02 settembre 2007

L'Antipolitica


Si parla spesso di Antipolitica come di una cosa qualunquista o distante dai palazzi della democrazia, ma è veramente così?

Si può ricordare che la protesta fiscale è il germe da cui sono nate le democrazie (il saccheggio del thè inglese in America fu una rivolta fiscale), e la rivolta contro le classi parassitarie il fondamento delle repubbliche, a cominciare dalla francese: dunque è «politica» al più alto grado, o se vogliamo al grado più elementare e fondamentale.
E' il popolo che chiede conto ai suoi governanti divenuti sfruttatori costosi e parassiti inutili.
La rivoluzione francese fu l'eliminazione di una casta dominante che, sempre più costosa, aveva da tempo superato la sua utilità sociale, la difesa del suolo, compito della nobiltà medievale.
Veneziani, correggendosi e dando ragione a Stella, ha detto allora la cosa giustissima: la classe politica italiana governa sempre meno, perché le decisioni vere e gravi sono prese sopra la sua testa da entità sovrannazionali e oligarchiche (dalla UE al Fondo Monetario, dal WTO all'ONU), a cui ha ceduto la sovranità ricevuta dal popolo, e questo spiega l'esasperazione popolare verso i suoi lussi.
Infatti è questo il tema centrale della «politica», oggi.
L'esproprio della democrazia da parte di oligarchie e parassiti.
Una classe politica che governa sempre meno ma costa sempre di più, che non gestisce quasi più nulla ma si paga privilegi sempre più gravosi per la popolazione contribuente, è la definizione stessa di «classe parassitaria».
La stessa che si applicò, nel 1789, all'aristocrazia francese che viveva tra sfarzi e balli a Versailles, dimentica dei suoi compiti antichi.
La società italiana lo sente, e protesta; ma la sua protesta è inarticolata, perché non è riflessiva, e gli intellettuali non prestano ad essa la parola.
Ma oggi, la domanda deve essere più articolata.
Versailles era un centro di spesa unico e solitario.
Oggi, i centri della cosiddetta «democrazia» inadempiente sono prodigiosamente moltiplicati: Stato, regioni, province, consigli di zona (i cui presidenti a Milano già prendono 2 mila euro mensili), consigli di amministrazione, enti autonomi, consulenze, comunità montane (spesso sulle spiagge)… com'è accaduto che una classe politica che gestisce poco o nulla, abbia moltiplicato a tal punto gli strati di decisione «politica», asseritamente «democratica»?
Ovviamente, tutti vedono - anche se nessuno ne parla - che questa proliferazione cancerosa di strati «democratici» non rafforza affatto la democrazia, ma la ammala e falsifica.
I problemi di una quartiere urbano hanno davvero bisogno di un «consiglio» politico, ossia di un luogo dove la decisione è presa da un micro-parlamento in cui sono rappresentate maggioranza e opposizione?
Per rispondere, bisognerebbe aver chiaro a che cosa serve la politica nelle repubbliche.
Serve a decidere su grandi problemi la cui natura è «opinabile», ossia soggetta a discussione.
La Regione è più lontana ai cittadini dello Stato.
Di questo, i giornali nazionali parlano, bene o male è sotto l'occhio dell'opinione pubblica (anche se i «politici» fanno tutto per affumicare la «casa di vetro»): proprio la visibilità della politica di Stato è uno degli argomenti a favore della ri-centralizzazione.
Di ciò che si fa in Regione, pochissimo sanno.
Le Regioni sono un colossale moltiplicato centro di clientelismo e costi indebiti.
Lo ripeto: sono un fallimento.
Lo devo ripetere perché - fatto singolare - nessuno lo dice.
Non i politici (e si capisce: 12 mila euro mensili ai consiglieri regionali, autoblù agli assessori, miliardi di consulenze agli amichetti di parte, sinecure ai trombati), ma nemmeno gli intellettuali, i giornalisti, i giuristi.
Pare che le Regioni siano un sacro tabù.
L'argomento retorico è che si è portata la «democrazia», o «la partecipazione», più vicina ai cittadini.
E' falsissimo dogma della sinistra ideologica.
L'antipolitica non è la rabbia contro i miliardari pubblici; l'antipolitica è quello che fanno lorsignori.
E la loro incapacità di auto-riformarsi, di rinunciare ai loro privilegi come fece l'aristocrazia francese - in ritardo fatale - alla Pallacorda.
Cova la rivoluzione anche da noi?
Gli antipolitici che noi paghiamo sempre di più, coi nostri salari sempre più piccoli, perché si godano le loro Versailles e discutano di «alleanze» e simili coglionate a Telese.
A Telese!
Già questo dice lo stato della «democrazia»: il feudo del capataz Mastella diventa il palco della «politica nazionale».
Ma almeno, sempre meno gente si scappella quando i capataz passano, come facevano i contadini di sua maestà; e invece, sempre più gente rumoreggia, li minaccia col pugno, li vuole morti o appesi a Loreto.
Non è già un segno politico, questo?
Io credo di sì.
Un segnale importante, minaccioso.
Il popolo vuole di nuovo far paura ai suoi sfruttatori.
«El pueblo unido», come dicono a sinistra certi marpioni del Manifesto, che quando il popolo si unisce trovano da ridire spocchiosi e snob.
Il popolo è stufo dei parassiti: il momento è storico, guevaristi da superattico: non vi perdete almeno questa rivoluzione possibile.

