18 settembre 2013

Il dollaro e la crisi siriana







254627L’iniziativa di Mosca di trasferire le armi chimiche siriane sotto controllo internazionale, ha influenzato positivamente gli Stati Uniti, che prevedevano di lanciare un’aggressione contro la Siria. Nel frattempo, il successo diplomatico porterà solo a una pace temporanea in Medio Oriente, poiché Washington, in ultima analisi, non metterà da parte i suoi piani ostili. Da un lato, l’opinione pubblica è fortemente contraria ai piani d’intervento degli USA, ed è un fattore che conta. Questo è ciò che dovrebbe essere preso in considerazione: a) secondo i sondaggi, oltre il 70 per cento degli statunitensi sono contro i piani d’attacco di Obama. b) L’opinione pubblica mondiale vede l’iniziativa della Russia come una via d’uscita dalla pericolosa situazione di stallo. È sbalorditivo come gli USA giochino con il fuoco in una regione chiamata la “polveriera” del mondo. Non dimentichiamo che Ban Ki-Moon, segretario generale delle Nazioni Unite, ha fatto una dichiarazione ufficiale a sostegno della proposta della Russia.
D’altra parte, gli Stati Uniti conservano ancora l’inesorabile desiderio di lanciare un attacco. Ma è una strada sconnessa con molti ostacoli. Com’è noto, l’attacco chimico del 21 agosto nella periferia di Damasco, non è stato perpetrato dall’esercito regolare siriano, ma piuttosto dai suoi nemici. Ci sono stati altri casi in cui le armi chimiche furono utilizzate dalle bande armate. Questo è ciò che la relazione di 100 pagine della Russia sull’attacco chimico a Khan al-Assal, vicino Aleppo, dice. L’attacco avvenne il 19 marzo, nella parte settentrionale del Paese. La relazione è stata presentata alle Nazioni Unite. A maggio, l’inquirente dell’ONU Carla Del Ponte aveva detto che c’erano forti sospetti che i ribelli siriani avessero usato gas nervino sarin. Ci sono ragioni per credere che gli attacchi possano essere ripetuti. Le provocazioni perseguono lo stesso obiettivo, forniscono a Stati Uniti, Francia e agli altri Stati della coalizione anti-Siria, che possiedono enormi arsenali chimici, una giustificazione per avanzare le richieste per un ulteriore disarmo unilaterale di Damasco, minacciando un attacco con il pretesto della “lotta al terrorismo”. Ma le armi chimiche non sono l’unico deterrente della Siria contro un intervento.
Per esempio, le forze per le operazioni speciali siriane sono pronte ad essere utilizzate negli Stati Uniti, il risultato può andare al di là di ogni più inverosimile aspettativa. Secondo il Ministero della Difesa della Siria, centinaia di soldati per le operazioni speciali dell’esercito siriano, sono attualmente situati nel territorio degli Stati Uniti. Tutti i combattenti sono raggruppati in unità di 3-7 elementi impiegati dalle forze speciali siriane “al-Qassam”, e sottoposti a un addestramento completo. Sono abilitati ad effettuare operazioni di sabotaggio negli Stati Uniti. Gli obiettivi potenziali che possono essere danneggiati comprendono ferrovie, centrali elettriche, acquedotti, terminali petroliferi e del gas, e obiettivi militari, per lo più basi aeree e navali. Una fonte ha detto che la leadership siriana ha scelto questa strategia, basandosi sulle esperienze delle guerre in Jugoslavia, Iraq e Libia, dove l’aggressione si rifletté nella posizione difensiva di questi Paesi, destinata al fallimento. Le forze speciali siriane hanno una ricca esperienza, avendo affinato le loro capacità nelle guerre contro Israele, e nelle azioni di combattimento che si svolgono in Libano e in Siria. I soldati non devono andare negli Stati Uniti, per causargli gravi danni. La collaborazione con squadre per operazioni speciali iraniane, farà aumentare immensamente l’efficacia delle operazioni in dimensioni, numeri e perdite economiche. Tali forze possono colpire gli interessi statunitensi in Israele, Turchia, Arabia Saudita, ecc.
L’Arabia Saudita è uno dei guerrafondai più attivi. Non senza ragione è preoccupata dalla prospettiva dei disordini sciiti, diventati imminenti di recente. Gli sciiti costituiscono il 15 per cento della popolazione, ma nutrono forti sentimenti filo-iraniani (con il sostegno di altri sciiti che costituiscono la maggioranza della popolazione in Iraq, Bahrein e delle grandi comunità sciite in Libano). La maggior parte degli sciiti sauditi si concentra a Qasa, sulle rive del Golfo Persico, dove si trova il maggiore giacimento di petrolio del Paese. L’Egitto è anch’esso una sorta di deterrente. Si sta preparando al braccio di ferro tra il governo e gli islamisti supportati da Ankara. Un intervento contro la Siria potrebbe provocare la guerra civile in Egitto, bloccando il traffico di petroliere nel canale di Suez. Per circumnavigare l’Africa occorrono oltre due settimane. La rotta della Russia settentrionale è il percorso più breve che colleghi i principali poli economici del pianeta (Europa occidentale, Nord America e Sud-Est asiatico), ma non è ancora pronto ad affrontare un compito di questa portata. Nel caso in cui l’attacco contro la Siria venga effettuato, sorgeranno problemi anche per i prezzi del petrolio, che inesorabilmente saliranno, e il dollaro non sarà più la valuta di riserva mondiale: nella prima metà del 2013 Iran, Australia e cinque dei dieci leader economici mondiali, tra cui Cina, Giappone, India e Russia, hanno deciso di abbandonare l’uso del dollaro per le transazioni commerciali internazionali. Mosca, il più grande esportatore di petrolio, e Pechino, il primo importatore mondiale di petrolio, sono pronte a rimuovere il dollaro come valuta di scambio del petrolio, in qualsiasi momento. Ciò costituisce una grave minaccia per gli Stati Uniti d’America. Perciò l’intenzione di intervenire contro la Siria appare un tentativo per rimandare il crollo della valuta statunitense. Non è un caso che l’aggravamento della situazione in Siria coincida con il rinvio del dibattito sul default negli Stati Uniti, da febbraio a questo autunno. Non è la democrazia in Siria che suscita grande preoccupazione a Washington, ma piuttosto il tetto del debito, il problema che può trasformare gli Stati Uniti in uno “stato fallito”…

