05 aprile 2008

Copiare per innovare


In una lucida analisi Blondet traccia la situazione senza una via d'uscita e, si appella alla storia dove alcuni Italiani si sono distinti permettendo non solo il loro sviluppo ma, anche quella del loro paese.Però dimentica sempre quel vecchio detto ' si può fare tutto, ma solo col consenso della mamma'. Teoria dei bamboccioni? No, solo teoria di madre patria.

La bolla immobiliare spagnola è scoppiata. I prezzi delle case sono scesi del 5-7%, e c’è chi prevede che caleranno del 25% . Gli investitori stranieri stanno svendendo in fretta le obbligazioni iberiche sostenute nei mutui. Ismael Clemente, il capo della branca della Deutsche Bank che si occupa di immobiliare, ha ammesso che lui e gli altri speculatori esteri stanno vendendo i titoli dei mutui ispanici col 40% di sconto.

Naturalmente questo accelera il precipizio. Le vendite di auto sono crollate del 28% a marzo. Ma cosa fa il governo spagnolo?

Ha stanziato 20 miliardi di euro per finanziare grandi opere pubbliche, anzitutto nuove ferrovie ad alta velocità, in funzione anticiclica. Una misura keynesiana. Ad effetto immediato, senza lungaggini. E con uno stanziamento enorme, nonostante la crisi certo non prometta risorse tributarie aggiuntive. Il confronto con la «politica» e l’amministrazione pubblica italiana è schiacciante.

Da noi, lo Stato non è mai stato rapido a stanziare 20 miliardi di euro per contrastare una recessione; da sempre, è rapidissimo solo a «prendere» 20 o 30 miliardi di euro dalle tasche dei cittadini, con ogni nuova finanziaria. Forse gli spagnoli non hanno i verdi e gli ecologisti e i localisti fanatici che impediscono ogni opera pubblica, sia l’alta velocità siano gli inceneritori.

E già che parliamo di ambientalismo, ecco un’informazione per i nostri Pecorari Scanii che parlano a vanvera di energie rinnovabili: sabato scorso, giornata di vento forte, i generatori a vento spagnoli hanno generato 9.862 megawatt, pari al 40,8% del consumo di elettricità totale di un giorno . Nei giorni più calmi, i super-mulini a vento iberici coprono il 28-30% del fabbisogno di energia elettrica. Sabato la forza del vento ha superato quella idroelettrica, per la prima volta.

In giugno il governo di Madrid ha varato un decreto che porterà alla costruzione di «parchi del vento» galleggianti off-shore lungo la costa, più costosi dei mulini a terra ma capaci di profittare di brezze più potenti e costanti. La Spagna, apprendiamo, è con la Danimarca e la Germania il Paese che più produce energia dal vento, e conta di triplicare la produzione entro il 2020.

I nostri ecologisti ambientalisti e pecorari, se non erro, hanno bloccato l’installazione di pochi generatori a vento in Liguria, avendo scoperto (maguarda!) che sono anti-estetici (pardon, pongono problemi di «impatto ambientale»); del resto basta aver viaggiato in Sicilia e Sardegna per aver visto quelle torri con le pale per lo più ferme, per mancanza di manutenzione. Evidentemente, una tecnologia troppo complicata per neander(i)taliani.

I nostri verdi sono così: no al nucleare, no al vento, no a tutto. Per loro, è energia «pulita» solo quella che brucia gas, la più costosa e preziosa delle materie prime energetiche. Signorini del mondo.

E’ stato detto che per l’Expo universale del 1998, il Portogallo ha costruito il ponte più lungo d’Europa, 18 chilometri, oltre che l’acquario più grande del mondo e reti di metropolitane. Il timore è che l’Expo a Milano porti orrori architettonici, colate di cemento e speculazione mafioso-edilizia firmata Ligresti; forse però alla fin fine nemmeno quello, perché da noi i politici promettono, ma sono poi incapaci di mantenere.

Prodi ordinò che la spazzatura da Napoli sparisse «entro 48 ore», e s’è visto. Berlusconi promise il Ponte di Messina e la riduzione delle aliquote, ed abbiamo visto.

Oggi, promettono tutto: salvare Alitalia, asili-nido, riduzione della burocrazia, stroncamento della mafia, fiscalità dignitosa, snellimento, deregulation… la verità è che dobbiamo pagare una tassa sugli assegni che emettiamo, obbligatoriamente renderli non-trasferibili, e persino comunicare il nostro codice fiscale al farmacista se vogliamo poter detrarre qualche medicinale dal 740. La burocrazia, specie quella fiscale, diventa ogni giorno più asfissiante.

