23 giugno 2013

Le parole del papa Francesco




Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei soffermarmi sulla questione dell’ambiente, come ho avuto già modo di fare in diverse occasioni. Me lo suggerisce anche l’odierna Giornata Mondiale dell’Ambiente, promossa dalle Nazioni Unite, che lancia un forte richiamo alla necessità di eliminare gli sprechi e la distruzione di alimenti.
Quando parliamo di ambiente, del creato, il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Benedetto XVI ha ricordato più volte che questo compito affidatoci da Dio Creatore richiede di cogliere il ritmo e la logica della creazione. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo l’atteggiamento dello stupore, della contemplazione, dell’ascolto della creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVIchiama “il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo”. Perché avviene questo? Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i suoi segni.
Ma il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l'uomo, è il denaro, il denaro, i soldi comandano. E Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne. noi abbiamo questo compito! Invece uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Se una notte di inverno, qui vicino in via Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia, sembra normale. Non può essere così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città, costituisce una tragedia. Uno che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti.
Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi.
Pochi giorni fa, nella Festa del Corpus Domini, abbiamo letto il racconto del miracolo dei pani: Gesù dà da mangiare alla folla con cinque pani e due pesci. E la conclusione del brano è importante: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste» (Lc 9,17). Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti! E c’è questo fatto delle dodici ceste: perché dodici? Che cosa significa? Dodici è il numero delle tribù d’Israele, rappresenta simbolicamente tutto il popolo. E questo ci dice che quando il cibo viene condiviso in modo equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri. Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme.
Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e custodire il creato, di essere attenti ad ogni persona, di contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro. Grazie.

PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 5 giugno 2013

22 giugno 2013

L'inganno dell'Euroamerica, che non porterà affatto più libero scambio



Nella distrazione generale, soprattutto della pubblica opinione, prosegue il lavorio internazionale, di Usa ed Europa, per la creazione di un’area di libero scambio tra le due unioni che non sarà né libera né paritaria. Si era detto che con la globalizzazione i confini fra gli Stati si sarebbero dissolti, poiché laddove circolano le merci depongono le armi gli eserciti, la civiltà dell’integrazione economica e sociale si estende determinando la nascita di un superiore modello culturale di partecipazione e di solidarietà mondiale, finalizzato alla prosperità generale. Ma, allora, come mai si rende necessario creare dei cortili di esclusività ristretta per rendere la libertà sempre più libera?

E’ un bel paradosso, in quanto un accordo di tale specie include alcuni ed esclude altri, oppure, per essere più chiari, può servire sia per imprigionare una parte di quelli che vi aderiscono, in primis le nazioni più deboli convinte di ricevere tutele subendo, invece, gravi condizionamenti, che per circondare ed isolare i nemici più forti. Dunque, per attivare forme subdole di protezionismo, che nascondono precisi piani politici, non c’è nulla di meglio che creare un’area circoscritta di privilegio e chiamarla free-trade talks, un dominio apparentemente aperto ma surrettiziamente coercitivo dove vige la legge del più prepotente.

Gli Stati Uniti, non a caso, stanno promuovendo dette intese in quelle zone del pianeta dove operano superpotenze che mettono a repentaglio la sua egemonia. In Europa si temono i russi e nel Pacifico i cinesi. Ed voilà che nascono spazi di commercio e di canali diplomatici facilitati per frenare l’avanzata degli Stati emergenti e riemergenti, i quali non si piegano a determinate prescrizioni geopolitiche unipolari.

Noi italiani, che siamo doppiamente autolesionisti, siamo entusiasti dell’iniziativa. Siamo da sempre un popolo di camerieri e servire è la nostra massima aspirazione. Non c’è bastata l’Ue che ha destabilizzato affari e sovranità nazionale, vogliamo proprio toccare il fondo per stare tranquilli e facciamo i salti di gioia per questa nuova opportunità nella quale daremo, sicuramente, il peggio di noi stessi.

