30 agosto 2006

Stati Uniti come L'impero Romano, ma in che fase?



Tra il 25 e il 27 agosto la Federal Reserve ha sponsorizzato un incontro della finanza internazionale a Jackson Hole nel Wyoming.
Commentando l'avvenimento Lyndon LaRouche ha posto in risalto come il presidente della Fed Ben Bernanke abbia lanciato un appello alla “globalizzazione” sul modello dell'Impero Romano proprio nel momento in cui sta esplodendo la bolla speculativa immobiliare che minaccia l'intero sistema . La politica promossa da Bernanke condurrà ad un caos come quello dei secoli bui del XIV secolo, ha spiegato lo statista americano che propone di mettere in cantiere al più presto un'alternativa allo sfascio economico. Questo sarà l'argomento della sua prossima trasmissione su internet il 6 settembre.
Aprendo i lavori il 25 agosto, Bernanke ha sottolineato che il governo americano deve respingere l'impostazione politica del Sistema Americano di Economia Politica - cioè il protezionismo e gli investimenti nelle infrastrutture pubbliche - per abbracciare fino in fondo la politica che fu dell'Impero Romano e delle Compagnie delle Indie. Bernanke ha elogiato “l'impero di lunga durata” di Roma perché la sua “unificazione promosse il commercio e lo sviluppo economico”. E' passato poi ad elogiare “le imprese commerciali create dagli Inglesi e dagli Olandesi” che esercitavano un monopolio sui traffici mondiali nel XVII secolo. La globalizzazione compì successivamente un altro grosso passo in avanti nel periodo post-napoleonico (1815-1913), quando “l'Inghilterra abbracciò il libero scambio e il libero movimento dei capitali”. Ma “un'eccezione importante” a questa avanzata della globalizzazione fu rappresentata dagli “Stati Uniti, che, nel corso del XIX secolo, compirono la transizione dalla periferia al centro del mondo”, e al contempo imposero “tariffe sulle manifatture ... a livelli relativamente alti, nel decennio successivo al 1860, che restarono per buona parte del XX secolo”. Bernanke è quindi passato a criticare gli investimenti nelle infrastrutture: “Nel XIX secolo gli investimenti internazionali si concentravano nel finanziamento dei progetti infrastrutturali - come le ferrovie americane - e nell'acquisto di debito governativo. Oggi gli investitori internazionali detengono tutta una serie di strumenti di debito, azioni e derivati, compresi titoli in una vasta gamma di settori”. Bernanke ha fatto appello ai politici affinché respingano gli appelli di coloro che “ricercano l'approvazione di misure protezionistiche”.
Chi conosce un po' il mondo politico, in particolare quello americano, dovrà ammettere che LaRouche è l'unico politico che propone a spada tratta un ritorno alla politica rooseveltiana deprecata da Bernanke come fastidiosa "eccezione". LaRouche è anche colui che fin dall'inizio ha più chiaramente denunciato nella globalizzazione proprio la politica imperiale romana del saccheggio istituzionalizzato, ripresa in epoca medievale con le crociate e di nuovo successivamente dai grandi monopoli delle compagnie delle indie, alle quali gli USA sfuggirono dal controllo con la Rivoluzione, mandando in fumo l'utopia di un mondo controllato dalle compagnie anglo-olandesi.
Che i pruriti imperiali, come quelli esternati da Bernanke a Jackson Hole, siano il nodo centrale da affrontare, è stato ribadito sulle pagine del quotidiano The Guardian da Andrew Murray, presidente della "Stop the War Coalition" in Inghilterra. Il suo commento del 26 agosto è intitolato: “L'impero, e la resistenza contro di esso, è la questione centrale di questa epoca”.
Scrive Murray: “Come sta l'Impero? Forse Tony Blair è tentato di ripetere le parole di re Giorgio V in punto di morte ... La risposta è che va proprio male. Il nuovo imperialismo che sarà per sempre legato ai nomi di Bush e Blair ha impiegato appena cinque anni per cozzare contro i respingenti dell'opposizione popolare e dell'ignominia morale. L'imperialismo è uscito dal regno del politichese diventando l'argomento centrale di questa epoca, ed è considerato ovunque come tale, al di fuori degli ambienti rampanti dell'alleanza tra neo-conservatori e New Labour”. Murray passa quindi a dare un quadro della situazione disastrosa in Iraq, in Afganistan, e in Libano dopo l'attacco di Israele.
“Gli anni di Blair vanno studiati per i fallimenti delle potenze anglosassoni nel rifare il mondo secondo i propri interessi con la forza”. Ci sono alcuni propagandisti del nuovo imperialismo, come lo storico Niall Ferguson, o l'ideologo del New Labour Christopher Hichtchens che ripropongono la linea del “Colonial Bureau Fabiano”. Ma “gli oppositori dell'imperialismo sono di gran lunga più numerosi. Quasi due terzi del pubblico ritiene che la politica estera britannica sia troppo soggetta a quella degli USA e che le occupazioni militari siano un insuccesso. La forza del movimento contro la guerra negli ultimi cinque anni, che ha raccolto nuovi sostegni durante la guerra del Libano, testimonia come questo sentimento sia ben più profondo di quanto dicano i sondaggi d'opinione ... L'alleanza tra ineguali costituita tra gli USA e l'Inghilerra dopo Suez [1956] si sta di nuovo sgretolando nel Medio Oriente”.

Terrorismo o complotti a Londra?


DI GIULIETTO CHIESA
Sono in molti a chiedersi che cosa ci fosse, davvero, sotto l'ormai famoso “complotto del terrore” aereo, “scoperto” con grande clamore mediatico, grande paura planetaria, grandi contromisure mondiali, il 10 di agosto 2006. Per inciso: mentre Israele bombardava senza tregua il Libano e la striscia di Gaza, attirandosi addosso l'esecrazione di una larga maggioranza di cittadini di ogni latitudine.
Comincerei da lontano: dal programma del Pentagono denominato P2OG. La sigla sta per Proactive Preemptive Operations Group.