di Nikolaj Malishevskij 
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

17 settembre 2013

Craxi e i comici silenzi-dissensi di Giuliano Amato

  


Questa 'stroncatura', a suo modo preveggente, di Giuliano Amato è stata scritta nel gennaio del 2007 sul mensile 'Giudizio Universale'.

La prima volta che vidi Giuliano Amato fu a un dibattito televisivo agli inizi degli anni Ottanta. Accesi la Tv proprio mentre diceva: «Io parlo uno splendido italiano». Poichè eravamo ancora molto lontani dall'era delle volgarità berlusconiane mi colpi' la prosopopea di questo professorino allora totalmente sconosciuto ai più e ai meno perchè, benchè ordinario dal 1975 di Diritto costituzionale comparato alla Sapienza, non aveva pubblicato nulla, com'è ormai usanza dei nostri docenti universitari, da Panebianco a Della Loggia. Questa alta considerazione di sé la si ritrova in una recente minibiografia autorizzata dove Amato si fa descrivere cosi': «Uomo politico, noto per la sua leggendaria intelligenza e raro acume nell'esaminare gli eventi». In realtà è uno straordinario specialista di surfing politico. Parte come «psiuppino», cioè all'estrema sinistra, al di là dello stesso Pci, ma quando il Psi riformista comincia la sua scalata al potere entra nelle sue file e, nel 1983, si fa eleggere deputato. Prima è oppositore di Craxi ma allorchè il segretario del Psi, divenuto premier, gli offre il posto di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ne diventa uno dei più fedeli 'consigliori'. Quando il Psi, sotto le mazzate di Mani pulite, crolla, non si schiera con Craxi ma nemmeno contro. Semplicemente diserta e si rifugia nella villa di Ansedonia a giocare a tennis con Giuseppe Tamburrano, e a curare gli 'amati studi' dove continua a non produrre assolutamente nulla. Dopo una lucrosa parentesi come presidente dell'Antitrust sarà pronto per diventare uno dei più eccellenti e potenti riciclati della Seconda Repubblica, essendo stato uno dei disastrosi protagonisti della Prima.
E' uno Svicolone nato, come il pavido leone di un famoso cartoon. Ma più che a un leone, per quanto imbelle, somiglia a un'anguilla. I suoi ragionamenti sono cosi' sottili, ma cosi' sottili da essere prudentemente impalpabili e quasi invisibili. Esilaranti sono i suoi rapporti col lider màximo del Psi come lui stesso li ha raccontati in un'intervista, a Craxi morto. Quando Amato era d'accordo col Capo esprimeva il suo incondizionato assenso, quando non lo era restava muto. Ha chiosato Rino Formica, un altro socialista che ha pero' avuto la decenza di ritirarsi a vita privata: «Quel passaggio sul silenzio-dissenso è assolutamente strepitoso...Se Amato era d'accordo esprimeva liberamente il suo consenso. Se invece affiorava un'increspatura, non dico un dissenso, ma anche una piccola perplessità, un dubbio, un trasalimento, Amato che faceva? Non si agitava, non parlava, si esprimeva in silenzio. Ma non un silenzio qualunque. No, un silenzio operoso. E Craxi capiva: se Giuliano sta zitto vuol dire che dissente. Metafisica pura».
Come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Craxi (1983-1987) e come ministro del Tesoro dal 1987 al 1989 nei governi Goria e De Mita, Giuliano Amato è stato protagonista in prima persona del sacco delle casse dello Stato perpetrato negli anni Ottanta, che ci ha regalato quasi due milioni di miliardi di debito pubblico in vecchie lire che ancora ci pesano sul groppone e per i quali l'Unione europea continua a strigliarci chiedendoci sempre nuovi sacrifici. Ma è sempre lo stesso Amato, lui même, divenuto nel 1992 premier, perchè Craxi è azzoppato dalle inchieste giudiziarie, che, per rattoppare in qualche modo la bancarotta che ha contribuito a creare, si introduce nottetempo, come un ladro che risalga da una fogna, nelle banche per prelevare i quattrini dai conti correnti dei cittadini, fatto inaudito nella storia di uno Stato di diritto. Il suo «raro acume nell'esaminare gli eventi» non gli servirà per percepire cio' che individui dotati di una intelligenza meno «leggendaria» hanno già capito da un pezzo, e cioè che la Prima Repubblica è sull'orlo di un crollo da cui lo stesso Amato, almeno per il momento, sarà travolto.
Molto disinvolto con i quattrini altrui, Giuliano Amato è attentissimo ai suoi. Guido Gerosa mi ha raccontato che durante le temperie di Tangentopoli Craxi invio' Amato a Milano per mettere un po' d'ordine fra i compagni. Il 'Dottor Sottile' invito' a cena i parlamentari lombardi, fra cui Gerosa, nel solito lussosissimo e costosissimo ristorante che i socialisti frequentavano all'epoca della 'Milano da bere', tanto pagava il partito, cioè il contribuente con i soldi che il Psi, insieme agli altri, gli taglieggiava. Ma alla fine di questa cena, fra la costernazione generale, annuncio': «Si fa alla romana». Le casse del Psi, saccheggiate da Craxi & co., erano vuote. Sarebbe quindi toccato al proconsole Amato pagare di tasca sua. E non era cosa.
di Massimo Fini 

