21 giugno 2007

Viva la democrazia!


La "nostra" democrazia vista da un fan del sito di beppegrillo. Il comico della politica italiana.
"I partiti non fanno più politica. I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi.
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente... Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano.
I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della Nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni.
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
Il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità.
Quando si chiedono sacrifici al Paese e si comincia con il chiederli ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire."
fonte beppegrillo.it

20 giugno 2007

Una vita al contrario. 12.L'appeso


Quando spesso ci accorgiamo che stiamo vivendo sulle nuvole è una sensazione o la constatazione di un mondo al contrario?
Zret

La scuola è una sequela di voti, di compiti in classe, di lezioni aride, di scartoffie, di riti inutili ed insensati. Gli adolescenti sono costretti a spendere i migliori anni della loro vita in un ambiente squallido, stritolati da un ingranaggio assurdo che premia i furbi o, nel migliore dei casi, gli allievi scrupolosi, ma poco intelligenti, laddove i ragazzi creativi, originali, anticonformisti sono, non di rado, condannati all'insuccesso ed all'emarginazione. Si aggiungano i rapporti interpersonali improntati ad insana competitività, invidia, insincerità, livore verso alcuni docenti e compagni. Comprendo che gli animi più sensibili restino feriti ed amareggiati di fronte a tale situazione, eppure la scuola è parte del sistema: terminati gli studi, il mondo del lavoro è un'altra bolgia dantesca, una bolgia di un inferno chiamato mondo.

E' illusorio pensare che, oltre le grigie mura degli edifici scolastici, si estenda una realtà differente. E' una realtà con cui bisogna confrontarsi ogni giorno, ogni attimo, grondante lacrime, sudore e sangue. E' un mondo al contrario dove i pochi giusti sono oltraggiati e perseguitati, in cui i meritevoli restano negletti, mentre la moltitudine infinita degli stolti, dei disonesti e degli ignoranti è osannata e potente. Tuttavia quelle che possono sembrare sconfitte (e, in parte, lo sono) rendono sempre più determinati, l'insofferenza per il sistema ci eleva al di sopra del sistema. Siamo così più forti, quando affrontiamo le sfide del destino. Se una persona non vede storture nelle istituzioni e se non prova insofferenza per tutte le aberrazioni della società, allora bisogna preoccuparsi: quella persona è stata vinta, sopraffatta dalla malvagità, la sua anima è stata annichilita. Chi si oppone, chi, pur tra mille contraddizioni, titubanze e difficoltà, rifiuta lo status quo, sebbene possa essere sconfitto sul piano pratico, è un vincitore sotto il profilo morale e spirituale.

E' inutile invocare riforme del sistema educativo: le riforme peggiorano e, se non cambieremo l'umanità, le riforme, per di più volute ed attuate da chi conosciamo bene, resteranno lettera morta. E' fondamentale, invece, cambiare la nostra condotta e la nostra visione degli eventi, riuscendo a ricavare anche dalle esperienze dolorose e persino irrazionali, un insegnamento, uno sprone per non arrendersi, anche se saremo battuti. La sconfitta è la vittoria, come ci insegna Pessoa.

Anche in un carcere come la scuola, si può maturare qualche esperienza significativa, imparare qualcosa, vivere un momento indimenticabile: può essere un aforisma di un autore, l'emozione dopo aver letto una lirica, il sorriso sincero della compagna di banco... E' poco: lo so, ma l'esistenza è avara di gioie e prodiga di sofferenze. La scuola è un errore ed un orrore, ma è altresì una palestra, perché il mondo al di fuori è pure più spaventoso.

Noi siamo fuori posto, siamo in questo mondo e non solo, come affermava il Messia, non gli apparteniamo, ma siamo anche contro, in nome della speranza di una palingenesi che forse non è un'illusione. Continuiamo a combattere dunque, senza circoscrivere, però, tutte le nostre azioni a questa (ex) "aiuola che ci fa tanto feroci".

Se esiste un senso, non possiamo conoscerlo né comprenderlo del tutto e comunque, nonostante fasi di scoramento e persino di disperazione, parole come resa, indifferenza, arrendevolezza ed approvazione del sistema, non appartengono al nostro vocabolario.