Perché dico questo? Ho le prove del masochismo nostrano. Sentite un po’ cosa dice il sottosegretario allo sviluppo economico,  Carlo Calenda, ribattezzato per l’occasione segretario al sottosviluppo. Costui, dopo il tentativo francese di porre dei limiti all’audiovisivo per non perdere la partita con l'industria cinematografica Usa, teme ritorsioni da parte di Washington che potrebbe escludere dall’accordo alcuni ambiti chiave, danneggiando l’Italia. E quali sarebbero questi ambiti fondamentali? “...il tessile, l’oreficeria, la pelletteria…” dopodiché il viceministro è convinto dell’utilità di introdurre dazi sui prodotti cinesi, e chiede pure all’UE di sposare una linea condivisa e coerente su queste tematiche. Quindi il problema sarebbero i gialli che ci fanno neri in comparti industriali di precedenti ondate tecnologiche e non tutti quei tramatori alle nostre spalle, compresi i sedicenti partner più stretti, che vorrebbero smantellare i nostri asset strategici, a compartecipazione pubblica, nei settori di punta, dall’aerospaziale all’energetico.

I più grandi economisti euroamericani sono convinti che, grazie alla creazione dell’area di libero-scambio transatlantica, si aumenteranno i volumi di commercio internazionale di circa 100 mld annui. Può essere, ma occorre vedere come si distribuiranno i vantaggi tra i compartecipanti. Inoltre, trattandosi degli stessi dottori laureati che, appena qualche anno fa, non avevano previsto nessuna crisi sistemica, blaterando di piccole recessioni ricorsive, non c’è da stare troppo a sentirli. Più che la scienza triste l’economia è diventata la religione delle balle dove vince e fa carriera chi le spara più grosse.

Diciamo, pertanto, come stanno davvero le questioni. Questo patto, al quale gli statunitensi non credevano, difatti J. W. Bush lo aveva fatto naufragare poiché distante dalla sua visione strategica, è stato ripescato da Obama che teme l’estendersi dell’ascendente russo su determinati membri europei in difficoltà (ma non solo, si pensi agli affari del gas tra Berlino e Mosca e a quelli, purtroppo quasi naufragati, con l’Italia), e che vuole, al contempo, penetrare ancor più pesantemente nel vecchio continente per farne un punto d’osservazione e di controllo di teatri vicini, dove regna l’instabilità e l’incertezza.

Che la reale preoccupazione della Casa Bianca sia il Cremlino lo segnala anche il giornalista di Libero Carlo Pelanda il quale così ripercorre gli avvenimenti: “Nell’autunno del 2006 la Russia costrinse la Germania a definire confini certi della Ue affinché la loro estensione ad est non destabilizzasse la Federazione russa e sia Ucraina sia Bielorussia (nonché Georgia) ne restassero fuori per essere riassorbiti nel futuro dalla Russia stessa. Tale pressione fu fatta ricattando la Germania sul piano delle forniture di gas. Per inciso, Romania e Bulgaria furono incluse a razzo nella Ue, ma come segnale di fine dell’espansione europea. Una sorta di nuova Yalta. Questa storia è poco nota e penso mai sia apparsa sui giornali per nascondere una sconfitta storica della Ue a conduzione tedesca. Berlino cercò la sponda americana per segnalare ai russi che poteva contro-dissuadere ed alla fine Mosca e Berlino si accordarono. La mossa fu strumentale e lasciò freddi gli americani. Ora, appunto, è diverso: l’America è apertissima all’idea e la ha proposta…Perseguire l’Euroamerica significa creare l’organo di governo mondiale, basato sul criterio occidentale e non asiatico, del futuro. Ed anche dare un senso all’Europa fin qui fatta”.

