12 novembre 2007

E Clementina disse: "Il re è nudo"


Le richieste del gip Forleo e la memoria del pm Orsi.

L'attesa è durata un paio d'anni, ma alfine il momento è arrivato. Il giudice per le indagini preliminari di Milano nel luglio 2007 chiede al Parlamento di poter utilizzare nel processo sulle scalate le telefonate degli indagati (Giovanni Consorte e altri) ad alcuni parlamentari, tra cui Massimo D'Alema, Nicola Latorre e Piero Fassino. Il gip è Clementina Forleo. Il testo della sua richiesta è esplosivo. Perché dice che i politici coinvolti non sono "passivi ricettori di informazioni", né "personaggi animati da sana tifoseria", ma "consapevoli complici di un disegno criminoso".

Scoppia la polemica: può un gip ipotizzare elementi d'accusa, al posto del pm? e può farlo nei confronti di parlamentari? Il dibattito giuridico è interessante. Ma non può far dimenticare la sostanza politica della faccenda, ben soda sotto il più morbido piano giudiziario: anche a prescindere dagli aspetti penali, è chiaro che le scalate dell'estate 2005 sarebbero state impensabili senza robuste sponde politiche, a destra e a sinistra.

Lo confermano i testi delle telefonate, disponibili per la prima volta nella loro trascrizione ufficiale, allegati alla richiesta alle Camere. A destra si fa riferimento al "Gran Capo" (Silvio Berlusconi). A sinistra il ruolo dei Ds appare determinante: Latorre è il punto di contatto tra gli scalatori (Giovanni Consorte, Stefano Ricucci) e D'Alema; D'Alema è parte attiva nelle trattative (con Francesco Gaetano Caltagirone, con Vito Bonsignore, con non meglio precisati ambienti milanesi...).


La reazione di D'Alema è perfettamente berlusconiana. A Repubblica parla di «spazzatura». E aggiunge: «Non si può crocifiggere in questo modo un cittadino, formulando un giudizio che pare già una sentenza. Così salta per aria il sistema democratico...». Al Tg5 minimizza soffermandosi solo sulla battuta ironica a Consorte del «facci sognare»: «E che è, un reato dirlo? Questo è il tema per cui viene messa sotto accusa la classe dirigente? Lasciatemi dire che è un'indecenza».

Invece non c'è solo il tifo, gli elementi d'accusa sono consistenti. Lo conferma anche la memoria del pubblico ministero Luigi Orsi, al termine dell'indagine sulla scalata Bnl. Vi si parla della «contropartita politica» che Bonsignore chiede a D'Alema per venire incontro all'Unipol di Consorte nella scalata alla Bnl. E della volontà di «essere amico» di Unipol, annunciata da Caltagirone al deputato ds Nicola Latorre.

1. Consorte (indagato per aggiotaggio informativo e manipolativo nella scalata di Unipol a Bnl) il 14 luglio 2005 chiede a D'Alema di Bonsignore, lo vorrebbe alleato. E D'Alema: «Ho parlato con Bonsignore, che dice cosa deve fare, uscire o restare un anno... Se vi serve, resta... Evidentemente è interessato a latere in un tavolo politico». «Chiaro», risponde Consorte, «nessuno fa niente per niente». Nella memoria del pm Orsi al gip Forleo, ecco come la telefonata è spiegata: «L'on. D'Alema e Consorte trattano un tema specifico: il rapporto di Unipol con uno dei contropattisti, Bonsignore. D'Alema riferisce a Consorte che Bonsignore non vende la sua quota, rimane socio di Bnl per qualche tempo ma vuole una contropartita politica».

2. In un'altra telefonata del 14 luglio, Consorte parla con Latorre: «L'on. Latorre informa Consorte d'avere ricevuto una "chiamata" da Caltagirone, il quale gli ha confermato che venderà a Unipol (le sue azioni Bnl, ndr) perché vuole esserne amico». Queste e altre telefonate sono rilevanti per «l'indagato Consorte» perché «ai suoi interlocutori, proprio nel periodo in cui il reato di aggiotaggio si sta consumando, fornisce particolari operativi». Fino a commettere al telefono, per il pm, un secondo reato, diverso dall'aggiotaggio, l'insider trading, seppure nella versione più leggera: «Il 14 luglio Consorte informa D'Alema che lunedì 18 luglio Unipol lancerà l' Opa su Bnl. Questa comunicazione riguarda una notizia riservata (informazione privilegiata) che Consorte porta a conoscenza di una persona estranea al novero di quelle legittimate a conoscerne riservatamente» in base alla legge. Per il pm, già solo «così operando, Consorte consuma un fatto di insider trading (abuso di informazioni privilegiate), e la conversazione telefonica è l'unica fonte di prova di questo fatto di reato». (suo, non di D'Alema, perché chi riceve una notizia privilegiata incorre nel reato solo se la utilizza sul mercato).

3. Ci sono poi «la conversazione del 15 luglio in cui Consorte informa Latorre di avere già il 51% e mezzo di Bnl»; e «quella del 17 luglio con l'on. Fassino» nella quale, secondo il pm Orsi, «Consorte reitera la propalazione di informazioni privilegiate, scandendo i nomi dei soci che lo affiancheranno l' indomani nel lancio dell' Opa».

