27 febbraio 2013

Breve storia del potere bancario nel mondo…






All’inizio fu la “nota di banco”. Eravamo nell’alto Medio Evo. Tu depositavi le tue monete  d’oro, ma anche collane ciondoli e anelli confezionati col prezioso metallo, e l’orefice – sì, proprio l’orefice – ti consegnava una ricevuta del valore preso in custodia: la “nota di banco”, appunto. Non fu una cattiva idea: gli scambi con la moneta aurea rendevano difficile le transazioni sul mercato, considerato che praticamente ogni città ne possedeva una diversa. La “nota di banco”, invece, snellì le procedure facilitando il commercio e lo sviluppo delle imprese. E la cosa funzionò. Funzionò fino a che l’orefice – sì, sempre l’orefice – non si accorse che il proprietario dell’oro che gli era stato consegnato non ci pensava proprio a richiederlo, felice com’era delle nuove soluzioni che la “nota di banco” gli offriva. A quel punto – sempre all’orefice – venne in mente un’idea geniale, a suo modo: visto che nessuno gli chiedeva la restituzione dell’oro preso in custodia, sulla garanzia della copertura aurea poteva prestare “note di banco” a terzi in cambio della restituzione con gli interessi. Fu il germoglio della banca moderna, come noi la conosciamo oggi: ti presto quello che non è mio, e tu mi paghi in una misura equa il servizio che ti rendo.
Bisogna dirlo: nemmeno questa, all’inizio, fu una cattiva idea. Tant’è che, anche grazie a questa soluzione, si lasciarono definitivamente alle spalle secoli bui di miseria, carestia e fame e si fece ingresso in epoche decisamente più floride: il Rinascimento, per esempio. Sarà mica un caso che la vera prima e propria banca nacque nel 1407, a Genova (nota città di risparmiatori, dettoen passant) con il nome di Casa delle Compere e del Banco di San Giorgio e che, per un paio di secoli, fece la fortuna di quella Repubblica Marinara. Insomma, il giochetto inventato dai vecchi orefici che emettevano “note di banco” assunse, da lì in avanti, un aspetto decisamente più istituzionale. E redditizio. Ma fin lì, tutto sommato, fra profitto privato e convenienza pubblica, la bilancia segnava decisamente un più in favore dello sviluppo e del progresso collettivo. Ci si poteva stare.
Il problema vero, semmai, fu che sin da subito, ovvero: sin dalla fondazione del Banco di San Giorgio, il potere economico cominciò a contendere il primato di esercizio amministrativo a quello politico. Sicché lo stato, ad un certo momento, si ruppe i coglioni. Siamo nel 1696, in Inghilterra, e Sua Maestà Guglielmo III, con un’alzata d’ingegno, decise che era ora di riunire le tre funzioni fondamentali delle banche – prestare danaro, ricevere danaro in deposito e creare moneta – ad un istituto di stato e creò la Banca d’Inghilterra. Che presto si fece agente mondiale degli interessi della Corona inglese, insegnando al resto del mondo come si esercita il diritto di battere moneta, contro la concorrenza, facendo pagare ad altri il tasso d’interesse.