Visto? Non c’è nulla di meglio dell'ideologia del libero-scambio per innalzare cortine di ferro e predisporsi, senza farsi notare, alla guerra. Il povero Frédéric Bastiat non aveva capito nulla
 

di Gianni Petrosillo 

21 giugno 2013

Attiviamoci e Ripartiamo

Sono passati diversi mesi, ma continuo a crederci e a sperare. Perché in genere, quando prendo una decisione e faccio una scelta, è mia abitudine riflettere accuratamente, perché se sbaglio me ne assumo la responsabilità, non la scarico sugli altri. Il M5S non rappresentava e non rappresenta per me, solo “la protesta” o “l’unica alternativa possibile”.
Il M5S esprime quella volontà di Cambiamento Pragmatico, di Rivoluzione Culturale che parte dalle idee, dagli ideali, dai diritti ma lì non si ferma… La vocazione reale del movimento è tradurre in atti, in fatti delle bellissime e altisonanti parole svuotate di contenuto e credibilità, da parte di chi ne ha abusato senza prevedere che prima o poi sarebbero diventate inefficaci.
Ho votato Grillo e il Movimento perché in quell’ultimo comizio a San Giovanni rivolgendosi ad una piazza gremita e a quanti, come me, lo seguivano in diretta streaming, ha detto: “Se voti il Movimento 5 Stelle, ti metti in gioco in prima persona”. Tu diventi parte del cambiamento che vuoi attuare, te ne assumi la responsabilità, se vuoi il cambiamento, tu devi cambiare.
Vi sembrerà strano, ma sono state queste le parole che mi hanno convinta a votare.
Per la prima volta, qualcuno non mi stava dicendo “Dimmi che ti serve, che a te ci penso io”, ma faceva appello al mio senso critico e non mi stava chiedendo fiducia, ma mi stava dando fiducia, quindi il mio voto e il mio impegno quotidiano avrebbero contato.
Ciascuno di noi sarebbe stato riabilitato a pensare, a ragionare, sarebbe stato rispettato e avrebbe avuto la giusta importanza all’interno di quel Sistema che ci vuole solo sudditi. Quando leggo i post nel suo Blog credo di coglierne sempre il senso, perché non è una questione di interpretazione, ma di prospettiva.
L’utilizzo di un linguaggio forte che scuote e spaventa, è per me un invito ad andare oltre le parole, a provare ad interrogarsi sul perché. La continua denuncia da parte sua (mentre i Parlamentari stanno lavorando all’interno dell’Istituzione) è il tentativo di tenerci desti e concentrati, un invito a non abbassare la guardia, perché non abbiamo ancora finito, ma appena cominciato…
In molti non condividono perché avrebbero voglia di essere rassicurati, di ricevere delle buone notizie, di raccogliere già i frutti ….. ma quella X apposta sulla scheda elettorale era soltanto un seme che ciascuno di noi ha piantato… 9’000’000 di semi.
Possiamo scegliere di abbandonare i germogli spuntati alle intemperie, rinunciando completamente al raccolto o continuare a prendercene cura. Non è stato solo Grillo a sbagliare, abbiamo sbagliato tutti. Mi rivolgo soprattutto agli Attivisti, alla cosiddetta Base del Movimento, agli iscritti entro il 31/12/2012.
Ho sempre ritenuto giusto il criterio per cui a votare fossero le persone impegnate nel progetto fin da principio, perché certi diritti si conquistano e si acquisiscono combattendo sul campo le battaglie, perché così ne apprezzi davvero il valore. Salire sul carro del vincitore è facile, quanto saltare giù nel momento in cui la strada diventa impervia.
Tuttavia, diversi episodi accaduti recentemente, mi hanno portato a delle conclusioni. Chi deve cambiare toni e registro sono proprio quegli attivisti che avendo più diritto ad esprimere il loro pensiero, non hanno tenuto conto di noi altri che sommati siamo 8’950’000. “Liberarsi di pesi morti”, “Accuse di trolleraggio”, “Spammare o bannare”, “Espellere gente dai meetup” o “Creare più gruppi all’interno di uno stesso paese o città”, escludere dal dialogo chiunque la pensi in modo diverso (vi ricordo che essendo un movimento trasversale ci saranno spesso voci in disaccordo), non farà altro che dividerci e frammentare quella comunità che condivideva gli stessi sogni e gli stessi progetti… L’obiettivo non dovrebbe essere quello di ritagliarsi un piccolo spazio all’interno di un Sistema marcio, ma convincere le persone a cambiare, a continuare a credere nel progetto, a partecipare.
Sul caso “Gambaro”: nutrivo forti sospetti che la sua reale intenzione fosse quella di fare la martire ed uscirne pulita… bene, anzi male, non sapremo mai la verità, perché è stata espulsa. A chi ha giovato? A noi non di certo. Il mio è solo un appello: se Grillo è un megafono che dice ciò che in tanti pensano, mi auguro davvero che ciascuno pensi bene a ciò che sta facendo, anche a nome di chi ancora non ha la possibilità di far sentire la propria voce.
Non ci sono solo Grillo e i 163, ops, 159 eletti in Parlamento, ci sono circa 50’000 iscritti certificati… E a voi che mi rivolgo. Allo stato dell’arte la democrazia diretta è un sogno, un progetto difficilmente realizzabile, pertanto fino a quando ciascuno non avrà la possibilità di esprimersi, voi ci state rappresentando.
Se tenete al Movimento, dovreste tenere anche a tutti quelli che lo hanno votato. Se tenete al Movimento non potete farvi guidare solo dall’impulso personale e soggettivo, ma provare a valutare l’impatto e le conseguenze delle vostre scelte, provare a farvi interpreti anche di chi al momento è escluso dalle decisioni… provare ad includere e a incoraggiare le persone a resistere, a partecipare e a perseguire le battaglie che sono di tutti…
Se credete di esseri i soli a voler lottare per cambiare, rimarrete soli. Se il Movimento fallisce, non fallisce Grillo, falliamo tutti e anche quelli che non lo hanno votato perché non avranno più la possibilità di ricredersi e di farlo…
Se il Movimento è migliore deve dimostrare di esserlo..
Se tutti siamo il Movimento dobbiamo poter essere orgogliosi di farne parte.
Se tutti siamo in Movimento dobbiamo tirare dentro e non buttar fuori.
Prima di fare click… Pensiamoci!!!!!
 Stella Maria Dolores Giorgitto

