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Nel corso di una delle audizioni promosse in questi giorni dal Congresso americano per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle reali implicazioni dei programmi di intercettazione messi in atto dall’NSA, il direttore dell’FBI, Robert Mueller, ha per la prima volta ammesso l’utilizzo di droni sul territorio degli Stati Uniti con funzioni di sorveglianza.
Durante la sua testimonianza di fronte alla commissione Giustizia del Senato, il capo della polizia federale americana ha risposto affermativamente ad una domanda postagli dal senatore repubblicano dell’Iowa, Chuck Grassley, sul ricorso ai droni da parte dell’FBI. Quando, subito dopo, la senatrice democratica della California, Dianne Feinstein, ha chiesto a Mueller di chiarire la sua affermazione, quest’ultimo ha aggiunto che i droni negli USA “vengono usati molto raramente e in genere in caso di particolari incidenti nei quali si rendono necessarie le capacità” di questi strumenti.
Senza fornire esempi di questi “incidenti”, Mueller ha poi spiegato ai membri del Congresso che l’FBI sta elaborando delle linee guida per l’uso dei droni in territorio americano, anche se “alcune leggi sulla sorveglianza aerea e sulla privacy relativamente a elicotteri e piccoli velivoli potrebbero essere adattate ai droni”. Dalle parole di Mueller appare perciò chiaro come l’impiego di droni nei cieli USA venga attualmente deciso al di fuori di ogni regolamentazione legale. Un’eventuale legislazione che il numero uno dell’FBI ha detto di auspicare nel prossimo futuro, peraltro, servirebbe soltanto a dare una parvenza di legittimità ad una pratica gravemente lesiva della privacy e ancora una volta contraria ai principi costituzionali.
Per prevenire ovvie polemiche, lo stesso “Bureau” dopo la testimonianza di Mueller ha diffuso una dichiarazione ufficiale, spiegando che “i droni sono consentiti per ottenere informazioni cruciali che, diversamente, potrebbero essere reperite solo mettendo a rischio il personale di polizia”. Come esempio dell’uso fatto finora, l’FBI ha poi fatto riferimento ad un episodio accaduto quest’anno in Alabama, nel quale le forze di polizia, grazie ad un drone, sono venute a conoscenza di un nascondiglio dove veniva tenuto nascosto un ostaggio di 5 anni.
L’FBI, infine, ha fatto sapere che per il momento ogni operazione condotta con i droni sul suolo americano viene preventivamente approvata dalla Federal Aviation Administration (FAA), l’agenzia federale che regola e sovrintende all’aviazione civile negli Stati Uniti.
Come per i programmi di sorveglianza elettronica dell’NSA rivelati in questi giorni dall’ex contractor Edward Snowden, il governo americano giustifica ufficialmente anche l’uso dei droni con la necessità di avere a disposizione strumenti più efficaci per combattere la criminalità o la minaccia terroristica. Questi velivoli, tuttavia, forniscono uno strumento di controllo formidabile della vita e dell’attività di qualsiasi cittadino che venga considerato una “minaccia” per il paese.
Ugualmente, come la presunta legalità dei programmi dell’NSA si basa in gran parte sulle deliberazioni del cosiddetto Tribunale per la Sorveglianza dell’Intelligence Straniera (FISC), il quale opera in gran segreto assecondando ogni richiesta di intercettazione del governo, il ricorso ai droni avverrebbe solo dopo l’autorizzazione di un ente federale amministrativo come l’FAA. Questo espediente, a detta del direttore dell’FBI, sarebbe sufficiente a garantire la legittimità del programma.
Il tentativo di Mueller di minimizzare l’impiego dei droni con funzioni di sorveglianza negli Stati Uniti è comunque da considerare con estremo sospetto, visto che, quanto meno, a inizio anno l’FAA aveva fatto sapere di avere approvato in meno di sei anni quasi 1500 richieste di vari enti per operare questo genere di velivoli.