La Banca d’Inghilterra, infatti, fin dalle sue origini, fu un’associazione a delinquere, capace di praticare l’usura al 60 per cento nelle colonie americane. Nel 1750, fu soppressa la cartamoneta emessa nella colonia della Pennsylvania. Cioè, non contenta del suo 60 per cento d’interessi, sopprimeva illegalmente una concorrenza che, con un sano sistema monetario autonomo, aveva portato la prosperità in quell’angolo del suo impero. Dopo  26 anni, nel 1776, le colonie americane si ribellarono contro le infamie, le ingiustizie e le sanzioni del Governo inglese, ormai servo dei banchieri. Fu la prima rivoluzione americana, quella dei padri fondatori: Sam Adams, John Adams e George Washington. La Costituzione americana stabilì che il potere di battere moneta spettava per intero al Congresso, non alle banche. Ma la loro rivoluzione fu tradita dai nemici interni. Fu necessaria una seconda rivoluzione: quella di Jefferson e Madison contro la prima Banca degli Stati Uniti. Poi, di una terza: quella di Jackson, contro il risorgere della stessa banca. E, infine, la quarta: condotta da Lincoln.
Dopo Lincoln, che fu messo in condizioni di non nuocere nel modo che sapete, negli Usa non c’è stata più seria resistenza al potere delle banche di speculare su quel qualcosa – la moneta – che non gli appartiene, così come l’oro non apparteneva ai vecchi orefici. Anzi, a ben guardare, le cose sono vieppiù precipitate se è vero – come è vero – che lo scoppio della famosa crisi del 2008, nella quale ancora ci dibattiamo, è dovuta alla gentile elargizione legislativa che l’amministrazione di Bill Clinton fece loro di concedere mutui (i tristemente famosi “subprime”) anche a chi non garantiva la solvibilità del prestito. Col risultato di rifilare le perdite attraverso titoli “derivati” che non valevano la carta su cui erano scritti, destabilizzando così il mondo intero. Fotografia esatta dell’inversione del rapporto corretto: non più le banche al servizio della politica ma il suo contrario.
Nel frattempo, però, in Europa si decise di fare, su questa via, ancora meglio. Intanto, in ossequio al mostro di Maastricht, si pensò di creare una Banca Centrale Europea (la famigerata Bce) che avrebbe battuto moneta senza alcun controllo degli stati dell’Unione e, quel che è peggio, senza il controllo politico di un governo federale che, a tutt’oggi, non è nemmeno ipotizzabile. Una Banca cioè che, come abbiamo visto in questi ulti anni, detta legge e impone la sua dittatura sulla moneta e sul debito pubblico senza dover rispondere a nessuno del suo operato, arrivando a  imporre, infine, i propri commissari ai vertici degli stati nazionali. Vedi, in particolare, i casi della Grecia con Loukas Papademos – già vicepresidente della Bce –  e quello dell’Italia che si è vista appioppare Mario Monti già associato a Mario Draghi – presidente in auge della stessa Bce – alla nota centrale di speculatori finanziari, responsabili del dissesto del 2008, che risponde al nome di Goldman Sachs.
Una settimana fa, proprio Mario Monti, con la faccia tosta che gli si addice, riguardo al caso del Monte dei Paschi di Siena ha sentenziato che è ora di finirla con la commistione tra politica e banche. L’insigne professore è di memoria breve, anzi: brevissima. Infatti, ha dimenticato in un batter d’occhio che dei 23 miliardi di euro rubati agli italiani con l’Imu, di cui 3 sulla prima casa, ben 4 sono andati a tappare proprio la falla che l’istituto senese si era scavata in petto con le solite operazioni finanziarie spericolate. Però, in un certo qual senso, aveva ragione. Di sbagliato c’era solo l’uso del tempo futuro: la commistione fra banche e politica è già finita. Quella in impero è la commistione fra Bce e banche territoriali. La politica è out e al debitore… ehm… ehm, scusate, volevo dire: al cittadino resta solo il dovere di saldare il conto. E così sia…
di Miro Renzaglia 

