11 febbraio 2008

I politici sono diventati meno intoccabili?



Sarà un caso ma da quando il governo Prodi è entrato in crisi sembra che almeno nell’interregno delle elezioni siano venute meno le non poche guarentigie che la nostra repubblica ha accordato ai suoi terminali mafiosi più esposti. O perché le protezioni regionali concesse da certe stanze si sono alleggerite o perché qualche magistratura locale si è fatta più coraggiosa, ecco che miracolosamente carabinieri e poliziotti sono stati lasciati liberi di picchiare qualche colpo. Ne fanno fede le perquisizioni già miracolose nelle case e negli uffici inviolabili del plurindagato governatore calabrese Agazio Loiero ed altre piccole iniziative nel sud e anche nel nord. Si è svegliata persino la sonnolenta polizia napoletana andando ad acciuffare tale Vicienzo o’ chiatto, molto reclamizzato dalle fonti dominanti ma in realtà solo un boss del quartiere di Secondigliano. Sono segnali probabilmente provvisori destinati ad epater le bourgeois (a far fessa l’opinione pubblica detto nell’amata e coltissima seconda lingua diffusa in questo sito) in attesa che si ricompongano gli equilibri squassati dalla crisi politica e si richiudano le acque puenti del sempre più esteso intreccio politica-crimine organizzato.

In questo contesto si vorrebbe far rientrare l’altisonante operazione trans-oceanica Palermo-New York (con triangolazioni canadesi), che sui giornali di venerdì scorso intendeva rinverdire le glorie della Pizza Connection degli anni ’80 sulle quali è nato ed ha prosperato il più potente gruppo di potere che abbia mai comandato in Italia dopo la Fiat di Valletta-Agnelli e l’Eni di Enrico Mattei: parliamo ovviamente della super-casta dell’antimafia, con le sue carriere politiche e i suoi super magistrati e super poliziotti, con i suoi bilanci miliardari e le innovative leggi anti-crimine, copiate dai nuovi codici americani, a cominciare dai programmi di protezione per i collaboratori di giustizia.

E’ in quel periodo che vennero radicalmente modificati i rapporti di collaborazione riservata tra Italia e Usa, il cui baricentro passò progressivamente dalla CIA al FBI. La fine della guerra fredda determinò poi la definitiva precedenza del Bureau e la sostanziale estromissione dell’agenzia dalle vicende italiane, ratificata dal processo milanese per il rapimento del imam Abu Omar.

La storia tenta spesso di imitare se stessa ma sempre a livelli più scadenti. Le firme più informate e suggestive del Corriere e di Repubblica ci hanno presentato adesso questo divertente affresco della retata da 90 arresti tra le due sponde continentali. Ma dando pochissimi chiarimenti giudiziari, ad esempio sugli effettivi reati commessi, e dilungandosi in racconti ad effetto di vita vissuta sulle manovre di Cosa Nostra siculo-Usa per uscire dalla sua doppia crisi epocale. Attraversando gustose storie e storielle di viaggi e ristoranti, donne e progetti di nuovi loschi affari, alla fin fine vi riferiamo il succo che dalla clamorosa retata abbiamo ricavato.

La premessa è che, negli anni ’80 il vecchio establishment mafioso dei Bontade- Badalamenti-Inzerillo alleato della super famiglia Gambino negli Usa si trovo schiacciato tra la nuova repressione a tolleranza zero del procuratore speciale Rudy-Rudy Giuliani e la cosiddetta “seconda guerra di mafia” scatenata dalle famiglie paesane e rampanti dei Corleonesi di Totò Riina. Una tenaglia micidiale: tra pentiti e manette da un lato e i mitra dall’altro, fu una strage epocale. I perdenti vennero braccati e massacrati fino negli Usa. La vecchia mafia siculo-americana morì lì, travolgendo anche alcuni suoi noti referenti politici come Salvo Lima. Il processo a Giulio Andreotti fu figlio di quell’ondata epocale. Non appena chiusa quella fase, ne iniziò subito una seconda limitata al versante italiano, quando il nuovo potente “complesso antimafia” nato dalla collaborazione con Giuliani si lanciò con i nuovi strumenti investigativi e con altri mezzi contro la nuova mafia vincente dei Corleonesi.

Il celebre corvo di Palermo denunciò che il killer Totuccio Contorno, l’ultimo degli uomini di Bontade, aveva approfittato della sua posizione di pentito per vendicarsi a revolverate di vari nemici Corleonesi, aiutando così la Patria e gli inquirenti che guardavano da un’altra parte. Poi vennero gli arresti clamorosi, Riina, Bagarella e gli altri, poi i maxiprocessi e gli ergastoli in quantità. Quando l’anno scorso è stato preso anche il vecchio Provenzano con i suoi acciacchi e gli antiquati pizzini, anche la mafia strettamente siciliana, era già finita da un pezzo. E’ irrilevante che molti continuino ad esaltarne il pericolo per approfittare dei beni mafiosi sequestrati, preferendo invece tacere su altri fronti mafiosi oggi molto più pericolosi della scalcagnata Cosa Nostra: la camorra napoletana, con cui il sistema di potere di Bassolino è riuscito sinora a convivere (ma non giuriamo sul domani); e soprattutto sulla ‘ndranghetra calabrese diventata grazie all’alacre porto di Gioia Tauro, potenza economica internazionale della cocaina che ha messo radici in Germania, Canada, Australia.

L’ultimo blitz ha dunque più che altro più un valore mediatico e persino romantico. Nessun “colpo ai padrini “ come è stato detto, ma semmai ai possibili futuri padrini. L’operazione, 54 arresti in America e 23 a Palermo, è stata realizzata quasi tutta negli Usa dagli americani con una minima partecipazione delle procure antimafia siciliane e delle celebratissime giubbe rosse a cavallo canadesi. L’FBI l’ha montata con testimonianze di nuovi pentiti, intercettazioni e -non si dice ma è da giurarci- su precise soffiate anche incartate da intercettazioni. Al dunque ne sono usciti tre nomi degni di considerazione. A New York, è stato arrestato un certo Frank Calì di 42 anni, palermitano di padre, nato a Brooklin, che ha sposato una Inzerillo ed è considerato dal FBI come l’astro nascente della nuova Cosa nostra americana. Frank Calì aveva imbastito una rete di contatti con gli ultimi Corleonesi di Sicilia con l’ambiziosa proposta di giungere a una nuova pace e a nuovi fruttuosi affari tra vecchi nemici e vecchie sponde. Ma, leggendo sulla stampa delle sue pubbliche ostentazioni di potere e che si era intestato di persona negli Usa una decina di società di import-export e di costruzioni, si capisce subito che un pollo simile non poteva fare una lunga carriera.

Forse con troppa fantasia, questa indagine del FBI è stata battezzata “Old Bridge”, cioè “il vecchio ponte” New York-Palermo che qualcuno voleva riattivare. Grazie al lavoro diplomatico di Frank Calì, iniziato nel 2003 con viaggi e incontri, i giovani eredi Inzerillo si erano già riaffacciati a Palermo, dove è stato preso Giovanni Inzerillo, il più giovane del famiglia quasi sterminata dai Corleonesi negli anni ’80. Ma il ritorno degli esiliati non era affatto gradito a molti superstiti Corleonesi ancora in circolazione, timorosi di subire qualche vendetta a sorpresa. Il portavoce del dissenso era tale Antonino Rotolo, un capofamiglia fedelissimo di Totò Riina. E qui tocchiamo una corda sensibile. Il terzo nome importante è quello di certo Giovanni Nicchi un altro giovane, che la polizia italiana ha indicato con tranquilla sicurezza ai colleghi americani come il futuro capo di Cosa Nostra siciliana. Ora, un primo caso vuole che Nicchi sia un uomo di Rotolo cioè di Riina. E un secondo caso rivela che mentre gli Inzerillo cadevano nella rete, lui l’uomo dei Corleonesi è sfuggito alla polizia italiana e figura tra i 13 latitanti delle retate. Sommando due più due non è difficile capire chi è che ha mandato a monte la riapertura del vecchio ponte facendo arrestare gli epigoni americani della vecchia mafia perdente.