17 giugno 2007

Truffa da 4 miliardi di euro allo stato italiano



Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan, tre fra le principali banche d'affari mondiali, costrette a piegarsi davanti alla porta della Procura di Pescara. Bussano per restituire il maltolto e rinunciare a oltre 600 milioni di euro di crediti maturati con l'erario dopo anni di raggiri. Una gigantesca truffa ai danni dello Stato consumata con i pacchetti azionari di investitori di ogni angolo del globo: europei, americani, asiatici, australiani.

Per riuscire a spillare denaro è stato sufficiente chiedere il rimborso del credito d'imposta sui dividendi delle società italiane, facendo credere all'amministrazione finanziaria di averne diritto. Per incassare c'era solo da aspettare; tanto nessuno controllava. In questo modo, secondo i documenti degli inquirenti che "L'espresso" ha potuto visionare, le banche americane e una lunga serie di altri istituti di credito erano riusciti a mettere le mani su una torta miliardaria.

Un giochetto andato avanti per anni, fino a quando la magistratura non ha affondato il bisturi nel bubbone. E allora per le protagoniste dello scandalo sono cominciati i guai. Passando al setaccio oltre 40 mila richieste di rimborso del credito d'imposta sui dividendi per gli anni 1999-2003, il procuratore di Pescara, Nicola Trifuoggi, e i suoi sostituti Giampiero Di Florio (esperto di reati finanziari) e Giuseppe Bellelli, hanno portato alla luce le dimensioni colossali del raggiro: complessivamente, ben 4 miliardi 300 milioni di euro, quasi una manovra finanziaria. E soprattutto, le responsabilità dei vari protagonisti. La scoperta della truffa sui rimborsi, nome in codice "easy credit", risale al 2005 quando, dopo una indagine sulle richieste inoltrate da società inglesi, il Gruppo repressioni frodi della Guardia di finanza di Roma ha trasmesso un rapporto alla Procura di Pescara, competente per territorio visto che nella città abruzzese ha sede il centro operativo dell'Agenzia delle entrate che si occupa di queste pratiche. Secondo la nostra legislazione il diritto al credito d'imposta sui dividendi spetta unicamente alle società e agli enti residenti in Italia. Alcune convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali, come quelle stipulate dall'Italia con la Gran Bretagna e la Francia (hanno funzionato dal 1992 al 2003), prevedono tuttavia l'estensione di questo diritto anche ai residenti nell'altro Stato contraente.

Cosa hanno fatto le tre banche d'affari per mettere le mani sui rimborsi miliardari italiani? Si sono fatte "prestare" temporaneamente da ogni angolo del mondo, da fondi di investimento e istituti di credito delle più svariate nazionalità, pacchetti azionari in maniera che, al momento dello stacco del dividendo delle società italiane, queste azioni risultassero di proprietà delle loro filiali inglesi Lehman Brothers International Europe, Goldman Sachs International e Jp Morgan Securities Limited, tutte e tre con sede a Londra e perciò titolate a chiedere il rimborso. Una volta incassato il dividendo e maturato il credito, tempo qualche settimana, i titoli azionari venivano restituiti agli effettivi proprietari. Un caso tra i tanti. Il 23 marzo 2001, Banca Intesa riceve dalla Deutsche Bank di Londra l'ordine di prelevare 3 milioni di azioni Eni da un proprio conto per girarle a quello della Lehman Brothers International acceso presso la Citibank di Milano.

Il 5 maggio, puntualmente, le azioni entrano sul conto milanese della Lehman. Il 18 giugno avviene lo stacco del dividendo Eni e meno di un mese dopo, maturato il diritto al rimborso, le azioni fanno il percorso inverso rientrando sul conto londinese della Deutsche Bank. In quei giorni di operazioni di questo tipo ne sono state fatte a migliaia, creando un traffico così intenso da fare quasi scoppiare i portafogli-titoli delle tre banche d'affari. Lehman Brothers international Europe, per esempio, rispetto a una giacenza media nell'intero arco del 2001 di 5 milioni 400 mila azioni Eni, nel mese di giugno vedeva il numero dei titoli petroliferi registrati sul proprio conto milanese superare i 155 milioni. Una grande performance, ma non la sola. Anche Goldman Sachs e Jp Morgan sono state attivissime. La prima, rispetto a una giacenza media annuale di meno di 50 mila titoli Eni, sempre nel giugno 2001 arrivava a possederne 355 milioni. Un record di cui la Guardia di Finanza ha messo a nudo tutte le irregolarità, facendo emergere anche le responsabilità di tutte le altre istituzioni che hanno utilizzato le convenzioni bilaterali sui crediti di imposta sui dividendi firmate dall'Italia. La lista degli accusati alla fine potrebbe essere molto lunga: si parla di un totale di circa 4.500 soggetti finanziari che potrebbero finire presto nel registro degli indagati.