26 febbraio 2013

Il Guastafeste






La maggior parte degli addetti ai lavori parla di una grande sorpresa, di fronte ai risultati della tornata elettorale che si è appena conclusa, e con tutta probabilità un poco sorpresi sono rimasti sicuramente tutti coloro che già nelle passate settimane avevano"venduto" alle bancheed ai mercati un nuovo governo di continuità conl'agenda Monti, disposto a servire in tavola il cibo dietetico dispensato dalla BCE.
Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo sbanca tutto ciò che era umanamente sbancabile, supera il 25% dei consensi e s'incorona primo partito italiano, mettendosi alle spalle sia il PD che il PDL ed apprestandosi a portare nelle stanze dei bottoni circa 160 fra deputati e senatori.
Bersani attraverso una campagna elettorale assai sbiadita, condotta sullo sfondo dello scandalo MPS e della corruzione dilagante nel partito, riesce a dissipare tutti i punti percentuali di vantaggio sul PDL attribuitigli nelle settimane scorse dai sondaggi e con tutta la coalizione non riesce a superare il 30%.
Berlusconi raccoglie una coalizione in fase di disfacimento, ma con una grinta da venditore porta a porta e qualche spot elettorale di sicuro effetto, la rianima come per magia, fino a portarla al pareggio con quella di centrosinistra.....


Il banchiere di Goldman Sachs Mario Monti, dopo avere governato indebitamente per 13 mesi, inabissando il paese nelle sabbie mobili della disperazione, raccoglie quanto seminato e nonostante il sostegno di Casini (che poteva contare nell'UDC su oltre il 5% dei voti) e di Fini (che fino ad un paio di anni fa presiedeva un partito forte dell'11%) non riesce a sfondare la soglia del 10%, attestandosi poco al di sotto e raccogliendo una sconfitta cocente.

Il giudice Antonio Ingroia, rientrato in Italia dal Guatemala per rivitalizzare la sinistra, di fatto ne pratica l'eutanasia, arrivando ad ottenere il 2,2% alla testa di una coalizione (IDV, Rifondazione comunista, Verdi, Comunisti italiani) che sulla carta portava in dote circa il 10% dei consensi. Sbagliando di fatto tutto quello che sarebbe stato possibile sbagliare e probabilmente anche qualcosa di più e restando con tutti i suoi compagni fuori dal parlamento.

Gli altri piccoli partiti, da quelli di estrema sinistra alla destra identitaria, raccolgono percentuali risibili ben al di sotto del punto percentuale, dimostrando una volta di più che la politica del "tutti contro tutti" non paga e risulta del tutto inadeguata ad esprimere un progetto incisivo per il paese.

Alla luce di questi risultati naufraga ancora prima di partire il progetto di coalizione fra PD e Monti, già venduto da Napolitano ad Obama e alla BCE, dal momento che mancano materialmente i numeri (in primo luogo al Senato) perché un'ammucchiata del genere possa governare. Così come mancano i numeri perché Berlusconi, sostituendosi a Bersani nell'abbracciare l'usuraio di Goldman Sachs, possa aspirare a proporre un governo alternativo.

In una situazione d'impasse che ricorda da vicino la Grecia, le soluzioni praticabili sembrano essere solamente due, entrambe in salita e foriere di molti rischi per chi intenda praticarle.
Un governo di grande coalizione fra PD - PDL e Monti, coadiuvato da una grande crisi delle borse e dei mercati, creata artificialmente alla bisogna con tanto d'impennata dello spread. Con il rischio che però l'elettorato di centrodestra e quello di centrosinistra non accettino di buon grado il sodalizio con il nemico di sempre e facciano mancare il loro sostegno in propensione futura.
Oppure un ritorno alle urne a breve termine (dopo avere varato una nuova legge elettorale ad hoc) con una coalizione di "salvezza nazionale" imposta dallo sfacelo delle borse, dei mercati e dello spread accorso in "aiuto", dove PD - PDL e Monti tentino di giocare la carta del sacrificio necessario. Ma il rischio in questo caso sarebbe anche più grosso, perché l'elettorato indisponibile ad abbracciare il nemico potrebbe debordare in massa verso Beppe Grillo, decretando di fatto la sparizione di tutta la classe politica tradizionale e aprendo orizzonti completamente inesplorati.

