L’iniziativa di Mosca di trasferire le armi chimiche siriane sotto controllo internazionale, ha influenzato positivamente gli Stati Uniti, che prevedevano di lanciare un’aggressione contro la Siria. Nel frattempo, il successo diplomatico porterà solo a una pace temporanea in Medio Oriente, poiché Washington, in ultima analisi, non metterà da parte i suoi piani ostili. Da un lato, l’opinione pubblica è fortemente contraria ai piani d’intervento degli USA, ed è un fattore che conta. Questo è ciò che dovrebbe essere preso in considerazione: a) secondo i sondaggi, oltre il 70 per cento degli statunitensi sono contro i piani d’attacco di Obama. b) L’opinione pubblica mondiale vede l’iniziativa della Russia come una via d’uscita dalla pericolosa situazione di stallo. È sbalorditivo come gli USA giochino con il fuoco in una regione chiamata la “polveriera” del mondo. Non dimentichiamo che Ban Ki-Moon, segretario generale delle Nazioni Unite, ha fatto una dichiarazione ufficiale a sostegno della proposta della Russia.
D’altra parte, gli Stati Uniti conservano ancora l’inesorabile desiderio di lanciare un attacco. Ma è una strada sconnessa con molti ostacoli. Com’è noto, l’attacco chimico del 21 agosto nella periferia di Damasco, non è stato perpetrato dall’esercito regolare siriano, ma piuttosto dai suoi nemici. Ci sono stati altri casi in cui le armi chimiche furono utilizzate dalle bande armate. Questo è ciò che la relazione di 100 pagine della Russia sull’attacco chimico a Khan al-Assal, vicino Aleppo, dice. L’attacco avvenne il 19 marzo, nella parte settentrionale del Paese. La relazione è stata presentata alle Nazioni Unite. A maggio, l’inquirente dell’ONU Carla Del Ponte aveva detto che c’erano forti sospetti che i ribelli siriani avessero usato gas nervino sarin. Ci sono ragioni per credere che gli attacchi possano essere ripetuti. Le provocazioni perseguono lo stesso obiettivo, forniscono a Stati Uniti, Francia e agli altri Stati della coalizione anti-Siria, che possiedono enormi arsenali chimici, una giustificazione per avanzare le richieste per un ulteriore disarmo unilaterale di Damasco, minacciando un attacco con il pretesto della “lotta al terrorismo”. Ma le armi chimiche non sono l’unico deterrente della Siria contro un intervento.
Per esempio, le forze per le operazioni speciali siriane sono pronte ad essere utilizzate negli Stati Uniti, il risultato può andare al di là di ogni più inverosimile aspettativa. Secondo il Ministero della Difesa della Siria, centinaia di soldati per le operazioni speciali dell’esercito siriano, sono attualmente situati nel territorio degli Stati Uniti. Tutti i combattenti sono raggruppati in unità di 3-7 elementi impiegati dalle forze speciali siriane “al-Qassam”, e sottoposti a un addestramento completo. Sono abilitati ad effettuare operazioni di sabotaggio negli Stati Uniti. Gli obiettivi potenziali che possono essere danneggiati comprendono ferrovie, centrali elettriche, acquedotti, terminali petroliferi e del gas, e obiettivi militari, per lo più basi aeree e navali. Una fonte ha detto che la leadership siriana ha scelto questa strategia, basandosi sulle esperienze delle guerre in Jugoslavia, Iraq e Libia, dove l’aggressione si rifletté nella posizione difensiva di questi Paesi, destinata al fallimento. Le forze speciali siriane hanno una ricca esperienza, avendo affinato le loro capacità nelle guerre contro Israele, e nelle azioni di combattimento che si svolgono in Libano e in Siria. I soldati non devono andare negli Stati Uniti, per causargli gravi danni. La collaborazione con squadre per operazioni speciali iraniane, farà aumentare immensamente l’efficacia delle operazioni in dimensioni, numeri e perdite economiche. Tali forze possono colpire gli interessi statunitensi in Israele, Turchia, Arabia Saudita, ecc.