4. Per insider trading su Bnl, per il pm, dovrebbe essere indagato anche Stefano Ricucci per le telefonate del 7 e 8 luglio con Latorre.

5. Nell'inchiesta sulla scalata Rcs, i pm Giulia Perrotti ed Eugenio Fusco chiedono al gip l'uso delle sue «ripetute telefonate» con un senatore di Forza Italia, Romano Comincioli, «estremamente rilevanti per chiarire il quadro delle alleanze di cui Ricucci poteva godere nella scalata e, quindi, dei concorrenti nel reato» di aggiotaggio. Sul lato destro, secondo l'accusa, si sono dati da fare per gli scalatori almeno tre parlamentari di Forza Italia: Comincioli, Grillo e Cicu.

Ma proviamo a prescindere dalle ipotesi d'accusa penali, dai complessi reati d'aggiotaggio e insider trading, che saranno i processi a verificare. Restiamo sul piano politico. Sono cristallini i comportamenti di D'Alema, Latorre e Fassino?

1. I tre hanno trascinato il più grande partito della sinistra in una brutta storia. Niente di male a volere una banca per il movimento cooperativo, ma perché farlo schierandosi a fianco del peggio della finanza italiana, sdoganando furbetti e avventurieri?

2. Niente di male a volere una banca per il movimento cooperativo, ma perché farlo appoggiando protagonisti che violano l'intero campionario dei reati finanziari?

3. Niente di male a volere una banca per il movimento cooperativo, ma perché farlo offrendo in cambio contropartite politiche e accettando una bicamerale segreta che comporta lo scambio destra-sinistra (Bnl a sinistra, Antonveneta a destra e Corriere destabilizzato...)?
La Bicamerale segreta. «Compagno Ricucci»: quante critiche, quante offese, quante telefonate importanti abbiamo ricevuto per quel titolo. Che cosa aveva scritto Diario nel giugno 2005 e poi nei mesi seguenti? Aveva scritto che era in azione un composito gruppo di scalatori impegnati a geometria variabile ad assaltare due banche, Antonveneta e Bnl, e un giornale, il Corriere della sera. Che le tre scalate facevano parte di un unico piano che tentava di riorganizzare i poteri in vista della fine della fase di Berlusconi al governo. Che tra gli scalatori c’era la forte presenza dell’ala dalemiana. Che era in corso una Bicamerale segreta, una Bicamerale degli affari in cui pezzi della sinistra si erano accordati con pezzi della destra per preparare la nuova fase, quella dopo le elezioni, che contavano di vincere. Che l’agenda della politica era dettata dagli affari, questa volta anche a sinistra.
Allora queste erano poco più che intuizioni giornalistiche. Oggi sono diventate storia.

Ora i politici strepitano: che vergogna la pubblicazione delle telefonate! Il problema sono le intercettazioni, non quello che i politici nelle intercettazioni dicono. Ora proveranno a fare una legge per blindarsi dentro il Residence della Politica (il Palazzo pasoliniano non c’è più, con la sua drammatica grandiosità: è diventato un banale Residence cinque stelle multiservizi).

I politici coinvolti si difendono: erano solo chiacchiere e spiritosaggini, niente di penalmente rilevante. E che cosa c’è poi di male se la politica s’informa su quello che succede nella finanza? Ma resta lo sconsolante spettacolo dei vertici del maggior partito della sinistra beccati in flagrante, mentre seguono il progetto partorito da Giovanni Consorte, condito con una dose di irregolarità, scorrettezze e reati da far venire i brividi (se non ai vertici, almeno alla base del partito), che puntano tutto (la reputazione dei dirigenti, la credibilità del proprio simbolo elettorale) su un’avventura tentata insieme a una compagnia impresentabile di banchieri, palazzinari e finanzieri pronti perlopiù per la galera (per insider trading, aggiotaggio, appropriazione indebita, truffa, bancarotta fraudolenta, false fatturazioni, riciclaggio, associazione per delinquere...).

La Bicamerale segreta dell’estate 2005 era stata magistralmente riassunta da quella vecchia volpe di Clemente Mastella il 9 agosto di quell’anno: «Stiamo vivendo una strana stagione: chi vede arrivare la sconfitta elettorale prova a organizzare il proprio futuro; mentre chi pensa di vincere punta all’egemonia, a occupare spazi di potere. E lo fa direttamente o tramite chi gli è vicino». Aveva visto bene.

D’Alema merchant bank. Le scalate sono frutto di scambi multipli tra fronti diversi. «Più piaceri ora si fanno di qua, e più Gnutti potrà chiedere di là», dice il 7 luglio 2005 il finanziere Ettore Lonati. Le nuove telefonate rese note oggi confermano. D’Alema per Consorte è meglio di una merchant bank: si dà da fare con numerosi interlocutori. Il 4 luglio dice a Pierluigi Stefanini (oggi presidente di Unipol): «Ho fatto un po’ di chiacchiere anche milanesi... Insomma alla fine, se ce la fate, poi vi rispetteranno». Chi sono i «milanesi» a cui D’Alema è andato a chiedere «rispetto»?