Tra di essi spiccano i nomi di colossi come Merrill Lynch, Nomura International, Citigroup Global Markets Limited e la svizzera Ubs, le cui richieste di rimborso hanno rivelato già imperdonabili pecche agli occhi degli investigatori. Ma sul banco degli imputati ci sono per il momento soprattutto le case madri e le filiali europee di Lehman, Goldman e Jp Morgan, molto note e attive da tanto tempo sul nostro mercato finanziario, avendo per esempio curato alcune delle privatizzazioni fatte negli ultimi dieci anni (Comit e Credito commerciale), per non parlare del ruolo svolto in grandi fusioni societarie (Sai-Fondiaria), nel collocamento di società in Borsa e in quelle dei nostri titoli di Stato sul mercato internazionale. Insieme le tre banche avevano richiesto al fisco 709 milioni di euro di rimborsi, oltre 600 dei quali non dovuti. Una vera e propria stangata per l'erario, scongiurata solo grazie all'intervento della magistratura. Davanti ai pm pescaresi, infatti, sperando di limitare i danni, Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan hanno accettato alla fine un accordo che prevede la loro rinuncia ai 600 milioni di rimborsi non spettanti e la restituzione di 52 milioni già incassati (i soli in tanti anni a causa dei cronici e stavolta provvidenziali ritardi del fisco). "Abbiamo transato; la faccenda è chiusa", commentano a Goldman Sachs. "Siamo soddisfatti", dice invece Lehman Brothers: "Abbiamo cooperato con gli inquirenti; la vicenda si sta chiudendo amichevolmente". Ottimismo giustificato? Non proprio, visto che, nonostante la transazione, le accuse a loro carico restano e sono pesantissime: si va dalla truffa ai danni dello Stato (tentata e consumata) alla responsabilità penale e amministrativa per non avere adottato misure adeguate per evitare che dirigenti e dipendenti commettessero i reati.

Un aspetto molto delicato della vicenda, visto che il comportamento da "furbetti"di Goldman Sachs International di Londra è andato avanti anche negli anni in cui vicepresidente e managing director (amministratore delegato) della società era Mario Draghi, dal dicembre del 2005 governatore della Banca d'Italia. Dalla documentazione acquisita, annotano infatti le Fiamme Gialle in uno dei loro rapporti, è emerso con chiarezza che l'origine e la destinazione finale dei pacchetti azionari movimentati dalle tre filiali europee delle banche d'affari in prossimità dello stacco dei dividendi "sono in realtà riconducibili a investitori residenti in paesi diversi con i quali non risulta stipulata alcuna convenzione che preveda il rimborso del credito di imposta sui dividendi distribuiti da società italiane quotate in Borsa". A chi appartiene per esempio il conto della Deutsche Bank di Londra dal quale Lehman Brothers prende in prestito il pacchetto di azioni Eni nel giugno del 2001? Al fondo Franklin Mutual Series di Short Hills, New Jersey. Un investitore americano: e dunque non titolato a chiedere il rimborso del credito d'imposta. Come non ne avevano diritto gli altri soggetti finanziari dai quali Lehman, Goldman e Jp Morgan hanno preso in prestito quasi tutti gli altri pacchetti azionari. Conclusione amara della Guardia di Finanza: si può "ragionevolmente ipotizzare che le maggiori istituzioni finanziarie estere abbiano costituito un vero e proprio cartello finalizzato ad effettuare in Italia operazioni di "lavaggio dei dividendi"". Un'operazione truffaldina che non si limita alla Gran Bretagna. Se da Londra sono infatti partite richieste sospette di rimborso per 2 miliardi e 200 milioni di euro, anche dalla Francia (l'altro paese con il quale l'Italia ha stipulato un trattato per i crediti d'imposta sui dividendi) sono arrivate istanze per 2 miliardi di euro, molte delle quali inoltrate da Bnp Paribas e Crédit Lyonnais.