A parte l’evidente compiacimento trasmesso dagli inquirenti ai cronisti, va dato atto che l’operazione Old Bridge ha bloccato sul nascere l’ipotesi –solo l’ipotesi- di una nuova generazione di boss mafiosi un po’ dilettanteschi in Usa e in Italia. Tutto bene, un po’ di pubblicità fa sempre bene alla polizia. Ma solo se gli sforzi di soldi e di uomini dedicati a quei mafiosi da due soldi, verranno seriamente profusi in altre direzioni meno cinematografiche ma sempre più pericolose e coinvolte con il sistema politico del Paese. Forse l’Italia non è ancora un narco-Stato ma la strada per diventarlo non è troppo lunga.

Claudio Lanti

10 febbraio 2008

Il riciclaggio è solo quello POLITICO?



Gli appalti. La scelta delle aree per le discariche. Le aziende di smaltimento. Persino le assunzioni al Commissariato. Nella regione il business dei rifiuti scatena gli interessi di tutte le forze politiche.

Da una parte i nomi e cognomi dei dipendenti, dall'altra quelli dei loro sponsor politici. Ecco, se si vuole capire che cosa è davvero accaduto in Campania dove, dall'11 febbraio del 1994, esiste un Commissariato per l'emergenza rifiuti che ha speso quasi 2 miliardi di euro senza riuscire a centrare nessuno degli obiettivi imposti, si può benissimo partire da qui. Da questo lungo elenco di nomi preparato in via ufficiosa nel 2004 dalla direzione del personale nelle settimane in cui, dopo le dimissioni di Antonio Bassolino, il Commissariato veniva scorporato in tre diverse sezioni: rifiuti, acque e bonifica.

Leggendo la lista, di cui L'espresso è riuscito a ottenere una copia, diventano, riga dopo riga, chiare le responsabilità di un'intera classe politica: non solo dei bassoliniani del Partito democratico che governano la regione, ma anche dell'opposizione di centrodestra che all'ombra del Vesuvio ha partecipato e partecipa con passione all'immondo banchetto della spazzatura.

Sì perché qui la monnezza, un business che tra appalti e stipendi, fattura un milione di euro al giorno, è un affare di tutti. I politici, prima ancora che la camorra, ci guadagnano non solo in termini di consenso elettorale, imponendo assunzioni nei 18 diversi consorzi di raccolta, tutti rigorosamente lottizzati, ma anche indicando le aree di imprenditori amici dove potrebbero essere aperte discariche e centri di stoccaggio, gestendo pompe di benzina convenzionate con le aziende dei rifiuti, improvvisandosi trasportatori e soprattutto creando decine e decine di aziende a capitale misto pubblico-privato dove piazzare amici, compagni di partito e parenti.

Anche per questo il Commissariato, dove pure nel corso degli anni hanno lavorato giorno e notte molti tecnici di assoluto valore, si è a poco a poco trasformato in carrozzone dove arrivava, 'comandato' da altre amministrazioni pubbliche, personale ansioso di intascare le 70 ore di straordinario mensili garantite a ciascun dipendente. Così, mentre il nuovo commissario Gianni De Gennaro va affannosamente a caccia di terreni dove riversare almeno una parte delle oltre 300 mila tonnellate di rifiuti che ancora intasano gli angoli delle strade della regione, la lista segreta dei vecchi dipendenti del Commissariato diventa adesso una fotografia impietosa di quanto è accaduto. Un'istantanea della Casta che comanda in Campania.

Scorrendo l'elenco, le sorprese non mancano: a segnalare i 'comandati' non erano solo i Ds, la Margherita, l'Udeur. Ci davano dentro pure Forza Italia e Alleanza nazionale. Negli uffici del Commissariato erano per esempio di casa Antonio e Flavio Martuscello, i due dioscuri azzurri del napoletano, rispettivamente deputato ed ex sottosegretario all'Ambiente il primo, consigliere regionale più votato d'Italia, il secondo. I Martuscello avevano sponsorizzato sei diversi nomi. Altri due erano invece stati proposti dal consigliere regionale azzurro Giuseppe Sagliocco, il quale, dopo aver inviato tecnici di suo fiducia al Commissariato, tre anni fa non si è trovato in imbarazzo a capeggiare, assieme a un bel gruppo di parlamentari del centrodestra, le proteste della popolazione che chiedeva il blocco dell'unica discarica ancora disponibile quella di Parco Saurino 2, a Santa Maria La Fossa. Una segnalazione era poi arrivata tramite Francesco Bianco, fino a due anni fa in Regione nelle fila del partito di Berlusconi, e ora capogruppo in Comune per l'Udeur.

Lì Bianco si è ritrovato accanto ai professionisti delle nomine: gli iscritti del partito di Clemente Mastella (nell'elenco compare pure una sua sponsorizzazione diretta) che al Commissariato piazzavano personale per intervento del segretario regionale Antonio Fantini, di Pasquale Giuditta, un deputato sposato con la sorella di lady Mastella, dell'ex assessore regionale all'Ambiente Ugo De Flaviis poi cacciato dal Campanile ("Pago per le nomine non fatte", disse De Flaviis) e dell'ex sottosegretario all'Agricoltura nel governo D'Alema, Nello Di Nardo, dal 2006 cordinatore nazionale degli eletti dell'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Ancora più folta ovviamente è la pattuglia dei raccomandati dal Partito democratico (Ds e Margherita). A parte i nomi che recano vicino la dicitura 'Presidenza' (leggi Bassolino), dietro ai quali si celano non solo tecnici considerati di area di centrosinistra, ma anche raccomandati dal centrodestra (tra i dipendenti c'è per esempio la nipote di un consigliere regionale di Alleanza nazionale), nella colonna degli sponsor appare il nome del ministro dell'Innovazione Luigi Nicolais, del sindaco di Ercolano (politicamente uomo di Nicolais), Nino Daniele, del leader dei rutelliani in Campania, Antonio Villari e dell'ex subcommissario ai rifiuti ed ex assessore al Comune, Massimo Paulucci. Non è tutto. La lista prosegue citando spesso il capogruppo dei Ds in Regione, Antonio Amato, il fedelissimo di De Mita Antonio Valiante, l'assessore comunale Giorgio Nugnes e Andrea Losco, oggi eurodeputato rutelliano, ma un tempo commissario ai rifiuti e presidente di Regione, dopo l'esponente di An, Antonio Rastrelli (i nomi degli uomini di Rastrelli vengono indicati nell'elenco con la dicitura '99').

Adesso con i rifiuti di nuovo per le strade, il clima di consociativismo politico che ha reso possibile l'ennesima emergenza non sfugge ai campani, che scendono in piazza per protestare. E a farne le spese sono un po' tutti. Chi tenta di bloccare la polizia e i funzionari di De Gennaro ormai non fa più differenze di colore di casacca. Ne sa qualcosa Pietro Diodato, consigliere regionale di An e membro della commissione Ambiente, celebre a Napoli per una serie di denunce contro gli sprechi della giunta comunale di Rosa Russo Iervolino. Diodato con la spazzatura ci è cresciuto. I suoi nonni fino a vent'anni fa trasportavano con i loro camion la monnezza nella discarica privata di Pianura, quella che De Gennaro avrebbe voluto riaprire e che invece ospiterà solo un sito di stoccaggio per ecoballe. Oggi Diodato nel quartiere dove è nato e cresciuto ci può mettere piede solo a suo rischio e pericolo. Ai primi di febbraio la folla inferocita ha bruciato un grande distributore di benzina a forma di camion da poco aperto da sua nipote e la sua sede elettorale. Agli abitanti, che inizialmente si muovevano in massa assieme a ultras del Napoli e gruppi di figli di camorristi in motorino, non era andata giù un'intervista in cui Diodato si mostrava possibilista sull'utilizzo della discarica e soprattuto un emendamento da lui presentato in occasione della discussione della legge regionale sui rifiuti. Cosa proponeva Diodato? Semplicemente che i capannoni vicini alla discarica potessero essere utilizzati per ospitare impianti per la separazione della spazzatura. "La mia intenzione era solo quella di creare dei nuovi posti di lavoro", assicura il consigliere di An. Ma per i manifestanti il fatto che sulla strada diretta ai capannoni, dove ci sono già altri distributori, i famigliari di Diodato avessero aperto una pompa proprio della marca di carburanti con cui è convenzionata l'azienda comunale della nettezza urbana, era diventata la prova di come anche lui sulla monnezza ci volesse marciare. Diodato, ovviamente nega, ma intanto si trova a fare i conti con il nemico in casa.