L'esistenza di questo programma, la cui data di nascita è sconosciuta, emerse dai fondali nell'agosto 2002, perché notizie che lo riguardavano vennero pubblicate dal Comitato Scientifico di Difesa del Pentagono. Non è escluso, ma non è sicuro, che un tale programma fosse esistente da più tempo. Per esempio da prima dell'11 settembre. Ma, in sostanza cosa c'è nella scatola? Operazioni clandestine di elevata sofisticatezza realizzate dai servizi segreti per “stimolare reazioni” nei gruppi terroristici. Cioè: penetrazione nei gruppi con agenti provocatori, per spingerli ad azioni errate che permettono, dopo essere state “scoperte”, di sgominarli o di ricattarli.

Non è un'idea originale? Il fatto è che Seymour Hersh, ci ha informato, nel gennaio del 2005, con un articolo sul New Yorker, che il P2OG è stato rimesso in funzione. “Mi è stato riferito (da fonti del servizi americani, ndr) che agenti militari sarebbero stati preparati per fingersi uomini d'affari corrotti, che cercano di comprare pezzi che possano essere usati per costruire bombe atomiche. In certi casi cittadini locali (cioè non americani) potrebbero essere reclutati per entrare a far parte di gruppi guerriglieri o terroristici. Con il compito potenziale di organizzare ed eseguire operazioni di combattimento, o perfino attività terroristiche ” .

Adesso torniamo al complotto “globale” del 10 agosto. Da dove sono venute le informazioni? Dai servizi segreti militari del Pakistan, l'ISI. Cioè i signori che crearono dal nulla, tra il 1994 e il 1996, il regime dei taliban in Afghanistan. I quali avrebbero catturato Rashid Rauf, la cosiddetta “mente” dell'intera operazione che avrebbe dovuto far saltare per aria una decina di aerei diretti da Londra verso gli Stati Uniti. E insieme a Rashid, un discreto gruppetto di complici.

Ma quando gli attentati? Non certo in prossimità del 10 agosto, perché a quella data i sospetti, cioè i 24 arrestati, non avevano ancora nemmeno comprato i biglietti aerei. E molti di loro non avevano nemmeno i passaporti per andare negli Stati Uniti. Questa notizia è stata data alla NBC News da una fonte ufficiale britannica. Un'altra fonte dei servizi britannici ha riferito inoltre che molti dei sospetti erano sotto stretta sorveglianza da più d'un anno, cioè da prima degli attentati del luglio 2005. Ma, se erano sotto vigilanza, da dove viene la sorpresa e il clamore? E perché spiattellare tutto proprio alla vigilia del 10 agosto? Sempre NBC News rivela che la decisione di arrestarli subito, sebbene non ci fosse nessuna evidenza di pericolo immediato, “fu imposta dai funzionari di Washington”.

Ma cosa era accaduto, nel frattempo? Che, a Islamabad, Rashid Rauf aveva confessato. Perfino i giornali pakistani riferiscono che il giovanotto “è crollato” sotto gl'interrogatori. E tutti noi capiamo come vengano condotti gl'interrogatori della polizia politica pakistana. In altri termini: tortura. Il fatto che gli agenti americani e britannici non abbiano mosso ciglio di fronte a una confessione sotto tortura non deve destare stupore: è quello che loro stessi hanno fatto – o hanno permesso che si facesse a Guantanamo Bay, in Uzbekistan (rivelazioni molto dettagliate dell'ex ambasciatore britannico a Tashkent, Craig Murray), ad Abu Ghraib, a Damasco, al Cairo, a Kabul, etc.

In quelle condizioni si confessa qualsiasi cosa, ovviamente. E Rashid Rauf non poteva fare eccezione. Confessa anche, ad esempio, che gli aerei li avrebbero fatti saltare in aria fabbricando, sempre in aria, un esplosivo denominato TATP. Cioè perossido di idrogeno, acetone e acido solforico. Secondo la versione fornita dagl'inquirenti, i terroristi sarebbero saliti a bordo con questi tre elementi separati, tutti e tre liquidi, per sfuggire ai controlli dell'aeroporto. I componenti sarebbero poi stati mescolati insieme in una toilette dell'aereo, per produrre il micidiale esplosivo.

Sfortunatamente questa storia è totalmente impossibile, come hanno clamorosamente dimostrato gli esperti di esplosivi e come ha, con grande spirito umoristico, raccontato il giornalista americano Thomas C. Greene. Perché mettere insieme perossido di idrogeno (nella dovuta concentrazione, altamente infiammabile), con acetone, si può fare, ma richiede obbligatoriamente una temperatura inferiore ai 10 gradi centigradi , altrimenti il liquido risultante s'incendia subito. E l'incendio può ustionare il portatore, o i suoi vicini di sedile, ma non è un'esplosione e non può far cadere l'aereo. D'altro canto tenere sotto controllo una tale soluzione per diverse ore, in aereo, implica un sistema di refrigerazione molto preciso e anche molto ingombrante. Da portare, per giunta, nella toilette insieme ad alambicchi vari. Perché adesso viene in bello. Cioè il versamento dell'acido solforico nella data soluzione.

La qual cosa richiede, come minimo e preliminarmente, una maschera antigas e un paio di occhiali da subacqueo, perché il gas che ne fuoriesce è altamente corrosivo per gli occhi e letale se inspirato. Non solo, ma l'intera operazione, per raggiungere la quantità di esplosivo necessaria, richiede parecchie ore. E poi comporta altre due ore e mezzo circa di attesa affinché il composto chimico riesca a seccare, trasformandosi in piccolissimi cristalli simili a neve, prima di poter essere fatto detonare con un impulso elettrico.

Tutto questo, com'è evidente, richiede che, nel corso dell'intero volo, nessun passeggero venga a bussare alla porta della toilette; che nessun membro dell'equipaggio si insospettisca vedendo un passeggero entrare nella toilette con ingombranti apparecchiature, e poi assistendo, dall'esterno a una tale prolungata diarrea; che i fumi del gas letale, dall'odore caratteristico di acido solforico, non escano dalla toilette, soffocando i passeggeri dei sedili situati in prossimità della detta toilette.