Tutto il resto è inefficiente: il numero delle badanti (moldave, ucraine e romene) ha superato il numero dei dipendenti della Sanità, gli italiani con vecchi a carico pagano due volte, una i fancazzisti «nazionali», l’altra le romene e ucraine. Perché i nostri politici hanno «i loro metodi» per fare le cose, la nostra burocrazia ha «i suoi metodi», ed è questo il problema.

In tutti gli altri Paesi vigono metodi completamente diversi, e tutto funziona meglio. In Inghilterra, ma anche in Spagna, quando si compra una casa non occorre pagare un notaio privato a percentuale sul valore dell’immobile (assurdo), basta rivolgersi all’ufficio del registro e pagare 60 euro.
In Gran Bretagna non si conosce lo scontrino fiscale; eppure l’evasione non è un fenomeno nazionale né il pianto greco continuo del potere. In Francia, gli studi di settore funzionano benissimo, senza suscitare rivolte tra i contribuenti.

Dovunque il sistema giudiziario funziona più rapido e soddisfacente che da noi, spesso con un numero di giudici e di avvocati dieci volte inferiore. Come fanno? Come ci riescono, gli altri?

Per saperlo, bisogna andare a studiare. Andare a vedere, e adottare i metodi e i regolamenti che usano gli altri. Non c’è niente di umiliante in questo, anzi, proprio le nazioni che nella storia hanno avuto uno scatto di orgoglio hanno copiato i Paesi migliori.

Quando la Turchia divenne repubblica, decisa a superare la vecchia arretratezza, assoldò giuristi tedeschi per farsi scrivere i codici civile, penale e commerciale (e i codici turchi sono praticamente quelli germanici), ufficiali tedeschi per la riforma delle forze armate, persino linguisti tedeschi per trasferire i fonemi della lingua turca nei caratteri latini, che Ataturk aveva deciso dovessero sostituire la scrittura araba.

Nella seconda metà dell’Ottocento la classe dirigente nipponica capì che, se non non modernizzava velocemente il Paese, sarebbe caduta nelle mani degli occidentali, colonizzata. Nel 1869 l’imperatore emanò un proclama in cui invitò il popolo ad «attingere il sapere da tutto
il mondo così da rafforzare le fondamenta dell’impero». Migliaia di funzionari, politici, uomini d’affari e studiosi furono spediti in Europa e in America a studiare «le leggi e i regolamenti fiscali, le Borse, il debito pubblico, le compagnie d’assicurazione, le fabbriche d’ogni tipo, le società commerciali».

Tra il 1870 e il 1890 il solo ministero dell’Industria giapponese ebbe alle sue dipendenze oltre 500 tecnici occidentali, in un Paese dove pochi anni prima tenere rapporti con uno straniero era punito con la morte. Sulla base dei modelli occidentali fu introdotta la coscrizione obbligatoria, fu creato un sistema scolastico moderno; i samurai furono incitati a diventare imprenditori, ad assumersi il carico di industrie create con fondi pubblici e, appena avviate, cedute ai privati (3).

Anche in Cina non mancarono tentativi di questo genere. Vi furono esponenti riformisti, consci della necessità di modernizzare il Paese perché non cadesse sotto il dominio straniero, che incitarono a copiare quel che si faceva all’estero: «Quando mai avete avuto una vera comprensione della cultura dei popoli stranieri?», diceva un esponente del movimento ai suoi connazionali: «Voi li identificate con quello che vedete e toccate, con le navi a vapore, le linee telegrafiche, i treni e i fucili, cannoni, macchine tessili. Mai potrete immaginare la bellezza e la perfezione delle istituzioni e del diritto occidentali». In Europa, diceva un altro, «il commercio è retto da norme precise e dignitose e condotto con metodi esatti». La vera forza dell’Inghilterra, sta nel fatto «che vi è là mutua simpatia tra i governanti e i governati».

I riformisti, attorno al giovane imperatore Kuang-hsu, cercarono di trasformare la Cina come i giapponesi avevano trasformato il Giappone. Furono i «Cento giorni della riforma». Perché il tentativo durò esattamente 110 giorni; poi i mandarini, ossia la burocrazia tradizionale, i calligrafi, i funzionari abituati a secoli di corruzione sbatterono fuori i riformisti, ne giustiziarono parecchi con raffinate torture, e cacciarono l’imperatore.

Noi siamo così.

La nostra burocrazia, come i mandarini e i calligrafi di ideogrammi, sono affezionati ai loro metodi (fancazzismo), sono ammanicati a politici che hanno i loro metodi e ne traggono il dovuto tornaconto in clientelismo: il tutto costa, secondo l’economista Ricolfi (di sinistra), 80 miliardi di euro in sciali, sprechi, inefficienze e mazzette, ma quei soldi ingrassano un ceto che detiene il potere e le sue leve. E che ha sempre resistito vittoriosamente.