Il vero leader della protesta di Pianura è infatti il consigliere comunale Marco Nonno, un fascista di altri tempi che sull'auto tiene appiccicato un adesivo che avverte: 'Balilla a bordo'. Suo fratello è stato condannato a 14 anni di carcere per aver sprangato a morte, sul finire degli anni '70, un ambientalista, lui però è fatto di altra pasta e anche se adesso è nei guai per aver tentato di vendere via Internet una vecchia mitragliatrice da guerra, respinge le accuse di chi lo segnala come uno dei fomentatori degli scontri: "Non ho pagato nessuno dei manifestanti e soprattuto non ho fatto affari loschi. Con quelli che hanno costruito intorno alla discarica non ho niente da vedere". Una precisazione d'obbligo, visto che tra i primi nemici della discarica, oltre che gli abitanti, ci sono gli imprenditori legati alla camorra che hanno edificato palazzine abusive il cui valore crollerebbe se qui arrivassero i rifiuti.

In Campania del resto funziona così. Pensi alla monnezza e spunta il politico. Anche quello che non ti aspetti. Persino Paolo Russo, il parlamentare di Forza Italia che insieme al senatore di Rifondazione Tommaso Sodano nella passata legislatura fece luce su molti degli affari sporchi legati alla gestione del business ambientale, ha vicino a lui chi fa soldi con la spazzatura. Il fratello del suo assistente parlamentare compare nella compagine societaria di tre aziende interessate nella gestione del ciclo dei rifiuti. Mentre la Ecocampania, specializzata in raccolta, faceva capo al segretario provinciale dell'Udeur di Caserta, Nicola Ferraro, poi arrestato dalla Procura di Santa Maria Capua a Vetere. Sempre di rifiuti, tramite quattro società al quale è stata tolta la certificazione antimafia per condizionamenti da parte del clan dei Casalesi, si occupa anche il fratello di Nicola Marrazzo, consigliere regionale e segretario provinciale di Napoli dell'Italia dei Valori.

Ma è andando a Caserta che il continuo conflitto d'interessi, o meglio gli interessi che intrecciano il business ambientale con la politica, diventano ancora più evidenti. Qui, secondo i pm antimafia, la facevano da padrone aziende di smaltimento dei fratelli Orsi, due imprenditori legatissimi al presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai, Mario Landolfi, e al deputato di Forza Italia Nicola Cosentino, un ex socialdemocratico più volte candidato dagli azzurri nonostante la parentela acquisita con il boss Peppe Russo, detto ''o Padrino'. Gli Orsi erano in costante contatto con il segretario particolare di Landolfi, ora arrestato, ma visto che si trattava di gente dai forti ideali, quando al governo c'era finita la sinistra si erano iscritti ai Ds per intercessione del consigliere regionale Angelo Brancaccio. Poi anche Brancaccio è finito in manette. E una volta scarcerato, l'ex ministro della Giustizia, Clemente Mastella, lo ha voluto con sé come vice segretario regionale dell'Udeur. Il riciclaggio, almeno a livello politico, in Campania, nonostante tutto funziona.
fonte: L'Espresso

09 febbraio 2008

La costituente? La rampa di lancio per Grillo


La casta ha i suoi privilegi e, naturalmente fa di tutto per mantenerli. Non c'è un metodo "legale" per diminuire i loro privilegi. Quindi, una sola idea la butta giù il Blondet sul suo spazio virtuale. La raccolgo e la giro....

Qualcuno (Montezomolo, Casini…) nei giorni scorsi ha buttato là l’auspicio che la prossima sia «una legislatura costituente».
L’idea, ammesso che fosse un’idea, appare di nuovo sepolta nel frenetico nullismo della «politica», in vista delle elezioni anticipate.
Invece è l’idea giusta.

L’idea rivoluzionaria: non una vaga «legislatura costituente», bensì una vera e propria Assemblea Costituente, come quella del 1946 che scrisse la Costituzione oggi decrepita.
Su questo dobbiamo mobilitare il popolo di internet.
Se qualcuno conosce Beppe Grillo, glielo gridi: Beppe, è questa la tua battaglia!
Raccogli le firme per la nuova Costituente!
Sicuramente sarebbe eletto lui e le persone che indicherà.
La «gente» potrebbe eleggere per una volta persone non indicate dai partiti, per cambiare davvero le cose.

Perché questo, pensateci, sarebbe rivoluzionario: per i 18-24 mesi della sua esistenza, l’Assemblea Costituente sarebbe un organo eletto antagonista del Parlamento partitico, e più legittimo di esso. Con possibilità straordinarie in funzione anti-Casta.
Perché più legittima?

La sua maggiore legittimità dipenderebbe dalla maggiore indipendenza dei costituenti dai partiti. Ovviamente, i partiti presenteranno i «loro» candidati, che proporranno ai loro elettorati-robot: se avessero pieno successo, la Costituente sarebbe la fotocopia del marcio parlamento, ci troveremmo Mastella padre della costituzione nuova.
Nulla di rivoluzionario.
Per contrastare questo, occorrono due provvedimenti.

Primo: elezione dei candidati non per circoscrizioni (che producono solo delegati che sono espressioni delle clientele locali, ossia della corruzione di Casta), bensì per collegio unico nazionale: in questo modo, sarebbero elette personalità con idee.
Sarebbe eletto sicuramente Grillo e le persone da lui indicate.
Sarebbero eletti opinion leader, personalità note per i loro scritti e pensieri (buoni o cattivi, importa meno), note sul piano nazionale, non manovratori di denaro pubblico a Ceppaloni.
Sarei forse eletto persino io, modesto sottoscritto: che forse ho 200 mila voti tra chi mi conosce nell’intera Italia, ma ben pochi in una sola circoscrizione, non avendo foraggiato clientele nè potuto distribuire favori e posti.

Secondo provvedimento necessario: i candidati alla Costituente devono essere esclusi da ogni altra futura candidatura.
Se eletti, lavoreranno per 18-24 mesi a correggere la Costituzione attuale vecchia e marcia, poi tutta a casa.
Per sempre.
Mai più potranno candidarsi deputati o consiglieri regionali o comunali.
E’ facile capire che, con questo limite, i politici professionali, da Mastella a Casini, da D’Alema ad Alfredo Biondi (che due giorni fa ha detto «il parlamento è casa mia») non avranno nessun interesse a farsi costituenti, perché poi non potrebbe fare il loro lucroso mestiere di politici a vita, non sapendo fare altro.

Una attenuazione di questa misura sarebbe: i candidati s’impegnano con giuramento a non presentarsi ad elezioni, né politiche né amministrative, prima di cinque anni dalla chiusura dei lavori della Costituente.
Anche così, i Mastella e D’Alema non si candiderebbero a questa assemblea, perché non riuscirebbero a stare lontani dall’altra – quella del malaffare e dello stipendio – per cinque anni.
Sarebbero così eletti costituenti dei cittadini che, dopo aver reso questo servizio alla patria, se ne tornano a casa da normali privati.