Fonte: http://espresso.repubblica.it/

21 giugno 2007

Viva la democrazia!


La "nostra" democrazia vista da un fan del sito di beppegrillo. Il comico della politica italiana.
"I partiti non fanno più politica. I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi.
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente... Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano.
I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della Nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni.
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
Il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità.
Quando si chiedono sacrifici al Paese e si comincia con il chiederli ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire."
fonte beppegrillo.it

20 giugno 2007

Una vita al contrario. 12.L'appeso


Quando spesso ci accorgiamo che stiamo vivendo sulle nuvole è una sensazione o la constatazione di un mondo al contrario?
Zret

La scuola è una sequela di voti, di compiti in classe, di lezioni aride, di scartoffie, di riti inutili ed insensati. Gli adolescenti sono costretti a spendere i migliori anni della loro vita in un ambiente squallido, stritolati da un ingranaggio assurdo che premia i furbi o, nel migliore dei casi, gli allievi scrupolosi, ma poco intelligenti, laddove i ragazzi creativi, originali, anticonformisti sono, non di rado, condannati all'insuccesso ed all'emarginazione. Si aggiungano i rapporti interpersonali improntati ad insana competitività, invidia, insincerità, livore verso alcuni docenti e compagni. Comprendo che gli animi più sensibili restino feriti ed amareggiati di fronte a tale situazione, eppure la scuola è parte del sistema: terminati gli studi, il mondo del lavoro è un'altra bolgia dantesca, una bolgia di un inferno chiamato mondo.

E' illusorio pensare che, oltre le grigie mura degli edifici scolastici, si estenda una realtà differente. E' una realtà con cui bisogna confrontarsi ogni giorno, ogni attimo, grondante lacrime, sudore e sangue. E' un mondo al contrario dove i pochi giusti sono oltraggiati e perseguitati, in cui i meritevoli restano negletti, mentre la moltitudine infinita degli stolti, dei disonesti e degli ignoranti è osannata e potente. Tuttavia quelle che possono sembrare sconfitte (e, in parte, lo sono) rendono sempre più determinati, l'insofferenza per il sistema ci eleva al di sopra del sistema. Siamo così più forti, quando affrontiamo le sfide del destino. Se una persona non vede storture nelle istituzioni e se non prova insofferenza per tutte le aberrazioni della società, allora bisogna preoccuparsi: quella persona è stata vinta, sopraffatta dalla malvagità, la sua anima è stata annichilita. Chi si oppone, chi, pur tra mille contraddizioni, titubanze e difficoltà, rifiuta lo status quo, sebbene possa essere sconfitto sul piano pratico, è un vincitore sotto il profilo morale e spirituale.

E' inutile invocare riforme del sistema educativo: le riforme peggiorano e, se non cambieremo l'umanità, le riforme, per di più volute ed attuate da chi conosciamo bene, resteranno lettera morta. E' fondamentale, invece, cambiare la nostra condotta e la nostra visione degli eventi, riuscendo a ricavare anche dalle esperienze dolorose e persino irrazionali, un insegnamento, uno sprone per non arrendersi, anche se saremo battuti. La sconfitta è la vittoria, come ci insegna Pessoa.

Anche in un carcere come la scuola, si può maturare qualche esperienza significativa, imparare qualcosa, vivere un momento indimenticabile: può essere un aforisma di un autore, l'emozione dopo aver letto una lirica, il sorriso sincero della compagna di banco... E' poco: lo so, ma l'esistenza è avara di gioie e prodiga di sofferenze. La scuola è un errore ed un orrore, ma è altresì una palestra, perché il mondo al di fuori è pure più spaventoso.

Noi siamo fuori posto, siamo in questo mondo e non solo, come affermava il Messia, non gli apparteniamo, ma siamo anche contro, in nome della speranza di una palingenesi che forse non è un'illusione. Continuiamo a combattere dunque, senza circoscrivere, però, tutte le nostre azioni a questa (ex) "aiuola che ci fa tanto feroci".

Se esiste un senso, non possiamo conoscerlo né comprenderlo del tutto e comunque, nonostante fasi di scoramento e persino di disperazione, parole come resa, indifferenza, arrendevolezza ed approvazione del sistema, non appartengono al nostro vocabolario.

