Da quando Napolitano ha fatto saltare, chiamando al governo Mario Monti, le regole della democrazia che, nel bene e nel male, avevano sorretto le istituzioni della repubblica italiana anche nei periodi più bui della sua storia, la crisi etico- politica, oltre che economica, dell’Italia è andata peggiorando ogni giorno di più ed è inutile sperare che il Signor Letta trovi una soluzione perché, anche se lo volesse, non è in condizioni di riuscirci. I motivi sono evidenti. Il suo governo è nato per collocare, senza più né dubbi né ripensamenti, in maniera definitiva l’Italia alle dipendenze dell’Unione europea. Diciamo, in sintesi, che ha concluso, fingendo di tornare alla legalità democratica, il lavoro iniziato da Mario Monti. Tutto quello che dice Enrico Letta sui problemi da affrontare è preceduto dall’affermazione che gli impegni presi con l’Europa saranno mantenuti, che il rapporto debito-Pil è ferreo e nulla potrà impedire che tale rimanga. Batterà i pugni sul tavolo di Bruxelles? Barzellette! Enrico Letta ha costruito la sua carriera sull’Europa e dunque quello che conta è “Lui”, Letta, e il suo buon rapporto con l’Europa, non l’Italia e i suoi bisogni. Se passiamo ad analizzare il modo con il quale ha scelto i suoi membri, balza subito agli occhi che il governo Letta somiglia a uno dei tanti governi esibiti dai paesi emersi di recente alla ribalta della storia, quelli un po’ da ridere, quelli che, dall’alto della propria civiltà, gli italiani erano soliti definire repubbliche delle banane. Una balda “immagine” di avanzata democrazia e sotto il vestito, non il nulla, ma la brutalità della più selvaggia delle dittature (vedi il controllo dei conti correnti) e la castrazione dei sudditi. La storia della campionessa promossa a ministro è stata ormai troppo discussa per dovervisi soffermare, ma è appunto una storia da paesi delle banane. Una cosa però bisogna aggiungerla. È naturale, è ovvio, oltre che tanto noto da aver ispirato innumerevoli barzellette e gag famose come quelle delle interviste di Tognazzi e Vianello ai vincitori di turno, che i campioni dello sport non possiedano particolari doti di pensiero e nessuna competenza per fare qualsiasi cosa tranne che esercitarsi nel proprio sport. Sbalzarli a governare, a fare le leggi, a comandare ai popoli è da stupidi oltre che offensivo per i popoli stessi. Il signor Letta adopera però il populismo di “genere”: perché la canoista Idem e non il calciatore Balotelli? Letta sapeva bene che se avesse nominato ministro Balotelli, anche se molto più famoso e pieno di fans, si sarebbero messi tutti a ridere. Adesso, però, c’è la questione della condanna di Berlusconi, capo del partito di governo, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Non discutiamo qui in nessun modo la condanna (comunque medioevale), ma il dato di fatto. Il governo doveva dimettersi, se appunto l’Italia non fosse stata ridotta a repubblica delle banane. Esponenti del Pdl scendono in piazza per protestare contro la condanna mentre altri, compreso il vicecapo del governo, continuano a governare come nulla fosse successo. E osano affermare che questo è un governo per il bene del paese. Il bene del paese sarebbe quello di appartenere ancora alla civiltà democratica. di Ida Magli |
07 luglio 2013
Un governo da buttare
06 luglio 2013
Berlusconi condannato
Canzano 1- Berlusconi condannato. Una condanna che si presta a più punti di lettura. Mi può dire il suo?
COLLA – Mi sembra abbastanza evidente che lo scopo fosse quello di mettere Berlusconi fuori gioco almeno per un bel pezzo, se non per sempre, indebolendo il centro-destra e creando le premesse per la costruzione di un nuovo scenario favorevole a un riassetto dell’Italia in senso europeista, senza il ricorso alle urne. Il PdL non è solo una struttura che ruota intorno a Berlusconi: è un sistema che si regge interamente su di lui; lasciata a se stessa, collasserebbe nel giro di poco centrifugando i vertici e disperdendo la base. Fatte le debite proporzioni, è un po’ quello che è successo col vecchio Msi di Giorgio Almirante: morto lui, si è disfatto un mondo — nel bene e nel male.
COLLA – Mi sembra abbastanza evidente che lo scopo fosse quello di mettere Berlusconi fuori gioco almeno per un bel pezzo, se non per sempre, indebolendo il centro-destra e creando le premesse per la costruzione di un nuovo scenario favorevole a un riassetto dell’Italia in senso europeista, senza il ricorso alle urne. Il PdL non è solo una struttura che ruota intorno a Berlusconi: è un sistema che si regge interamente su di lui; lasciata a se stessa, collasserebbe nel giro di poco centrifugando i vertici e disperdendo la base. Fatte le debite proporzioni, è un po’ quello che è successo col vecchio Msi di Giorgio Almirante: morto lui, si è disfatto un mondo — nel bene e nel male.
Canzano 2- Questa condanna è paragonabile alla mala giustizia o, ad una persecuzione ad personam verso Berlusconi?
COLLA – Non vorrei sbagliare, ma mi sembra che sia stato Berlusconi a cominciare, prendendo di mira una parte della magistratura fin dall’inizio della sua discesa in politica, nel 1994, definendo i giudici di Mani Pulite «un’associazione a delinquere con licenza di uccidere che mira a sovvertire l’ordine democratico»: ma uno dei giudici simbolo di Mani Pulite, Gherardo Colombo, insieme a Giuliano Turone aveva indagato nel 1981 sui traffici di Michele Sindona, portando alla luce gli elenchi degli affiliati alla loggia P2 — in quegli elenchi figurava anche il nome di Berlusconi, anche se la cosa sarebbe emersa soltanto anni dopo. E del resto è noto che le fortune del Cavaliere ebbero inizio sotto l’ala di Craxi e del suo entourage, quindi si capisce la scarsa simpatia che Berlusconi ha sempre nutrito per la magistratura (milanese in particolare). Ovviamente, la magistratura non se l’è tenuta e ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione: esattamente come ha fatto Berlusconi stesso per controbattere.