Già questa è una selezione: di persone disinteressate, più onorevoli degli «onorevoli».
E questo aumenta la loro legittimità rispetto al parlamento.
Pensate: per uno-due anni, un’assemblea di questo genere esisterebbe a fianco del Parlamento, più legittimata delle Camere.
Un organo legislativo supremo più onorabile e potente del cosiddetto «potere legislativo».
Le occasioni rivoluzionarie di una simile assemblea sarebbero molte e straordinarie, a cominciare da un effettivo «controllo» delle peggiori magagne del legislativo, fino ad interventi imprevedibili: esattamente come nel 1789 gli Stati Generali (l’assemblea convocata dal re rovinato dai debiti, per chiedere i soldi al popolo) si autoproclamò Assemblea Nazionale costituente, e cominciò la Révolution.

S’intende che una Costituente non si occupa della politica giorno-per-giorno.
Si occupa di correggere la vecchia Costituzione là dove (come ha detto abbastanza precisamente Montezemolo) essa «non tiene conto dei problemi veri del paese», e copre una «politica sempre più lontana dalla realtà».
Questo significa che, di per sé, la Costituente si erge contro la Casta.

Perché infatti, come la prima Costituente del 1946 si preccupò di formulare una Costituzione che impedisse il ritorno improbabile del fascismo, della «oppresione» e della «dittatura», è chiaro che oggi, per questa generazione, il nemico della democrazia non è il fascismo, bensì la Casta.
Quella Costituzione si volle «antifascista».
Questa, deve volersi «anti-castista».
Deve studiare e promulgare una Costituzione che debelli la Casta e ne impedisca durevolmente il ritorno al potere.
Come?

Questo lo stabilirà la Costituente stessa, nel pubblico aperto dibattito.
Certo occorrerà studiare bene tutti gli uncini, i tentacoli e le ventose con cui la Casta si aggrappa al potere reale – alla cassa del denaro pubblico – onde strapparglieli ad uno ad uno.
In questo senso, la proposta di Grillo – di escludere dalle cariche elettive i condannati penali, anche in primo grado – segna una via praticabile.
E così l’altra proposta, quella di vietare di ripresentarsi dopo due mandati.
Si vede bene che Grillo ha un animo costituente, che sta cercando di spezzare la politica come mestiere lucroso, di sbatter fuori i deputati che sono deputati da 60 anni.
Grillo costituente!

Ma quelle sono solo prime indicazioni, che devono trovare posto in un quadro complessivo e coerente.
Butto giù un paio di idee, da esporre al giudizio e al dibattito.

Lo scopo essenziale di una nuova Costituzione deve essere quello di ricreare il sano antagonismo tra «camere» e «governo» (tra legislativo ed esecutivo) che presiedette alla nascita dei parlamenti.
I primi parlamenti non nacquero per sfornare leggi a capocchia, come oggi.
Nacquero come controllori, a nome del popolo, delle eccessive spese pubbliche del re (il governo), e quindi dell’eccessivo peso tributario imposto ai cittadini.
I parlamenti erano dunque «contro» il governo.
Assemblee di cittadini elette da cittadini per tenere sotto controllo l’esecutivo, e vietargli di imporre troppe tasse.
Discutendo ad uno ad uno, gelosamente, occhiutamente, i progetti di spesa: un’altra guerra?
Non sia mai!
Un nuovo fastoso Palazzo di Versailles?
Pagatelo tu!

Oggi, accade il contrario.
I governi sono espressione del parlamento, ossia dei partiti e dei politici di mestiere.
Se c’è un governo di «sinistra», è perché il parlamento ha una maggioranza di sinistra, interessata a partecipare alle malefatte del governo e a coprirne le ruberie e gli sbagli o le iniquità.
Lo stesso vale per la «destra».
Non c’è da stupirsi se la spesa pubblica è aumentata mostruosamente.
Nessuno controlla la spesa pubblica.
Né il legislativo né il «suo» esecutivo hanno interesse a frenarla.
Governo e parlamento sono pappa e ciccia.
Ed è qui il cancro, la malattia centrale della democrazia.

La Costituente dovrà concentrarsi dunque sui metodi legali, da inserire nella Costituzione, per impedire il pappa e ciccia.
Come?
Secondo me, c’è un solo modo.
Separare per Costituzione il modo di formazione del governo dal modo di formazione delle Camere.

Per esempio: il popolo vota per suffragio universale e diretto il capo del governo.
Questo è obbligato a scegliere i suoi ministri fra i non-parlamentari, né quelli in carica (soprattutto) né quelli passati.
Deve scegliere dei tecnici non eletti, che rispondono a lui (e possono essere chiamati dal parlamento per essere interrogati), ma di cui lui è essenzialmente il solo chiaro responsabile politico.
Il capo del governo (che può essere anche capo dello stato come in USA, oppure no) è votato dal «popolo» in quanto tale, e si offre al giudizio del popolo perché esprima un parere sul suo primo mandato di governo, con un secondo mandato.
Anche il parlamento viene eletto dal »popolo», sia pure organizzato in fazioni, in partiti, in categorie, in clientele.
Questo allo stato attuale è probabilmente inevitabile.
Come evitare il pappa-e-ciccia?

Facile e già applicato in vari paesi: con la sfasatura nel tempo delle elezioni parlamentari e di quelle del capo del governo.
In tal modo, almeno nel secondo mandato, il capo si trova generalmente un parlamento d’opposizione.
Come Bush repubblicano, che ha un congresso democratico.
Naturalmente questo mezzo non è risolutivo, come dimostra i caso americano: il Congresso democratico è servilissimo verso Bush repubblicano disastroso.
L’ideale sarebbe che i cittadini votassero per ceti (gli «stati» della Francia), e più precisamente per categorie socio-fiscali: lavoratori dipendenti privati tassati alla fonte, dipendenti pubblici, lavoratori autonomi, professionisti, capitalisti.
Invece di «far politica» i rappresentanti di ogni categoria fiscale controllerebbero non solo la spesa del governo, ma le altre categorie fiscali, le loro elusioni e i privilegi loro accordati eventualmente dal governo a danno delle altre categorie.
Sarebbe un bel parlamento, che «tiene conto dei problemi veri del paese», litigioso all’interno (com’è l’Italia fino nelle riunioni di condominio) ed apolitico.
Ma mi rendo conto di proporre un’utopia.

L’altra utopia – ma la propongo alla discussione – sarebbe: per Costituzione, il parlamento si riunisce in due sessioni, di un mese ciascuna, per approvare o respingere il bilancio di previsione e per approvare o respingere il consuntivo del governo.
Per dieci mesi all’anno, a casa a lavorare da privati: ancora una volta, l’elezione andrebbe trasformata in una corvèe, in un sacrificio al servizio del paese, non in un lucroso mestiere.
E ciò limiterebbe la proliferazione legislativa, attività malefica dell’attuale parlamento.
Precise norme costituzionali dovrebbero «vietare» la proposizione di leggine a scopo clientelare, e in generale limitare il numero di nuove leggi a non più di due all’anno per fazione o partito.

Nell’antica Roma, in 500 anni furono promulgate 300 leggi, e per lo più pessime: liste di proscrizione, «non licet esse christianos» eccetera.
La società non ha bisogna di leggi, ma di codici e giurisprudenza.
E ovviamente, la Costituente dovrebbe stabilire con estrema precisione restrittiva le «incompatibilità».
Non solo fra cariche locali e nazionali; anche i magistrati dovrebbero essere non-eleggibili se non dopo cinque anni dall’aver lasciato la toga
I funzionari pubblici d’alto livello, i grand commis (come Prodi e Ciampi e Draghi), dovrebbero essere parimenti ineleggibili; e così i giornalisti della Rai, per esempio.

Parimenti occhiuta, minuziosa e gelosa dovrebbe essere la definizione dei «conflitti d’interesse», che non sono solo quelli di Berlusconi.
Se Prodi mette ai posti del sottogoverno i suoi ex-dipendenti di Nomisma, anche quello è un conflitto d’interessi di prima grandezza.

La faccio finita, per non essere noioso.
Ho buttato giù in fretta due idee.
Ma l’idea centrale è: ci vuole una Costituente, e questo sarebbe già un atto rivoluzionario, anti-Casta.
Qualcuno lo dica a Beppe Grillo, che ha i mezzi per raccogliere le firme: è la nostra ultima speranza.