Il 6 luglio è la volta dell’immobiliarista Francesco Gaetano Caltagirone: Giovanni Consorte chiama il senatore Ds Nicola Latorre per dirgli che Caltagirone si è defilato insieme ai suoi alleati immobiliaristi dalla scalata Bnl e vuole vendere la partecipazione del 27 per cento. Per questo Consorte chiede a Latorre l’intervento di D’Alema: «Sarebbe meglio che D’Alema chiamasse Caltagirone».

Convinto Caltagirone e amici a vendere a Unipol, c’è da convincere Vito Bonsignore, Udc. Dice D’Alema: «Ho parlato con Bonsignore, che dice che cosa fare, uscire o restare un anno? Se vi serve, resta... Evidentemente è interessato a latere in un tavolo politico...». E Consorte: «Chiaro, nessuno fa niente per niente» (14 luglio 2005).

Anche Gavio è interessato: «Come mai?», chiede Fassino, allora come oggi segretario del partito. E Consorte, paziente, glielo spiega: «Gavio entra perché ha capito che l’aria cambia e siccome lui ha l’Impregilo, vuole lavorare con le cooperative... Non c’è nessuno che fa niente per niente, Piero, a questo mondo!».

Del resto, Diario aveva raccontato già nell’agosto 2005 altre telefonate, altre pressioni: quelle di Fassino sul segretario dei Ds di Siena, Franco Ceccuzzi, perché convincesse il Montepaschi a schierarsi con Unipol. A Siena avevano resistito. Dunque si poteva dire no. Si poteva salvare almeno l’onore.

Anche il Corriere è nel mazzo degli scambi. Il 7 luglio 2005 Piero Fassino dichiara al Sole 24 ore: «Non c’è un’attività imprenditoriale che sia pregiudizialmente migliore o peggiore di un’altra. È tanto nobile costruire automobili o essere concessionario di telefonia, quanto operare nel settore finanziario o immobiliare». Ora sappiamo che quel giorno Stefano Ricucci alle 9.37 ha già letto il Sole, chiama Nicola Latorre e ringrazia: «Ti volevo dire che ho letto qui l’intervista di Fassino... Ha fatto una presa di posizione positiva su di me e io lo volevo ringraziare...».
Dopo tutto ’sto lavorìo, dopo tutta questa pericolosa esposizione, il risultato è un pugno di mosche: le scalate sono sconfitte, Consorte deve dimettersi. «Facci sognare! Vai!», gli dice D’Alema il 7 luglio. Ma il sogno si trasforma in un incubo.
Gianni Barbacetto

10 novembre 2007

Litvinenko era un agente del MI6



Alexander Litvinenko, morto per una dose di polonio che avrebbe ingurgitato lo scorso novembre a Londra, era un agente sul libro paga dei servizi segreti britannici MI6. Lo riferisce il quotidiano londinese Daily Mail, che cita fonti diplomatiche anonime secondo le quali l'ex agente del KGB riceveva un assegno mensile di 4000 dollari dallo spionaggio di Sua Maestà. “Si capisce che sir John Scarlett, adesso al vertice del MI6 e in passato di base a Mosca, si occupò di reclutarlo ai Servizi Segreti”.
Lo scorso maggio Andrei Lugovoi, sul quale gli inglesi scaricarono ufficialmente le responsabilità di quel decesso, disse che lo stesso Litvinenko gli aveva confidato di lavorare per i servizi inglesi. “Non posso far a meno di pensare che Litvineko fosse un agente che stava sfuggendo al loro controllo e che se ne siano sbarazzati”, disse allora Lugovoi. Oggi dichiara che i suoi timori sono confermati. Lugovoi si trovava a Londra in compagnia di Dmitri Kovtun, l'anno scorso, per incontrare Litvinenko.
Lo scorso 1 novembre i due hanno tenuto una conferenza stampa a Mosca, nell'anniversario dell'avvelenamento, e Kovtun ha spiegato di ritenere che Litvinenko fosse attivo nel mercato nero del nucleare mentre era sul libro paga del MI6. Il Times riferisce che Kovtun, che è apparso notevolmente invecchiato nel corso di quest'anno, ha detto che “è molto plausibile che la morte di Litvinenko sia solo dovuta ad un incidente, e che i servizi britannici MI6 si siano venuti a trovare in una situazione ridicola”.
Lugovoi ha fatto notare che sull'aereo con il quale egli stesso e Kovtun giunsero in Inghilterra non furono rilevate tracce di polonio, mentre qualche traccia è stata rilevata nell'ufficio in cui avvenne il loro incontro e sui loro posti nel volo di rientro a Mosca. Questo a conferma della tesi che la sostanza radioattiva stava in Inghilterra e non veniva dalla Russia, come sostiene invece Scotland Yard. Altre tracce sono state accertate in una sim card che Litvinenko ha consegnato a Lugovoi. “C'è stata sempre la presenza invisibile dell'MI6 in tutta questa vicenda e questi servizi faranno del tutto per pilotare le indagini. Possono fare i salti mortali strillando che il sistema giudiziario britannico è il migliore del mondo, ma quando c'è di mezzo un ente spionistico britannico non si può parlare di obiettività e di giustizia”.
Com'è noto, il caso fu allora usato come pretesto per una campagna di provocazioni contro la Russia, mirante a rovinare l'immagine personale di Putin.
Le rivelazioni si inquadrano perfettamente sulla scia di una intervista, intitolata “La minaccia viene da Londra” che Lyndon LaRouche aveva rilasciato all'inizio di ottobre alla rivista russa su internet RPMonitor e che è stata ripresa almeno da 15 blog.
Movisol.org