COLLA – Non vorrei sbagliare, ma mi sembra che sia stato Berlusconi a cominciare, prendendo di mira una parte della magistratura fin dall’inizio della sua discesa in politica, nel 1994, definendo i giudici di Mani Pulite «un’associazione a delinquere con licenza di uccidere che mira a sovvertire l’ordine democratico»: ma uno dei giudici simbolo di Mani Pulite, Gherardo Colombo, insieme a Giuliano Turone aveva indagato nel 1981 sui traffici di Michele Sindona, portando alla luce gli elenchi degli affiliati alla loggia P2 — in quegli elenchi figurava anche il nome di Berlusconi, anche se la cosa sarebbe emersa soltanto anni dopo. E del resto è noto che le fortune del Cavaliere ebbero inizio sotto l’ala di Craxi e del suo entourage, quindi si capisce la scarsa simpatia che Berlusconi ha sempre nutrito per la magistratura (milanese in particolare). Ovviamente, la magistratura non se l’è tenuta e ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione: esattamente come ha fatto Berlusconi stesso per controbattere.
Canzano 3- Possono esserci conseguenze politiche per la stabilità di questo governo di ‘coalizione’?
COLLA – A mio avviso, questo Paese non conosce stabilità proprio da quando Berlusconi è sceso in politica con l’idea di far funzionare l’“azienda Italia” — e parliamo di un ventennio fa. In ogni caso, l’instabilità politica degli ultimi anni, determinata dalla totale assenza di un governo del Paese a causa delle preoccupazioni strettamente personali dell’allora premier, si è assommata all’instabilità economica e sociale probabilmente più grave che l’Italia nazione abbia conosciuto dal primo dopoguerra: pertanto, mi sembra abbastanza chiaro che l’attuale governo di coalizione si regga su un equilibrio temporaneo parecchio traballante e funzionale, suppongo, a scongiurare un altro ricorso alle urne come si diceva prima. Personalmente, ritengo che gli elementi di incertezza a livello planetario siano tali e tanti da rendere impossibile formulare una previsione anche a breve termine, tanto più che gli scenari prossimi venturi sono tutt’altro che rosei: se le stime di Confindustria presentate ieri a Roma sono attendibili, credo che nei prossimi mesi le sorti della politica di governo, le larghe intese e la coalizione potrebbero essere l’ultimo dei problemi per l’uomo della strada.
COLLA – A mio avviso, questo Paese non conosce stabilità proprio da quando Berlusconi è sceso in politica con l’idea di far funzionare l’“azienda Italia” — e parliamo di un ventennio fa. In ogni caso, l’instabilità politica degli ultimi anni, determinata dalla totale assenza di un governo del Paese a causa delle preoccupazioni strettamente personali dell’allora premier, si è assommata all’instabilità economica e sociale probabilmente più grave che l’Italia nazione abbia conosciuto dal primo dopoguerra: pertanto, mi sembra abbastanza chiaro che l’attuale governo di coalizione si regga su un equilibrio temporaneo parecchio traballante e funzionale, suppongo, a scongiurare un altro ricorso alle urne come si diceva prima. Personalmente, ritengo che gli elementi di incertezza a livello planetario siano tali e tanti da rendere impossibile formulare una previsione anche a breve termine, tanto più che gli scenari prossimi venturi sono tutt’altro che rosei: se le stime di Confindustria presentate ieri a Roma sono attendibili, credo che nei prossimi mesi le sorti della politica di governo, le larghe intese e la coalizione potrebbero essere l’ultimo dei problemi per l’uomo della strada.
Canzano 4- Berlusconi che non è gradito alle sinistre, ma, anche nella destra non tutti hanno accettato la sua presenza in politica e il suo successo in questi ultimi anni, perché?
COLLA – In tutta sincerità, ignoro e voglio ignorare cosa si muove nella destra di governo e non. Dall’esterno, mi sono fatta l’idea che quella parte della destra ancora in qualche modo antiatlantista, anticapitalista e antisistema non sia riuscita ad apprezzare del tutto la spregiudicatezza di Berlusconi. Mi riesce invece più facile capire come la parte più tipicamente “furbetta” della destra filogovernativa, filogarantista e filoliberale emersa nel dopo-Fiuggi possa aver apprezzato proprio una certa disinvoltura nel condurre gli affari e nello strumentalizzare la politica a proprio uso e consumo. Poi aggiungerei l’indubbio fascino del personaggio, che può far presa su un certo tipo di elettore, e la banalizzazione estrema del Führerprinzip, ovvero l’accettazione incondizionata di quello che fa il Capo, perché se uno è il Capo vuol dire che ha ragione lui.
COLLA – In tutta sincerità, ignoro e voglio ignorare cosa si muove nella destra di governo e non. Dall’esterno, mi sono fatta l’idea che quella parte della destra ancora in qualche modo antiatlantista, anticapitalista e antisistema non sia riuscita ad apprezzare del tutto la spregiudicatezza di Berlusconi. Mi riesce invece più facile capire come la parte più tipicamente “furbetta” della destra filogovernativa, filogarantista e filoliberale emersa nel dopo-Fiuggi possa aver apprezzato proprio una certa disinvoltura nel condurre gli affari e nello strumentalizzare la politica a proprio uso e consumo. Poi aggiungerei l’indubbio fascino del personaggio, che può far presa su un certo tipo di elettore, e la banalizzazione estrema del Führerprinzip, ovvero l’accettazione incondizionata di quello che fa il Capo, perché se uno è il Capo vuol dire che ha ragione lui.
Canzano 5- Il ‘Governo” della nostra penisola produce solo leader che in modo o in un altro diventano “interessanti” alla giustizia, ad “atti” di terrorismo o, “non amati” dai suoi cittadini?