17 giugno 2007

Truffa da 4 miliardi di euro allo stato italiano



Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan, tre fra le principali banche d'affari mondiali, costrette a piegarsi davanti alla porta della Procura di Pescara. Bussano per restituire il maltolto e rinunciare a oltre 600 milioni di euro di crediti maturati con l'erario dopo anni di raggiri. Una gigantesca truffa ai danni dello Stato consumata con i pacchetti azionari di investitori di ogni angolo del globo: europei, americani, asiatici, australiani.

Per riuscire a spillare denaro è stato sufficiente chiedere il rimborso del credito d'imposta sui dividendi delle società italiane, facendo credere all'amministrazione finanziaria di averne diritto. Per incassare c'era solo da aspettare; tanto nessuno controllava. In questo modo, secondo i documenti degli inquirenti che "L'espresso" ha potuto visionare, le banche americane e una lunga serie di altri istituti di credito erano riusciti a mettere le mani su una torta miliardaria.

Un giochetto andato avanti per anni, fino a quando la magistratura non ha affondato il bisturi nel bubbone. E allora per le protagoniste dello scandalo sono cominciati i guai. Passando al setaccio oltre 40 mila richieste di rimborso del credito d'imposta sui dividendi per gli anni 1999-2003, il procuratore di Pescara, Nicola Trifuoggi, e i suoi sostituti Giampiero Di Florio (esperto di reati finanziari) e Giuseppe Bellelli, hanno portato alla luce le dimensioni colossali del raggiro: complessivamente, ben 4 miliardi 300 milioni di euro, quasi una manovra finanziaria. E soprattutto, le responsabilità dei vari protagonisti. La scoperta della truffa sui rimborsi, nome in codice "easy credit", risale al 2005 quando, dopo una indagine sulle richieste inoltrate da società inglesi, il Gruppo repressioni frodi della Guardia di finanza di Roma ha trasmesso un rapporto alla Procura di Pescara, competente per territorio visto che nella città abruzzese ha sede il centro operativo dell'Agenzia delle entrate che si occupa di queste pratiche. Secondo la nostra legislazione il diritto al credito d'imposta sui dividendi spetta unicamente alle società e agli enti residenti in Italia. Alcune convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali, come quelle stipulate dall'Italia con la Gran Bretagna e la Francia (hanno funzionato dal 1992 al 2003), prevedono tuttavia l'estensione di questo diritto anche ai residenti nell'altro Stato contraente.

Cosa hanno fatto le tre banche d'affari per mettere le mani sui rimborsi miliardari italiani? Si sono fatte "prestare" temporaneamente da ogni angolo del mondo, da fondi di investimento e istituti di credito delle più svariate nazionalità, pacchetti azionari in maniera che, al momento dello stacco del dividendo delle società italiane, queste azioni risultassero di proprietà delle loro filiali inglesi Lehman Brothers International Europe, Goldman Sachs International e Jp Morgan Securities Limited, tutte e tre con sede a Londra e perciò titolate a chiedere il rimborso. Una volta incassato il dividendo e maturato il credito, tempo qualche settimana, i titoli azionari venivano restituiti agli effettivi proprietari. Un caso tra i tanti. Il 23 marzo 2001, Banca Intesa riceve dalla Deutsche Bank di Londra l'ordine di prelevare 3 milioni di azioni Eni da un proprio conto per girarle a quello della Lehman Brothers International acceso presso la Citibank di Milano.

Il 5 maggio, puntualmente, le azioni entrano sul conto milanese della Lehman. Il 18 giugno avviene lo stacco del dividendo Eni e meno di un mese dopo, maturato il diritto al rimborso, le azioni fanno il percorso inverso rientrando sul conto londinese della Deutsche Bank. In quei giorni di operazioni di questo tipo ne sono state fatte a migliaia, creando un traffico così intenso da fare quasi scoppiare i portafogli-titoli delle tre banche d'affari. Lehman Brothers international Europe, per esempio, rispetto a una giacenza media nell'intero arco del 2001 di 5 milioni 400 mila azioni Eni, nel mese di giugno vedeva il numero dei titoli petroliferi registrati sul proprio conto milanese superare i 155 milioni. Una grande performance, ma non la sola. Anche Goldman Sachs e Jp Morgan sono state attivissime. La prima, rispetto a una giacenza media annuale di meno di 50 mila titoli Eni, sempre nel giugno 2001 arrivava a possederne 355 milioni. Un record di cui la Guardia di Finanza ha messo a nudo tutte le irregolarità, facendo emergere anche le responsabilità di tutte le altre istituzioni che hanno utilizzato le convenzioni bilaterali sui crediti di imposta sui dividendi firmate dall'Italia. La lista degli accusati alla fine potrebbe essere molto lunga: si parla di un totale di circa 4.500 soggetti finanziari che potrebbero finire presto nel registro degli indagati.