Riflettendo così a caldo, l'enorme vittoria del "gustafeste" Beppe Grillo e del suo Movimento 5 stelle non può che farci piacere. Non solo perché diventa primo partito in Italia un movimento dichiaratamente NO TAV, favorevole alla creazione di un reddito di cittadinanza e di un nuovo sistema lavoro, contrario all'incenerimento dei rifiuti, alla cementificazione selvaggia e alle missioni di guerra, vicino al pensiero della decrescita e alla creazione di un nuovo modello di sviluppo. Ma anche e soprattutto perché il trionfo di Grillo intralcia in qualche misura il progetto di Bersani, Monti e Napolitano, costringendoli ad acrobazie di varia natura il cui esito potrebbe non essere così scontato come sembrava alla vigilia delle elezioni.

di Marco Cedolin 

24 febbraio 2013

LaRouche: se impediscono la Glass-Steagall sarà il collasso



 - Il 16 febbraio Lyndon LaRouche ha ammonito che se verrà bloccata la reintroduzione del sistema di separazione bancaria detto "Glass-Steagall", "ciò causerà una crisi da collasso dell'intero sistema transatlantico". Il processo iperinflazionistico dovuto ai salvataggi bancari "è ora sfuggito completamente al controllo" perché non siamo più nella fase di incremento, ma ci avviciniamo a quella di "decollo".
In un recente articolo intitolato "Supernova del credito", Bill Gross, il manager di Pimco, il più grande fondo obbligazionistico del mondo, ha reso evidente uno dei sintomi dell'esplosione iperinflazionistica denunciata da LaRouche. "Negli anni 80", ha scritto Gross, "occorrevano 4 dollari di nuovo credito per generare 1 dollaro di crescita reale del PIL". Nell'ultimo decennio, ce ne volevano 10 e dal 2006 ce ne vogliono 20 per ottenere lo stesso risultato".
Gross descrive giustamente questo fenomeno come "un mostro che richiede un aumento sempre crescente di alimento, una stella supernova che si espande ma che nel processo di espansione comincia a consumare se stessa".
Lo stesso Gross ammette che ciò è solo la punta dell'iceberg, perché le cifre che ha usato "non includono il debito ombra". Quest’ultimo è la gigantesca bolla dei derivati che rappresenta gli aggregati finanziari, la terza nel grafico della triplice curva di LaRouche. Il rapporto tra gli aggregati finanziari e il debito USA è cresciuto più rapidamente del rapporto debito/Pil.
Per cui, per generare i 4 dollari di nuovo debito che generavano un dollaro di Pil nel 1985, occorrevano 10 dollari di aggregati finanziari. Nel 2012 il debito era cresciuto di cinque volte, e gli aggregati finanziari cinquanta volte, per cui oggi occorrono 500 dollari di aggregati finanziari per ogni dollaro di aumento di Pil!
Questi dati, per quanto parziali, definiscono "un processo iperinflazionistico in corso", e non più un semplice rischio, ha sottolineato LaRouche.
Quando decolla l'iperinflazione, come nel 1923 in Germania, "a quel punto i salvataggi sono cancellati. Si cancella il denaro e si introduce una piccola quantità di denaro nuovo, da distribuire a pochi privilegiati. Il resto può andare al diavolo", ha ammonito LaRouche. Questa è la politica dell'oligarchia, e significa che "faranno morire di fame un sacco di gente".
Questa, ha denunciato LaRouche, è anche "l'intenzione dietro la politica attuale del Presidente degli Stati Uniti. Ciò non significa che egli ne sia l'autore, ma il segnale è quello, perché non è possibile che riescano nell'intento dichiarato. Non esistono modi per salvare questo sistema, tranne che cancellandolo e adottandone uno interamente nuovo".
LaRouche ha chiosato: finché Obama sarà presidente, "gli Stati Uniti sono condannati". Egli deve essere rimosso dall'incarico, deve essere introdotta urgentemente una legge Glass-Steagall e deve essere creato un sistema di credito. Chi sostiene che una riforma del genere spazzerebbe via troppo denaro fittizio, deve capire che ciò avverrà comunque, per cui è meglio farlo in modo ordinato e controllato.

 by (MoviSol)