09 novembre 2007

Le rivelazioni dei sauditi sull'11/9/2001 incastrano Cheney



8 novembre 2007 – Se gli Stati Uniti avessero preso sul serio il lavoro dei servizi sauditi avrebbero potuto sventare gli attacchi dell'11 settembre 2001. Lo sostiene il principe Bandar bin-Sultan, personaggio che per molti anni è stato ambasciatore saudita a Washington ed attualmente è consigliere di sicurezza nazionale di re Abdullah, in una intervista diffusa il 1 novembre dall'emittente internazionale in lingua araba Al-Arabiya.

Bandar sostiene che lo spionaggio saudita “seguiva attivamente” e “con precisione”, molti dei dirottatori prima degli attacchi alle Torri Gemelle ed al Pentagono. “Se le autorità preposte alla sicurezza USA avessero trattato in maniera più seria e credibile la controparte saudita, ritengo che quello che è accaduto poteva essere evitato”.
Le accuse di Bandar sono state accolte con un certo scetticismo da alcuni personaggi ben collocati negli ambienti interessati. Consultati dall'EIR, questi personaggi hanno fatto notare che fu proprio l'EIR a pubblicare il 29 giugno scorso degli stralci del Rapporto della Commissione 11/9 e altre fonti che confermano come l'allora ambasciatore saudita Bandar aveva fatto arrivare, attraverso due agenti sauditi, più di 50 mila dollari ad alcuni dirottatori dell'11/9. Adesso però le accuse del principe agli USA potrebbero indicare dissapori tra il principe e “il partito della guerra” attorno a Dick Cheney, forse una manovra mirante a scongiurare i nuovi piani di guerra contro l'Iran comprendente lo scontro tra sunniti e sciiti nel Golfo Persico, secondo il piano che fu al centro del viaggio che Cheney compì lo scorso novembre a Riad, e che fu personalmente organizzato dal principe.

A proposito delle affermazioni di Bandar occorre ricordare le parole di LaRouche, in occasione della sua webcast del 10 ottobre, quando disse: “Posso dire di sapere, senz'ombra di dubbio, che l'11/9 fu un'operazione condotta dall'interno. Fu condotta dall'interno per favorire ciò che l'amministrazione Bush rappresenta”. Poco oltre LaRouche affermò: “So di più di quello che dico: con la complicità di personaggi in Arabia Saudita, dell'impero britannico che divide il suo potere con l'Arabia Saudita, attraverso la BAE, quest'operazione fu condotta ai danni degli Stati Uniti l'11 settembre. E da allora ne subiamo le conseguenze. Altri fatti verranno alla luce al momento opportuno”.

Intanto però la patata bollente passa nelle mani di Cheney e Bush: i sauditi passarono informazioni concrete sui rischi di un attacco agli USA, di cui dicono di aver seguito i preparativi “con precisione”? Nel luglio 2001 FBI e CIA diffusero qualche allarme sul conto di Al Quaeda. Il 10 luglio il direttore della CIA George Tenet e il suo addetto al terrorismo Cofer Black incontrarono Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condy Rice, l'Attorney General John Ashcroft e il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld per metterli al corrente dei propri timori sul rischio Al Qaeda, ma cozzarono contro il muro di gomma, eretto soprattutto dalla Rice.

L'allarme ufficiale fu ribadito nel briefing quotidiano al presidente del 6 agosto, con un'intera sezione intitolata “Bin Laden deciso a colpire negli USA” che denunciava il rischio desumibile da una serie di informazioni di intelligence interno e estero. Ma anche in questo caso la risposta fu zero.

Dunque, con o senza le soffiate di Bandar, certe cose si sapevano. Ma a non volerle sentire fu soprattutto Dick Cheney, allora zar dell'antiterrorismo alla Casa Bianca, titolo conferitogli personalmente dal presidente Bush il 17 maggio 2001, proprio nel momento in cui alla Casa Bianca veniva archiviato nel cassetto più remoto il rapporto della Commissione sulla sicurezza nazionale di Hart-Rudman che per due anni e mezzo aveva studiato la vulnerabilità dell'America agli attacchi terroristici e proponeva un generale adeguamento delle strutture e delle misure di sicurezza nazionale.

Evidentemente le accuse di fonte saudita adesso servono a restituire piena attualità alla questione dell'11 settembre, che è una pessima notizia solo per la cordata di Dick Cheney.
fonte movisol.org

12 novembre 2007

E Clementina disse: "Il re è nudo"


Le richieste del gip Forleo e la memoria del pm Orsi.