fonte Maurizio Blondet

30 agosto 2007

La crisi bancaria mondiale



Mentre la stampa internazionale intona all'unisono “per fortuna non ci siamo fatti niente”, la crisi bancaria globale che ha dominato il mese di agosto continua imperterrita. Quanto sia disperata la situazione è riflesso nelle due iniziative prese dalla Federal Reserve nella penultima settimana d'agosto.
Primo, la Fed ha reso nota la propria disponibilità ad accettare dalle banche titoli ABCP (Asset Backed Commercial Papers, ovvero strumenti finanziari emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione dei crediti) come collaterale per prestiti da essa concessi, decisione presa per rispondere al fatto che quei titoli non trovavano più acquirenti tra le banche commerciali. L'annuncio, dato per la Fed da Andrew Williams il 24 agosto, è citato da Bloomberg.
Secondo, la Federal Reserve ha accettato di forzare la regolamentazione bancaria per effettuare il salvataggio di Citigroup e Bank of America. Alla richiesta in tal senso delle due banche, la Fed rispondeva il 20 agosto esentandole ambedue dalla regola che limita il volume di prestito che possono emettere attraverso imprese di brokeraggio associate. Altre banche, compresa la J.P. Morgan, hanno probabilmente ottenuto la stessa esenzione.
La normativa federale limita l'esposizione dei finanziamenti verso una affiliata al 10% del capitale della banca. Adesso la Fed consente a Citibank e Bank of America di emettere prestiti per un massimo di 25 miliardi, cosa che, nel caso di Citibank rappresenta il 30% del suo capitale. Sebbene si parli di una esenzione temporanea, una data di scadenza non è stata però menzionata.
Le banche pubbliche tedesche continuano a preoccupare
La crisi dei subprime ha colpito la Industriebank (IKB), che il 30 luglio ha rischiato l'insolvenza, e la Sachsen LandesBank entrata in crisi la settimana seguente. Le banche pubbliche tedesche sono anche diventate l'obiettivo di “rumors” e di operazioni di guerra psicologica. Con le sue 2100 banche, cinque volte più numerose di quelle inglesi e quattro volte più di quelle francesi, la Germania ne ha troppe, di banche, sostiene questo dibattito orchestato che conclude: quindi si capisce che è ora di fare pulizia.
Storicamente il sistema bancario pubblico tedesco si è sviluppato in rapporto al Mittelstand, la piccola e media industria, e ha tradizionalmente provveduto al bene comune, in particolare grazie alla strutture delle casse di risparmio locali e delle banche regionali. Queste costituiscono in pratica una rete che sin ora ha cercato di frenare gli eccessi speculativi ed ha esteso il credito a lungo termine al Mittelstand. Di contro, le banche private globalizzate vedono in tale struttura il proprio nemico numero uno.
L'attacco alle banche pubbliche, che complessivamente gestiscono un volume di capitali di circa 2 miliardi di euro che fanno tanto gola agli speculatori, è in atto già da anni, con la Commissione UE che nel 2005 si è prestata per abolire le garanzie statali a queste banche. Da allora le banche pubbliche sono state costrette a esporsi sempre di più in operazioni speculative ad alto rischio e sembra ora che la Sachsen LB avesse in mano una delle bolle più voluminose, attraverso la divisione Sachsen LB Europe di Dublino, per un totale di 65 miliardi di dollari. Già solo il fondo Ormond Quay registrato a Dublino ha emesso 17,5 miliardi di prestiti garantiti da asset 3,5 miliardi dei quali in mutui subprime negli USA. Un fondo secondario gestito dalla filiale di Dublino con un capitale inferiore ai 200 milioni di euro è arrivato ad emettere crediti fino a 20 miliardi di euro. Altre tre banche pubbliche tedesche - West LB, HSH Nordbank e Bayern LB - hanno ammesso di operare nel mercato dei subprime negli USA e di essere esposte a rischi, pur senza fornire alcuna cifra.
Il 26 agosto si è tenuta l'assemblea d'emergenza dei soci di Sachsen LB - lo stato della Sassonia (37%) e il gruppo delle casse di risparmio delle Sassonia (63%) . E' stata decisa la vendita alla più grande banca pubblica tedesca, la LBBW del Baden-Wuerttemberg. Questo nominalmente consente di mantenere il controllo “pubblico” sulla banca, ma non affronta in alcun modo il problema delle banche costrette a rischiare sui mercati speculativi, in barba al mandato originale di provvedere agli investimenti per il bene comune.
In tale contesto, sulla stampa tedesca qualcuno ha fatto notare come banche quali Sachsen LB, West LB, LB Schleswig-Holstein e LB Hamburg subirono perdite solenni in occasione del tracollo dei derivati del 2000-2001 quando la londinese Barclays Capital piazzò titoli CDO per centinaia di milioni di euro a ciascuna di queste banche.
Tutta questa situazione, ma la colpa dei cittadini che lavorano qual'è?