Da quanto si evince da alcune indagini giornalistiche e sparute dichiarazioni di politici o amministratori locali, l’uso dei droni in territorio americano viene oggi già consentito per i più svariati motivi, tra cui il monitoraggio del confine con il Messico per combattere l’immigrazione clandestina.
Gli Stati Uniti potrebbero però venire invasi a breve da un numero elevatissimo di droni, in gran parte con compiti di sorveglianza, dopo che il Congresso ha fissato al settembre 2015 l’apertura dei cieli a velivoli comandati a distanza che consentono un risparmio notevole di costi per le agenzie governative e per i singoli Stati. Entro questa data, l’FAA dovrà preparare un sistema di regolamentazione complessivo relativamente ai droni per uso domestico.
Significativamente poi, anche per i droni, come per i programmi di sorveglianza e intercettazione, il banco di prova per l’utilizzo domestico sono state le guerre condotte dagli Stati Uniti all’estero, in particolare in Pakistan e in Yemen dove questi strumenti di morte hanno causato migliaia di vittime civili.
Metodi di controllo e di repressione violenta di ogni forma di resistenza contro l’occupazione americana di un paese straniero oppure di rivolte contro regimi autoritari collusi con l’imperialismo di Washington, verranno perciò messi in atto con maggiore frequenza anche in patria per contrastare un dissenso interno destinato a crescere nel prossimo futuro con l’aumentare delle tensioni sociali.
Le dichiarazioni rilasciate mercoledì da Mueller, in ogni caso, potrebbero essere state orchestrate appositamente per prevenire lo shock di possibili nuove pubblicazioni di documenti passati da Snowden al quotidiano britannico Guardian proprio sull’uso dei droni negli USA con funzioni di sorveglianza.
Più in generale, l’intervento al Congresso del direttore dell’FBI, così come nei giorni precedenti di altre personalità dell’apparato della sicurezza degli Stati Uniti, a cominciare dal capo dell’NSA, generale Keith Alexander, fa parte della campagna in atto per difendere strenuamente il ricorso a programmi di sorveglianza palesemente illegali.
Lo zelo con cui i politici di entrambi gli schieramenti e gran parte dei media “mainstream” stanno cercando di giustificare la violazione sistematica dei principi costituzionali degli Stati Uniti e della privacy dei cittadini di tutto il mondo dimostrano il panico diffuso tra la classe dirigente americana dopo le rivelazioni di Snowden.
La tesi sostenuta a oltranza della necessità di accettare una trascurabile invasione della sfera privata per vivere in un paese sicuro serve infatti a nascondere la realtà di un governo sempre più autoritario e invasivo che può continuare a mettere in atto politiche profondamente impopolari sia sul fronte domestico che internazionale solo grazie all’inganno, alla segretezza e, appunto, all’adozione di colossali programmi di sorveglianza per reprimere il dissenso.
Lo stesso presidente Obama, perciò, è da giorni in prima linea nel propagandare la presunta legalità dell’operato di agenzie come l’NSA. Sia alla vigilia della sua partenza per il G-8 in Irlanda del Nord, sia durante la recentissima visita a Berlino, l’inquilino della Casa Bianca si è sentito in dovere di difendere pubblicamente le intercettazioni e i programmi di sorveglianza.
Obama li ha così definiti strumenti fondamentali nella “guerra al terrore”, come dimostrerebbero i circa 50 attentati che essi, secondo la versione offerta al pubblico, hanno permesso di sventare negli ultimi anni. Ironicamente, le parole del presidente sono giunte solo pochi giorni dopo l’annuncio di un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto in Siria. Questa decisione si concretizzerà nella fornitura di armi letali proprio a formazioni dominate da gruppi terroristici, i quali, d’altra parte, da tempo vengono considerati alternativamente nemici o partner più o meno ufficiali a seconda delle necessità degli interessi strategici di Washington.