L'attesa è durata un paio d'anni, ma alfine il momento è arrivato. Il giudice per le indagini preliminari di Milano nel luglio 2007 chiede al Parlamento di poter utilizzare nel processo sulle scalate le telefonate degli indagati (Giovanni Consorte e altri) ad alcuni parlamentari, tra cui Massimo D'Alema, Nicola Latorre e Piero Fassino. Il gip è Clementina Forleo. Il testo della sua richiesta è esplosivo. Perché dice che i politici coinvolti non sono "passivi ricettori di informazioni", né "personaggi animati da sana tifoseria", ma "consapevoli complici di un disegno criminoso".

Scoppia la polemica: può un gip ipotizzare elementi d'accusa, al posto del pm? e può farlo nei confronti di parlamentari? Il dibattito giuridico è interessante. Ma non può far dimenticare la sostanza politica della faccenda, ben soda sotto il più morbido piano giudiziario: anche a prescindere dagli aspetti penali, è chiaro che le scalate dell'estate 2005 sarebbero state impensabili senza robuste sponde politiche, a destra e a sinistra.

Lo confermano i testi delle telefonate, disponibili per la prima volta nella loro trascrizione ufficiale, allegati alla richiesta alle Camere. A destra si fa riferimento al "Gran Capo" (Silvio Berlusconi). A sinistra il ruolo dei Ds appare determinante: Latorre è il punto di contatto tra gli scalatori (Giovanni Consorte, Stefano Ricucci) e D'Alema; D'Alema è parte attiva nelle trattative (con Francesco Gaetano Caltagirone, con Vito Bonsignore, con non meglio precisati ambienti milanesi...).


La reazione di D'Alema è perfettamente berlusconiana. A Repubblica parla di «spazzatura». E aggiunge: «Non si può crocifiggere in questo modo un cittadino, formulando un giudizio che pare già una sentenza. Così salta per aria il sistema democratico...». Al Tg5 minimizza soffermandosi solo sulla battuta ironica a Consorte del «facci sognare»: «E che è, un reato dirlo? Questo è il tema per cui viene messa sotto accusa la classe dirigente? Lasciatemi dire che è un'indecenza».

Invece non c'è solo il tifo, gli elementi d'accusa sono consistenti. Lo conferma anche la memoria del pubblico ministero Luigi Orsi, al termine dell'indagine sulla scalata Bnl. Vi si parla della «contropartita politica» che Bonsignore chiede a D'Alema per venire incontro all'Unipol di Consorte nella scalata alla Bnl. E della volontà di «essere amico» di Unipol, annunciata da Caltagirone al deputato ds Nicola Latorre.

1. Consorte (indagato per aggiotaggio informativo e manipolativo nella scalata di Unipol a Bnl) il 14 luglio 2005 chiede a D'Alema di Bonsignore, lo vorrebbe alleato. E D'Alema: «Ho parlato con Bonsignore, che dice cosa deve fare, uscire o restare un anno... Se vi serve, resta... Evidentemente è interessato a latere in un tavolo politico». «Chiaro», risponde Consorte, «nessuno fa niente per niente». Nella memoria del pm Orsi al gip Forleo, ecco come la telefonata è spiegata: «L'on. D'Alema e Consorte trattano un tema specifico: il rapporto di Unipol con uno dei contropattisti, Bonsignore. D'Alema riferisce a Consorte che Bonsignore non vende la sua quota, rimane socio di Bnl per qualche tempo ma vuole una contropartita politica».

2. In un'altra telefonata del 14 luglio, Consorte parla con Latorre: «L'on. Latorre informa Consorte d'avere ricevuto una "chiamata" da Caltagirone, il quale gli ha confermato che venderà a Unipol (le sue azioni Bnl, ndr) perché vuole esserne amico». Queste e altre telefonate sono rilevanti per «l'indagato Consorte» perché «ai suoi interlocutori, proprio nel periodo in cui il reato di aggiotaggio si sta consumando, fornisce particolari operativi». Fino a commettere al telefono, per il pm, un secondo reato, diverso dall'aggiotaggio, l'insider trading, seppure nella versione più leggera: «Il 14 luglio Consorte informa D'Alema che lunedì 18 luglio Unipol lancerà l' Opa su Bnl. Questa comunicazione riguarda una notizia riservata (informazione privilegiata) che Consorte porta a conoscenza di una persona estranea al novero di quelle legittimate a conoscerne riservatamente» in base alla legge. Per il pm, già solo «così operando, Consorte consuma un fatto di insider trading (abuso di informazioni privilegiate), e la conversazione telefonica è l'unica fonte di prova di questo fatto di reato». (suo, non di D'Alema, perché chi riceve una notizia privilegiata incorre nel reato solo se la utilizza sul mercato).

3. Ci sono poi «la conversazione del 15 luglio in cui Consorte informa Latorre di avere già il 51% e mezzo di Bnl»; e «quella del 17 luglio con l'on. Fassino» nella quale, secondo il pm Orsi, «Consorte reitera la propalazione di informazioni privilegiate, scandendo i nomi dei soci che lo affiancheranno l' indomani nel lancio dell' Opa».