29 agosto 2007

I cicli economici e scommesse di crack finanziario



Noi tutti viviamo in cicli naturali di una certa ampiezza ed intensità. Anzi, la frequenza delle nostre onde influenza la nostra vita ed il nostro modo di comportarci.
Chi studia i cicli economici conosce il loro l'andamento e l'influenza sulle borse mondiali.
Vediamo come nascono le scommesse sulla borsa. Un anonimo speculatore
ha acquistando nei giorni scorsi 245 mila opzioni «put» sull’indice Eurostoxx 50 del Dow Jones.
E’ una scommessa rischiosa: se le azioni mondiali non precipiteranno di tanto, il compratore misterioso rischia di perdere un miliardo di dollari.
Ma se ha ragione lui, guadagnerà miliardi ed anche più.
Il personaggio deve essere sicuro del fatto suo: è certo che qualcosa di brutto accadrà tra oggi e il 21 settembre, la data in cui le opzioni perdono il diritto di essere comprate o vendute.

Che cosa può accadere?
I mercati stanno già cadendo, ma non nella misura imponente prevista dall’anonimo.
Tuttavia alcuni analisti finanziari puntano il dito sul fatto che, nell’accresciuta volatilità e avversione al rischio di questi giorni, si è apprezzato lo yen, la valuta tanto largamente usata dalla speculazione per il «carry trade»: gli speculatori hanno contratto debiti a breve in yen (a tasso basso) ed hanno prestato a lungo termine in «investimenti» a tasso più alto.
Ma ora che lo yen risale, il loro debito in yen sale e rischia di schiacciarli.
Ciò profila altre bancarotte, oltre a quelle attese a danno dei demenziali compratori di titoli «subprime» (garantiti da mutui ormai inesigibili, concessi a persone senza reddito certo): un doppio crack.
Gli indebitati in yen sono infatti obbligati a sbolognare i loro crediti a lungo termine (se c’è chi li compra) per comprare gli yen con cui estinguere i loro debiti giapponesi.
Ciò, come minimo, forzerà verso l’alto i tassi d’interesse a lungo termine.
Di conseguenza, anche il costo dei mutui variabili aumenterà, accrescendo il numero dei mutuarati insolventi, accelerando così il crack immobiliare USA (più case invendute offerte a prezzi da liquidazione) e dunque precipitando la recessione americana.
E’ questo che prevede l’anonimo scommettitore nel più imponente crollo di mercato dal 1929?
E’ possibile
Ma come fa ad essere sicuro della data, entro il 21 settembre?