Maurizio Blondet

11 febbraio 2008

I politici sono diventati meno intoccabili?



Sarà un caso ma da quando il governo Prodi è entrato in crisi sembra che almeno nell’interregno delle elezioni siano venute meno le non poche guarentigie che la nostra repubblica ha accordato ai suoi terminali mafiosi più esposti. O perché le protezioni regionali concesse da certe stanze si sono alleggerite o perché qualche magistratura locale si è fatta più coraggiosa, ecco che miracolosamente carabinieri e poliziotti sono stati lasciati liberi di picchiare qualche colpo. Ne fanno fede le perquisizioni già miracolose nelle case e negli uffici inviolabili del plurindagato governatore calabrese Agazio Loiero ed altre piccole iniziative nel sud e anche nel nord. Si è svegliata persino la sonnolenta polizia napoletana andando ad acciuffare tale Vicienzo o’ chiatto, molto reclamizzato dalle fonti dominanti ma in realtà solo un boss del quartiere di Secondigliano. Sono segnali probabilmente provvisori destinati ad epater le bourgeois (a far fessa l’opinione pubblica detto nell’amata e coltissima seconda lingua diffusa in questo sito) in attesa che si ricompongano gli equilibri squassati dalla crisi politica e si richiudano le acque puenti del sempre più esteso intreccio politica-crimine organizzato.

In questo contesto si vorrebbe far rientrare l’altisonante operazione trans-oceanica Palermo-New York (con triangolazioni canadesi), che sui giornali di venerdì scorso intendeva rinverdire le glorie della Pizza Connection degli anni ’80 sulle quali è nato ed ha prosperato il più potente gruppo di potere che abbia mai comandato in Italia dopo la Fiat di Valletta-Agnelli e l’Eni di Enrico Mattei: parliamo ovviamente della super-casta dell’antimafia, con le sue carriere politiche e i suoi super magistrati e super poliziotti, con i suoi bilanci miliardari e le innovative leggi anti-crimine, copiate dai nuovi codici americani, a cominciare dai programmi di protezione per i collaboratori di giustizia.

E’ in quel periodo che vennero radicalmente modificati i rapporti di collaborazione riservata tra Italia e Usa, il cui baricentro passò progressivamente dalla CIA al FBI. La fine della guerra fredda determinò poi la definitiva precedenza del Bureau e la sostanziale estromissione dell’agenzia dalle vicende italiane, ratificata dal processo milanese per il rapimento del imam Abu Omar.

La storia tenta spesso di imitare se stessa ma sempre a livelli più scadenti. Le firme più informate e suggestive del Corriere e di Repubblica ci hanno presentato adesso questo divertente affresco della retata da 90 arresti tra le due sponde continentali. Ma dando pochissimi chiarimenti giudiziari, ad esempio sugli effettivi reati commessi, e dilungandosi in racconti ad effetto di vita vissuta sulle manovre di Cosa Nostra siculo-Usa per uscire dalla sua doppia crisi epocale. Attraversando gustose storie e storielle di viaggi e ristoranti, donne e progetti di nuovi loschi affari, alla fin fine vi riferiamo il succo che dalla clamorosa retata abbiamo ricavato.

La premessa è che, negli anni ’80 il vecchio establishment mafioso dei Bontade- Badalamenti-Inzerillo alleato della super famiglia Gambino negli Usa si trovo schiacciato tra la nuova repressione a tolleranza zero del procuratore speciale Rudy-Rudy Giuliani e la cosiddetta “seconda guerra di mafia” scatenata dalle famiglie paesane e rampanti dei Corleonesi di Totò Riina. Una tenaglia micidiale: tra pentiti e manette da un lato e i mitra dall’altro, fu una strage epocale. I perdenti vennero braccati e massacrati fino negli Usa. La vecchia mafia siculo-americana morì lì, travolgendo anche alcuni suoi noti referenti politici come Salvo Lima. Il processo a Giulio Andreotti fu figlio di quell’ondata epocale. Non appena chiusa quella fase, ne iniziò subito una seconda limitata al versante italiano, quando il nuovo potente “complesso antimafia” nato dalla collaborazione con Giuliani si lanciò con i nuovi strumenti investigativi e con altri mezzi contro la nuova mafia vincente dei Corleonesi.

Il celebre corvo di Palermo denunciò che il killer Totuccio Contorno, l’ultimo degli uomini di Bontade, aveva approfittato della sua posizione di pentito per vendicarsi a revolverate di vari nemici Corleonesi, aiutando così la Patria e gli inquirenti che guardavano da un’altra parte. Poi vennero gli arresti clamorosi, Riina, Bagarella e gli altri, poi i maxiprocessi e gli ergastoli in quantità. Quando l’anno scorso è stato preso anche il vecchio Provenzano con i suoi acciacchi e gli antiquati pizzini, anche la mafia strettamente siciliana, era già finita da un pezzo. E’ irrilevante che molti continuino ad esaltarne il pericolo per approfittare dei beni mafiosi sequestrati, preferendo invece tacere su altri fronti mafiosi oggi molto più pericolosi della scalcagnata Cosa Nostra: la camorra napoletana, con cui il sistema di potere di Bassolino è riuscito sinora a convivere (ma non giuriamo sul domani); e soprattutto sulla ‘ndranghetra calabrese diventata grazie all’alacre porto di Gioia Tauro, potenza economica internazionale della cocaina che ha messo radici in Germania, Canada, Australia.

L’ultimo blitz ha dunque più che altro più un valore mediatico e persino romantico. Nessun “colpo ai padrini “ come è stato detto, ma semmai ai possibili futuri padrini. L’operazione, 54 arresti in America e 23 a Palermo, è stata realizzata quasi tutta negli Usa dagli americani con una minima partecipazione delle procure antimafia siciliane e delle celebratissime giubbe rosse a cavallo canadesi. L’FBI l’ha montata con testimonianze di nuovi pentiti, intercettazioni e -non si dice ma è da giurarci- su precise soffiate anche incartate da intercettazioni. Al dunque ne sono usciti tre nomi degni di considerazione. A New York, è stato arrestato un certo Frank Calì di 42 anni, palermitano di padre, nato a Brooklin, che ha sposato una Inzerillo ed è considerato dal FBI come l’astro nascente della nuova Cosa nostra americana. Frank Calì aveva imbastito una rete di contatti con gli ultimi Corleonesi di Sicilia con l’ambiziosa proposta di giungere a una nuova pace e a nuovi fruttuosi affari tra vecchi nemici e vecchie sponde. Ma, leggendo sulla stampa delle sue pubbliche ostentazioni di potere e che si era intestato di persona negli Usa una decina di società di import-export e di costruzioni, si capisce subito che un pollo simile non poteva fare una lunga carriera.

Forse con troppa fantasia, questa indagine del FBI è stata battezzata “Old Bridge”, cioè “il vecchio ponte” New York-Palermo che qualcuno voleva riattivare. Grazie al lavoro diplomatico di Frank Calì, iniziato nel 2003 con viaggi e incontri, i giovani eredi Inzerillo si erano già riaffacciati a Palermo, dove è stato preso Giovanni Inzerillo, il più giovane del famiglia quasi sterminata dai Corleonesi negli anni ’80. Ma il ritorno degli esiliati non era affatto gradito a molti superstiti Corleonesi ancora in circolazione, timorosi di subire qualche vendetta a sorpresa. Il portavoce del dissenso era tale Antonino Rotolo, un capofamiglia fedelissimo di Totò Riina. E qui tocchiamo una corda sensibile. Il terzo nome importante è quello di certo Giovanni Nicchi un altro giovane, che la polizia italiana ha indicato con tranquilla sicurezza ai colleghi americani come il futuro capo di Cosa Nostra siciliana. Ora, un primo caso vuole che Nicchi sia un uomo di Rotolo cioè di Riina. E un secondo caso rivela che mentre gli Inzerillo cadevano nella rete, lui l’uomo dei Corleonesi è sfuggito alla polizia italiana e figura tra i 13 latitanti delle retate. Sommando due più due non è difficile capire chi è che ha mandato a monte la riapertura del vecchio ponte facendo arrestare gli epigoni americani della vecchia mafia perdente.