COLLA – Se così fosse, sarebbe preoccupante. Ma in realtà la nostra penisola non è “governata” da un sacco di tempo: credo che si usi la parola “governo” con molta leggerezza e ampia approssimazione. Invece “governare” ha un significato ben preciso: deriva dal greco kybernào, che significa propriamente “reggere il timone” dell’imbarcazione, in senso proprio e figurato. Non a caso personaggi come Mussolini o Mao Tse-tung sono stati raffigurati come timonieri: e il buon timoniere è colui che è in grado di condurre la nave (dello Stato) in un porto sicuro nonostante le tempeste. Direi piuttosto che l’Italia, ultimamente, viene amministrata — e neanche tanto bene. Il compito principale di uno Stato, com’è noto, è garantire ai suoi cittadini sussistenza (cibo, alloggio, lavoro, cure sanitarie...) e sicurezza: da molti anni, ormai, la sicurezza ce la siamo scordata e la sussistenza è sempre più a rischio — penso, per esempio, ai dati sull’aumentato afflusso di richiedenti alle cosiddette mense dei poveri, che sono allarmanti. Credo che il motivo principale stia nel fatto che sembra essersi persa di vista la ricerca del cosiddetto “bene comune”, ossia la capacità di conciliare le esigenze individuali con quelle della collettività, attraverso la gestione ottimale delle risorse attuata dallo Stato. Si è visto, proprio a partire da quella Tangentopoli che segnò il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, come all’interno dello Stato stesso avesse preso piede una tendenza sciagurata alla gestione allegra — clientelare e familiare — di beni e servizi: negli ultimi anni il fenomeno ha raggiunto livelli di gravità inaudita anche grazie al consolidarsi della criminalità organizzata, che da tempo può contare su appoggi politici insospettabili ed efficaci. Questo è stato reso possibile anche dalla progressiva perdita di sovranità nazionale del nostro Paese, sempre più dipendente da poteri che risiedono fuori dal territorio nazionale, e che obbediscono a logiche completamente estranee al concetto di bene comune accennato prima. All’orizzonte non si vede — io, almeno, non vedo nessuno (singolo o gruppo, non importa) in grado di reggere il timone.
COLLA – Se così fosse, sarebbe preoccupante. Ma in realtà la nostra penisola non è “governata” da un sacco di tempo: credo che si usi la parola “governo” con molta leggerezza e ampia approssimazione. Invece “governare” ha un significato ben preciso: deriva dal greco kybernào, che significa propriamente “reggere il timone” dell’imbarcazione, in senso proprio e figurato. Non a caso personaggi come Mussolini o Mao Tse-tung sono stati raffigurati come timonieri: e il buon timoniere è colui che è in grado di condurre la nave (dello Stato) in un porto sicuro nonostante le tempeste. Direi piuttosto che l’Italia, ultimamente, viene amministrata — e neanche tanto bene. Il compito principale di uno Stato, com’è noto, è garantire ai suoi cittadini sussistenza (cibo, alloggio, lavoro, cure sanitarie...) e sicurezza: da molti anni, ormai, la sicurezza ce la siamo scordata e la sussistenza è sempre più a rischio — penso, per esempio, ai dati sull’aumentato afflusso di richiedenti alle cosiddette mense dei poveri, che sono allarmanti. Credo che il motivo principale stia nel fatto che sembra essersi persa di vista la ricerca del cosiddetto “bene comune”, ossia la capacità di conciliare le esigenze individuali con quelle della collettività, attraverso la gestione ottimale delle risorse attuata dallo Stato. Si è visto, proprio a partire da quella Tangentopoli che segnò il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, come all’interno dello Stato stesso avesse preso piede una tendenza sciagurata alla gestione allegra — clientelare e familiare — di beni e servizi: negli ultimi anni il fenomeno ha raggiunto livelli di gravità inaudita anche grazie al consolidarsi della criminalità organizzata, che da tempo può contare su appoggi politici insospettabili ed efficaci. Questo è stato reso possibile anche dalla progressiva perdita di sovranità nazionale del nostro Paese, sempre più dipendente da poteri che risiedono fuori dal territorio nazionale, e che obbediscono a logiche completamente estranee al concetto di bene comune accennato prima. All’orizzonte non si vede — io, almeno, non vedo nessuno (singolo o gruppo, non importa) in grado di reggere il timone.
Canzano 6- Come vede la discesa in campo di Marina Berlusconi?
COLLA – Preferirei non vederla. Ma ovviamente non dipende da me. Se accadesse, credo che sarebbe la dimostrazione di almeno due cose: l’inoppugnabile primato dell’economia sulla politica, economia divenuta così arrogante da non aver neanche più bisogno di nascondersi; e l’evidente emergere di una nuova dinastia compradora, sancito dai poteri terzi che controllano il nostro Paese. Una sconfitta, a tutti i livelli.
COLLA – Preferirei non vederla. Ma ovviamente non dipende da me. Se accadesse, credo che sarebbe la dimostrazione di almeno due cose: l’inoppugnabile primato dell’economia sulla politica, economia divenuta così arrogante da non aver neanche più bisogno di nascondersi; e l’evidente emergere di una nuova dinastia compradora, sancito dai poteri terzi che controllano il nostro Paese. Una sconfitta, a tutti i livelli.
di Alessandra Colla - Giovanna Canzano
Se l'F-35 diventa di "pace"

La lunga diatriba sull’acquisizione dei cacciabombardieri F-35 potrebbe concludersi in modo originale e inaspettato. L’Italia infatti acquisterà il jet di Lockheed Martin ma doterà Aeronautica e Marina di una versione specifica che verrà denominata F-35P dove la “P” sta ovviamente per “Pace”. Non si tratta di un incredibile scoop di Analisi Difesa ma di una notizia che si evince dall’intervista rilasciata il 23 maggio al quotidiano Il Messaggero dal ministro della Difesa, Mario Mauro. “Credo che siamo tutti quanti d’accordo nel riconoscere che il valore più importante che condividiamo nella nostra civile convivenza sia la pace. Sistemi di difesa avanzati, come l’F35, servono per fare la pace” ha detto Mauro. Una rivelazione davvero illuminante che induce a chiedersi dove avessero la testa coloro che hanno denominato quel velivolo Joint Strike Fighter, usando quindi termini quali “Strike” e “Fighter” che certo mal si addicono a un portatore di pace quale sarà l’F-35.
In attesa di conoscere quante tonnellate di ramoscelli d’ulivo o giocattoli o caramelle potrà imbarcare nella sua capace stiva il rivoluzionario F-35P ci permettiamo di consigliare ad Aeronautica e Marina di tinteggiare in modo adeguato i velivoli con livree consone ai compiti da espletare, con i colori della bandiera della pace oppure con sfondo verde prato con margherite e colombe.
Ironia a parte, il ministro ha aggiunto che “se vogliamo la pace, dobbiamo dunque possedere dei sistemi di difesa che ci consentano di neutralizzare i pericoli che possono insorgere in conflitti che magari sono distanti migliaia di chilometri da casa nostra ma che hanno le capacità di coinvolgere il mondo intero e di determinare lutti e povertà. Ora, l’utilizzo di strumenti complessi come gli F35 si giustifica in una visione integrata delle esigenze di sicurezza da parte di attori della comunità internazionale che, attraverso l’esercizio della potestà della difesa, garantiscono la pace per tutti”.