14 settembre 2013

Un'altra crisi finanziaria se i Paesi ricchi non alleggeriranno la dipendenza dalla liquidità



Un'altra crisi finanziaria incomberà se i Paesi ricchi non alleggeriranno la propria dipendenza dalle iniezioni di liquidità





Appena la gente ha cominciato a pensare che la situazione nei paesi ricchi fosse diventata più tranquilla – anche se non proprio più brillante – le cose sono andate decisamente peggio, con più volantilità, nelle economie dei cosiddetti “mercati emergenti”. Al momento al centro dell’attenzione (suo malgrado) c’è l’India, che sta vedendo un rapido deflusso di capitali e di conseguenza una rapida caduta del valore della sua moneta, la rupia. Ma anche molte altre economie emergenti, a parte la Cina, hanno visto recentemente dei simili deflussi e un indebolimento delle loro valute .
Questo non è necessariamente uno sviluppo sfavorevole. Le valute di molte economie emergenti, specialmente il real brasiliano e il rand sudafricano, erano decisamente sopravvalutate, danneggiando la competitività delle loro esportazioni. La svalutazione può in effetti aiutare queste economie a riportare la crescita su un binario più sostenibile.
Tuttavia, tutti sono giustamente preoccupati del fatto che deflussi troppo rapidi di capitali possano causare svalutazioni eccessivamente veloci, che provocherebbero crisi valutarie e quindi crisi finanziarie, come già successo nell’est Asiatico nel 1997. Situazioni del genere possono verificarsi perché il valore delle monete dei paesi emergenti è stato gonfiato da un qualcosa che poi può rapidamente scomparire – vale a dire, grandi afflussi di capitali speculativi provenienti dai paesi ricchi. Data la loro natura, questi capitali sono pronti a ritirarsi in qualsiasi momento, come stanno facendo sempre più negli ultimi mesi.
Questo è un duro monito che nell’economia mondiale le cose non stanno ancora andando bene, a cinque anni dallo scoppio della più grande crisi finanziaria delle ultime tre generazioni, nel settembre 2008.
Abbiamo avuto dei grandi afflussi di capitali verso le economie emergenti soprattutto a causa del quantitative easing (QE) praticato dalle banche centrali di USA, Gran Bretagna ed altri paesi ricchi, che hanno immesso migliaia di miliardi di dollari nell’economia mondiale, in un disperato tentativo di rivitalizzare le loro economie moribonde.
Nella sua fase iniziale, il QE può avere agito come una scarica elettrica su qualcuno che ha appena avuto un arresto cardiaco. Ma successivamente i suoi effetti di stimolo si sono manifestati ampiamente sotto forma di creazione di insostenibili bolle speculative – nel mercato azionario, nei mercati immobiliari e nei mercati delle materie prime – che potrebbero esplodere e generare un altro ciclo di crisi finanziarie. Per di più, ciò ha causato molti danni collaterali ai paesi in via di sviluppo, sopravvalutando le loro monete, contribuendo alla formazione di insostenibili boom creditizi, e adesso minacciandoli con la prospettiva di crisi valutarie.
Se i suoi effetti sono quantomeno discutibili e nel peggiore dei casi preparano il terreno per il prossimo ciclo di crisi finanziarie, perché c’è stato così tanto QE? Il fatto è che esso è l’unica arma che i governi dei paesi ricchi sono stati disposti ad impiegare per generare una ripresa economica.