27 febbraio 2013

Breve storia del potere bancario nel mondo…






All’inizio fu la “nota di banco”. Eravamo nell’alto Medio Evo. Tu depositavi le tue monete  d’oro, ma anche collane ciondoli e anelli confezionati col prezioso metallo, e l’orefice – sì, proprio l’orefice – ti consegnava una ricevuta del valore preso in custodia: la “nota di banco”, appunto. Non fu una cattiva idea: gli scambi con la moneta aurea rendevano difficile le transazioni sul mercato, considerato che praticamente ogni città ne possedeva una diversa. La “nota di banco”, invece, snellì le procedure facilitando il commercio e lo sviluppo delle imprese. E la cosa funzionò. Funzionò fino a che l’orefice – sì, sempre l’orefice – non si accorse che il proprietario dell’oro che gli era stato consegnato non ci pensava proprio a richiederlo, felice com’era delle nuove soluzioni che la “nota di banco” gli offriva. A quel punto – sempre all’orefice – venne in mente un’idea geniale, a suo modo: visto che nessuno gli chiedeva la restituzione dell’oro preso in custodia, sulla garanzia della copertura aurea poteva prestare “note di banco” a terzi in cambio della restituzione con gli interessi. Fu il germoglio della banca moderna, come noi la conosciamo oggi: ti presto quello che non è mio, e tu mi paghi in una misura equa il servizio che ti rendo.
Bisogna dirlo: nemmeno questa, all’inizio, fu una cattiva idea. Tant’è che, anche grazie a questa soluzione, si lasciarono definitivamente alle spalle secoli bui di miseria, carestia e fame e si fece ingresso in epoche decisamente più floride: il Rinascimento, per esempio. Sarà mica un caso che la vera prima e propria banca nacque nel 1407, a Genova (nota città di risparmiatori, dettoen passant) con il nome di Casa delle Compere e del Banco di San Giorgio e che, per un paio di secoli, fece la fortuna di quella Repubblica Marinara. Insomma, il giochetto inventato dai vecchi orefici che emettevano “note di banco” assunse, da lì in avanti, un aspetto decisamente più istituzionale. E redditizio. Ma fin lì, tutto sommato, fra profitto privato e convenienza pubblica, la bilancia segnava decisamente un più in favore dello sviluppo e del progresso collettivo. Ci si poteva stare.
Il problema vero, semmai, fu che sin da subito, ovvero: sin dalla fondazione del Banco di San Giorgio, il potere economico cominciò a contendere il primato di esercizio amministrativo a quello politico. Sicché lo stato, ad un certo momento, si ruppe i coglioni. Siamo nel 1696, in Inghilterra, e Sua Maestà Guglielmo III, con un’alzata d’ingegno, decise che era ora di riunire le tre funzioni fondamentali delle banche – prestare danaro, ricevere danaro in deposito e creare moneta – ad un istituto di stato e creò la Banca d’Inghilterra. Che presto si fece agente mondiale degli interessi della Corona inglese, insegnando al resto del mondo come si esercita il diritto di battere moneta, contro la concorrenza, facendo pagare ad altri il tasso d’interesse.