23 giugno 2013

Le parole del papa Francesco




Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei soffermarmi sulla questione dell’ambiente, come ho avuto già modo di fare in diverse occasioni. Me lo suggerisce anche l’odierna Giornata Mondiale dell’Ambiente, promossa dalle Nazioni Unite, che lancia un forte richiamo alla necessità di eliminare gli sprechi e la distruzione di alimenti.
Quando parliamo di ambiente, del creato, il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Benedetto XVI ha ricordato più volte che questo compito affidatoci da Dio Creatore richiede di cogliere il ritmo e la logica della creazione. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo l’atteggiamento dello stupore, della contemplazione, dell’ascolto della creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVIchiama “il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo”. Perché avviene questo? Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i suoi segni.
Ma il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l'uomo, è il denaro, il denaro, i soldi comandano. E Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne. noi abbiamo questo compito! Invece uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Se una notte di inverno, qui vicino in via Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia, sembra normale. Non può essere così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città, costituisce una tragedia. Uno che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti.
Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi.
Pochi giorni fa, nella Festa del Corpus Domini, abbiamo letto il racconto del miracolo dei pani: Gesù dà da mangiare alla folla con cinque pani e due pesci. E la conclusione del brano è importante: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste» (Lc 9,17). Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti! E c’è questo fatto delle dodici ceste: perché dodici? Che cosa significa? Dodici è il numero delle tribù d’Israele, rappresenta simbolicamente tutto il popolo. E questo ci dice che quando il cibo viene condiviso in modo equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri. Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme.
Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e custodire il creato, di essere attenti ad ogni persona, di contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro. Grazie.

PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 5 giugno 2013

22 giugno 2013

L'inganno dell'Euroamerica, che non porterà affatto più libero scambio



Nella distrazione generale, soprattutto della pubblica opinione, prosegue il lavorio internazionale, di Usa ed Europa, per la creazione di un’area di libero scambio tra le due unioni che non sarà né libera né paritaria. Si era detto che con la globalizzazione i confini fra gli Stati si sarebbero dissolti, poiché laddove circolano le merci depongono le armi gli eserciti, la civiltà dell’integrazione economica e sociale si estende determinando la nascita di un superiore modello culturale di partecipazione e di solidarietà mondiale, finalizzato alla prosperità generale. Ma, allora, come mai si rende necessario creare dei cortili di esclusività ristretta per rendere la libertà sempre più libera?

E’ un bel paradosso, in quanto un accordo di tale specie include alcuni ed esclude altri, oppure, per essere più chiari, può servire sia per imprigionare una parte di quelli che vi aderiscono, in primis le nazioni più deboli convinte di ricevere tutele subendo, invece, gravi condizionamenti, che per circondare ed isolare i nemici più forti. Dunque, per attivare forme subdole di protezionismo, che nascondono precisi piani politici, non c’è nulla di meglio che creare un’area circoscritta di privilegio e chiamarla free-trade talks, un dominio apparentemente aperto ma surrettiziamente coercitivo dove vige la legge del più prepotente.

Gli Stati Uniti, non a caso, stanno promuovendo dette intese in quelle zone del pianeta dove operano superpotenze che mettono a repentaglio la sua egemonia. In Europa si temono i russi e nel Pacifico i cinesi. Ed voilà che nascono spazi di commercio e di canali diplomatici facilitati per frenare l’avanzata degli Stati emergenti e riemergenti, i quali non si piegano a determinate prescrizioni geopolitiche unipolari.

Noi italiani, che siamo doppiamente autolesionisti, siamo entusiasti dell’iniziativa. Siamo da sempre un popolo di camerieri e servire è la nostra massima aspirazione. Non c’è bastata l’Ue che ha destabilizzato affari e sovranità nazionale, vogliamo proprio toccare il fondo per stare tranquilli e facciamo i salti di gioia per questa nuova opportunità nella quale daremo, sicuramente, il peggio di noi stessi.

Perché dico questo? Ho le prove del masochismo nostrano. Sentite un po’ cosa dice il sottosegretario allo sviluppo economico,  Carlo Calenda, ribattezzato per l’occasione segretario al sottosviluppo. Costui, dopo il tentativo francese di porre dei limiti all’audiovisivo per non perdere la partita con l'industria cinematografica Usa, teme ritorsioni da parte di Washington che potrebbe escludere dall’accordo alcuni ambiti chiave, danneggiando l’Italia. E quali sarebbero questi ambiti fondamentali? “...il tessile, l’oreficeria, la pelletteria…” dopodiché il viceministro è convinto dell’utilità di introdurre dazi sui prodotti cinesi, e chiede pure all’UE di sposare una linea condivisa e coerente su queste tematiche. Quindi il problema sarebbero i gialli che ci fanno neri in comparti industriali di precedenti ondate tecnologiche e non tutti quei tramatori alle nostre spalle, compresi i sedicenti partner più stretti, che vorrebbero smantellare i nostri asset strategici, a compartecipazione pubblica, nei settori di punta, dall’aerospaziale all’energetico.

I più grandi economisti euroamericani sono convinti che, grazie alla creazione dell’area di libero-scambio transatlantica, si aumenteranno i volumi di commercio internazionale di circa 100 mld annui. Può essere, ma occorre vedere come si distribuiranno i vantaggi tra i compartecipanti. Inoltre, trattandosi degli stessi dottori laureati che, appena qualche anno fa, non avevano previsto nessuna crisi sistemica, blaterando di piccole recessioni ricorsive, non c’è da stare troppo a sentirli. Più che la scienza triste l’economia è diventata la religione delle balle dove vince e fa carriera chi le spara più grosse.

Diciamo, pertanto, come stanno davvero le questioni. Questo patto, al quale gli statunitensi non credevano, difatti J. W. Bush lo aveva fatto naufragare poiché distante dalla sua visione strategica, è stato ripescato da Obama che teme l’estendersi dell’ascendente russo su determinati membri europei in difficoltà (ma non solo, si pensi agli affari del gas tra Berlino e Mosca e a quelli, purtroppo quasi naufragati, con l’Italia), e che vuole, al contempo, penetrare ancor più pesantemente nel vecchio continente per farne un punto d’osservazione e di controllo di teatri vicini, dove regna l’instabilità e l’incertezza.