Il mondo intero – come ha scritto Green – “è stato raggirato con un mito hollywoodiano di liquidi esplosivi binari, che ha guidato interi governi e determinato politiche. Cioè noi abbiamo reagito a un complotto cinematografico”. Pura fiction, evidentemente di grande successo.

Chi l'ha prodotta? Ecco, non sarebbe male ora tornare a bomba, come si usa dire, al progetto P2OG. Ce ne sono i motivi. Secondo la dettagliata analisi di Nafeez Mossadeq Ahmed (1), che cita a sua volta il capo del bureau pakistano di Asia Times, Syed Shahzad, i cittadini britannici di origine pakistana arrestati a Lahore e Karachi in connessione con il complotto, erano tutti membri attivi del gruppo islamico britannico clandestino Al Muhajiroun, il cui capo è Omar Bakri Mohammed. Costui è ora in Libano, dove è stato “esiliato” dalle autorità britanniche sebbene figuri tra i sospettati per le esplosioni del 7 luglio 2005 a Londra. Non vi sembra strano che, avendolo in mano, gl'inglesi se lo siano fatto scappare? Risulterà meno strano quando si sappia che Omar Bakri Mohammed era un agente dell'MI6 britannico, reclutato alla metà degli anni '90 per reclutare, a sua volta, combattenti islamici per il Kosovo. Sempre secondo la stessa fonte sia la CIA che l'MI6 avrebbero da tempo loro agenti infiltrati all'interno del gruppo Al Muhajiroun.

Il tutto appare straordinariamente simile alla mission del gruppo P2OG: organizzare finti o veri attentati terroristici, penetrare all'interno dei gruppi terroristici per usarli a proprio piacimento. Ecco da dove viene la fiction nella quale tutti i media principali hanno immediatamente creduto, rivendendocela come realtà effettuale, contribuendo a organizzare la diversione.

Poi che succede? Che le prove non ci sono, che la “mente” del complotto, torturato a dovere, non viene neppure estradato in Inghilterra, forse perché non lo si può far vedere in pubblico. E succede anche che dei 23 arrestati solo 11 vengono formalmente incriminati, con accuse molto generiche di possesso di elementi atti a costruire bombe e possesso di video estremisti inneggianti al martirio. Due sono rimessi addirittura in libertà, gli altri 11 sono trattenuti in base alla legge antiterrorismo che prevede 28 giorni di detenzione anche senza un'accusa formale. Il ministro dell'interno britannico, John Reid, sta cercando di far passare un piccolo Patriot Act d'oltre Manica, per prolungare il fermo fino a 90 giorni, ma non risulta abbia chiesto l'estradizione di Rashid Rauf.

Ma ciascuno di noi dovrebbe sapere che è possibile, teoricamente, la sua incriminazione per terrorismo. Infatti potrebbe avere dell'acetone in bagno, per sciogliere lo smalto sulle unghie, e dell'acido solforico per sturare i lavandini, e del decolorante per capelli, che contiene, insieme al 97% di acqua, anche del perossido d'idrogeno. Infine tutti abbiamo un telefonino, potenzialmente adatto a innescare l'esplosivo risultante.

Resta una domanda, che spesso mi viene fatta quando cerco di spiegare che anche l'11 settembre è una colossale menzogna: “ma possibile che chi organizza questi spettacoli sia così stupido da lasciarsi dietro tante incongruenze?” La domanda è legittima, ma ingenua. Le incongruenze sono evidenti, ma le conosceranno in pochi. Quello che passa è la versione ufficiale, che crea l'ondata di panico opportuna per l'uso da parte dei poteri. Chi organizza queste cose non è affatto stupido: conosce il funzionamento dei media meglio di noi e anche meglio di molti direttori di giornali e di telegiornali.

28 agosto 2006

Terroristi che ricostruiscono il Libano?


In the 20 kmq of Beirut's southern suburbs which have been destroyed or badly damaged in 35 days of Israeli bombing, 500,000 residents - most of them Shia - lost their homes. Across the devastation of southern Lebanon, Hizbollah has now visited hundreds of thousands of Shia families for details of their losses. Sayed Hassan Nasrallah, the Hizbollah leader, has promised to indemnify all survivors.Bodies of civilians and Hizbollah fighters were still being unearthed from the wreckage of southern Lebanon this week; four brothers, all members of Hizbollah it turned out, died together under Israeli fire in the eastern town of Khiam. It is Hizbollah's army of workers which has been told to rebuild these villages.

Hezbollah ha battuto sul tempo l'Onu e il governo libanese versando centinaia di milioni di dollari, con ogni probabilità provenienti soprattutto dall'Iran, a favore delle zone bombardate del sud del Libano e della periferia meridionale di Beirut. Il suo imponente impegno per la ricostruzione, offerto gratuitamente ai migliaia di libanesi le cui case sono state distrutte o danneggiate durante le cinque settimane di feroci attacchi israeliani, gli è valsa la lealtà anche dei membri più ostili della comunità sciita in Libano.
Hezbollah ha chiarito che non ha intenzione di procedere al disarmo sulla base della risoluzione 1701 del consiglio di sicurezza dell'Onu.
Ieri il generale Alain Pellegrini, comandante della forza Onu nel sud del Libano (su cui americani e inglesi fanno affidamento per entrare in possesso delle armi della guerriglia) mi ha confermato al quartier generale di Naqoura che gli israeliani non possono chiedere alle forze Unifil di disarmare Hezbollah. Ha definito il cessate il fuoco «molto fragile» e «molto pericoloso», e ha aggiunto: «il disarmo di Hezbollah non rientra nel nostro mandato».
Ma per adesso Hezbollah, vista anche la completa assenza della forza di ottomila uomini che dovrebbe affiancare l'Unifil con un mandato teoricamente più «forte», ha già vinto la guerra per la conquista dei cuori e delle menti.