Mauro è riuscito a parlare di un bombardiere concepito per l’attacco preventivo, o meglio per il “first strike” (anche nucleare) sul territorio nemico nel quale dovrebbe penetrare invisibile ai radar, senza mai usare parole che potrebbero far pensare alla guerra. Uno sforzo lessicale teso a cancellare ogni forma di trasparenza che fa sorridere tenuto conto che pure i bambini sanno che il JSF rimpiazzerà Tornado, Harrier e Amx, guarda caso gli stessi jet che hanno lanciato oltre 700 bombe e missili sulla Libia più molte altre in passato su Kosovo, Bosnia, Iraq e più recentemente sull’Afghanistan. Non sarebbe stato più serio e trasparente affermare che quei velivoli ci servono per bombardare il nemico insieme ai nostri alleati, o meglio bombardare quei nemici che la “comunità internazionale” ci indicherà? Forse no perché a ben riflettere i libici che bombardammo nel 2011 non erano nostri nemici ma bensì alleati ai quali eravamo legati persino da un trattato militare. E poi il termine “nemico” indica inequivocabilmente la guerra che la nostra Costituzione ripudia almeno parzialmente: per questo l’abbiamo ribattezzata “missione di pace”.
Cercare di spacciare l’acquisto degli F-35 con la “necessità di avere mezzi efficienti di altissimo livello che servono a garantire la pace, ad evitare effetti collaterali” come ha ribadito il ministro della Difesa a Uno Mattina è tendenzioso e fuorviante sia perché i danni collaterali i nostri piloti sono riusciti a evitarli (o a limitarli) anche senza gli F-35, sia a fronte dei costi che dovremo affrontare per acquisire i jet statunitensi e tenerli in linea nei prossimi decenni. Costi incompatibili con le risorse che la Difesa assegna (e presumibilmente assegnerà anche nell’immediato futuro) all’Esercizio, cioè alla parte del bilancio adibita alla gestione di mezzi e infrastrutture e all’addestramento. Che non ci siano alternative all’F-35 è poi quanto meno discutibile dal momento che i tedeschi (che non acquistano l’F-35) impiegano i loro Eurofighter Typhoon anche per l’attacco al suolo.
Cosa che potrebbe fare anche l’Italia e che farà dal momento che armi come il missile da crociera Storm Shadow che oggi equipaggiano i Tornado verranno imbarcati in futuro sui Typhoon……anche perché non entrano nella stiva degli F-35. Il Typhoon del resto è un cacciabombardiere idoneo a svolgere operazioni contro altri velivoli come contro bersagli a terra e come tale viene impiegato anche dai britannici. Se vogliamo parlare di sprechi chiediamoci piuttosto perché stiamo cercando di svendere sul mercato dell’usato 24 Typhoon della prima serie, velivoli ancora nuovi, per ridurre il numero di quei jet in forza all’Aeronautica da 96 a 72 e ”fare posto “ a 75 F-35.
Se avessimo mantenuto la commessa prevista di 121 Typhoon, aggiornando i primi esemplari, avremmo già i velivoli necessari a tutte le esigenze dell’Aeronautica con un forte risparmio generale, dal costo di acquisizione a quello logistico determinato dal disporre di un solo aereo da combattimento e col vantaggio di puntare su un prodotto europeo nel quale la nostra industria è progettista, produttrice ed esportatrice. Curioso che un europeista convinto come il ministro Mauro si accodi alla lunga fila di coloro che ci vogliono mettere tecnologicamente e sul piano industriale e strategico nelle mani degli Stati Uniti. Più bilanciata, forse anche per rispetto alle posizioni presenti nel Partito Democratico, la valutazione del sottosegretario alla Difesa, Roberta Pinotti per la quale “il Parlamento ha dato il via a questo progetto: se riterrà che deve essere modificato e rivisto si farà una discussione importante alle Camere”.
Per il capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, “gli F35 sono una necessità sulla quale non c’è alternativa sul mercato” ma questo è vero solo per i 15 aerei destinati alla portaerei Cavour poiché non esiste nessun altro velivolo a decollo corto e atterraggio verticale col quale sostituire gli Harrier. Quindici aerei rappresentano un costo diverso da 90 e inoltre potrebbero forse venire acquisiti tra alcuni anni in leasing dai marines statunitensi, magari negoziando con Washington l’utilizzo delle basi di Aviano e Sigonella. Certo la rinuncia al velivolo o la riduzione della commessa comporterebbero la perdita degli investimenti effettuati negli ultimi dieci anni pari a 2,5 miliardi ma se da un lato pacifisti e affini sostengono il no all’F-35 valutando quanti asili e treni si potrebbero costruire o quanti infermieri si potrebbero assumere con quel denaro, dall’altro le istituzioni politiche e militari difendono l’aereo di Lockheed Martin definendolo indispensabile e per giunta “di pace”. Invece di trasparenza e chiarezza , più che mai necessarie specie in tempi di grave crisi economica, tutti ci propinano propaganda unita a qualche buona dose di sedativo populista come la riduzione ulteriore dei costi della parata del 2 giugno, dietro la quale si cela l’assalto pacifista e del mondo del no-profit che vorrebbero far sfilare più volontari impegnati nel sociale e meno militari.
Più che giusto tagliare le spese superflue ma fa davvero ridere che a impedire alle Frecce Tricolori di sorvolare i Fori imperiali sia uno Stato che non è riuscito a tagliare i costi della politica, i mega-stipendi dei dirigenti pubblici e neppure le province. Qualcuno dovrà spiegarci dove sia il costo aggiuntivo dal momento che i piloti delle Frecce devono effettuare regolarmente voli addestrativi già previsti in bilancio e le ore di volo costano la stessa cifra, che i jet sorvolino Roma o le campagne intorno a Udine. Sarebbe poi utile sapere perché le Frecce Tricolori in volo sulla capitale costano troppo il 2 giugno ma erano una spesa giustificata (circa la quale nessuno ha avuto nulla da eccepire) il 20 aprile scorso, quando le loro scie verdi-bianco-rosse hanno accompagnato l’omaggio al Milite Ignoto in occasione della rielezione del presidente Giorgio Napolitano. Misteri di una Repubblica a sobrietà variabile.