Il QE è diventato l’arma preferita da questi governi perché è l’unico modo attraverso il quale si può dar vita a una ripresa – per quanto debole e anemica – senza cambiare il modello economico che ha funzionato così bene a favore di ricchi e potenti negli ultimi trent’anni.
Questo modello va avanti con la generazione continua di bolle speculative, alimentato da complessi e opachi strumenti finanziari a forte leva creati dalle banche e da altre istituzioni finanziarie. È un sistema in cui i profitti finanziari a breve termine hanno la precedenza sugli investimenti produttivi a lungo termine e sulla qualità della vita dei lavoratori. Se i paesi ricchi avessero tentato di generare la ripresa attraverso strumenti diversi dal QE, avrebbero dovuto mettere seriamente in discussione questo modello.
Una ripresa guidata da politiche fiscali avrebbe comportato un aumento della quota di reddito nazionale destinata a investimenti pubblici e a spesa per il welfare, riducendo così la quota che va ai ricchi. Ciò avrebbe generato nuovi posti di lavoro nel settore pubblico, il che avrebbe indebolito il potere contrattuale dei capitalisti riducendo la disoccupazione.
La ripresa basata su un “riequilibrio” dell’economia avrebbe imposto politiche che danneggiano il settore finanziario. Il sistema finanziario avrebbe dovuto essere riprogettato per canalizzare più denaro verso gli investimenti a lungo termine che aumentano la produttività. I tassi di cambio avrebbero dovuto mantenersi a livelli competitivi in modo permanente, piuttosto che a quei livelli sopravvalutati graditi dal settore finanziario. Ci sarebbero dovuti essere più investimenti pubblici nella formazione di scienziati e ingegneri, e maggiori incentivi per il loro inserimento lavorativo nel settore industriale, riducendo così il bacino di reclutamento dell’industria finanziaria.
Tutto considerato, non è una grossa sorpresa che coloro che beneficiano dello status quo abbiano insistito con il QE. Ciò che sorprende è che essi abbiano addirittura rafforzato lo status quo, nonostante il caos che hanno provocato. Essi hanno fatto pressioni con successo per i tagli alla spesa pubblica, per ridurre lo stato sociale a un punto che nemmeno Margaret Thatcher avrebbe potuto raggiungere. Hanno usato la paura della disoccupazione in un contesto di arretramento della rete di sicurezza sociale per costringere i lavoratori ad accettare lavori precari e part-time, contratti meno sicuri (contratti a zero ore sono il caso più estremo) e condizioni di lavoro più povere.
Ma il mantenimento, o addirittura il rafforzamento, di questo ancien régime è destinato a durare? Può essere, ma forse no. Grecia, Spagna e altri paesi della periferia dell’eurozona potrebbero esplodere in qualsiasi momento, a causa della loro elevata disoccupazione e dell’aggravarsi dell’austerità. Negli USA, che sono considerati la patria dei lavoratori docili e accondiscendenti, la richiesta di salari di sussistenza si sta facendo più forte, come si vede dai recenti scioperi dei lavoratori dei ristoranti fast-food. I britannici sono (eccessivamente) pazienti, ma potrebbero cambiare atteggiamento nei prossimi mesi, quando realizzeranno la vera portata dei tagli alla spesa.
Tutto questo fermento può ridursi a poco, specialmente considerando l’indebolimento dei sindacati, eccetto che in pochi paesi, e l’incapacità dei partiti di centrosinistra di presentare una coerente visione alternativa. Ma la politica è imprevedibile. A cinque anni dalla crisi, la vera battaglia per il futuro del capitalismo potrebbe essere solo all’inizio.