La maggior parte dei proprietari di immobili nel sud del paese ha ricevuto (o sta ricevendo) un risarcimento iniziale minimo di 12mila dollari per comprare nuovi mobili o pagare l'affitto per la famiglia mentre le squadre edili di Hezbollah ricostruiscono le case. I soldi sono offerti in contanti - quasi tutte fruscianti banconote nuove di zecca da cento dollari - a circa 15mila famiglie in tutto il Libano le cui case hanno subito attacchi israeliani, per un totale di 180 milioni di dollari destinati ad aumentare con nuove ricostruzioni e risarcimenti.
Nei venti chilometri quadrati della periferia sud di Beirut che sono stati distrutti o hanno subito forti danni nei 35 giorni di bombardamenti israeliani, 500mila abitanti del luogo, soprattutto sciiti, hanno perso la loro casa. Ma i soldi continuano ad arrivare. Per esempio, uno sciita che aveva una casa a quattro piani, Hussein Selim, ha già ricevuto 42mila dollari in contanti in risarcimento per le perdite di beni personali e mobilio. Hezbollah si è impegnato a ricostruire tutta la zona con le sue risorse (o forse con quelle iraniane).
L'aspetto più spaventoso di questa promessa a lungo termine per chi crede nel cessate il fuoco dell'Onu è che Hezbollah ha spinto la popolazione sciita ad affittare delle case a Khalde, a sud di Beirut, con l'idea di rimandare il progetto di ricostruzione dell'intera città di un anno, nella convinzione che il cessate il fuoco sarà presto interrotto e che un'altra guerra con Israele finirà per distruggere le case appena ricostruite.
Nel sud del Libano in preda alla devastazione Hezbollah ha ormai visitato centinaia di migliaia di famiglie sciite per informarsi in dettaglio sulle loro perdite. In alcuni casi anche i funzionari del governo libanese, oggetto di una profonda diffidenza da parte della popolazione locale, hanno preso nota dei risarcimenti da versare, ma per ora le autorità nella regione si sono limitate a cominciare a riparare il sistema idrico ed elettrico. Ho visto bulldozer e camion della compagnia Jihad al-Bena, di Hezbollah, togliere calcinacci dalle strade dei villaggi e finire di abbattere case ormai pericolanti. «Per adesso lo facciamo gratuitamente, ma sappiamo che saremo pagati perché abbiamo fiducia nello sceicco Hassan», mi ha spiegato uno dei capicantiere. Sayyed Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha promesso di risarcire tutti i sopravvissuti agli attacchi. Ho percorso più di 160 chilometri nel sud del paese, e ovunque salta agli occhi l'assoluta enormità del compito di Hezbollah (e il fallimento del governo libanese). A guardarli dalle colline pietrose e dalla campagna lussureggiante del sud del Libano, sotto il caldo sole di agosto, i villaggi sembrano intatti.
Ma avvicinandosi si notano grandi chiazze di cenere lungo i pendii delle colline ed enormi campi grigi di macerie che un tempo erano case. Alcuni villaggi - Bint Jbeil, per esempio, o Zibqin - sono stati in buona parte distrutti. Nella stessa Zibqin ho trovato delle rovine che hanno una storia molto toccante: sono ciò che resta in seguito ai bombardamenti di una piccola moschea ultramillenaria che secondo i libanesi conserva il corpo di Zein Ali Yaqin, figlio del profeta Yacoub (Giacobbe, secondo gli ebrei) e nipote del profeta Ibrahim, o Abramo. Sono due figli di Abramo (Giacobbe e Ismaele) a segnare la divisione tra Islam e giudaismo.

Secondo l'Islam, Dio chiese ad Abramo di offrirgli in sacrificio Ismaele; secondo gli ebrei, a essere sacrificato doveva essere Giacobbe. Zein Ali Yaqin, un santo più che un profeta, appartiene quindi a pieno titolo alla stirpe ebrea, ma l'urna contenente le sue ceneri mortali è caduta sul pavimento di pietra della moschea quando le bombe israeliane sono cadute. L'esplosivo ha fatto crollare l'antica facciata e poi ha fatto scivolare dal muro esterno della moschea, sormontata da una cupola verde, centinaia di pietre che sono finite più in basso, contro le mura interne, facendo cadere altre macerie sul pavimento, accanto alla tomba coperta solo da un panno. «Gli israeliani hanno fatto tutto questo a uno di loro», dice Hussein Barakat mentre avanza a fatica per la strada più in basso, aiutandosi con un bastone. «Tutti qui conoscono l'origine del nostro piccolo santuario, e guardate com'è ridotto adesso». Barakat ha 69 anni, ed è stato l'unico abitante del villaggio a rimanere a Zibqin quando tutti gli altri sono scappati per i bombardamenti israeliani. Si è ferito a un dito ed è rimasto mezzo sordo in seguito al rumore delle bombe. Nel sud del Libano anche questa settimana continuano a emergere dalle macerie i cadaveri dei civili e dei combattenti di Hezbollah: quattro fratelli, a quanto pare tutti membri di Hezbollah, sono morti insieme sotto il fuoco israeliano nella città di Khiam, a est.

Alcune famiglie di civili cercano invano tra le macerie in cerca di parenti. A Siddiqin, poco a est di Cana, ho visto un negoziante rovistare per ore tra le macerie in cerca dei resti dei due sue negozi, trasformati in cenere dalle bombe. Ma anche lui era convinto che lo "sceicco Hassan" avrebbe ricostruito la sua casa. A pochi chilometri di distanza ho visto una donna di 65 anni arrampicarsi come un gatto sul tetto ormai crollato della sua casa, in cerca dell'oro di famiglia finito tra le crepe del cemento.
L'esercito di collaboratori di Hezbollah ha ricevuto il compito di ricostruire questi villaggi e, tra un anno, il centro di Beirut. L'organizzazione politica ed economica della guerriglia, potente e disciplinata come la sua milizia, recluterà decine di migliaia di uomini per ricostruire una città virtuale all'interno di Beirut e per far risorgere dalle macerie del sud del Libano i villaggi pieni di fattorie e di piantagioni di tabacco che esistevano fino a due mesi fa.