C’è un’altra ipotesi, più inquietante: che l’anonimo «sappia» di un attentato tipo 11 settembre fissato per quella data o poco prima.
Come si ricorderà, anche ai primi di settembre del 2001 alcuni anonimi profeti comprarono una quantità anomala di opzioni put su United Airlines ed American Airlines, scommettendo su un clamoroso ed improvviso ribasso delle due compagnie aeree: coinvolte coi loro velivoli nel mega-attentato firmato bin Laden, le due compagnie videro precipitare le loro azioni da 30 dollari a 18 in poche ore.
Gli anonimi scommettitori fecero un bel profitto, parte del quale non osarono però ritirare perché li avrebbe rivelati come «insider» della morte.
Come si sa, parte degli ordini «put» risultò partito da una banca d’affari, la AB-Brown, di cui era stato presidente esecutivo A.B. «Buzzy» Krongard, uno dei capi della CIA alla data dell’attentato.
Tuttavia il profitto di quella speculazione sul terrore si valutò allora a una decina di milioni di dollari; nulla rispetto al profitto atteso dal nuovo misterioso speculatore.
Si attende un evento evidentemente più catastrofico e sorprendente dell’11 settembre.
Un evento capace di produrre un crollo così rilevante sarebbe, poniamo, la svendita massiccia delle sue vaste riserve in dollari da parte della Cina, il che sembra improbabile.
Il peggio è che lo speculatore misterioso ha puntato sul crollo di un indice azionario europeo: «sa» che la catastrofe attesa colpirà l’Europa, piuttosto che gli Stati Uniti?
Può essere necessario un attentato giustificativo per un intervento che certo scuoterebbe i mercati?
Senza scomodarci molto, guardando la figura in alto si notano i cicli economici di breve, e la coincidenza con i ciclo a 5 anni. Una convergenza di frequenze tarate per un periodo importante.
La stessa operazione fu fatta per il 15 settembre 2001 e, in quella occasione il ciclo decennale ha aumentato i suoi effetti.
Certo che il ciclo peggiore è il ciclo a 70 anni ( periodo simbolo di ogni ciclo economico) che dal 1929 ha portato ad una serie di successi per le banche e, le borse. Sarà sempre così? Per la fine di quel ciclo c'è ancora tempo,... alcuni anni.

02 settembre 2007

L'Antipolitica


Si parla spesso di Antipolitica come di una cosa qualunquista o distante dai palazzi della democrazia, ma è veramente così?