di Ha-Joon Chang 

18 settembre 2013

Il dollaro e la crisi siriana







254627L’iniziativa di Mosca di trasferire le armi chimiche siriane sotto controllo internazionale, ha influenzato positivamente gli Stati Uniti, che prevedevano di lanciare un’aggressione contro la Siria. Nel frattempo, il successo diplomatico porterà solo a una pace temporanea in Medio Oriente, poiché Washington, in ultima analisi, non metterà da parte i suoi piani ostili. Da un lato, l’opinione pubblica è fortemente contraria ai piani d’intervento degli USA, ed è un fattore che conta. Questo è ciò che dovrebbe essere preso in considerazione: a) secondo i sondaggi, oltre il 70 per cento degli statunitensi sono contro i piani d’attacco di Obama. b) L’opinione pubblica mondiale vede l’iniziativa della Russia come una via d’uscita dalla pericolosa situazione di stallo. È sbalorditivo come gli USA giochino con il fuoco in una regione chiamata la “polveriera” del mondo. Non dimentichiamo che Ban Ki-Moon, segretario generale delle Nazioni Unite, ha fatto una dichiarazione ufficiale a sostegno della proposta della Russia.
D’altra parte, gli Stati Uniti conservano ancora l’inesorabile desiderio di lanciare un attacco. Ma è una strada sconnessa con molti ostacoli. Com’è noto, l’attacco chimico del 21 agosto nella periferia di Damasco, non è stato perpetrato dall’esercito regolare siriano, ma piuttosto dai suoi nemici. Ci sono stati altri casi in cui le armi chimiche furono utilizzate dalle bande armate. Questo è ciò che la relazione di 100 pagine della Russia sull’attacco chimico a Khan al-Assal, vicino Aleppo, dice. L’attacco avvenne il 19 marzo, nella parte settentrionale del Paese. La relazione è stata presentata alle Nazioni Unite. A maggio, l’inquirente dell’ONU Carla Del Ponte aveva detto che c’erano forti sospetti che i ribelli siriani avessero usato gas nervino sarin. Ci sono ragioni per credere che gli attacchi possano essere ripetuti. Le provocazioni perseguono lo stesso obiettivo, forniscono a Stati Uniti, Francia e agli altri Stati della coalizione anti-Siria, che possiedono enormi arsenali chimici, una giustificazione per avanzare le richieste per un ulteriore disarmo unilaterale di Damasco, minacciando un attacco con il pretesto della “lotta al terrorismo”. Ma le armi chimiche non sono l’unico deterrente della Siria contro un intervento.
Per esempio, le forze per le operazioni speciali siriane sono pronte ad essere utilizzate negli Stati Uniti, il risultato può andare al di là di ogni più inverosimile aspettativa. Secondo il Ministero della Difesa della Siria, centinaia di soldati per le operazioni speciali dell’esercito siriano, sono attualmente situati nel territorio degli Stati Uniti. Tutti i combattenti sono raggruppati in unità di 3-7 elementi impiegati dalle forze speciali siriane “al-Qassam”, e sottoposti a un addestramento completo. Sono abilitati ad effettuare operazioni di sabotaggio negli Stati Uniti. Gli obiettivi potenziali che possono essere danneggiati comprendono ferrovie, centrali elettriche, acquedotti, terminali petroliferi e del gas, e obiettivi militari, per lo più basi aeree e navali. Una fonte ha detto che la leadership siriana ha scelto questa strategia, basandosi sulle esperienze delle guerre in Jugoslavia, Iraq e Libia, dove l’aggressione si rifletté nella posizione difensiva di questi Paesi, destinata al fallimento. Le forze speciali siriane hanno una ricca esperienza, avendo affinato le loro capacità nelle guerre contro Israele, e nelle azioni di combattimento che si svolgono in Libano e in Siria. I soldati non devono andare negli Stati Uniti, per causargli gravi danni. La collaborazione con squadre per operazioni speciali iraniane, farà aumentare immensamente l’efficacia delle operazioni in dimensioni, numeri e perdite economiche. Tali forze possono colpire gli interessi statunitensi in Israele, Turchia, Arabia Saudita, ecc.
L’Arabia Saudita è uno dei guerrafondai più attivi. Non senza ragione è preoccupata dalla prospettiva dei disordini sciiti, diventati imminenti di recente. Gli sciiti costituiscono il 15 per cento della popolazione, ma nutrono forti sentimenti filo-iraniani (con il sostegno di altri sciiti che costituiscono la maggioranza della popolazione in Iraq, Bahrein e delle grandi comunità sciite in Libano). La maggior parte degli sciiti sauditi si concentra a Qasa, sulle rive del Golfo Persico, dove si trova il maggiore giacimento di petrolio del Paese. L’Egitto è anch’esso una sorta di deterrente. Si sta preparando al braccio di ferro tra il governo e gli islamisti supportati da Ankara. Un intervento contro la Siria potrebbe provocare la guerra civile in Egitto, bloccando il traffico di petroliere nel canale di Suez. Per circumnavigare l’Africa occorrono oltre due settimane. La rotta della Russia settentrionale è il percorso più breve che colleghi i principali poli economici del pianeta (Europa occidentale, Nord America e Sud-Est asiatico), ma non è ancora pronto ad affrontare un compito di questa portata. Nel caso in cui l’attacco contro la Siria venga effettuato, sorgeranno problemi anche per i prezzi del petrolio, che inesorabilmente saliranno, e il dollaro non sarà più la valuta di riserva mondiale: nella prima metà del 2013 Iran, Australia e cinque dei dieci leader economici mondiali, tra cui Cina, Giappone, India e Russia, hanno deciso di abbandonare l’uso del dollaro per le transazioni commerciali internazionali. Mosca, il più grande esportatore di petrolio, e Pechino, il primo importatore mondiale di petrolio, sono pronte a rimuovere il dollaro come valuta di scambio del petrolio, in qualsiasi momento. Ciò costituisce una grave minaccia per gli Stati Uniti d’America. Perciò l’intenzione di intervenire contro la Siria appare un tentativo per rimandare il crollo della valuta statunitense. Non è un caso che l’aggravamento della situazione in Siria coincida con il rinvio del dibattito sul default negli Stati Uniti, da febbraio a questo autunno. Non è la democrazia in Siria che suscita grande preoccupazione a Washington, ma piuttosto il tetto del debito, il problema che può trasformare gli Stati Uniti in uno “stato fallito”…