Fonte: http://news.independent.co.uk

30 agosto 2006

Stati Uniti come L'impero Romano, ma in che fase?



Tra il 25 e il 27 agosto la Federal Reserve ha sponsorizzato un incontro della finanza internazionale a Jackson Hole nel Wyoming.
Commentando l'avvenimento Lyndon LaRouche ha posto in risalto come il presidente della Fed Ben Bernanke abbia lanciato un appello alla “globalizzazione” sul modello dell'Impero Romano proprio nel momento in cui sta esplodendo la bolla speculativa immobiliare che minaccia l'intero sistema . La politica promossa da Bernanke condurrà ad un caos come quello dei secoli bui del XIV secolo, ha spiegato lo statista americano che propone di mettere in cantiere al più presto un'alternativa allo sfascio economico. Questo sarà l'argomento della sua prossima trasmissione su internet il 6 settembre.
Aprendo i lavori il 25 agosto, Bernanke ha sottolineato che il governo americano deve respingere l'impostazione politica del Sistema Americano di Economia Politica - cioè il protezionismo e gli investimenti nelle infrastrutture pubbliche - per abbracciare fino in fondo la politica che fu dell'Impero Romano e delle Compagnie delle Indie. Bernanke ha elogiato “l'impero di lunga durata” di Roma perché la sua “unificazione promosse il commercio e lo sviluppo economico”. E' passato poi ad elogiare “le imprese commerciali create dagli Inglesi e dagli Olandesi” che esercitavano un monopolio sui traffici mondiali nel XVII secolo. La globalizzazione compì successivamente un altro grosso passo in avanti nel periodo post-napoleonico (1815-1913), quando “l'Inghilterra abbracciò il libero scambio e il libero movimento dei capitali”. Ma “un'eccezione importante” a questa avanzata della globalizzazione fu rappresentata dagli “Stati Uniti, che, nel corso del XIX secolo, compirono la transizione dalla periferia al centro del mondo”, e al contempo imposero “tariffe sulle manifatture ... a livelli relativamente alti, nel decennio successivo al 1860, che restarono per buona parte del XX secolo”. Bernanke è quindi passato a criticare gli investimenti nelle infrastrutture: “Nel XIX secolo gli investimenti internazionali si concentravano nel finanziamento dei progetti infrastrutturali - come le ferrovie americane - e nell'acquisto di debito governativo. Oggi gli investitori internazionali detengono tutta una serie di strumenti di debito, azioni e derivati, compresi titoli in una vasta gamma di settori”. Bernanke ha fatto appello ai politici affinché respingano gli appelli di coloro che “ricercano l'approvazione di misure protezionistiche”.
Chi conosce un po' il mondo politico, in particolare quello americano, dovrà ammettere che LaRouche è l'unico politico che propone a spada tratta un ritorno alla politica rooseveltiana deprecata da Bernanke come fastidiosa "eccezione". LaRouche è anche colui che fin dall'inizio ha più chiaramente denunciato nella globalizzazione proprio la politica imperiale romana del saccheggio istituzionalizzato, ripresa in epoca medievale con le crociate e di nuovo successivamente dai grandi monopoli delle compagnie delle indie, alle quali gli USA sfuggirono dal controllo con la Rivoluzione, mandando in fumo l'utopia di un mondo controllato dalle compagnie anglo-olandesi.
Che i pruriti imperiali, come quelli esternati da Bernanke a Jackson Hole, siano il nodo centrale da affrontare, è stato ribadito sulle pagine del quotidiano The Guardian da Andrew Murray, presidente della "Stop the War Coalition" in Inghilterra. Il suo commento del 26 agosto è intitolato: “L'impero, e la resistenza contro di esso, è la questione centrale di questa epoca”.
Scrive Murray: “Come sta l'Impero? Forse Tony Blair è tentato di ripetere le parole di re Giorgio V in punto di morte ... La risposta è che va proprio male. Il nuovo imperialismo che sarà per sempre legato ai nomi di Bush e Blair ha impiegato appena cinque anni per cozzare contro i respingenti dell'opposizione popolare e dell'ignominia morale. L'imperialismo è uscito dal regno del politichese diventando l'argomento centrale di questa epoca, ed è considerato ovunque come tale, al di fuori degli ambienti rampanti dell'alleanza tra neo-conservatori e New Labour”. Murray passa quindi a dare un quadro della situazione disastrosa in Iraq, in Afganistan, e in Libano dopo l'attacco di Israele.
“Gli anni di Blair vanno studiati per i fallimenti delle potenze anglosassoni nel rifare il mondo secondo i propri interessi con la forza”. Ci sono alcuni propagandisti del nuovo imperialismo, come lo storico Niall Ferguson, o l'ideologo del New Labour Christopher Hichtchens che ripropongono la linea del “Colonial Bureau Fabiano”. Ma “gli oppositori dell'imperialismo sono di gran lunga più numerosi. Quasi due terzi del pubblico ritiene che la politica estera britannica sia troppo soggetta a quella degli USA e che le occupazioni militari siano un insuccesso. La forza del movimento contro la guerra negli ultimi cinque anni, che ha raccolto nuovi sostegni durante la guerra del Libano, testimonia come questo sentimento sia ben più profondo di quanto dicano i sondaggi d'opinione ... L'alleanza tra ineguali costituita tra gli USA e l'Inghilerra dopo Suez [1956] si sta di nuovo sgretolando nel Medio Oriente”.

Terrorismo o complotti a Londra?


DI GIULIETTO CHIESA
Sono in molti a chiedersi che cosa ci fosse, davvero, sotto l'ormai famoso “complotto del terrore” aereo, “scoperto” con grande clamore mediatico, grande paura planetaria, grandi contromisure mondiali, il 10 di agosto 2006. Per inciso: mentre Israele bombardava senza tregua il Libano e la striscia di Gaza, attirandosi addosso l'esecrazione di una larga maggioranza di cittadini di ogni latitudine.
Comincerei da lontano: dal programma del Pentagono denominato P2OG. La sigla sta per Proactive Preemptive Operations Group.