Che la reale preoccupazione della Casa Bianca sia il Cremlino lo segnala anche il giornalista di Libero Carlo Pelanda il quale così ripercorre gli avvenimenti: “Nell’autunno del 2006 la Russia costrinse la Germania a definire confini certi della Ue affinché la loro estensione ad est non destabilizzasse la Federazione russa e sia Ucraina sia Bielorussia (nonché Georgia) ne restassero fuori per essere riassorbiti nel futuro dalla Russia stessa. Tale pressione fu fatta ricattando la Germania sul piano delle forniture di gas. Per inciso, Romania e Bulgaria furono incluse a razzo nella Ue, ma come segnale di fine dell’espansione europea. Una sorta di nuova Yalta. Questa storia è poco nota e penso mai sia apparsa sui giornali per nascondere una sconfitta storica della Ue a conduzione tedesca. Berlino cercò la sponda americana per segnalare ai russi che poteva contro-dissuadere ed alla fine Mosca e Berlino si accordarono. La mossa fu strumentale e lasciò freddi gli americani. Ora, appunto, è diverso: l’America è apertissima all’idea e la ha proposta…Perseguire l’Euroamerica significa creare l’organo di governo mondiale, basato sul criterio occidentale e non asiatico, del futuro. Ed anche dare un senso all’Europa fin qui fatta”.

Visto? Non c’è nulla di meglio dell'ideologia del libero-scambio per innalzare cortine di ferro e predisporsi, senza farsi notare, alla guerra. Il povero Frédéric Bastiat non aveva capito nulla
 