La Banca d’Inghilterra, infatti, fin dalle sue origini, fu un’associazione a delinquere, capace di praticare l’usura al 60 per cento nelle colonie americane. Nel 1750, fu soppressa la cartamoneta emessa nella colonia della Pennsylvania. Cioè, non contenta del suo 60 per cento d’interessi, sopprimeva illegalmente una concorrenza che, con un sano sistema monetario autonomo, aveva portato la prosperità in quell’angolo del suo impero. Dopo  26 anni, nel 1776, le colonie americane si ribellarono contro le infamie, le ingiustizie e le sanzioni del Governo inglese, ormai servo dei banchieri. Fu la prima rivoluzione americana, quella dei padri fondatori: Sam Adams, John Adams e George Washington. La Costituzione americana stabilì che il potere di battere moneta spettava per intero al Congresso, non alle banche. Ma la loro rivoluzione fu tradita dai nemici interni. Fu necessaria una seconda rivoluzione: quella di Jefferson e Madison contro la prima Banca degli Stati Uniti. Poi, di una terza: quella di Jackson, contro il risorgere della stessa banca. E, infine, la quarta: condotta da Lincoln.
Dopo Lincoln, che fu messo in condizioni di non nuocere nel modo che sapete, negli Usa non c’è stata più seria resistenza al potere delle banche di speculare su quel qualcosa – la moneta – che non gli appartiene, così come l’oro non apparteneva ai vecchi orefici. Anzi, a ben guardare, le cose sono vieppiù precipitate se è vero – come è vero – che lo scoppio della famosa crisi del 2008, nella quale ancora ci dibattiamo, è dovuta alla gentile elargizione legislativa che l’amministrazione di Bill Clinton fece loro di concedere mutui (i tristemente famosi “subprime”) anche a chi non garantiva la solvibilità del prestito. Col risultato di rifilare le perdite attraverso titoli “derivati” che non valevano la carta su cui erano scritti, destabilizzando così il mondo intero. Fotografia esatta dell’inversione del rapporto corretto: non più le banche al servizio della politica ma il suo contrario.
Nel frattempo, però, in Europa si decise di fare, su questa via, ancora meglio. Intanto, in ossequio al mostro di Maastricht, si pensò di creare una Banca Centrale Europea (la famigerata Bce) che avrebbe battuto moneta senza alcun controllo degli stati dell’Unione e, quel che è peggio, senza il controllo politico di un governo federale che, a tutt’oggi, non è nemmeno ipotizzabile. Una Banca cioè che, come abbiamo visto in questi ulti anni, detta legge e impone la sua dittatura sulla moneta e sul debito pubblico senza dover rispondere a nessuno del suo operato, arrivando a  imporre, infine, i propri commissari ai vertici degli stati nazionali. Vedi, in particolare, i casi della Grecia con Loukas Papademos – già vicepresidente della Bce –  e quello dell’Italia che si è vista appioppare Mario Monti già associato a Mario Draghi – presidente in auge della stessa Bce – alla nota centrale di speculatori finanziari, responsabili del dissesto del 2008, che risponde al nome di Goldman Sachs.
Una settimana fa, proprio Mario Monti, con la faccia tosta che gli si addice, riguardo al caso del Monte dei Paschi di Siena ha sentenziato che è ora di finirla con la commistione tra politica e banche. L’insigne professore è di memoria breve, anzi: brevissima. Infatti, ha dimenticato in un batter d’occhio che dei 23 miliardi di euro rubati agli italiani con l’Imu, di cui 3 sulla prima casa, ben 4 sono andati a tappare proprio la falla che l’istituto senese si era scavata in petto con le solite operazioni finanziarie spericolate. Però, in un certo qual senso, aveva ragione. Di sbagliato c’era solo l’uso del tempo futuro: la commistione fra banche e politica è già finita. Quella in impero è la commistione fra Bce e banche territoriali. La politica è out e al debitore… ehm… ehm, scusate, volevo dire: al cittadino resta solo il dovere di saldare il conto. E così sia…
di Miro Renzaglia 