L’Arabia Saudita è uno dei guerrafondai più attivi. Non senza ragione è preoccupata dalla prospettiva dei disordini sciiti, diventati imminenti di recente. Gli sciiti costituiscono il 15 per cento della popolazione, ma nutrono forti sentimenti filo-iraniani (con il sostegno di altri sciiti che costituiscono la maggioranza della popolazione in Iraq, Bahrein e delle grandi comunità sciite in Libano). La maggior parte degli sciiti sauditi si concentra a Qasa, sulle rive del Golfo Persico, dove si trova il maggiore giacimento di petrolio del Paese. L’Egitto è anch’esso una sorta di deterrente. Si sta preparando al braccio di ferro tra il governo e gli islamisti supportati da Ankara. Un intervento contro la Siria potrebbe provocare la guerra civile in Egitto, bloccando il traffico di petroliere nel canale di Suez. Per circumnavigare l’Africa occorrono oltre due settimane. La rotta della Russia settentrionale è il percorso più breve che colleghi i principali poli economici del pianeta (Europa occidentale, Nord America e Sud-Est asiatico), ma non è ancora pronto ad affrontare un compito di questa portata. Nel caso in cui l’attacco contro la Siria venga effettuato, sorgeranno problemi anche per i prezzi del petrolio, che inesorabilmente saliranno, e il dollaro non sarà più la valuta di riserva mondiale: nella prima metà del 2013 Iran, Australia e cinque dei dieci leader economici mondiali, tra cui Cina, Giappone, India e Russia, hanno deciso di abbandonare l’uso del dollaro per le transazioni commerciali internazionali. Mosca, il più grande esportatore di petrolio, e Pechino, il primo importatore mondiale di petrolio, sono pronte a rimuovere il dollaro come valuta di scambio del petrolio, in qualsiasi momento. Ciò costituisce una grave minaccia per gli Stati Uniti d’America. Perciò l’intenzione di intervenire contro la Siria appare un tentativo per rimandare il crollo della valuta statunitense. Non è un caso che l’aggravamento della situazione in Siria coincida con il rinvio del dibattito sul default negli Stati Uniti, da febbraio a questo autunno. Non è la democrazia in Siria che suscita grande preoccupazione a Washington, ma piuttosto il tetto del debito, il problema che può trasformare gli Stati Uniti in uno “stato fallito”…
D’altra parte, gli Stati Uniti conservano ancora l’inesorabile desiderio di lanciare un attacco. Ma è una strada sconnessa con molti ostacoli. Com’è noto, l’attacco chimico del 21 agosto nella periferia di Damasco, non è stato perpetrato dall’esercito regolare siriano, ma piuttosto dai suoi nemici. Ci sono stati altri casi in cui le armi chimiche furono utilizzate dalle bande armate. Questo è ciò che la relazione di 100 pagine della Russia sull’attacco chimico a Khan al-Assal, vicino Aleppo, dice. L’attacco avvenne il 19 marzo, nella parte settentrionale del Paese. La relazione è stata presentata alle Nazioni Unite. A maggio, l’inquirente dell’ONU Carla Del Ponte aveva detto che c’erano forti sospetti che i ribelli siriani avessero usato gas nervino sarin. Ci sono ragioni per credere che gli attacchi possano essere ripetuti. Le provocazioni perseguono lo stesso obiettivo, forniscono a Stati Uniti, Francia e agli altri Stati della coalizione anti-Siria, che possiedono enormi arsenali chimici, una giustificazione per avanzare le richieste per un ulteriore disarmo unilaterale di Damasco, minacciando un attacco con il pretesto della “lotta al terrorismo”. Ma le armi chimiche non sono l’unico deterrente della Siria contro un intervento.