di Nikolaj Malishevskij 
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

17 settembre 2013

Craxi e i comici silenzi-dissensi di Giuliano Amato

  


Questa 'stroncatura', a suo modo preveggente, di Giuliano Amato è stata scritta nel gennaio del 2007 sul mensile 'Giudizio Universale'.

La prima volta che vidi Giuliano Amato fu a un dibattito televisivo agli inizi degli anni Ottanta. Accesi la Tv proprio mentre diceva: «Io parlo uno splendido italiano». Poichè eravamo ancora molto lontani dall'era delle volgarità berlusconiane mi colpi' la prosopopea di questo professorino allora totalmente sconosciuto ai più e ai meno perchè, benchè ordinario dal 1975 di Diritto costituzionale comparato alla Sapienza, non aveva pubblicato nulla, com'è ormai usanza dei nostri docenti universitari, da Panebianco a Della Loggia. Questa alta considerazione di sé la si ritrova in una recente minibiografia autorizzata dove Amato si fa descrivere cosi': «Uomo politico, noto per la sua leggendaria intelligenza e raro acume nell'esaminare gli eventi». In realtà è uno straordinario specialista di surfing politico. Parte come «psiuppino», cioè all'estrema sinistra, al di là dello stesso Pci, ma quando il Psi riformista comincia la sua scalata al potere entra nelle sue file e, nel 1983, si fa eleggere deputato. Prima è oppositore di Craxi ma allorchè il segretario del Psi, divenuto premier, gli offre il posto di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ne diventa uno dei più fedeli 'consigliori'. Quando il Psi, sotto le mazzate di Mani pulite, crolla, non si schiera con Craxi ma nemmeno contro. Semplicemente diserta e si rifugia nella villa di Ansedonia a giocare a tennis con Giuseppe Tamburrano, e a curare gli 'amati studi' dove continua a non produrre assolutamente nulla. Dopo una lucrosa parentesi come presidente dell'Antitrust sarà pronto per diventare uno dei più eccellenti e potenti riciclati della Seconda Repubblica, essendo stato uno dei disastrosi protagonisti della Prima.
E' uno Svicolone nato, come il pavido leone di un famoso cartoon. Ma più che a un leone, per quanto imbelle, somiglia a un'anguilla. I suoi ragionamenti sono cosi' sottili, ma cosi' sottili da essere prudentemente impalpabili e quasi invisibili. Esilaranti sono i suoi rapporti col lider màximo del Psi come lui stesso li ha raccontati in un'intervista, a Craxi morto. Quando Amato era d'accordo col Capo esprimeva il suo incondizionato assenso, quando non lo era restava muto. Ha chiosato Rino Formica, un altro socialista che ha pero' avuto la decenza di ritirarsi a vita privata: «Quel passaggio sul silenzio-dissenso è assolutamente strepitoso...Se Amato era d'accordo esprimeva liberamente il suo consenso. Se invece affiorava un'increspatura, non dico un dissenso, ma anche una piccola perplessità, un dubbio, un trasalimento, Amato che faceva? Non si agitava, non parlava, si esprimeva in silenzio. Ma non un silenzio qualunque. No, un silenzio operoso. E Craxi capiva: se Giuliano sta zitto vuol dire che dissente. Metafisica pura».
Come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Craxi (1983-1987) e come ministro del Tesoro dal 1987 al 1989 nei governi Goria e De Mita, Giuliano Amato è stato protagonista in prima persona del sacco delle casse dello Stato perpetrato negli anni Ottanta, che ci ha regalato quasi due milioni di miliardi di debito pubblico in vecchie lire che ancora ci pesano sul groppone e per i quali l'Unione europea continua a strigliarci chiedendoci sempre nuovi sacrifici. Ma è sempre lo stesso Amato, lui même, divenuto nel 1992 premier, perchè Craxi è azzoppato dalle inchieste giudiziarie, che, per rattoppare in qualche modo la bancarotta che ha contribuito a creare, si introduce nottetempo, come un ladro che risalga da una fogna, nelle banche per prelevare i quattrini dai conti correnti dei cittadini, fatto inaudito nella storia di uno Stato di diritto. Il suo «raro acume nell'esaminare gli eventi» non gli servirà per percepire cio' che individui dotati di una intelligenza meno «leggendaria» hanno già capito da un pezzo, e cioè che la Prima Repubblica è sull'orlo di un crollo da cui lo stesso Amato, almeno per il momento, sarà travolto.
Molto disinvolto con i quattrini altrui, Giuliano Amato è attentissimo ai suoi. Guido Gerosa mi ha raccontato che durante le temperie di Tangentopoli Craxi invio' Amato a Milano per mettere un po' d'ordine fra i compagni. Il 'Dottor Sottile' invito' a cena i parlamentari lombardi, fra cui Gerosa, nel solito lussosissimo e costosissimo ristorante che i socialisti frequentavano all'epoca della 'Milano da bere', tanto pagava il partito, cioè il contribuente con i soldi che il Psi, insieme agli altri, gli taglieggiava. Ma alla fine di questa cena, fra la costernazione generale, annuncio': «Si fa alla romana». Le casse del Psi, saccheggiate da Craxi & co., erano vuote. Sarebbe quindi toccato al proconsole Amato pagare di tasca sua. E non era cosa.
di Massimo Fini 