26 febbraio 2013

Il Guastafeste






La maggior parte degli addetti ai lavori parla di una grande sorpresa, di fronte ai risultati della tornata elettorale che si è appena conclusa, e con tutta probabilità un poco sorpresi sono rimasti sicuramente tutti coloro che già nelle passate settimane avevano"venduto" alle bancheed ai mercati un nuovo governo di continuità conl'agenda Monti, disposto a servire in tavola il cibo dietetico dispensato dalla BCE.
Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo sbanca tutto ciò che era umanamente sbancabile, supera il 25% dei consensi e s'incorona primo partito italiano, mettendosi alle spalle sia il PD che il PDL ed apprestandosi a portare nelle stanze dei bottoni circa 160 fra deputati e senatori.
Bersani attraverso una campagna elettorale assai sbiadita, condotta sullo sfondo dello scandalo MPS e della corruzione dilagante nel partito, riesce a dissipare tutti i punti percentuali di vantaggio sul PDL attribuitigli nelle settimane scorse dai sondaggi e con tutta la coalizione non riesce a superare il 30%.
Berlusconi raccoglie una coalizione in fase di disfacimento, ma con una grinta da venditore porta a porta e qualche spot elettorale di sicuro effetto, la rianima come per magia, fino a portarla al pareggio con quella di centrosinistra.....


Il banchiere di Goldman Sachs Mario Monti, dopo avere governato indebitamente per 13 mesi, inabissando il paese nelle sabbie mobili della disperazione, raccoglie quanto seminato e nonostante il sostegno di Casini (che poteva contare nell'UDC su oltre il 5% dei voti) e di Fini (che fino ad un paio di anni fa presiedeva un partito forte dell'11%) non riesce a sfondare la soglia del 10%, attestandosi poco al di sotto e raccogliendo una sconfitta cocente.

Il giudice Antonio Ingroia, rientrato in Italia dal Guatemala per rivitalizzare la sinistra, di fatto ne pratica l'eutanasia, arrivando ad ottenere il 2,2% alla testa di una coalizione (IDV, Rifondazione comunista, Verdi, Comunisti italiani) che sulla carta portava in dote circa il 10% dei consensi. Sbagliando di fatto tutto quello che sarebbe stato possibile sbagliare e probabilmente anche qualcosa di più e restando con tutti i suoi compagni fuori dal parlamento.

Gli altri piccoli partiti, da quelli di estrema sinistra alla destra identitaria, raccolgono percentuali risibili ben al di sotto del punto percentuale, dimostrando una volta di più che la politica del "tutti contro tutti" non paga e risulta del tutto inadeguata ad esprimere un progetto incisivo per il paese.

Alla luce di questi risultati naufraga ancora prima di partire il progetto di coalizione fra PD e Monti, già venduto da Napolitano ad Obama e alla BCE, dal momento che mancano materialmente i numeri (in primo luogo al Senato) perché un'ammucchiata del genere possa governare. Così come mancano i numeri perché Berlusconi, sostituendosi a Bersani nell'abbracciare l'usuraio di Goldman Sachs, possa aspirare a proporre un governo alternativo.

In una situazione d'impasse che ricorda da vicino la Grecia, le soluzioni praticabili sembrano essere solamente due, entrambe in salita e foriere di molti rischi per chi intenda praticarle.
Un governo di grande coalizione fra PD - PDL e Monti, coadiuvato da una grande crisi delle borse e dei mercati, creata artificialmente alla bisogna con tanto d'impennata dello spread. Con il rischio che però l'elettorato di centrodestra e quello di centrosinistra non accettino di buon grado il sodalizio con il nemico di sempre e facciano mancare il loro sostegno in propensione futura.
Oppure un ritorno alle urne a breve termine (dopo avere varato una nuova legge elettorale ad hoc) con una coalizione di "salvezza nazionale" imposta dallo sfacelo delle borse, dei mercati e dello spread accorso in "aiuto", dove PD - PDL e Monti tentino di giocare la carta del sacrificio necessario. Ma il rischio in questo caso sarebbe anche più grosso, perché l'elettorato indisponibile ad abbracciare il nemico potrebbe debordare in massa verso Beppe Grillo, decretando di fatto la sparizione di tutta la classe politica tradizionale e aprendo orizzonti completamente inesplorati.