Per esempio, le forze per le operazioni speciali siriane sono pronte ad essere utilizzate negli Stati Uniti, il risultato può andare al di là di ogni più inverosimile aspettativa. Secondo il Ministero della Difesa della Siria, centinaia di soldati per le operazioni speciali dell’esercito siriano, sono attualmente situati nel territorio degli Stati Uniti. Tutti i combattenti sono raggruppati in unità di 3-7 elementi impiegati dalle forze speciali siriane “al-Qassam”, e sottoposti a un addestramento completo. Sono abilitati ad effettuare operazioni di sabotaggio negli Stati Uniti. Gli obiettivi potenziali che possono essere danneggiati comprendono ferrovie, centrali elettriche, acquedotti, terminali petroliferi e del gas, e obiettivi militari, per lo più basi aeree e navali. Una fonte ha detto che la leadership siriana ha scelto questa strategia, basandosi sulle esperienze delle guerre in Jugoslavia, Iraq e Libia, dove l’aggressione si rifletté nella posizione difensiva di questi Paesi, destinata al fallimento. Le forze speciali siriane hanno una ricca esperienza, avendo affinato le loro capacità nelle guerre contro Israele, e nelle azioni di combattimento che si svolgono in Libano e in Siria. I soldati non devono andare negli Stati Uniti, per causargli gravi danni. La collaborazione con squadre per operazioni speciali iraniane, farà aumentare immensamente l’efficacia delle operazioni in dimensioni, numeri e perdite economiche. Tali forze possono colpire gli interessi statunitensi in Israele, Turchia, Arabia Saudita, ecc.
L’Arabia Saudita è uno dei guerrafondai più attivi. Non senza ragione è preoccupata dalla prospettiva dei disordini sciiti, diventati imminenti di recente. Gli sciiti costituiscono il 15 per cento della popolazione, ma nutrono forti sentimenti filo-iraniani (con il sostegno di altri sciiti che costituiscono la maggioranza della popolazione in Iraq, Bahrein e delle grandi comunità sciite in Libano). La maggior parte degli sciiti sauditi si concentra a Qasa, sulle rive del Golfo Persico, dove si trova il maggiore giacimento di petrolio del Paese. L’Egitto è anch’esso una sorta di deterrente. Si sta preparando al braccio di ferro tra il governo e gli islamisti supportati da Ankara. Un intervento contro la Siria potrebbe provocare la guerra civile in Egitto, bloccando il traffico di petroliere nel canale di Suez. Per circumnavigare l’Africa occorrono oltre due settimane. La rotta della Russia settentrionale è il percorso più breve che colleghi i principali poli economici del pianeta (Europa occidentale, Nord America e Sud-Est asiatico), ma non è ancora pronto ad affrontare un compito di questa portata. Nel caso in cui l’attacco contro la Siria venga effettuato, sorgeranno problemi anche per i prezzi del petrolio, che inesorabilmente saliranno, e il dollaro non sarà più la valuta di riserva mondiale: nella prima metà del 2013 Iran, Australia e cinque dei dieci leader economici mondiali, tra cui Cina, Giappone, India e Russia, hanno deciso di abbandonare l’uso del dollaro per le transazioni commerciali internazionali. Mosca, il più grande esportatore di petrolio, e Pechino, il primo importatore mondiale di petrolio, sono pronte a rimuovere il dollaro come valuta di scambio del petrolio, in qualsiasi momento. Ciò costituisce una grave minaccia per gli Stati Uniti d’America. Perciò l’intenzione di intervenire contro la Siria appare un tentativo per rimandare il crollo della valuta statunitense. Non è un caso che l’aggravamento della situazione in Siria coincida con il rinvio del dibattito sul default negli Stati Uniti, da febbraio a questo autunno. Non è la democrazia in Siria che suscita grande preoccupazione a Washington, ma piuttosto il tetto del debito, il problema che può trasformare gli Stati Uniti in uno “stato fallito”…
di Nikolaj Malishevskij
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora