei, a scendere in campo.  E' verosimile che  la risposta si trovi nel timore  di una totale  vittoria, fino ad oggi ritenuta inevitabile (con appena qualche riserva per la maggioranza in Senato), di un Partito democratico che, perfettamente consapevole di non potere muovere foglia in economia che l'Europa non voglia, quanto alle riforme punta tutto, anche per compiacere  il co-équipier Vendola, sui cosiddetti (molto cosiddetti) “diritti civili”, così  entrando in piena collisione con quelli che la Chiesa considera (molto giustamente) “valori non negoziabili”.
   In realtà di questi valori, con tutta la sua elevatezza e nobiltà, non c'è traccia nemmeno nell'Agenda Monti,  tuttavia mai come in questo caso, in una situazione già  data  persa (nel Pd i cattolici, oltre ad essere “adulti”, contano come il due di picche), il silenzio è d'oro.

di Francesco Mario Agnoli -