di Gianandrea Gaiani
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07 luglio 2013
Un governo da buttare
Da quando Napolitano ha fatto saltare, chiamando al governo Mario Monti, le regole della democrazia che, nel bene e nel male, avevano sorretto le istituzioni della repubblica italiana anche nei periodi più bui della sua storia, la crisi etico- politica, oltre che economica, dell’Italia è andata peggiorando ogni giorno di più ed è inutile sperare che il Signor Letta trovi una soluzione perché, anche se lo volesse, non è in condizioni di riuscirci. I motivi sono evidenti. Il suo governo è nato per collocare, senza più né dubbi né ripensamenti, in maniera definitiva l’Italia alle dipendenze dell’Unione europea. Diciamo, in sintesi, che ha concluso, fingendo di tornare alla legalità democratica, il lavoro iniziato da Mario Monti. Tutto quello che dice Enrico Letta sui problemi da affrontare è preceduto dall’affermazione che gli impegni presi con l’Europa saranno mantenuti, che il rapporto debito-Pil è ferreo e nulla potrà impedire che tale rimanga. Batterà i pugni sul tavolo di Bruxelles? Barzellette! Enrico Letta ha costruito la sua carriera sull’Europa e dunque quello che conta è “Lui”, Letta, e il suo buon rapporto con l’Europa, non l’Italia e i suoi bisogni. Se passiamo ad analizzare il modo con il quale ha scelto i suoi membri, balza subito agli occhi che il governo Letta somiglia a uno dei tanti governi esibiti dai paesi emersi di recente alla ribalta della storia, quelli un po’ da ridere, quelli che, dall’alto della propria civiltà, gli italiani erano soliti definire repubbliche delle banane. Una balda “immagine” di avanzata democrazia e sotto il vestito, non il nulla, ma la brutalità della più selvaggia delle dittature (vedi il controllo dei conti correnti) e la castrazione dei sudditi. La storia della campionessa promossa a ministro è stata ormai troppo discussa per dovervisi soffermare, ma è appunto una storia da paesi delle banane. Una cosa però bisogna aggiungerla. È naturale, è ovvio, oltre che tanto noto da aver ispirato innumerevoli barzellette e gag famose come quelle delle interviste di Tognazzi e Vianello ai vincitori di turno, che i campioni dello sport non possiedano particolari doti di pensiero e nessuna competenza per fare qualsiasi cosa tranne che esercitarsi nel proprio sport. Sbalzarli a governare, a fare le leggi, a comandare ai popoli è da stupidi oltre che offensivo per i popoli stessi. Il signor Letta adopera però il populismo di “genere”: perché la canoista Idem e non il calciatore Balotelli? Letta sapeva bene che se avesse nominato ministro Balotelli, anche se molto più famoso e pieno di fans, si sarebbero messi tutti a ridere. Adesso, però, c’è la questione della condanna di Berlusconi, capo del partito di governo, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Non discutiamo qui in nessun modo la condanna (comunque medioevale), ma il dato di fatto. Il governo doveva dimettersi, se appunto l’Italia non fosse stata ridotta a repubblica delle banane. Esponenti del Pdl scendono in piazza per protestare contro la condanna mentre altri, compreso il vicecapo del governo, continuano a governare come nulla fosse successo. E osano affermare che questo è un governo per il bene del paese. Il bene del paese sarebbe quello di appartenere ancora alla civiltà democratica. di Ida Magli |
06 luglio 2013
Berlusconi condannato
Canzano 1- Berlusconi condannato. Una condanna che si presta a più punti di lettura. Mi può dire il suo?
COLLA – Mi sembra abbastanza evidente che lo scopo fosse quello di mettere Berlusconi fuori gioco almeno per un bel pezzo, se non per sempre, indebolendo il centro-destra e creando le premesse per la costruzione di un nuovo scenario favorevole a un riassetto dell’Italia in senso europeista, senza il ricorso alle urne. Il PdL non è solo una struttura che ruota intorno a Berlusconi: è un sistema che si regge interamente su di lui; lasciata a se stessa, collasserebbe nel giro di poco centrifugando i vertici e disperdendo la base. Fatte le debite proporzioni, è un po’ quello che è successo col vecchio Msi di Giorgio Almirante: morto lui, si è disfatto un mondo — nel bene e nel male.
COLLA – Mi sembra abbastanza evidente che lo scopo fosse quello di mettere Berlusconi fuori gioco almeno per un bel pezzo, se non per sempre, indebolendo il centro-destra e creando le premesse per la costruzione di un nuovo scenario favorevole a un riassetto dell’Italia in senso europeista, senza il ricorso alle urne. Il PdL non è solo una struttura che ruota intorno a Berlusconi: è un sistema che si regge interamente su di lui; lasciata a se stessa, collasserebbe nel giro di poco centrifugando i vertici e disperdendo la base. Fatte le debite proporzioni, è un po’ quello che è successo col vecchio Msi di Giorgio Almirante: morto lui, si è disfatto un mondo — nel bene e nel male.
Canzano 2- Questa condanna è paragonabile alla mala giustizia o, ad una persecuzione ad personam verso Berlusconi?
COLLA – Non vorrei sbagliare, ma mi sembra che sia stato Berlusconi a cominciare, prendendo di mira una parte della magistratura fin dall’inizio della sua discesa in politica, nel 1994, definendo i giudici di Mani Pulite «un’associazione a delinquere con licenza di uccidere che mira a sovvertire l’ordine democratico»: ma uno dei giudici simbolo di Mani Pulite, Gherardo Colombo, insieme a Giuliano Turone aveva indagato nel 1981 sui traffici di Michele Sindona, portando alla luce gli elenchi degli affiliati alla loggia P2 — in quegli elenchi figurava anche il nome di Berlusconi, anche se la cosa sarebbe emersa soltanto anni dopo. E del resto è noto che le fortune del Cavaliere ebbero inizio sotto l’ala di Craxi e del suo entourage, quindi si capisce la scarsa simpatia che Berlusconi ha sempre nutrito per la magistratura (milanese in particolare). Ovviamente, la magistratura non se l’è tenuta e ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione: esattamente come ha fatto Berlusconi stesso per controbattere.