A parte l’evidente compiacimento trasmesso dagli inquirenti ai cronisti, va dato atto che l’operazione Old Bridge ha bloccato sul nascere l’ipotesi –solo l’ipotesi- di una nuova generazione di boss mafiosi un po’ dilettanteschi in Usa e in Italia. Tutto bene, un po’ di pubblicità fa sempre bene alla polizia. Ma solo se gli sforzi di soldi e di uomini dedicati a quei mafiosi da due soldi, verranno seriamente profusi in altre direzioni meno cinematografiche ma sempre più pericolose e coinvolte con il sistema politico del Paese. Forse l’Italia non è ancora un narco-Stato ma la strada per diventarlo non è troppo lunga.

Claudio Lanti

10 febbraio 2008

Il riciclaggio è solo quello POLITICO?



Gli appalti. La scelta delle aree per le discariche. Le aziende di smaltimento. Persino le assunzioni al Commissariato. Nella regione il business dei rifiuti scatena gli interessi di tutte le forze politiche.

Da una parte i nomi e cognomi dei dipendenti, dall'altra quelli dei loro sponsor politici. Ecco, se si vuole capire che cosa è davvero accaduto in Campania dove, dall'11 febbraio del 1994, esiste un Commissariato per l'emergenza rifiuti che ha speso quasi 2 miliardi di euro senza riuscire a centrare nessuno degli obiettivi imposti, si può benissimo partire da qui. Da questo lungo elenco di nomi preparato in via ufficiosa nel 2004 dalla direzione del personale nelle settimane in cui, dopo le dimissioni di Antonio Bassolino, il Commissariato veniva scorporato in tre diverse sezioni: rifiuti, acque e bonifica.

Leggendo la lista, di cui L'espresso è riuscito a ottenere una copia, diventano, riga dopo riga, chiare le responsabilità di un'intera classe politica: non solo dei bassoliniani del Partito democratico che governano la regione, ma anche dell'opposizione di centrodestra che all'ombra del Vesuvio ha partecipato e partecipa con passione all'immondo banchetto della spazzatura.

Sì perché qui la monnezza, un business che tra appalti e stipendi, fattura un milione di euro al giorno, è un affare di tutti. I politici, prima ancora che la camorra, ci guadagnano non solo in termini di consenso elettorale, imponendo assunzioni nei 18 diversi consorzi di raccolta, tutti rigorosamente lottizzati, ma anche indicando le aree di imprenditori amici dove potrebbero essere aperte discariche e centri di stoccaggio, gestendo pompe di benzina convenzionate con le aziende dei rifiuti, improvvisandosi trasportatori e soprattutto creando decine e decine di aziende a capitale misto pubblico-privato dove piazzare amici, compagni di partito e parenti.

Anche per questo il Commissariato, dove pure nel corso degli anni hanno lavorato giorno e notte molti tecnici di assoluto valore, si è a poco a poco trasformato in carrozzone dove arrivava, 'comandato' da altre amministrazioni pubbliche, personale ansioso di intascare le 70 ore di straordinario mensili garantite a ciascun dipendente. Così, mentre il nuovo commissario Gianni De Gennaro va affannosamente a caccia di terreni dove riversare almeno una parte delle oltre 300 mila tonnellate di rifiuti che ancora intasano gli angoli delle strade della regione, la lista segreta dei vecchi dipendenti del Commissariato diventa adesso una fotografia impietosa di quanto è accaduto. Un'istantanea della Casta che comanda in Campania.

Scorrendo l'elenco, le sorprese non mancano: a segnalare i 'comandati' non erano solo i Ds, la Margherita, l'Udeur. Ci davano dentro pure Forza Italia e Alleanza nazionale. Negli uffici del Commissariato erano per esempio di casa Antonio e Flavio Martuscello, i due dioscuri azzurri del napoletano, rispettivamente deputato ed ex sottosegretario all'Ambiente il primo, consigliere regionale più votato d'Italia, il secondo. I Martuscello avevano sponsorizzato sei diversi nomi. Altri due erano invece stati proposti dal consigliere regionale azzurro Giuseppe Sagliocco, il quale, dopo aver inviato tecnici di suo fiducia al Commissariato, tre anni fa non si è trovato in imbarazzo a capeggiare, assieme a un bel gruppo di parlamentari del centrodestra, le proteste della popolazione che chiedeva il blocco dell'unica discarica ancora disponibile quella di Parco Saurino 2, a Santa Maria La Fossa. Una segnalazione era poi arrivata tramite Francesco Bianco, fino a due anni fa in Regione nelle fila del partito di Berlusconi, e ora capogruppo in Comune per l'Udeur.

Lì Bianco si è ritrovato accanto ai professionisti delle nomine: gli iscritti del partito di Clemente Mastella (nell'elenco compare pure una sua sponsorizzazione diretta) che al Commissariato piazzavano personale per intervento del segretario regionale Antonio Fantini, di Pasquale Giuditta, un deputato sposato con la sorella di lady Mastella, dell'ex assessore regionale all'Ambiente Ugo De Flaviis poi cacciato dal Campanile ("Pago per le nomine non fatte", disse De Flaviis) e dell'ex sottosegretario all'Agricoltura nel governo D'Alema, Nello Di Nardo, dal 2006 cordinatore nazionale degli eletti dell'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Ancora più folta ovviamente è la pattuglia dei raccomandati dal Partito democratico (Ds e Margherita). A parte i nomi che recano vicino la dicitura 'Presidenza' (leggi Bassolino), dietro ai quali si celano non solo tecnici considerati di area di centrosinistra, ma anche raccomandati dal centrodestra (tra i dipendenti c'è per esempio la nipote di un consigliere regionale di Alleanza nazionale), nella colonna degli sponsor appare il nome del ministro dell'Innovazione Luigi Nicolais, del sindaco di Ercolano (politicamente uomo di Nicolais), Nino Daniele, del leader dei rutelliani in Campania, Antonio Villari e dell'ex subcommissario ai rifiuti ed ex assessore al Comune, Massimo Paulucci. Non è tutto. La lista prosegue citando spesso il capogruppo dei Ds in Regione, Antonio Amato, il fedelissimo di De Mita Antonio Valiante, l'assessore comunale Giorgio Nugnes e Andrea Losco, oggi eurodeputato rutelliano, ma un tempo commissario ai rifiuti e presidente di Regione, dopo l'esponente di An, Antonio Rastrelli (i nomi degli uomini di Rastrelli vengono indicati nell'elenco con la dicitura '99').

Adesso con i rifiuti di nuovo per le strade, il clima di consociativismo politico che ha reso possibile l'ennesima emergenza non sfugge ai campani, che scendono in piazza per protestare. E a farne le spese sono un po' tutti. Chi tenta di bloccare la polizia e i funzionari di De Gennaro ormai non fa più differenze di colore di casacca. Ne sa qualcosa Pietro Diodato, consigliere regionale di An e membro della commissione Ambiente, celebre a Napoli per una serie di denunce contro gli sprechi della giunta comunale di Rosa Russo Iervolino. Diodato con la spazzatura ci è cresciuto. I suoi nonni fino a vent'anni fa trasportavano con i loro camion la monnezza nella discarica privata di Pianura, quella che De Gennaro avrebbe voluto riaprire e che invece ospiterà solo un sito di stoccaggio per ecoballe. Oggi Diodato nel quartiere dove è nato e cresciuto ci può mettere piede solo a suo rischio e pericolo. Ai primi di febbraio la folla inferocita ha bruciato un grande distributore di benzina a forma di camion da poco aperto da sua nipote e la sua sede elettorale. Agli abitanti, che inizialmente si muovevano in massa assieme a ultras del Napoli e gruppi di figli di camorristi in motorino, non era andata giù un'intervista in cui Diodato si mostrava possibilista sull'utilizzo della discarica e soprattuto un emendamento da lui presentato in occasione della discussione della legge regionale sui rifiuti. Cosa proponeva Diodato? Semplicemente che i capannoni vicini alla discarica potessero essere utilizzati per ospitare impianti per la separazione della spazzatura. "La mia intenzione era solo quella di creare dei nuovi posti di lavoro", assicura il consigliere di An. Ma per i manifestanti il fatto che sulla strada diretta ai capannoni, dove ci sono già altri distributori, i famigliari di Diodato avessero aperto una pompa proprio della marca di carburanti con cui è convenzionata l'azienda comunale della nettezza urbana, era diventata la prova di come anche lui sulla monnezza ci volesse marciare. Diodato, ovviamente nega, ma intanto si trova a fare i conti con il nemico in casa.