Si può ricordare che la protesta fiscale è il germe da cui sono nate le democrazie (il saccheggio del thè inglese in America fu una rivolta fiscale), e la rivolta contro le classi parassitarie il fondamento delle repubbliche, a cominciare dalla francese: dunque è «politica» al più alto grado, o se vogliamo al grado più elementare e fondamentale.
E' il popolo che chiede conto ai suoi governanti divenuti sfruttatori costosi e parassiti inutili.
La rivoluzione francese fu l'eliminazione di una casta dominante che, sempre più costosa, aveva da tempo superato la sua utilità sociale, la difesa del suolo, compito della nobiltà medievale.
Veneziani, correggendosi e dando ragione a Stella, ha detto allora la cosa giustissima: la classe politica italiana governa sempre meno, perché le decisioni vere e gravi sono prese sopra la sua testa da entità sovrannazionali e oligarchiche (dalla UE al Fondo Monetario, dal WTO all'ONU), a cui ha ceduto la sovranità ricevuta dal popolo, e questo spiega l'esasperazione popolare verso i suoi lussi.
Infatti è questo il tema centrale della «politica», oggi.
L'esproprio della democrazia da parte di oligarchie e parassiti.
Una classe politica che governa sempre meno ma costa sempre di più, che non gestisce quasi più nulla ma si paga privilegi sempre più gravosi per la popolazione contribuente, è la definizione stessa di «classe parassitaria».
La stessa che si applicò, nel 1789, all'aristocrazia francese che viveva tra sfarzi e balli a Versailles, dimentica dei suoi compiti antichi.
La società italiana lo sente, e protesta; ma la sua protesta è inarticolata, perché non è riflessiva, e gli intellettuali non prestano ad essa la parola.
Ma oggi, la domanda deve essere più articolata.
Versailles era un centro di spesa unico e solitario.
Oggi, i centri della cosiddetta «democrazia» inadempiente sono prodigiosamente moltiplicati: Stato, regioni, province, consigli di zona (i cui presidenti a Milano già prendono 2 mila euro mensili), consigli di amministrazione, enti autonomi, consulenze, comunità montane (spesso sulle spiagge)… com'è accaduto che una classe politica che gestisce poco o nulla, abbia moltiplicato a tal punto gli strati di decisione «politica», asseritamente «democratica»?
Ovviamente, tutti vedono - anche se nessuno ne parla - che questa proliferazione cancerosa di strati «democratici» non rafforza affatto la democrazia, ma la ammala e falsifica.
I problemi di una quartiere urbano hanno davvero bisogno di un «consiglio» politico, ossia di un luogo dove la decisione è presa da un micro-parlamento in cui sono rappresentate maggioranza e opposizione?
Per rispondere, bisognerebbe aver chiaro a che cosa serve la politica nelle repubbliche.
Serve a decidere su grandi problemi la cui natura è «opinabile», ossia soggetta a discussione.
La Regione è più lontana ai cittadini dello Stato.
Di questo, i giornali nazionali parlano, bene o male è sotto l'occhio dell'opinione pubblica (anche se i «politici» fanno tutto per affumicare la «casa di vetro»): proprio la visibilità della politica di Stato è uno degli argomenti a favore della ri-centralizzazione.
Di ciò che si fa in Regione, pochissimo sanno.
Le Regioni sono un colossale moltiplicato centro di clientelismo e costi indebiti.
Lo ripeto: sono un fallimento.
Lo devo ripetere perché - fatto singolare - nessuno lo dice.
Non i politici (e si capisce: 12 mila euro mensili ai consiglieri regionali, autoblù agli assessori, miliardi di consulenze agli amichetti di parte, sinecure ai trombati), ma nemmeno gli intellettuali, i giornalisti, i giuristi.
Pare che le Regioni siano un sacro tabù.
L'argomento retorico è che si è portata la «democrazia», o «la partecipazione», più vicina ai cittadini.
E' falsissimo dogma della sinistra ideologica.
L'antipolitica non è la rabbia contro i miliardari pubblici; l'antipolitica è quello che fanno lorsignori.
E la loro incapacità di auto-riformarsi, di rinunciare ai loro privilegi come fece l'aristocrazia francese - in ritardo fatale - alla Pallacorda.
Cova la rivoluzione anche da noi?
Gli antipolitici che noi paghiamo sempre di più, coi nostri salari sempre più piccoli, perché si godano le loro Versailles e discutano di «alleanze» e simili coglionate a Telese.
A Telese!
Già questo dice lo stato della «democrazia»: il feudo del capataz Mastella diventa il palco della «politica nazionale».
Ma almeno, sempre meno gente si scappella quando i capataz passano, come facevano i contadini di sua maestà; e invece, sempre più gente rumoreggia, li minaccia col pugno, li vuole morti o appesi a Loreto.
Non è già un segno politico, questo?
Io credo di sì.
Un segnale importante, minaccioso.
Il popolo vuole di nuovo far paura ai suoi sfruttatori.
«El pueblo unido», come dicono a sinistra certi marpioni del Manifesto, che quando il popolo si unisce trovano da ridire spocchiosi e snob.
Il popolo è stufo dei parassiti: il momento è storico, guevaristi da superattico: non vi perdete almeno questa rivoluzione possibile.