L'esistenza di questo programma, la cui data di nascita è sconosciuta, emerse dai fondali nell'agosto 2002, perché notizie che lo riguardavano vennero pubblicate dal Comitato Scientifico di Difesa del Pentagono. Non è escluso, ma non è sicuro, che un tale programma fosse esistente da più tempo. Per esempio da prima dell'11 settembre. Ma, in sostanza cosa c'è nella scatola? Operazioni clandestine di elevata sofisticatezza realizzate dai servizi segreti per “stimolare reazioni” nei gruppi terroristici. Cioè: penetrazione nei gruppi con agenti provocatori, per spingerli ad azioni errate che permettono, dopo essere state “scoperte”, di sgominarli o di ricattarli.

Non è un'idea originale? Il fatto è che Seymour Hersh, ci ha informato, nel gennaio del 2005, con un articolo sul New Yorker, che il P2OG è stato rimesso in funzione. “Mi è stato riferito (da fonti del servizi americani, ndr) che agenti militari sarebbero stati preparati per fingersi uomini d'affari corrotti, che cercano di comprare pezzi che possano essere usati per costruire bombe atomiche. In certi casi cittadini locali (cioè non americani) potrebbero essere reclutati per entrare a far parte di gruppi guerriglieri o terroristici. Con il compito potenziale di organizzare ed eseguire operazioni di combattimento, o perfino attività terroristiche ” .

Adesso torniamo al complotto “globale” del 10 agosto. Da dove sono venute le informazioni? Dai servizi segreti militari del Pakistan, l'ISI. Cioè i signori che crearono dal nulla, tra il 1994 e il 1996, il regime dei taliban in Afghanistan. I quali avrebbero catturato Rashid Rauf, la cosiddetta “mente” dell'intera operazione che avrebbe dovuto far saltare per aria una decina di aerei diretti da Londra verso gli Stati Uniti. E insieme a Rashid, un discreto gruppetto di complici.

Ma quando gli attentati? Non certo in prossimità del 10 agosto, perché a quella data i sospetti, cioè i 24 arrestati, non avevano ancora nemmeno comprato i biglietti aerei. E molti di loro non avevano nemmeno i passaporti per andare negli Stati Uniti. Questa notizia è stata data alla NBC News da una fonte ufficiale britannica. Un'altra fonte dei servizi britannici ha riferito inoltre che molti dei sospetti erano sotto stretta sorveglianza da più d'un anno, cioè da prima degli attentati del luglio 2005. Ma, se erano sotto vigilanza, da dove viene la sorpresa e il clamore? E perché spiattellare tutto proprio alla vigilia del 10 agosto? Sempre NBC News rivela che la decisione di arrestarli subito, sebbene non ci fosse nessuna evidenza di pericolo immediato, “fu imposta dai funzionari di Washington”.

Ma cosa era accaduto, nel frattempo? Che, a Islamabad, Rashid Rauf aveva confessato. Perfino i giornali pakistani riferiscono che il giovanotto “è crollato” sotto gl'interrogatori. E tutti noi capiamo come vengano condotti gl'interrogatori della polizia politica pakistana. In altri termini: tortura. Il fatto che gli agenti americani e britannici non abbiano mosso ciglio di fronte a una confessione sotto tortura non deve destare stupore: è quello che loro stessi hanno fatto – o hanno permesso che si facesse a Guantanamo Bay, in Uzbekistan (rivelazioni molto dettagliate dell'ex ambasciatore britannico a Tashkent, Craig Murray), ad Abu Ghraib, a Damasco, al Cairo, a Kabul, etc.

In quelle condizioni si confessa qualsiasi cosa, ovviamente. E Rashid Rauf non poteva fare eccezione. Confessa anche, ad esempio, che gli aerei li avrebbero fatti saltare in aria fabbricando, sempre in aria, un esplosivo denominato TATP. Cioè perossido di idrogeno, acetone e acido solforico. Secondo la versione fornita dagl'inquirenti, i terroristi sarebbero saliti a bordo con questi tre elementi separati, tutti e tre liquidi, per sfuggire ai controlli dell'aeroporto. I componenti sarebbero poi stati mescolati insieme in una toilette dell'aereo, per produrre il micidiale esplosivo.

Sfortunatamente questa storia è totalmente impossibile, come hanno clamorosamente dimostrato gli esperti di esplosivi e come ha, con grande spirito umoristico, raccontato il giornalista americano Thomas C. Greene. Perché mettere insieme perossido di idrogeno (nella dovuta concentrazione, altamente infiammabile), con acetone, si può fare, ma richiede obbligatoriamente una temperatura inferiore ai 10 gradi centigradi , altrimenti il liquido risultante s'incendia subito. E l'incendio può ustionare il portatore, o i suoi vicini di sedile, ma non è un'esplosione e non può far cadere l'aereo. D'altro canto tenere sotto controllo una tale soluzione per diverse ore, in aereo, implica un sistema di refrigerazione molto preciso e anche molto ingombrante. Da portare, per giunta, nella toilette insieme ad alambicchi vari. Perché adesso viene in bello. Cioè il versamento dell'acido solforico nella data soluzione.

La qual cosa richiede, come minimo e preliminarmente, una maschera antigas e un paio di occhiali da subacqueo, perché il gas che ne fuoriesce è altamente corrosivo per gli occhi e letale se inspirato. Non solo, ma l'intera operazione, per raggiungere la quantità di esplosivo necessaria, richiede parecchie ore. E poi comporta altre due ore e mezzo circa di attesa affinché il composto chimico riesca a seccare, trasformandosi in piccolissimi cristalli simili a neve, prima di poter essere fatto detonare con un impulso elettrico.

Tutto questo, com'è evidente, richiede che, nel corso dell'intero volo, nessun passeggero venga a bussare alla porta della toilette; che nessun membro dell'equipaggio si insospettisca vedendo un passeggero entrare nella toilette con ingombranti apparecchiature, e poi assistendo, dall'esterno a una tale prolungata diarrea; che i fumi del gas letale, dall'odore caratteristico di acido solforico, non escano dalla toilette, soffocando i passeggeri dei sedili situati in prossimità della detta toilette.