di Gianni Petrosillo 

21 giugno 2013

Attiviamoci e Ripartiamo

Sono passati diversi mesi, ma continuo a crederci e a sperare. Perché in genere, quando prendo una decisione e faccio una scelta, è mia abitudine riflettere accuratamente, perché se sbaglio me ne assumo la responsabilità, non la scarico sugli altri. Il M5S non rappresentava e non rappresenta per me, solo “la protesta” o “l’unica alternativa possibile”.
Il M5S esprime quella volontà di Cambiamento Pragmatico, di Rivoluzione Culturale che parte dalle idee, dagli ideali, dai diritti ma lì non si ferma… La vocazione reale del movimento è tradurre in atti, in fatti delle bellissime e altisonanti parole svuotate di contenuto e credibilità, da parte di chi ne ha abusato senza prevedere che prima o poi sarebbero diventate inefficaci.
Ho votato Grillo e il Movimento perché in quell’ultimo comizio a San Giovanni rivolgendosi ad una piazza gremita e a quanti, come me, lo seguivano in diretta streaming, ha detto: “Se voti il Movimento 5 Stelle, ti metti in gioco in prima persona”. Tu diventi parte del cambiamento che vuoi attuare, te ne assumi la responsabilità, se vuoi il cambiamento, tu devi cambiare.
Vi sembrerà strano, ma sono state queste le parole che mi hanno convinta a votare.
Per la prima volta, qualcuno non mi stava dicendo “Dimmi che ti serve, che a te ci penso io”, ma faceva appello al mio senso critico e non mi stava chiedendo fiducia, ma mi stava dando fiducia, quindi il mio voto e il mio impegno quotidiano avrebbero contato.
Ciascuno di noi sarebbe stato riabilitato a pensare, a ragionare, sarebbe stato rispettato e avrebbe avuto la giusta importanza all’interno di quel Sistema che ci vuole solo sudditi. Quando leggo i post nel suo Blog credo di coglierne sempre il senso, perché non è una questione di interpretazione, ma di prospettiva.
L’utilizzo di un linguaggio forte che scuote e spaventa, è per me un invito ad andare oltre le parole, a provare ad interrogarsi sul perché. La continua denuncia da parte sua (mentre i Parlamentari stanno lavorando all’interno dell’Istituzione) è il tentativo di tenerci desti e concentrati, un invito a non abbassare la guardia, perché non abbiamo ancora finito, ma appena cominciato…
In molti non condividono perché avrebbero voglia di essere rassicurati, di ricevere delle buone notizie, di raccogliere già i frutti ….. ma quella X apposta sulla scheda elettorale era soltanto un seme che ciascuno di noi ha piantato… 9’000’000 di semi.
Possiamo scegliere di abbandonare i germogli spuntati alle intemperie, rinunciando completamente al raccolto o continuare a prendercene cura. Non è stato solo Grillo a sbagliare, abbiamo sbagliato tutti. Mi rivolgo soprattutto agli Attivisti, alla cosiddetta Base del Movimento, agli iscritti entro il 31/12/2012.
Ho sempre ritenuto giusto il criterio per cui a votare fossero le persone impegnate nel progetto fin da principio, perché certi diritti si conquistano e si acquisiscono combattendo sul campo le battaglie, perché così ne apprezzi davvero il valore. Salire sul carro del vincitore è facile, quanto saltare giù nel momento in cui la strada diventa impervia.
Tuttavia, diversi episodi accaduti recentemente, mi hanno portato a delle conclusioni. Chi deve cambiare toni e registro sono proprio quegli attivisti che avendo più diritto ad esprimere il loro pensiero, non hanno tenuto conto di noi altri che sommati siamo 8’950’000. “Liberarsi di pesi morti”, “Accuse di trolleraggio”, “Spammare o bannare”, “Espellere gente dai meetup” o “Creare più gruppi all’interno di uno stesso paese o città”, escludere dal dialogo chiunque la pensi in modo diverso (vi ricordo che essendo un movimento trasversale ci saranno spesso voci in disaccordo), non farà altro che dividerci e frammentare quella comunità che condivideva gli stessi sogni e gli stessi progetti… L’obiettivo non dovrebbe essere quello di ritagliarsi un piccolo spazio all’interno di un Sistema marcio, ma convincere le persone a cambiare, a continuare a credere nel progetto, a partecipare.
Sul caso “Gambaro”: nutrivo forti sospetti che la sua reale intenzione fosse quella di fare la martire ed uscirne pulita… bene, anzi male, non sapremo mai la verità, perché è stata espulsa. A chi ha giovato? A noi non di certo. Il mio è solo un appello: se Grillo è un megafono che dice ciò che in tanti pensano, mi auguro davvero che ciascuno pensi bene a ciò che sta facendo, anche a nome di chi ancora non ha la possibilità di far sentire la propria voce.
Non ci sono solo Grillo e i 163, ops, 159 eletti in Parlamento, ci sono circa 50’000 iscritti certificati… E a voi che mi rivolgo. Allo stato dell’arte la democrazia diretta è un sogno, un progetto difficilmente realizzabile, pertanto fino a quando ciascuno non avrà la possibilità di esprimersi, voi ci state rappresentando.
Se tenete al Movimento, dovreste tenere anche a tutti quelli che lo hanno votato. Se tenete al Movimento non potete farvi guidare solo dall’impulso personale e soggettivo, ma provare a valutare l’impatto e le conseguenze delle vostre scelte, provare a farvi interpreti anche di chi al momento è escluso dalle decisioni… provare ad includere e a incoraggiare le persone a resistere, a partecipare e a perseguire le battaglie che sono di tutti…
Se credete di esseri i soli a voler lottare per cambiare, rimarrete soli. Se il Movimento fallisce, non fallisce Grillo, falliamo tutti e anche quelli che non lo hanno votato perché non avranno più la possibilità di ricredersi e di farlo…
Se il Movimento è migliore deve dimostrare di esserlo..
Se tutti siamo il Movimento dobbiamo poter essere orgogliosi di farne parte.
Se tutti siamo in Movimento dobbiamo tirare dentro e non buttar fuori.
Prima di fare click… Pensiamoci!!!!!
 Stella Maria Dolores Giorgitto