COLLA – Non vorrei sbagliare, ma mi sembra che sia stato Berlusconi a cominciare, prendendo di mira una parte della magistratura fin dall’inizio della sua discesa in politica, nel 1994, definendo i giudici di Mani Pulite «un’associazione a delinquere con licenza di uccidere che mira a sovvertire l’ordine democratico»: ma uno dei giudici simbolo di Mani Pulite, Gherardo Colombo, insieme a Giuliano Turone aveva indagato nel 1981 sui traffici di Michele Sindona, portando alla luce gli elenchi degli affiliati alla loggia P2 — in quegli elenchi figurava anche il nome di Berlusconi, anche se la cosa sarebbe emersa soltanto anni dopo. E del resto è noto che le fortune del Cavaliere ebbero inizio sotto l’ala di Craxi e del suo entourage, quindi si capisce la scarsa simpatia che Berlusconi ha sempre nutrito per la magistratura (milanese in particolare). Ovviamente, la magistratura non se l’è tenuta e ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione: esattamente come ha fatto Berlusconi stesso per controbattere.
Canzano 3- Possono esserci conseguenze politiche per la stabilità di questo governo di ‘coalizione’?
COLLA – A mio avviso, questo Paese non conosce stabilità proprio da quando Berlusconi è sceso in politica con l’idea di far funzionare l’“azienda Italia” — e parliamo di un ventennio fa. In ogni caso, l’instabilità politica degli ultimi anni, determinata dalla totale assenza di un governo del Paese a causa delle preoccupazioni strettamente personali dell’allora premier, si è assommata all’instabilità economica e sociale probabilmente più grave che l’Italia nazione abbia conosciuto dal primo dopoguerra: pertanto, mi sembra abbastanza chiaro che l’attuale governo di coalizione si regga su un equilibrio temporaneo parecchio traballante e funzionale, suppongo, a scongiurare un altro ricorso alle urne come si diceva prima. Personalmente, ritengo che gli elementi di incertezza a livello planetario siano tali e tanti da rendere impossibile formulare una previsione anche a breve termine, tanto più che gli scenari prossimi venturi sono tutt’altro che rosei: se le stime di Confindustria presentate ieri a Roma sono attendibili, credo che nei prossimi mesi le sorti della politica di governo, le larghe intese e la coalizione potrebbero essere l’ultimo dei problemi per l’uomo della strada.
COLLA – A mio avviso, questo Paese non conosce stabilità proprio da quando Berlusconi è sceso in politica con l’idea di far funzionare l’“azienda Italia” — e parliamo di un ventennio fa. In ogni caso, l’instabilità politica degli ultimi anni, determinata dalla totale assenza di un governo del Paese a causa delle preoccupazioni strettamente personali dell’allora premier, si è assommata all’instabilità economica e sociale probabilmente più grave che l’Italia nazione abbia conosciuto dal primo dopoguerra: pertanto, mi sembra abbastanza chiaro che l’attuale governo di coalizione si regga su un equilibrio temporaneo parecchio traballante e funzionale, suppongo, a scongiurare un altro ricorso alle urne come si diceva prima. Personalmente, ritengo che gli elementi di incertezza a livello planetario siano tali e tanti da rendere impossibile formulare una previsione anche a breve termine, tanto più che gli scenari prossimi venturi sono tutt’altro che rosei: se le stime di Confindustria presentate ieri a Roma sono attendibili, credo che nei prossimi mesi le sorti della politica di governo, le larghe intese e la coalizione potrebbero essere l’ultimo dei problemi per l’uomo della strada.
Canzano 4- Berlusconi che non è gradito alle sinistre, ma, anche nella destra non tutti hanno accettato la sua presenza in politica e il suo successo in questi ultimi anni, perché?
COLLA – In tutta sincerità, ignoro e voglio ignorare cosa si muove nella destra di governo e non. Dall’esterno, mi sono fatta l’idea che quella parte della destra ancora in qualche modo antiatlantista, anticapitalista e antisistema non sia riuscita ad apprezzare del tutto la spregiudicatezza di Berlusconi. Mi riesce invece più facile capire come la parte più tipicamente “furbetta” della destra filogovernativa, filogarantista e filoliberale emersa nel dopo-Fiuggi possa aver apprezzato proprio una certa disinvoltura nel condurre gli affari e nello strumentalizzare la politica a proprio uso e consumo. Poi aggiungerei l’indubbio fascino del personaggio, che può far presa su un certo tipo di elettore, e la banalizzazione estrema del Führerprinzip, ovvero l’accettazione incondizionata di quello che fa il Capo, perché se uno è il Capo vuol dire che ha ragione lui.
COLLA – In tutta sincerità, ignoro e voglio ignorare cosa si muove nella destra di governo e non. Dall’esterno, mi sono fatta l’idea che quella parte della destra ancora in qualche modo antiatlantista, anticapitalista e antisistema non sia riuscita ad apprezzare del tutto la spregiudicatezza di Berlusconi. Mi riesce invece più facile capire come la parte più tipicamente “furbetta” della destra filogovernativa, filogarantista e filoliberale emersa nel dopo-Fiuggi possa aver apprezzato proprio una certa disinvoltura nel condurre gli affari e nello strumentalizzare la politica a proprio uso e consumo. Poi aggiungerei l’indubbio fascino del personaggio, che può far presa su un certo tipo di elettore, e la banalizzazione estrema del Führerprinzip, ovvero l’accettazione incondizionata di quello che fa il Capo, perché se uno è il Capo vuol dire che ha ragione lui.
Canzano 5- Il ‘Governo” della nostra penisola produce solo leader che in modo o in un altro diventano “interessanti” alla giustizia, ad “atti” di terrorismo o, “non amati” dai suoi cittadini?