14 settembre 2013

Un'altra crisi finanziaria se i Paesi ricchi non alleggeriranno la dipendenza dalla liquidità



Un'altra crisi finanziaria incomberà se i Paesi ricchi non alleggeriranno la propria dipendenza dalle iniezioni di liquidità





Appena la gente ha cominciato a pensare che la situazione nei paesi ricchi fosse diventata più tranquilla – anche se non proprio più brillante – le cose sono andate decisamente peggio, con più volantilità, nelle economie dei cosiddetti “mercati emergenti”. Al momento al centro dell’attenzione (suo malgrado) c’è l’India, che sta vedendo un rapido deflusso di capitali e di conseguenza una rapida caduta del valore della sua moneta, la rupia. Ma anche molte altre economie emergenti, a parte la Cina, hanno visto recentemente dei simili deflussi e un indebolimento delle loro valute .
Questo non è necessariamente uno sviluppo sfavorevole. Le valute di molte economie emergenti, specialmente il real brasiliano e il rand sudafricano, erano decisamente sopravvalutate, danneggiando la competitività delle loro esportazioni. La svalutazione può in effetti aiutare queste economie a riportare la crescita su un binario più sostenibile.
Tuttavia, tutti sono giustamente preoccupati del fatto che deflussi troppo rapidi di capitali possano causare svalutazioni eccessivamente veloci, che provocherebbero crisi valutarie e quindi crisi finanziarie, come già successo nell’est Asiatico nel 1997. Situazioni del genere possono verificarsi perché il valore delle monete dei paesi emergenti è stato gonfiato da un qualcosa che poi può rapidamente scomparire – vale a dire, grandi afflussi di capitali speculativi provenienti dai paesi ricchi. Data la loro natura, questi capitali sono pronti a ritirarsi in qualsiasi momento, come stanno facendo sempre più negli ultimi mesi.
Questo è un duro monito che nell’economia mondiale le cose non stanno ancora andando bene, a cinque anni dallo scoppio della più grande crisi finanziaria delle ultime tre generazioni, nel settembre 2008.
Abbiamo avuto dei grandi afflussi di capitali verso le economie emergenti soprattutto a causa del quantitative easing (QE) praticato dalle banche centrali di USA, Gran Bretagna ed altri paesi ricchi, che hanno immesso migliaia di miliardi di dollari nell’economia mondiale, in un disperato tentativo di rivitalizzare le loro economie moribonde.
Nella sua fase iniziale, il QE può avere agito come una scarica elettrica su qualcuno che ha appena avuto un arresto cardiaco. Ma successivamente i suoi effetti di stimolo si sono manifestati ampiamente sotto forma di creazione di insostenibili bolle speculative – nel mercato azionario, nei mercati immobiliari e nei mercati delle materie prime – che potrebbero esplodere e generare un altro ciclo di crisi finanziarie. Per di più, ciò ha causato molti danni collaterali ai paesi in via di sviluppo, sopravvalutando le loro monete, contribuendo alla formazione di insostenibili boom creditizi, e adesso minacciandoli con la prospettiva di crisi valutarie.
Se i suoi effetti sono quantomeno discutibili e nel peggiore dei casi preparano il terreno per il prossimo ciclo di crisi finanziarie, perché c’è stato così tanto QE? Il fatto è che esso è l’unica arma che i governi dei paesi ricchi sono stati disposti ad impiegare per generare una ripresa economica.
Il QE è diventato l’arma preferita da questi governi perché è l’unico modo attraverso il quale si può dar vita a una ripresa – per quanto debole e anemica – senza cambiare il modello economico che ha funzionato così bene a favore di ricchi e potenti negli ultimi trent’anni.