4. Per insider trading su Bnl, per il pm, dovrebbe essere indagato anche Stefano Ricucci per le telefonate del 7 e 8 luglio con Latorre.

5. Nell'inchiesta sulla scalata Rcs, i pm Giulia Perrotti ed Eugenio Fusco chiedono al gip l'uso delle sue «ripetute telefonate» con un senatore di Forza Italia, Romano Comincioli, «estremamente rilevanti per chiarire il quadro delle alleanze di cui Ricucci poteva godere nella scalata e, quindi, dei concorrenti nel reato» di aggiotaggio. Sul lato destro, secondo l'accusa, si sono dati da fare per gli scalatori almeno tre parlamentari di Forza Italia: Comincioli, Grillo e Cicu.

Ma proviamo a prescindere dalle ipotesi d'accusa penali, dai complessi reati d'aggiotaggio e insider trading, che saranno i processi a verificare. Restiamo sul piano politico. Sono cristallini i comportamenti di D'Alema, Latorre e Fassino?

1. I tre hanno trascinato il più grande partito della sinistra in una brutta storia. Niente di male a volere una banca per il movimento cooperativo, ma perché farlo schierandosi a fianco del peggio della finanza italiana, sdoganando furbetti e avventurieri?

2. Niente di male a volere una banca per il movimento cooperativo, ma perché farlo appoggiando protagonisti che violano l'intero campionario dei reati finanziari?

3. Niente di male a volere una banca per il movimento cooperativo, ma perché farlo offrendo in cambio contropartite politiche e accettando una bicamerale segreta che comporta lo scambio destra-sinistra (Bnl a sinistra, Antonveneta a destra e Corriere destabilizzato...)?
La Bicamerale segreta. «Compagno Ricucci»: quante critiche, quante offese, quante telefonate importanti abbiamo ricevuto per quel titolo. Che cosa aveva scritto Diario nel giugno 2005 e poi nei mesi seguenti? Aveva scritto che era in azione un composito gruppo di scalatori impegnati a geometria variabile ad assaltare due banche, Antonveneta e Bnl, e un giornale, il Corriere della sera. Che le tre scalate facevano parte di un unico piano che tentava di riorganizzare i poteri in vista della fine della fase di Berlusconi al governo. Che tra gli scalatori c’era la forte presenza dell’ala dalemiana. Che era in corso una Bicamerale segreta, una Bicamerale degli affari in cui pezzi della sinistra si erano accordati con pezzi della destra per preparare la nuova fase, quella dopo le elezioni, che contavano di vincere. Che l’agenda della politica era dettata dagli affari, questa volta anche a sinistra.
Allora queste erano poco più che intuizioni giornalistiche. Oggi sono diventate storia.

Ora i politici strepitano: che vergogna la pubblicazione delle telefonate! Il problema sono le intercettazioni, non quello che i politici nelle intercettazioni dicono. Ora proveranno a fare una legge per blindarsi dentro il Residence della Politica (il Palazzo pasoliniano non c’è più, con la sua drammatica grandiosità: è diventato un banale Residence cinque stelle multiservizi).

I politici coinvolti si difendono: erano solo chiacchiere e spiritosaggini, niente di penalmente rilevante. E che cosa c’è poi di male se la politica s’informa su quello che succede nella finanza? Ma resta lo sconsolante spettacolo dei vertici del maggior partito della sinistra beccati in flagrante, mentre seguono il progetto partorito da Giovanni Consorte, condito con una dose di irregolarità, scorrettezze e reati da far venire i brividi (se non ai vertici, almeno alla base del partito), che puntano tutto (la reputazione dei dirigenti, la credibilità del proprio simbolo elettorale) su un’avventura tentata insieme a una compagnia impresentabile di banchieri, palazzinari e finanzieri pronti perlopiù per la galera (per insider trading, aggiotaggio, appropriazione indebita, truffa, bancarotta fraudolenta, false fatturazioni, riciclaggio, associazione per delinquere...).

La Bicamerale segreta dell’estate 2005 era stata magistralmente riassunta da quella vecchia volpe di Clemente Mastella il 9 agosto di quell’anno: «Stiamo vivendo una strana stagione: chi vede arrivare la sconfitta elettorale prova a organizzare il proprio futuro; mentre chi pensa di vincere punta all’egemonia, a occupare spazi di potere. E lo fa direttamente o tramite chi gli è vicino». Aveva visto bene.

D’Alema merchant bank. Le scalate sono frutto di scambi multipli tra fronti diversi. «Più piaceri ora si fanno di qua, e più Gnutti potrà chiedere di là», dice il 7 luglio 2005 il finanziere Ettore Lonati. Le nuove telefonate rese note oggi confermano. D’Alema per Consorte è meglio di una merchant bank: si dà da fare con numerosi interlocutori. Il 4 luglio dice a Pierluigi Stefanini (oggi presidente di Unipol): «Ho fatto un po’ di chiacchiere anche milanesi... Insomma alla fine, se ce la fate, poi vi rispetteranno». Chi sono i «milanesi» a cui D’Alema è andato a chiedere «rispetto»?