fonte Maurizio Blondet

30 agosto 2007

La crisi bancaria mondiale



Mentre la stampa internazionale intona all'unisono “per fortuna non ci siamo fatti niente”, la crisi bancaria globale che ha dominato il mese di agosto continua imperterrita. Quanto sia disperata la situazione è riflesso nelle due iniziative prese dalla Federal Reserve nella penultima settimana d'agosto.
Primo, la Fed ha reso nota la propria disponibilità ad accettare dalle banche titoli ABCP (Asset Backed Commercial Papers, ovvero strumenti finanziari emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione dei crediti) come collaterale per prestiti da essa concessi, decisione presa per rispondere al fatto che quei titoli non trovavano più acquirenti tra le banche commerciali. L'annuncio, dato per la Fed da Andrew Williams il 24 agosto, è citato da Bloomberg.
Secondo, la Federal Reserve ha accettato di forzare la regolamentazione bancaria per effettuare il salvataggio di Citigroup e Bank of America. Alla richiesta in tal senso delle due banche, la Fed rispondeva il 20 agosto esentandole ambedue dalla regola che limita il volume di prestito che possono emettere attraverso imprese di brokeraggio associate. Altre banche, compresa la J.P. Morgan, hanno probabilmente ottenuto la stessa esenzione.
La normativa federale limita l'esposizione dei finanziamenti verso una affiliata al 10% del capitale della banca. Adesso la Fed consente a Citibank e Bank of America di emettere prestiti per un massimo di 25 miliardi, cosa che, nel caso di Citibank rappresenta il 30% del suo capitale. Sebbene si parli di una esenzione temporanea, una data di scadenza non è stata però menzionata.
Le banche pubbliche tedesche continuano a preoccupare
La crisi dei subprime ha colpito la Industriebank (IKB), che il 30 luglio ha rischiato l'insolvenza, e la Sachsen LandesBank entrata in crisi la settimana seguente. Le banche pubbliche tedesche sono anche diventate l'obiettivo di “rumors” e di operazioni di guerra psicologica. Con le sue 2100 banche, cinque volte più numerose di quelle inglesi e quattro volte più di quelle francesi, la Germania ne ha troppe, di banche, sostiene questo dibattito orchestato che conclude: quindi si capisce che è ora di fare pulizia.
Storicamente il sistema bancario pubblico tedesco si è sviluppato in rapporto al Mittelstand, la piccola e media industria, e ha tradizionalmente provveduto al bene comune, in particolare grazie alla strutture delle casse di risparmio locali e delle banche regionali. Queste costituiscono in pratica una rete che sin ora ha cercato di frenare gli eccessi speculativi ed ha esteso il credito a lungo termine al Mittelstand. Di contro, le banche private globalizzate vedono in tale struttura il proprio nemico numero uno.
L'attacco alle banche pubbliche, che complessivamente gestiscono un volume di capitali di circa 2 miliardi di euro che fanno tanto gola agli speculatori, è in atto già da anni, con la Commissione UE che nel 2005 si è prestata per abolire le garanzie statali a queste banche. Da allora le banche pubbliche sono state costrette a esporsi sempre di più in operazioni speculative ad alto rischio e sembra ora che la Sachsen LB avesse in mano una delle bolle più voluminose, attraverso la divisione Sachsen LB Europe di Dublino, per un totale di 65 miliardi di dollari. Già solo il fondo Ormond Quay registrato a Dublino ha emesso 17,5 miliardi di prestiti garantiti da asset 3,5 miliardi dei quali in mutui subprime negli USA. Un fondo secondario gestito dalla filiale di Dublino con un capitale inferiore ai 200 milioni di euro è arrivato ad emettere crediti fino a 20 miliardi di euro. Altre tre banche pubbliche tedesche - West LB, HSH Nordbank e Bayern LB - hanno ammesso di operare nel mercato dei subprime negli USA e di essere esposte a rischi, pur senza fornire alcuna cifra.
Il 26 agosto si è tenuta l'assemblea d'emergenza dei soci di Sachsen LB - lo stato della Sassonia (37%) e il gruppo delle casse di risparmio delle Sassonia (63%) . E' stata decisa la vendita alla più grande banca pubblica tedesca, la LBBW del Baden-Wuerttemberg. Questo nominalmente consente di mantenere il controllo “pubblico” sulla banca, ma non affronta in alcun modo il problema delle banche costrette a rischiare sui mercati speculativi, in barba al mandato originale di provvedere agli investimenti per il bene comune.
In tale contesto, sulla stampa tedesca qualcuno ha fatto notare come banche quali Sachsen LB, West LB, LB Schleswig-Holstein e LB Hamburg subirono perdite solenni in occasione del tracollo dei derivati del 2000-2001 quando la londinese Barclays Capital piazzò titoli CDO per centinaia di milioni di euro a ciascuna di queste banche.
Tutta questa situazione, ma la colpa dei cittadini che lavorano qual'è?