Questo modello va avanti con la generazione continua di bolle speculative, alimentato da complessi e opachi strumenti finanziari a forte leva creati dalle banche e da altre istituzioni finanziarie. È un sistema in cui i profitti finanziari a breve termine hanno la precedenza sugli investimenti produttivi a lungo termine e sulla qualità della vita dei lavoratori. Se i paesi ricchi avessero tentato di generare la ripresa attraverso strumenti diversi dal QE, avrebbero dovuto mettere seriamente in discussione questo modello.
Una ripresa guidata da politiche fiscali avrebbe comportato un aumento della quota di reddito nazionale destinata a investimenti pubblici e a spesa per il welfare, riducendo così la quota che va ai ricchi. Ciò avrebbe generato nuovi posti di lavoro nel settore pubblico, il che avrebbe indebolito il potere contrattuale dei capitalisti riducendo la disoccupazione.
La ripresa basata su un “riequilibrio” dell’economia avrebbe imposto politiche che danneggiano il settore finanziario. Il sistema finanziario avrebbe dovuto essere riprogettato per canalizzare più denaro verso gli investimenti a lungo termine che aumentano la produttività. I tassi di cambio avrebbero dovuto mantenersi a livelli competitivi in modo permanente, piuttosto che a quei livelli sopravvalutati graditi dal settore finanziario. Ci sarebbero dovuti essere più investimenti pubblici nella formazione di scienziati e ingegneri, e maggiori incentivi per il loro inserimento lavorativo nel settore industriale, riducendo così il bacino di reclutamento dell’industria finanziaria.
Tutto considerato, non è una grossa sorpresa che coloro che beneficiano dello status quo abbiano insistito con il QE. Ciò che sorprende è che essi abbiano addirittura rafforzato lo status quo, nonostante il caos che hanno provocato. Essi hanno fatto pressioni con successo per i tagli alla spesa pubblica, per ridurre lo stato sociale a un punto che nemmeno Margaret Thatcher avrebbe potuto raggiungere. Hanno usato la paura della disoccupazione in un contesto di arretramento della rete di sicurezza sociale per costringere i lavoratori ad accettare lavori precari e part-time, contratti meno sicuri (contratti a zero ore sono il caso più estremo) e condizioni di lavoro più povere.
Ma il mantenimento, o addirittura il rafforzamento, di questo ancien régime è destinato a durare? Può essere, ma forse no. Grecia, Spagna e altri paesi della periferia dell’eurozona potrebbero esplodere in qualsiasi momento, a causa della loro elevata disoccupazione e dell’aggravarsi dell’austerità. Negli USA, che sono considerati la patria dei lavoratori docili e accondiscendenti, la richiesta di salari di sussistenza si sta facendo più forte, come si vede dai recenti scioperi dei lavoratori dei ristoranti fast-food. I britannici sono (eccessivamente) pazienti, ma potrebbero cambiare atteggiamento nei prossimi mesi, quando realizzeranno la vera portata dei tagli alla spesa.
Tutto questo fermento può ridursi a poco, specialmente considerando l’indebolimento dei sindacati, eccetto che in pochi paesi, e l’incapacità dei partiti di centrosinistra di presentare una coerente visione alternativa. Ma la politica è imprevedibile. A cinque anni dalla crisi, la vera battaglia per il futuro del capitalismo potrebbe essere solo all’inizio.

di Ha-Joon Chang