Il 6 luglio è la volta dell’immobiliarista Francesco Gaetano Caltagirone: Giovanni Consorte chiama il senatore Ds Nicola Latorre per dirgli che Caltagirone si è defilato insieme ai suoi alleati immobiliaristi dalla scalata Bnl e vuole vendere la partecipazione del 27 per cento. Per questo Consorte chiede a Latorre l’intervento di D’Alema: «Sarebbe meglio che D’Alema chiamasse Caltagirone».

Convinto Caltagirone e amici a vendere a Unipol, c’è da convincere Vito Bonsignore, Udc. Dice D’Alema: «Ho parlato con Bonsignore, che dice che cosa fare, uscire o restare un anno? Se vi serve, resta... Evidentemente è interessato a latere in un tavolo politico...». E Consorte: «Chiaro, nessuno fa niente per niente» (14 luglio 2005).

Anche Gavio è interessato: «Come mai?», chiede Fassino, allora come oggi segretario del partito. E Consorte, paziente, glielo spiega: «Gavio entra perché ha capito che l’aria cambia e siccome lui ha l’Impregilo, vuole lavorare con le cooperative... Non c’è nessuno che fa niente per niente, Piero, a questo mondo!».

Del resto, Diario aveva raccontato già nell’agosto 2005 altre telefonate, altre pressioni: quelle di Fassino sul segretario dei Ds di Siena, Franco Ceccuzzi, perché convincesse il Montepaschi a schierarsi con Unipol. A Siena avevano resistito. Dunque si poteva dire no. Si poteva salvare almeno l’onore.

Anche il Corriere è nel mazzo degli scambi. Il 7 luglio 2005 Piero Fassino dichiara al Sole 24 ore: «Non c’è un’attività imprenditoriale che sia pregiudizialmente migliore o peggiore di un’altra. È tanto nobile costruire automobili o essere concessionario di telefonia, quanto operare nel settore finanziario o immobiliare». Ora sappiamo che quel giorno Stefano Ricucci alle 9.37 ha già letto il Sole, chiama Nicola Latorre e ringrazia: «Ti volevo dire che ho letto qui l’intervista di Fassino... Ha fatto una presa di posizione positiva su di me e io lo volevo ringraziare...».
Dopo tutto ’sto lavorìo, dopo tutta questa pericolosa esposizione, il risultato è un pugno di mosche: le scalate sono sconfitte, Consorte deve dimettersi. «Facci sognare! Vai!», gli dice D’Alema il 7 luglio. Ma il sogno si trasforma in un incubo.
Gianni Barbacetto

10 novembre 2007

Litvinenko era un agente del MI6



Alexander Litvinenko, morto per una dose di polonio che avrebbe ingurgitato lo scorso novembre a Londra, era un agente sul libro paga dei servizi segreti britannici MI6. Lo riferisce il quotidiano londinese Daily Mail, che cita fonti diplomatiche anonime secondo le quali l'ex agente del KGB riceveva un assegno mensile di 4000 dollari dallo spionaggio di Sua Maestà. “Si capisce che sir John Scarlett, adesso al vertice del MI6 e in passato di base a Mosca, si occupò di reclutarlo ai Servizi Segreti”.
Lo scorso maggio Andrei Lugovoi, sul quale gli inglesi scaricarono ufficialmente le responsabilità di quel decesso, disse che lo stesso Litvinenko gli aveva confidato di lavorare per i servizi inglesi. “Non posso far a meno di pensare che Litvineko fosse un agente che stava sfuggendo al loro controllo e che se ne siano sbarazzati”, disse allora Lugovoi. Oggi dichiara che i suoi timori sono confermati. Lugovoi si trovava a Londra in compagnia di Dmitri Kovtun, l'anno scorso, per incontrare Litvinenko.
Lo scorso 1 novembre i due hanno tenuto una conferenza stampa a Mosca, nell'anniversario dell'avvelenamento, e Kovtun ha spiegato di ritenere che Litvinenko fosse attivo nel mercato nero del nucleare mentre era sul libro paga del MI6. Il Times riferisce che Kovtun, che è apparso notevolmente invecchiato nel corso di quest'anno, ha detto che “è molto plausibile che la morte di Litvinenko sia solo dovuta ad un incidente, e che i servizi britannici MI6 si siano venuti a trovare in una situazione ridicola”.
Lugovoi ha fatto notare che sull'aereo con il quale egli stesso e Kovtun giunsero in Inghilterra non furono rilevate tracce di polonio, mentre qualche traccia è stata rilevata nell'ufficio in cui avvenne il loro incontro e sui loro posti nel volo di rientro a Mosca. Questo a conferma della tesi che la sostanza radioattiva stava in Inghilterra e non veniva dalla Russia, come sostiene invece Scotland Yard. Altre tracce sono state accertate in una sim card che Litvinenko ha consegnato a Lugovoi. “C'è stata sempre la presenza invisibile dell'MI6 in tutta questa vicenda e questi servizi faranno del tutto per pilotare le indagini. Possono fare i salti mortali strillando che il sistema giudiziario britannico è il migliore del mondo, ma quando c'è di mezzo un ente spionistico britannico non si può parlare di obiettività e di giustizia”.
Com'è noto, il caso fu allora usato come pretesto per una campagna di provocazioni contro la Russia, mirante a rovinare l'immagine personale di Putin.
Le rivelazioni si inquadrano perfettamente sulla scia di una intervista, intitolata “La minaccia viene da Londra” che Lyndon LaRouche aveva rilasciato all'inizio di ottobre alla rivista russa su internet RPMonitor e che è stata ripresa almeno da 15 blog.
Movisol.org