29 agosto 2007

I cicli economici e scommesse di crack finanziario



Noi tutti viviamo in cicli naturali di una certa ampiezza ed intensità. Anzi, la frequenza delle nostre onde influenza la nostra vita ed il nostro modo di comportarci.
Chi studia i cicli economici conosce il loro l'andamento e l'influenza sulle borse mondiali.
Vediamo come nascono le scommesse sulla borsa. Un anonimo speculatore
ha acquistando nei giorni scorsi 245 mila opzioni «put» sull’indice Eurostoxx 50 del Dow Jones.
E’ una scommessa rischiosa: se le azioni mondiali non precipiteranno di tanto, il compratore misterioso rischia di perdere un miliardo di dollari.
Ma se ha ragione lui, guadagnerà miliardi ed anche più.
Il personaggio deve essere sicuro del fatto suo: è certo che qualcosa di brutto accadrà tra oggi e il 21 settembre, la data in cui le opzioni perdono il diritto di essere comprate o vendute.

Che cosa può accadere?
I mercati stanno già cadendo, ma non nella misura imponente prevista dall’anonimo.
Tuttavia alcuni analisti finanziari puntano il dito sul fatto che, nell’accresciuta volatilità e avversione al rischio di questi giorni, si è apprezzato lo yen, la valuta tanto largamente usata dalla speculazione per il «carry trade»: gli speculatori hanno contratto debiti a breve in yen (a tasso basso) ed hanno prestato a lungo termine in «investimenti» a tasso più alto.
Ma ora che lo yen risale, il loro debito in yen sale e rischia di schiacciarli.
Ciò profila altre bancarotte, oltre a quelle attese a danno dei demenziali compratori di titoli «subprime» (garantiti da mutui ormai inesigibili, concessi a persone senza reddito certo): un doppio crack.
Gli indebitati in yen sono infatti obbligati a sbolognare i loro crediti a lungo termine (se c’è chi li compra) per comprare gli yen con cui estinguere i loro debiti giapponesi.
Ciò, come minimo, forzerà verso l’alto i tassi d’interesse a lungo termine.
Di conseguenza, anche il costo dei mutui variabili aumenterà, accrescendo il numero dei mutuarati insolventi, accelerando così il crack immobiliare USA (più case invendute offerte a prezzi da liquidazione) e dunque precipitando la recessione americana.
E’ questo che prevede l’anonimo scommettitore nel più imponente crollo di mercato dal 1929?
E’ possibile
Ma come fa ad essere sicuro della data, entro il 21 settembre?

C’è un’altra ipotesi, più inquietante: che l’anonimo «sappia» di un attentato tipo 11 settembre fissato per quella data o poco prima.
Come si ricorderà, anche ai primi di settembre del 2001 alcuni anonimi profeti comprarono una quantità anomala di opzioni put su United Airlines ed American Airlines, scommettendo su un clamoroso ed improvviso ribasso delle due compagnie aeree: coinvolte coi loro velivoli nel mega-attentato firmato bin Laden, le due compagnie videro precipitare le loro azioni da 30 dollari a 18 in poche ore.
Gli anonimi scommettitori fecero un bel profitto, parte del quale non osarono però ritirare perché li avrebbe rivelati come «insider» della morte.
Come si sa, parte degli ordini «put» risultò partito da una banca d’affari, la AB-Brown, di cui era stato presidente esecutivo A.B. «Buzzy» Krongard, uno dei capi della CIA alla data dell’attentato.
Tuttavia il profitto di quella speculazione sul terrore si valutò allora a una decina di milioni di dollari; nulla rispetto al profitto atteso dal nuovo misterioso speculatore.
Si attende un evento evidentemente più catastrofico e sorprendente dell’11 settembre.
Un evento capace di produrre un crollo così rilevante sarebbe, poniamo, la svendita massiccia delle sue vaste riserve in dollari da parte della Cina, il che sembra improbabile.
Il peggio è che lo speculatore misterioso ha puntato sul crollo di un indice azionario europeo: «sa» che la catastrofe attesa colpirà l’Europa, piuttosto che gli Stati Uniti?
Può essere necessario un attentato giustificativo per un intervento che certo scuoterebbe i mercati?
Senza scomodarci molto, guardando la figura in alto si notano i cicli economici di breve, e la coincidenza con i ciclo a 5 anni. Una convergenza di frequenze tarate per un periodo importante.
La stessa operazione fu fatta per il 15 settembre 2001 e, in quella occasione il ciclo decennale ha aumentato i suoi effetti.
Certo che il ciclo peggiore è il ciclo a 70 anni ( periodo simbolo di ogni ciclo economico) che dal 1929 ha portato ad una serie di successi per le banche e, le borse. Sarà sempre così? Per la fine di quel ciclo c'è ancora tempo,... alcuni anni.