Il mondo intero – come ha scritto Green – “è stato raggirato con un mito hollywoodiano di liquidi esplosivi binari, che ha guidato interi governi e determinato politiche. Cioè noi abbiamo reagito a un complotto cinematografico”. Pura fiction, evidentemente di grande successo.

Chi l'ha prodotta? Ecco, non sarebbe male ora tornare a bomba, come si usa dire, al progetto P2OG. Ce ne sono i motivi. Secondo la dettagliata analisi di Nafeez Mossadeq Ahmed (1), che cita a sua volta il capo del bureau pakistano di Asia Times, Syed Shahzad, i cittadini britannici di origine pakistana arrestati a Lahore e Karachi in connessione con il complotto, erano tutti membri attivi del gruppo islamico britannico clandestino Al Muhajiroun, il cui capo è Omar Bakri Mohammed. Costui è ora in Libano, dove è stato “esiliato” dalle autorità britanniche sebbene figuri tra i sospettati per le esplosioni del 7 luglio 2005 a Londra. Non vi sembra strano che, avendolo in mano, gl'inglesi se lo siano fatto scappare? Risulterà meno strano quando si sappia che Omar Bakri Mohammed era un agente dell'MI6 britannico, reclutato alla metà degli anni '90 per reclutare, a sua volta, combattenti islamici per il Kosovo. Sempre secondo la stessa fonte sia la CIA che l'MI6 avrebbero da tempo loro agenti infiltrati all'interno del gruppo Al Muhajiroun.

Il tutto appare straordinariamente simile alla mission del gruppo P2OG: organizzare finti o veri attentati terroristici, penetrare all'interno dei gruppi terroristici per usarli a proprio piacimento. Ecco da dove viene la fiction nella quale tutti i media principali hanno immediatamente creduto, rivendendocela come realtà effettuale, contribuendo a organizzare la diversione.

Poi che succede? Che le prove non ci sono, che la “mente” del complotto, torturato a dovere, non viene neppure estradato in Inghilterra, forse perché non lo si può far vedere in pubblico. E succede anche che dei 23 arrestati solo 11 vengono formalmente incriminati, con accuse molto generiche di possesso di elementi atti a costruire bombe e possesso di video estremisti inneggianti al martirio. Due sono rimessi addirittura in libertà, gli altri 11 sono trattenuti in base alla legge antiterrorismo che prevede 28 giorni di detenzione anche senza un'accusa formale. Il ministro dell'interno britannico, John Reid, sta cercando di far passare un piccolo Patriot Act d'oltre Manica, per prolungare il fermo fino a 90 giorni, ma non risulta abbia chiesto l'estradizione di Rashid Rauf.

Ma ciascuno di noi dovrebbe sapere che è possibile, teoricamente, la sua incriminazione per terrorismo. Infatti potrebbe avere dell'acetone in bagno, per sciogliere lo smalto sulle unghie, e dell'acido solforico per sturare i lavandini, e del decolorante per capelli, che contiene, insieme al 97% di acqua, anche del perossido d'idrogeno. Infine tutti abbiamo un telefonino, potenzialmente adatto a innescare l'esplosivo risultante.

Resta una domanda, che spesso mi viene fatta quando cerco di spiegare che anche l'11 settembre è una colossale menzogna: “ma possibile che chi organizza questi spettacoli sia così stupido da lasciarsi dietro tante incongruenze?” La domanda è legittima, ma ingenua. Le incongruenze sono evidenti, ma le conosceranno in pochi. Quello che passa è la versione ufficiale, che crea l'ondata di panico opportuna per l'uso da parte dei poteri. Chi organizza queste cose non è affatto stupido: conosce il funzionamento dei media meglio di noi e anche meglio di molti direttori di giornali e di telegiornali.

28 agosto 2006

Terroristi che ricostruiscono il Libano?


In the 20 kmq of Beirut's southern suburbs which have been destroyed or badly damaged in 35 days of Israeli bombing, 500,000 residents - most of them Shia - lost their homes. Across the devastation of southern Lebanon, Hizbollah has now visited hundreds of thousands of Shia families for details of their losses. Sayed Hassan Nasrallah, the Hizbollah leader, has promised to indemnify all survivors.Bodies of civilians and Hizbollah fighters were still being unearthed from the wreckage of southern Lebanon this week; four brothers, all members of Hizbollah it turned out, died together under Israeli fire in the eastern town of Khiam. It is Hizbollah's army of workers which has been told to rebuild these villages.

Hezbollah ha battuto sul tempo l'Onu e il governo libanese versando centinaia di milioni di dollari, con ogni probabilità provenienti soprattutto dall'Iran, a favore delle zone bombardate del sud del Libano e della periferia meridionale di Beirut. Il suo imponente impegno per la ricostruzione, offerto gratuitamente ai migliaia di libanesi le cui case sono state distrutte o danneggiate durante le cinque settimane di feroci attacchi israeliani, gli è valsa la lealtà anche dei membri più ostili della comunità sciita in Libano.
Hezbollah ha chiarito che non ha intenzione di procedere al disarmo sulla base della risoluzione 1701 del consiglio di sicurezza dell'Onu.
Ieri il generale Alain Pellegrini, comandante della forza Onu nel sud del Libano (su cui americani e inglesi fanno affidamento per entrare in possesso delle armi della guerriglia) mi ha confermato al quartier generale di Naqoura che gli israeliani non possono chiedere alle forze Unifil di disarmare Hezbollah. Ha definito il cessate il fuoco «molto fragile» e «molto pericoloso», e ha aggiunto: «il disarmo di Hezbollah non rientra nel nostro mandato».
Ma per adesso Hezbollah, vista anche la completa assenza della forza di ottomila uomini che dovrebbe affiancare l'Unifil con un mandato teoricamente più «forte», ha già vinto la guerra per la conquista dei cuori e delle menti.