09 novembre 2007

Le rivelazioni dei sauditi sull'11/9/2001 incastrano Cheney



8 novembre 2007 – Se gli Stati Uniti avessero preso sul serio il lavoro dei servizi sauditi avrebbero potuto sventare gli attacchi dell'11 settembre 2001. Lo sostiene il principe Bandar bin-Sultan, personaggio che per molti anni è stato ambasciatore saudita a Washington ed attualmente è consigliere di sicurezza nazionale di re Abdullah, in una intervista diffusa il 1 novembre dall'emittente internazionale in lingua araba Al-Arabiya.

Bandar sostiene che lo spionaggio saudita “seguiva attivamente” e “con precisione”, molti dei dirottatori prima degli attacchi alle Torri Gemelle ed al Pentagono. “Se le autorità preposte alla sicurezza USA avessero trattato in maniera più seria e credibile la controparte saudita, ritengo che quello che è accaduto poteva essere evitato”.
Le accuse di Bandar sono state accolte con un certo scetticismo da alcuni personaggi ben collocati negli ambienti interessati. Consultati dall'EIR, questi personaggi hanno fatto notare che fu proprio l'EIR a pubblicare il 29 giugno scorso degli stralci del Rapporto della Commissione 11/9 e altre fonti che confermano come l'allora ambasciatore saudita Bandar aveva fatto arrivare, attraverso due agenti sauditi, più di 50 mila dollari ad alcuni dirottatori dell'11/9. Adesso però le accuse del principe agli USA potrebbero indicare dissapori tra il principe e “il partito della guerra” attorno a Dick Cheney, forse una manovra mirante a scongiurare i nuovi piani di guerra contro l'Iran comprendente lo scontro tra sunniti e sciiti nel Golfo Persico, secondo il piano che fu al centro del viaggio che Cheney compì lo scorso novembre a Riad, e che fu personalmente organizzato dal principe.

A proposito delle affermazioni di Bandar occorre ricordare le parole di LaRouche, in occasione della sua webcast del 10 ottobre, quando disse: “Posso dire di sapere, senz'ombra di dubbio, che l'11/9 fu un'operazione condotta dall'interno. Fu condotta dall'interno per favorire ciò che l'amministrazione Bush rappresenta”. Poco oltre LaRouche affermò: “So di più di quello che dico: con la complicità di personaggi in Arabia Saudita, dell'impero britannico che divide il suo potere con l'Arabia Saudita, attraverso la BAE, quest'operazione fu condotta ai danni degli Stati Uniti l'11 settembre. E da allora ne subiamo le conseguenze. Altri fatti verranno alla luce al momento opportuno”.

Intanto però la patata bollente passa nelle mani di Cheney e Bush: i sauditi passarono informazioni concrete sui rischi di un attacco agli USA, di cui dicono di aver seguito i preparativi “con precisione”? Nel luglio 2001 FBI e CIA diffusero qualche allarme sul conto di Al Quaeda. Il 10 luglio il direttore della CIA George Tenet e il suo addetto al terrorismo Cofer Black incontrarono Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condy Rice, l'Attorney General John Ashcroft e il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld per metterli al corrente dei propri timori sul rischio Al Qaeda, ma cozzarono contro il muro di gomma, eretto soprattutto dalla Rice.

L'allarme ufficiale fu ribadito nel briefing quotidiano al presidente del 6 agosto, con un'intera sezione intitolata “Bin Laden deciso a colpire negli USA” che denunciava il rischio desumibile da una serie di informazioni di intelligence interno e estero. Ma anche in questo caso la risposta fu zero.

Dunque, con o senza le soffiate di Bandar, certe cose si sapevano. Ma a non volerle sentire fu soprattutto Dick Cheney, allora zar dell'antiterrorismo alla Casa Bianca, titolo conferitogli personalmente dal presidente Bush il 17 maggio 2001, proprio nel momento in cui alla Casa Bianca veniva archiviato nel cassetto più remoto il rapporto della Commissione sulla sicurezza nazionale di Hart-Rudman che per due anni e mezzo aveva studiato la vulnerabilità dell'America agli attacchi terroristici e proponeva un generale adeguamento delle strutture e delle misure di sicurezza nazionale.

Evidentemente le accuse di fonte saudita adesso servono a restituire piena attualità alla questione dell'11 settembre, che è una pessima notizia solo per la cordata di Dick Cheney.
fonte movisol.org