COLLA – Se così fosse, sarebbe preoccupante. Ma in realtà la nostra penisola non è “governata” da un sacco di tempo: credo che si usi la parola “governo” con molta leggerezza e ampia approssimazione. Invece “governare” ha un significato ben preciso: deriva dal greco kybernào, che significa propriamente “reggere il timone” dell’imbarcazione, in senso proprio e figurato. Non a caso personaggi come Mussolini o Mao Tse-tung sono stati raffigurati come timonieri: e il buon timoniere è colui che è in grado di condurre la nave (dello Stato) in un porto sicuro nonostante le tempeste. Direi piuttosto che l’Italia, ultimamente, viene amministrata — e neanche tanto bene. Il compito principale di uno Stato, com’è noto, è garantire ai suoi cittadini sussistenza (cibo, alloggio, lavoro, cure sanitarie...) e sicurezza: da molti anni, ormai, la sicurezza ce la siamo scordata e la sussistenza è sempre più a rischio — penso, per esempio, ai dati sull’aumentato afflusso di richiedenti alle cosiddette mense dei poveri, che sono allarmanti. Credo che il motivo principale stia nel fatto che sembra essersi persa di vista la ricerca del cosiddetto “bene comune”, ossia la capacità di conciliare le esigenze individuali con quelle della collettività, attraverso la gestione ottimale delle risorse attuata dallo Stato. Si è visto, proprio a partire da quella Tangentopoli che segnò il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, come all’interno dello Stato stesso avesse preso piede una tendenza sciagurata alla gestione allegra — clientelare e familiare — di beni e servizi: negli ultimi anni il fenomeno ha raggiunto livelli di gravità inaudita anche grazie al consolidarsi della criminalità organizzata, che da tempo può contare su appoggi politici insospettabili ed efficaci. Questo è stato reso possibile anche dalla progressiva perdita di sovranità nazionale del nostro Paese, sempre più dipendente da poteri che risiedono fuori dal territorio nazionale, e che obbediscono a logiche completamente estranee al concetto di bene comune accennato prima. All’orizzonte non si vede — io, almeno, non vedo nessuno (singolo o gruppo, non importa) in grado di reggere il timone.
COLLA – Se così fosse, sarebbe preoccupante. Ma in realtà la nostra penisola non è “governata” da un sacco di tempo: credo che si usi la parola “governo” con molta leggerezza e ampia approssimazione. Invece “governare” ha un significato ben preciso: deriva dal greco kybernào, che significa propriamente “reggere il timone” dell’imbarcazione, in senso proprio e figurato. Non a caso personaggi come Mussolini o Mao Tse-tung sono stati raffigurati come timonieri: e il buon timoniere è colui che è in grado di condurre la nave (dello Stato) in un porto sicuro nonostante le tempeste. Direi piuttosto che l’Italia, ultimamente, viene amministrata — e neanche tanto bene. Il compito principale di uno Stato, com’è noto, è garantire ai suoi cittadini sussistenza (cibo, alloggio, lavoro, cure sanitarie...) e sicurezza: da molti anni, ormai, la sicurezza ce la siamo scordata e la sussistenza è sempre più a rischio — penso, per esempio, ai dati sull’aumentato afflusso di richiedenti alle cosiddette mense dei poveri, che sono allarmanti. Credo che il motivo principale stia nel fatto che sembra essersi persa di vista la ricerca del cosiddetto “bene comune”, ossia la capacità di conciliare le esigenze individuali con quelle della collettività, attraverso la gestione ottimale delle risorse attuata dallo Stato. Si è visto, proprio a partire da quella Tangentopoli che segnò il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, come all’interno dello Stato stesso avesse preso piede una tendenza sciagurata alla gestione allegra — clientelare e familiare — di beni e servizi: negli ultimi anni il fenomeno ha raggiunto livelli di gravità inaudita anche grazie al consolidarsi della criminalità organizzata, che da tempo può contare su appoggi politici insospettabili ed efficaci. Questo è stato reso possibile anche dalla progressiva perdita di sovranità nazionale del nostro Paese, sempre più dipendente da poteri che risiedono fuori dal territorio nazionale, e che obbediscono a logiche completamente estranee al concetto di bene comune accennato prima. All’orizzonte non si vede — io, almeno, non vedo nessuno (singolo o gruppo, non importa) in grado di reggere il timone.
Canzano 6- Come vede la discesa in campo di Marina Berlusconi?
COLLA – Preferirei non vederla. Ma ovviamente non dipende da me. Se accadesse, credo che sarebbe la dimostrazione di almeno due cose: l’inoppugnabile primato dell’economia sulla politica, economia divenuta così arrogante da non aver neanche più bisogno di nascondersi; e l’evidente emergere di una nuova dinastia compradora, sancito dai poteri terzi che controllano il nostro Paese. Una sconfitta, a tutti i livelli.
COLLA – Preferirei non vederla. Ma ovviamente non dipende da me. Se accadesse, credo che sarebbe la dimostrazione di almeno due cose: l’inoppugnabile primato dell’economia sulla politica, economia divenuta così arrogante da non aver neanche più bisogno di nascondersi; e l’evidente emergere di una nuova dinastia compradora, sancito dai poteri terzi che controllano il nostro Paese. Una sconfitta, a tutti i livelli.
di Alessandra Colla - Giovanna Canzano
Se l'F-35 diventa di "pace"

La lunga diatriba sull’acquisizione dei cacciabombardieri F-35 potrebbe concludersi in modo originale e inaspettato. L’Italia infatti acquisterà il jet di Lockheed Martin ma doterà Aeronautica e Marina di una versione specifica che verrà denominata F-35P dove la “P” sta ovviamente per “Pace”. Non si tratta di un incredibile scoop di Analisi Difesa ma di una notizia che si evince dall’intervista rilasciata il 23 maggio al quotidiano Il Messaggero dal ministro della Difesa, Mario Mauro. “Credo che siamo tutti quanti d’accordo nel riconoscere che il valore più importante che condividiamo nella nostra civile convivenza sia la pace. Sistemi di difesa avanzati, come l’F35, servono per fare la pace” ha detto Mauro. Una rivelazione davvero illuminante che induce a chiedersi dove avessero la testa coloro che hanno denominato quel velivolo Joint Strike Fighter, usando quindi termini quali “Strike” e “Fighter” che certo mal si addicono a un portatore di pace quale sarà l’F-35.
In attesa di conoscere quante tonnellate di ramoscelli d’ulivo o giocattoli o caramelle potrà imbarcare nella sua capace stiva il rivoluzionario F-35P ci permettiamo di consigliare ad Aeronautica e Marina di tinteggiare in modo adeguato i velivoli con livree consone ai compiti da espletare, con i colori della bandiera della pace oppure con sfondo verde prato con margherite e colombe.
Ironia a parte, il ministro ha aggiunto che “se vogliamo la pace, dobbiamo dunque possedere dei sistemi di difesa che ci consentano di neutralizzare i pericoli che possono insorgere in conflitti che magari sono distanti migliaia di chilometri da casa nostra ma che hanno le capacità di coinvolgere il mondo intero e di determinare lutti e povertà. Ora, l’utilizzo di strumenti complessi come gli F35 si giustifica in una visione integrata delle esigenze di sicurezza da parte di attori della comunità internazionale che, attraverso l’esercizio della potestà della difesa, garantiscono la pace per tutti”.