Riflettendo così a caldo, l'enorme vittoria del "gustafeste" Beppe Grillo e del suo Movimento 5 stelle non può che farci piacere. Non solo perché diventa primo partito in Italia un movimento dichiaratamente NO TAV, favorevole alla creazione di un reddito di cittadinanza e di un nuovo sistema lavoro, contrario all'incenerimento dei rifiuti, alla cementificazione selvaggia e alle missioni di guerra, vicino al pensiero della decrescita e alla creazione di un nuovo modello di sviluppo. Ma anche e soprattutto perché il trionfo di Grillo intralcia in qualche misura il progetto di Bersani, Monti e Napolitano, costringendoli ad acrobazie di varia natura il cui esito potrebbe non essere così scontato come sembrava alla vigilia delle elezioni.

di Marco Cedolin 

24 febbraio 2013

LaRouche: se impediscono la Glass-Steagall sarà il collasso



 - Il 16 febbraio Lyndon LaRouche ha ammonito che se verrà bloccata la reintroduzione del sistema di separazione bancaria detto "Glass-Steagall", "ciò causerà una crisi da collasso dell'intero sistema transatlantico". Il processo iperinflazionistico dovuto ai salvataggi bancari "è ora sfuggito completamente al controllo" perché non siamo più nella fase di incremento, ma ci avviciniamo a quella di "decollo".
In un recente articolo intitolato "Supernova del credito", Bill Gross, il manager di Pimco, il più grande fondo obbligazionistico del mondo, ha reso evidente uno dei sintomi dell'esplosione iperinflazionistica denunciata da LaRouche. "Negli anni 80", ha scritto Gross, "occorrevano 4 dollari di nuovo credito per generare 1 dollaro di crescita reale del PIL". Nell'ultimo decennio, ce ne volevano 10 e dal 2006 ce ne vogliono 20 per ottenere lo stesso risultato".
Gross descrive giustamente questo fenomeno come "un mostro che richiede un aumento sempre crescente di alimento, una stella supernova che si espande ma che nel processo di espansione comincia a consumare se stessa".
Lo stesso Gross ammette che ciò è solo la punta dell'iceberg, perché le cifre che ha usato "non includono il debito ombra". Quest’ultimo è la gigantesca bolla dei derivati che rappresenta gli aggregati finanziari, la terza nel grafico della triplice curva di LaRouche. Il rapporto tra gli aggregati finanziari e il debito USA è cresciuto più rapidamente del rapporto debito/Pil.
Per cui, per generare i 4 dollari di nuovo debito che generavano un dollaro di Pil nel 1985, occorrevano 10 dollari di aggregati finanziari. Nel 2012 il debito era cresciuto di cinque volte, e gli aggregati finanziari cinquanta volte, per cui oggi occorrono 500 dollari di aggregati finanziari per ogni dollaro di aumento di Pil!
Questi dati, per quanto parziali, definiscono "un processo iperinflazionistico in corso", e non più un semplice rischio, ha sottolineato LaRouche.
Quando decolla l'iperinflazione, come nel 1923 in Germania, "a quel punto i salvataggi sono cancellati. Si cancella il denaro e si introduce una piccola quantità di denaro nuovo, da distribuire a pochi privilegiati. Il resto può andare al diavolo", ha ammonito LaRouche. Questa è la politica dell'oligarchia, e significa che "faranno morire di fame un sacco di gente".
Questa, ha denunciato LaRouche, è anche "l'intenzione dietro la politica attuale del Presidente degli Stati Uniti. Ciò non significa che egli ne sia l'autore, ma il segnale è quello, perché non è possibile che riescano nell'intento dichiarato. Non esistono modi per salvare questo sistema, tranne che cancellandolo e adottandone uno interamente nuovo".
LaRouche ha chiosato: finché Obama sarà presidente, "gli Stati Uniti sono condannati". Egli deve essere rimosso dall'incarico, deve essere introdotta urgentemente una legge Glass-Steagall e deve essere creato un sistema di credito. Chi sostiene che una riforma del genere spazzerebbe via troppo denaro fittizio, deve capire che ciò avverrà comunque, per cui è meglio farlo in modo ordinato e controllato.

 by (MoviSol)