Il vero leader della protesta di Pianura è infatti il consigliere comunale Marco Nonno, un fascista di altri tempi che sull'auto tiene appiccicato un adesivo che avverte: 'Balilla a bordo'. Suo fratello è stato condannato a 14 anni di carcere per aver sprangato a morte, sul finire degli anni '70, un ambientalista, lui però è fatto di altra pasta e anche se adesso è nei guai per aver tentato di vendere via Internet una vecchia mitragliatrice da guerra, respinge le accuse di chi lo segnala come uno dei fomentatori degli scontri: "Non ho pagato nessuno dei manifestanti e soprattuto non ho fatto affari loschi. Con quelli che hanno costruito intorno alla discarica non ho niente da vedere". Una precisazione d'obbligo, visto che tra i primi nemici della discarica, oltre che gli abitanti, ci sono gli imprenditori legati alla camorra che hanno edificato palazzine abusive il cui valore crollerebbe se qui arrivassero i rifiuti.

In Campania del resto funziona così. Pensi alla monnezza e spunta il politico. Anche quello che non ti aspetti. Persino Paolo Russo, il parlamentare di Forza Italia che insieme al senatore di Rifondazione Tommaso Sodano nella passata legislatura fece luce su molti degli affari sporchi legati alla gestione del business ambientale, ha vicino a lui chi fa soldi con la spazzatura. Il fratello del suo assistente parlamentare compare nella compagine societaria di tre aziende interessate nella gestione del ciclo dei rifiuti. Mentre la Ecocampania, specializzata in raccolta, faceva capo al segretario provinciale dell'Udeur di Caserta, Nicola Ferraro, poi arrestato dalla Procura di Santa Maria Capua a Vetere. Sempre di rifiuti, tramite quattro società al quale è stata tolta la certificazione antimafia per condizionamenti da parte del clan dei Casalesi, si occupa anche il fratello di Nicola Marrazzo, consigliere regionale e segretario provinciale di Napoli dell'Italia dei Valori.

Ma è andando a Caserta che il continuo conflitto d'interessi, o meglio gli interessi che intrecciano il business ambientale con la politica, diventano ancora più evidenti. Qui, secondo i pm antimafia, la facevano da padrone aziende di smaltimento dei fratelli Orsi, due imprenditori legatissimi al presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai, Mario Landolfi, e al deputato di Forza Italia Nicola Cosentino, un ex socialdemocratico più volte candidato dagli azzurri nonostante la parentela acquisita con il boss Peppe Russo, detto ''o Padrino'. Gli Orsi erano in costante contatto con il segretario particolare di Landolfi, ora arrestato, ma visto che si trattava di gente dai forti ideali, quando al governo c'era finita la sinistra si erano iscritti ai Ds per intercessione del consigliere regionale Angelo Brancaccio. Poi anche Brancaccio è finito in manette. E una volta scarcerato, l'ex ministro della Giustizia, Clemente Mastella, lo ha voluto con sé come vice segretario regionale dell'Udeur. Il riciclaggio, almeno a livello politico, in Campania, nonostante tutto funziona.
fonte: L'Espresso

09 febbraio 2008

La costituente? La rampa di lancio per Grillo


La casta ha i suoi privilegi e, naturalmente fa di tutto per mantenerli. Non c'è un metodo "legale" per diminuire i loro privilegi. Quindi, una sola idea la butta giù il Blondet sul suo spazio virtuale. La raccolgo e la giro....

Qualcuno (Montezomolo, Casini…) nei giorni scorsi ha buttato là l’auspicio che la prossima sia «una legislatura costituente».
L’idea, ammesso che fosse un’idea, appare di nuovo sepolta nel frenetico nullismo della «politica», in vista delle elezioni anticipate.
Invece è l’idea giusta.

L’idea rivoluzionaria: non una vaga «legislatura costituente», bensì una vera e propria Assemblea Costituente, come quella del 1946 che scrisse la Costituzione oggi decrepita.
Su questo dobbiamo mobilitare il popolo di internet.
Se qualcuno conosce Beppe Grillo, glielo gridi: Beppe, è questa la tua battaglia!
Raccogli le firme per la nuova Costituente!
Sicuramente sarebbe eletto lui e le persone che indicherà.
La «gente» potrebbe eleggere per una volta persone non indicate dai partiti, per cambiare davvero le cose.

Perché questo, pensateci, sarebbe rivoluzionario: per i 18-24 mesi della sua esistenza, l’Assemblea Costituente sarebbe un organo eletto antagonista del Parlamento partitico, e più legittimo di esso. Con possibilità straordinarie in funzione anti-Casta.
Perché più legittima?

La sua maggiore legittimità dipenderebbe dalla maggiore indipendenza dei costituenti dai partiti. Ovviamente, i partiti presenteranno i «loro» candidati, che proporranno ai loro elettorati-robot: se avessero pieno successo, la Costituente sarebbe la fotocopia del marcio parlamento, ci troveremmo Mastella padre della costituzione nuova.
Nulla di rivoluzionario.
Per contrastare questo, occorrono due provvedimenti.

Primo: elezione dei candidati non per circoscrizioni (che producono solo delegati che sono espressioni delle clientele locali, ossia della corruzione di Casta), bensì per collegio unico nazionale: in questo modo, sarebbero elette personalità con idee.
Sarebbe eletto sicuramente Grillo e le persone da lui indicate.
Sarebbero eletti opinion leader, personalità note per i loro scritti e pensieri (buoni o cattivi, importa meno), note sul piano nazionale, non manovratori di denaro pubblico a Ceppaloni.
Sarei forse eletto persino io, modesto sottoscritto: che forse ho 200 mila voti tra chi mi conosce nell’intera Italia, ma ben pochi in una sola circoscrizione, non avendo foraggiato clientele nè potuto distribuire favori e posti.

Secondo provvedimento necessario: i candidati alla Costituente devono essere esclusi da ogni altra futura candidatura.
Se eletti, lavoreranno per 18-24 mesi a correggere la Costituzione attuale vecchia e marcia, poi tutta a casa.
Per sempre.
Mai più potranno candidarsi deputati o consiglieri regionali o comunali.
E’ facile capire che, con questo limite, i politici professionali, da Mastella a Casini, da D’Alema ad Alfredo Biondi (che due giorni fa ha detto «il parlamento è casa mia») non avranno nessun interesse a farsi costituenti, perché poi non potrebbe fare il loro lucroso mestiere di politici a vita, non sapendo fare altro.

Una attenuazione di questa misura sarebbe: i candidati s’impegnano con giuramento a non presentarsi ad elezioni, né politiche né amministrative, prima di cinque anni dalla chiusura dei lavori della Costituente.
Anche così, i Mastella e D’Alema non si candiderebbero a questa assemblea, perché non riuscirebbero a stare lontani dall’altra – quella del malaffare e dello stipendio – per cinque anni.
Sarebbero così eletti costituenti dei cittadini che, dopo aver reso questo servizio alla patria, se ne tornano a casa da normali privati.