Tra di essi spiccano i nomi di colossi come Merrill Lynch, Nomura International, Citigroup Global Markets Limited e la svizzera Ubs, le cui richieste di rimborso hanno rivelato già imperdonabili pecche agli occhi degli investigatori. Ma sul banco degli imputati ci sono per il momento soprattutto le case madri e le filiali europee di Lehman, Goldman e Jp Morgan, molto note e attive da tanto tempo sul nostro mercato finanziario, avendo per esempio curato alcune delle privatizzazioni fatte negli ultimi dieci anni (Comit e Credito commerciale), per non parlare del ruolo svolto in grandi fusioni societarie (Sai-Fondiaria), nel collocamento di società in Borsa e in quelle dei nostri titoli di Stato sul mercato internazionale. Insieme le tre banche avevano richiesto al fisco 709 milioni di euro di rimborsi, oltre 600 dei quali non dovuti. Una vera e propria stangata per l'erario, scongiurata solo grazie all'intervento della magistratura. Davanti ai pm pescaresi, infatti, sperando di limitare i danni, Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan hanno accettato alla fine un accordo che prevede la loro rinuncia ai 600 milioni di rimborsi non spettanti e la restituzione di 52 milioni già incassati (i soli in tanti anni a causa dei cronici e stavolta provvidenziali ritardi del fisco). "Abbiamo transato; la faccenda è chiusa", commentano a Goldman Sachs. "Siamo soddisfatti", dice invece Lehman Brothers: "Abbiamo cooperato con gli inquirenti; la vicenda si sta chiudendo amichevolmente". Ottimismo giustificato? Non proprio, visto che, nonostante la transazione, le accuse a loro carico restano e sono pesantissime: si va dalla truffa ai danni dello Stato (tentata e consumata) alla responsabilità penale e amministrativa per non avere adottato misure adeguate per evitare che dirigenti e dipendenti commettessero i reati.

Un aspetto molto delicato della vicenda, visto che il comportamento da "furbetti"di Goldman Sachs International di Londra è andato avanti anche negli anni in cui vicepresidente e managing director (amministratore delegato) della società era Mario Draghi, dal dicembre del 2005 governatore della Banca d'Italia. Dalla documentazione acquisita, annotano infatti le Fiamme Gialle in uno dei loro rapporti, è emerso con chiarezza che l'origine e la destinazione finale dei pacchetti azionari movimentati dalle tre filiali europee delle banche d'affari in prossimità dello stacco dei dividendi "sono in realtà riconducibili a investitori residenti in paesi diversi con i quali non risulta stipulata alcuna convenzione che preveda il rimborso del credito di imposta sui dividendi distribuiti da società italiane quotate in Borsa". A chi appartiene per esempio il conto della Deutsche Bank di Londra dal quale Lehman Brothers prende in prestito il pacchetto di azioni Eni nel giugno del 2001? Al fondo Franklin Mutual Series di Short Hills, New Jersey. Un investitore americano: e dunque non titolato a chiedere il rimborso del credito d'imposta. Come non ne avevano diritto gli altri soggetti finanziari dai quali Lehman, Goldman e Jp Morgan hanno preso in prestito quasi tutti gli altri pacchetti azionari. Conclusione amara della Guardia di Finanza: si può "ragionevolmente ipotizzare che le maggiori istituzioni finanziarie estere abbiano costituito un vero e proprio cartello finalizzato ad effettuare in Italia operazioni di "lavaggio dei dividendi"". Un'operazione truffaldina che non si limita alla Gran Bretagna. Se da Londra sono infatti partite richieste sospette di rimborso per 2 miliardi e 200 milioni di euro, anche dalla Francia (l'altro paese con il quale l'Italia ha stipulato un trattato per i crediti d'imposta sui dividendi) sono arrivate istanze per 2 miliardi di euro, molte delle quali inoltrate da Bnp Paribas e Crédit Lyonnais.

Fonte: http://espresso.repubblica.it/