Mauro è riuscito a parlare di un bombardiere concepito per l’attacco preventivo, o meglio per il “first strike” (anche nucleare) sul territorio nemico nel quale dovrebbe penetrare invisibile ai radar, senza mai usare parole che potrebbero far pensare alla guerra. Uno sforzo lessicale teso a cancellare ogni forma di trasparenza che fa sorridere tenuto conto che pure i bambini sanno che il JSF rimpiazzerà Tornado, Harrier e Amx, guarda caso gli stessi jet che hanno lanciato oltre 700 bombe e missili sulla Libia più molte altre in passato su Kosovo, Bosnia, Iraq e più recentemente sull’Afghanistan. Non sarebbe stato più serio e trasparente affermare che quei velivoli ci servono per bombardare il nemico insieme ai nostri alleati, o meglio bombardare quei nemici che la “comunità internazionale” ci indicherà? Forse no perché a ben riflettere i libici che bombardammo nel 2011 non erano nostri nemici ma bensì alleati ai quali eravamo legati persino da un trattato militare. E poi il termine “nemico” indica inequivocabilmente la guerra che la nostra Costituzione ripudia almeno parzialmente: per questo l’abbiamo ribattezzata “missione di pace”.
Cercare di spacciare l’acquisto degli F-35 con la “necessità di avere mezzi efficienti di altissimo livello che servono a garantire la pace, ad evitare effetti collaterali” come ha ribadito il ministro della Difesa a Uno Mattina è tendenzioso e fuorviante sia perché i danni collaterali i nostri piloti sono riusciti a evitarli (o a limitarli) anche senza gli F-35, sia a fronte dei costi che dovremo affrontare per acquisire i jet statunitensi e tenerli in linea nei prossimi decenni. Costi incompatibili con le risorse che la Difesa assegna (e presumibilmente assegnerà anche nell’immediato futuro) all’Esercizio, cioè alla parte del bilancio adibita alla gestione di mezzi e infrastrutture e all’addestramento. Che non ci siano alternative all’F-35 è poi quanto meno discutibile dal momento che i tedeschi (che non acquistano l’F-35) impiegano i loro Eurofighter Typhoon anche per l’attacco al suolo.
Cosa che potrebbe fare anche l’Italia e che farà dal momento che armi come il missile da crociera Storm Shadow che oggi equipaggiano i Tornado verranno imbarcati in futuro sui Typhoon……anche perché non entrano nella stiva degli F-35. Il Typhoon del resto è un cacciabombardiere idoneo a svolgere operazioni contro altri velivoli come contro bersagli a terra e come tale viene impiegato anche dai britannici. Se vogliamo parlare di sprechi chiediamoci piuttosto perché stiamo cercando di svendere sul mercato dell’usato 24 Typhoon della prima serie, velivoli ancora nuovi, per ridurre il numero di quei jet in forza all’Aeronautica da 96 a 72 e ”fare posto “ a 75 F-35.
Se avessimo mantenuto la commessa prevista di 121 Typhoon, aggiornando i primi esemplari, avremmo già i velivoli necessari a tutte le esigenze dell’Aeronautica con un forte risparmio generale, dal costo di acquisizione a quello logistico determinato dal disporre di un solo aereo da combattimento e col vantaggio di puntare su un prodotto europeo nel quale la nostra industria è progettista, produttrice ed esportatrice. Curioso che un europeista convinto come il ministro Mauro si accodi alla lunga fila di coloro che ci vogliono mettere tecnologicamente e sul piano industriale e strategico nelle mani degli Stati Uniti. Più bilanciata, forse anche per rispetto alle posizioni presenti nel Partito Democratico, la valutazione del sottosegretario alla Difesa, Roberta Pinotti per la quale “il Parlamento ha dato il via a questo progetto: se riterrà che deve essere modificato e rivisto si farà una discussione importante alle Camere”.
Per il capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, “gli F35 sono una necessità sulla quale non c’è alternativa sul mercato” ma questo è vero solo per i 15 aerei destinati alla portaerei Cavour poiché non esiste nessun altro velivolo a decollo corto e atterraggio verticale col quale sostituire gli Harrier. Quindici aerei rappresentano un costo diverso da 90 e inoltre potrebbero forse venire acquisiti tra alcuni anni in leasing dai marines statunitensi, magari negoziando con Washington l’utilizzo delle basi di Aviano e Sigonella. Certo la rinuncia al velivolo o la riduzione della commessa comporterebbero la perdita degli investimenti effettuati negli ultimi dieci anni pari a 2,5 miliardi ma se da un lato pacifisti e affini sostengono il no all’F-35 valutando quanti asili e treni si potrebbero costruire o quanti infermieri si potrebbero assumere con quel denaro, dall’altro le istituzioni politiche e militari difendono l’aereo di Lockheed Martin definendolo indispensabile e per giunta “di pace”. Invece di trasparenza e chiarezza , più che mai necessarie specie in tempi di grave crisi economica, tutti ci propinano propaganda unita a qualche buona dose di sedativo populista come la riduzione ulteriore dei costi della parata del 2 giugno, dietro la quale si cela l’assalto pacifista e del mondo del no-profit che vorrebbero far sfilare più volontari impegnati nel sociale e meno militari.
Più che giusto tagliare le spese superflue ma fa davvero ridere che a impedire alle Frecce Tricolori di sorvolare i Fori imperiali sia uno Stato che non è riuscito a tagliare i costi della politica, i mega-stipendi dei dirigenti pubblici e neppure le province. Qualcuno dovrà spiegarci dove sia il costo aggiuntivo dal momento che i piloti delle Frecce devono effettuare regolarmente voli addestrativi già previsti in bilancio e le ore di volo costano la stessa cifra, che i jet sorvolino Roma o le campagne intorno a Udine. Sarebbe poi utile sapere perché le Frecce Tricolori in volo sulla capitale costano troppo il 2 giugno ma erano una spesa giustificata (circa la quale nessuno ha avuto nulla da eccepire) il 20 aprile scorso, quando le loro scie verdi-bianco-rosse hanno accompagnato l’omaggio al Milite Ignoto in occasione della rielezione del presidente Giorgio Napolitano. Misteri di una Repubblica a sobrietà variabile.
di Gianandrea Gaiani
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