Già questa è una selezione: di persone disinteressate, più onorevoli degli «onorevoli».
E questo aumenta la loro legittimità rispetto al parlamento.
Pensate: per uno-due anni, un’assemblea di questo genere esisterebbe a fianco del Parlamento, più legittimata delle Camere.
Un organo legislativo supremo più onorabile e potente del cosiddetto «potere legislativo».
Le occasioni rivoluzionarie di una simile assemblea sarebbero molte e straordinarie, a cominciare da un effettivo «controllo» delle peggiori magagne del legislativo, fino ad interventi imprevedibili: esattamente come nel 1789 gli Stati Generali (l’assemblea convocata dal re rovinato dai debiti, per chiedere i soldi al popolo) si autoproclamò Assemblea Nazionale costituente, e cominciò la Révolution.

S’intende che una Costituente non si occupa della politica giorno-per-giorno.
Si occupa di correggere la vecchia Costituzione là dove (come ha detto abbastanza precisamente Montezemolo) essa «non tiene conto dei problemi veri del paese», e copre una «politica sempre più lontana dalla realtà».
Questo significa che, di per sé, la Costituente si erge contro la Casta.

Perché infatti, come la prima Costituente del 1946 si preccupò di formulare una Costituzione che impedisse il ritorno improbabile del fascismo, della «oppresione» e della «dittatura», è chiaro che oggi, per questa generazione, il nemico della democrazia non è il fascismo, bensì la Casta.
Quella Costituzione si volle «antifascista».
Questa, deve volersi «anti-castista».
Deve studiare e promulgare una Costituzione che debelli la Casta e ne impedisca durevolmente il ritorno al potere.
Come?

Questo lo stabilirà la Costituente stessa, nel pubblico aperto dibattito.
Certo occorrerà studiare bene tutti gli uncini, i tentacoli e le ventose con cui la Casta si aggrappa al potere reale – alla cassa del denaro pubblico – onde strapparglieli ad uno ad uno.
In questo senso, la proposta di Grillo – di escludere dalle cariche elettive i condannati penali, anche in primo grado – segna una via praticabile.
E così l’altra proposta, quella di vietare di ripresentarsi dopo due mandati.
Si vede bene che Grillo ha un animo costituente, che sta cercando di spezzare la politica come mestiere lucroso, di sbatter fuori i deputati che sono deputati da 60 anni.
Grillo costituente!

Ma quelle sono solo prime indicazioni, che devono trovare posto in un quadro complessivo e coerente.
Butto giù un paio di idee, da esporre al giudizio e al dibattito.

Lo scopo essenziale di una nuova Costituzione deve essere quello di ricreare il sano antagonismo tra «camere» e «governo» (tra legislativo ed esecutivo) che presiedette alla nascita dei parlamenti.
I primi parlamenti non nacquero per sfornare leggi a capocchia, come oggi.
Nacquero come controllori, a nome del popolo, delle eccessive spese pubbliche del re (il governo), e quindi dell’eccessivo peso tributario imposto ai cittadini.
I parlamenti erano dunque «contro» il governo.
Assemblee di cittadini elette da cittadini per tenere sotto controllo l’esecutivo, e vietargli di imporre troppe tasse.
Discutendo ad uno ad uno, gelosamente, occhiutamente, i progetti di spesa: un’altra guerra?
Non sia mai!
Un nuovo fastoso Palazzo di Versailles?
Pagatelo tu!

Oggi, accade il contrario.
I governi sono espressione del parlamento, ossia dei partiti e dei politici di mestiere.
Se c’è un governo di «sinistra», è perché il parlamento ha una maggioranza di sinistra, interessata a partecipare alle malefatte del governo e a coprirne le ruberie e gli sbagli o le iniquità.
Lo stesso vale per la «destra».
Non c’è da stupirsi se la spesa pubblica è aumentata mostruosamente.
Nessuno controlla la spesa pubblica.
Né il legislativo né il «suo» esecutivo hanno interesse a frenarla.
Governo e parlamento sono pappa e ciccia.
Ed è qui il cancro, la malattia centrale della democrazia.

La Costituente dovrà concentrarsi dunque sui metodi legali, da inserire nella Costituzione, per impedire il pappa e ciccia.
Come?
Secondo me, c’è un solo modo.
Separare per Costituzione il modo di formazione del governo dal modo di formazione delle Camere.

Per esempio: il popolo vota per suffragio universale e diretto il capo del governo.
Questo è obbligato a scegliere i suoi ministri fra i non-parlamentari, né quelli in carica (soprattutto) né quelli passati.
Deve scegliere dei tecnici non eletti, che rispondono a lui (e possono essere chiamati dal parlamento per essere interrogati), ma di cui lui è essenzialmente il solo chiaro responsabile politico.
Il capo del governo (che può essere anche capo dello stato come in USA, oppure no) è votato dal «popolo» in quanto tale, e si offre al giudizio del popolo perché esprima un parere sul suo primo mandato di governo, con un secondo mandato.
Anche il parlamento viene eletto dal »popolo», sia pure organizzato in fazioni, in partiti, in categorie, in clientele.
Questo allo stato attuale è probabilmente inevitabile.
Come evitare il pappa-e-ciccia?

Facile e già applicato in vari paesi: con la sfasatura nel tempo delle elezioni parlamentari e di quelle del capo del governo.
In tal modo, almeno nel secondo mandato, il capo si trova generalmente un parlamento d’opposizione.
Come Bush repubblicano, che ha un congresso democratico.
Naturalmente questo mezzo non è risolutivo, come dimostra i caso americano: il Congresso democratico è servilissimo verso Bush repubblicano disastroso.
L’ideale sarebbe che i cittadini votassero per ceti (gli «stati» della Francia), e più precisamente per categorie socio-fiscali: lavoratori dipendenti privati tassati alla fonte, dipendenti pubblici, lavoratori autonomi, professionisti, capitalisti.
Invece di «far politica» i rappresentanti di ogni categoria fiscale controllerebbero non solo la spesa del governo, ma le altre categorie fiscali, le loro elusioni e i privilegi loro accordati eventualmente dal governo a danno delle altre categorie.
Sarebbe un bel parlamento, che «tiene conto dei problemi veri del paese», litigioso all’interno (com’è l’Italia fino nelle riunioni di condominio) ed apolitico.
Ma mi rendo conto di proporre un’utopia.

L’altra utopia – ma la propongo alla discussione – sarebbe: per Costituzione, il parlamento si riunisce in due sessioni, di un mese ciascuna, per approvare o respingere il bilancio di previsione e per approvare o respingere il consuntivo del governo.
Per dieci mesi all’anno, a casa a lavorare da privati: ancora una volta, l’elezione andrebbe trasformata in una corvèe, in un sacrificio al servizio del paese, non in un lucroso mestiere.
E ciò limiterebbe la proliferazione legislativa, attività malefica dell’attuale parlamento.
Precise norme costituzionali dovrebbero «vietare» la proposizione di leggine a scopo clientelare, e in generale limitare il numero di nuove leggi a non più di due all’anno per fazione o partito.

Nell’antica Roma, in 500 anni furono promulgate 300 leggi, e per lo più pessime: liste di proscrizione, «non licet esse christianos» eccetera.
La società non ha bisogna di leggi, ma di codici e giurisprudenza.
E ovviamente, la Costituente dovrebbe stabilire con estrema precisione restrittiva le «incompatibilità».
Non solo fra cariche locali e nazionali; anche i magistrati dovrebbero essere non-eleggibili se non dopo cinque anni dall’aver lasciato la toga
I funzionari pubblici d’alto livello, i grand commis (come Prodi e Ciampi e Draghi), dovrebbero essere parimenti ineleggibili; e così i giornalisti della Rai, per esempio.

Parimenti occhiuta, minuziosa e gelosa dovrebbe essere la definizione dei «conflitti d’interesse», che non sono solo quelli di Berlusconi.
Se Prodi mette ai posti del sottogoverno i suoi ex-dipendenti di Nomisma, anche quello è un conflitto d’interessi di prima grandezza.

La faccio finita, per non essere noioso.
Ho buttato giù in fretta due idee.
Ma l’idea centrale è: ci vuole una Costituente, e questo sarebbe già un atto rivoluzionario, anti-Casta.
Qualcuno lo dica a Beppe Grillo, che ha i mezzi per raccogliere le firme: è la nostra ultima speranza.

Maurizio Blondet