La maggior parte dei proprietari di immobili nel sud del paese ha ricevuto (o sta ricevendo) un risarcimento iniziale minimo di 12mila dollari per comprare nuovi mobili o pagare l'affitto per la famiglia mentre le squadre edili di Hezbollah ricostruiscono le case. I soldi sono offerti in contanti - quasi tutte fruscianti banconote nuove di zecca da cento dollari - a circa 15mila famiglie in tutto il Libano le cui case hanno subito attacchi israeliani, per un totale di 180 milioni di dollari destinati ad aumentare con nuove ricostruzioni e risarcimenti.
Nei venti chilometri quadrati della periferia sud di Beirut che sono stati distrutti o hanno subito forti danni nei 35 giorni di bombardamenti israeliani, 500mila abitanti del luogo, soprattutto sciiti, hanno perso la loro casa. Ma i soldi continuano ad arrivare. Per esempio, uno sciita che aveva una casa a quattro piani, Hussein Selim, ha già ricevuto 42mila dollari in contanti in risarcimento per le perdite di beni personali e mobilio. Hezbollah si è impegnato a ricostruire tutta la zona con le sue risorse (o forse con quelle iraniane).
L'aspetto più spaventoso di questa promessa a lungo termine per chi crede nel cessate il fuoco dell'Onu è che Hezbollah ha spinto la popolazione sciita ad affittare delle case a Khalde, a sud di Beirut, con l'idea di rimandare il progetto di ricostruzione dell'intera città di un anno, nella convinzione che il cessate il fuoco sarà presto interrotto e che un'altra guerra con Israele finirà per distruggere le case appena ricostruite.
Nel sud del Libano in preda alla devastazione Hezbollah ha ormai visitato centinaia di migliaia di famiglie sciite per informarsi in dettaglio sulle loro perdite. In alcuni casi anche i funzionari del governo libanese, oggetto di una profonda diffidenza da parte della popolazione locale, hanno preso nota dei risarcimenti da versare, ma per ora le autorità nella regione si sono limitate a cominciare a riparare il sistema idrico ed elettrico. Ho visto bulldozer e camion della compagnia Jihad al-Bena, di Hezbollah, togliere calcinacci dalle strade dei villaggi e finire di abbattere case ormai pericolanti. «Per adesso lo facciamo gratuitamente, ma sappiamo che saremo pagati perché abbiamo fiducia nello sceicco Hassan», mi ha spiegato uno dei capicantiere. Sayyed Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha promesso di risarcire tutti i sopravvissuti agli attacchi. Ho percorso più di 160 chilometri nel sud del paese, e ovunque salta agli occhi l'assoluta enormità del compito di Hezbollah (e il fallimento del governo libanese). A guardarli dalle colline pietrose e dalla campagna lussureggiante del sud del Libano, sotto il caldo sole di agosto, i villaggi sembrano intatti.
Ma avvicinandosi si notano grandi chiazze di cenere lungo i pendii delle colline ed enormi campi grigi di macerie che un tempo erano case. Alcuni villaggi - Bint Jbeil, per esempio, o Zibqin - sono stati in buona parte distrutti. Nella stessa Zibqin ho trovato delle rovine che hanno una storia molto toccante: sono ciò che resta in seguito ai bombardamenti di una piccola moschea ultramillenaria che secondo i libanesi conserva il corpo di Zein Ali Yaqin, figlio del profeta Yacoub (Giacobbe, secondo gli ebrei) e nipote del profeta Ibrahim, o Abramo. Sono due figli di Abramo (Giacobbe e Ismaele) a segnare la divisione tra Islam e giudaismo.

Secondo l'Islam, Dio chiese ad Abramo di offrirgli in sacrificio Ismaele; secondo gli ebrei, a essere sacrificato doveva essere Giacobbe. Zein Ali Yaqin, un santo più che un profeta, appartiene quindi a pieno titolo alla stirpe ebrea, ma l'urna contenente le sue ceneri mortali è caduta sul pavimento di pietra della moschea quando le bombe israeliane sono cadute. L'esplosivo ha fatto crollare l'antica facciata e poi ha fatto scivolare dal muro esterno della moschea, sormontata da una cupola verde, centinaia di pietre che sono finite più in basso, contro le mura interne, facendo cadere altre macerie sul pavimento, accanto alla tomba coperta solo da un panno. «Gli israeliani hanno fatto tutto questo a uno di loro», dice Hussein Barakat mentre avanza a fatica per la strada più in basso, aiutandosi con un bastone. «Tutti qui conoscono l'origine del nostro piccolo santuario, e guardate com'è ridotto adesso». Barakat ha 69 anni, ed è stato l'unico abitante del villaggio a rimanere a Zibqin quando tutti gli altri sono scappati per i bombardamenti israeliani. Si è ferito a un dito ed è rimasto mezzo sordo in seguito al rumore delle bombe. Nel sud del Libano anche questa settimana continuano a emergere dalle macerie i cadaveri dei civili e dei combattenti di Hezbollah: quattro fratelli, a quanto pare tutti membri di Hezbollah, sono morti insieme sotto il fuoco israeliano nella città di Khiam, a est.

Alcune famiglie di civili cercano invano tra le macerie in cerca di parenti. A Siddiqin, poco a est di Cana, ho visto un negoziante rovistare per ore tra le macerie in cerca dei resti dei due sue negozi, trasformati in cenere dalle bombe. Ma anche lui era convinto che lo "sceicco Hassan" avrebbe ricostruito la sua casa. A pochi chilometri di distanza ho visto una donna di 65 anni arrampicarsi come un gatto sul tetto ormai crollato della sua casa, in cerca dell'oro di famiglia finito tra le crepe del cemento.
L'esercito di collaboratori di Hezbollah ha ricevuto il compito di ricostruire questi villaggi e, tra un anno, il centro di Beirut. L'organizzazione politica ed economica della guerriglia, potente e disciplinata come la sua milizia, recluterà decine di migliaia di uomini per ricostruire una città virtuale all'interno di Beirut e per far risorgere dalle macerie del sud del Libano i villaggi pieni di fattorie e di piantagioni di tabacco che esistevano fino a due mesi fa.

Fonte: http://news.independent.co.uk