La Dc scacciò il suo fondatore, don Sturzo, quando questi cominciò a denunciare le «tre male bestie italiane», ossia statalismo, partitocrazia e abuso di pubblico denaro. Eppure c’è stato un esempio, persino da noi, di gente che è andata a copiare all’estero. Milano, 1830.

L’alta borghesia, arricchita dalle filande e seterie (agro-industriali), si accorge che in Germania e Francia stanno esplodendo nuove industrie, la chimica, l’elettromeccanica, la metallurgia avanzata. Se ne accorge perché vede i suoi pochi settori manifatturieri dipendenti da industrie straniere per ogni novità tecnologica, che bisognava comprare all’estero. Allora il direttore del Politecnico, Giuseppe Colombo, manda a studiare al politecnico di Zurigo un giovane laureato, Franco Tosi, che poi fonderà la ditta omonima; suggerisce ad uno studente, tale Giovanni Battista Pirelli, di andare a studiare in Germania e Francia l’industria della gomma, che pareva avere un grande futuro; consiglia ad un altro neo-ingegnere, di nome Ernesto Breda, di andare a studiare in Germania, Olanda e Danimarca le innovazioni nell’industria siderurgico-meccanica.

Il Colombo a volte paga di tasca sua i viaggi di questi studenti promettenti; altre volte, a pagare sono i ricchi milanesi, che capiscono la necessità d’innovazione industriale. Non solo: questi imprenditori capiscono che bisogna «adeguare il sistema di istruzione superiore alle nuove caratteristiche che va assumendo lo sviluppo economico-industriale della città». Occorrono operai moderni e tecnici.

Il signor Carlo Erba, molto ricco, sborsa 400 mila lire di allora di tasca sua per fondare la Scuola speciale di elettrotecnica, e poi volge un appello agli altri ricchi, che facciano altrettanto, che sostengano la ricerca applicata all’industria. Nascono così la Società Chimica Milanese, il Laboratorio di Geodesia, l’Associazione Elettrotecnica Italiana, il Laboratorio Sperimentale di Ricerche sulla Carta.

Già molti anni prima, su finanziamenro di privati, e sul modello francese, era sorta la Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri, da cui usciranno operai capaci di diventare imprenditori, come tale Ercole Marelli. Per questo, e non per chissà quali misteriose doti naturali, Milano è stata per un secolo e mezzo la capitale industriale italiana e il centro delle innovazioni: per volontarismo, per «simpatia fra governanti e governati», per una decisione rapidamente presa. E per ambizione, Milano è andata a imparare all’estero, umilmente, come far meglio.

Oggi manca l’ambizione e, insieme, l’umiltà. Abbiamo i nostri metodi. Il metodo Mastella, il metodo Berlusconi, il metodo Visco, il metodo Bassolino. Loro sanno come si fa, hanno imparato anche già troppo.
fonte: M. Blondet

Berlusconeide massonica


Quando qualcuno è ridicolo ha 2 strade:
  1. si nasconde e, aspetta che il tempo sia galantuomo;
  2. fa finta di niente e, attacca che osa dubitare della sua onestà.
Questo è il caso del nostro leader supremo. Una lotta impari, quando denaro e potere si incrociano in poteri e complotti legati da una scia di suicidi.
Tutti in piedi quando entra il professore. E' un segno di rispetto e di buona educazione" ha dichiarato Berlusconi alla videochat del Corriere. Certo che il Cavaliere ha davvero una bella faccia tosta ed è forse per questo che piace tanto a molti italiani. Chi in una riunione in Spagna di tutti i premier europei è stato pescato a fare le corna dietro la testa di un collega come uno scolaretto discolo nella foto di gruppo dell'ultimo giorno di scuola? Solo che se una birichinata del genere la fa un ragazzino, a scuola, in un giorno che è ormai di vacanza e siamo vicini al 'rompete le righe', è una cosa, se lo fa in un consesso internazionale un presidente del Consiglio, che rappresenta il suo Paese, è un'altra .

L'altra sera l'onorevole Fini lamentava, naturalmente in Tv (che è la principale responsabile dello sfacelo culturale del nostro Paese) che il 90% degli studenti non sa dove sia Matera. Ma chi, parlando dei mitici fondatori di Roma, li ha chiamati Romolo e Remolo? Una cosa che nella pur sgangherata scuola italiana, usata dalla nostra classe politica come area di parcheggio per precari, costerebbe a un alunno di quinta elementare un giro dietro la lavagna con un cappello con la scritta 'asino'?



Che lezioni di buona educazione e di buon gusto possono venire da un signore che al premier norvegese Rasmussen, in visita ufficiale, fa una battuta trucida sulla propria moglie o che in quelle festicciole che la Tv organizza per autocelebrarsi fa il cicisbeo con vallette e vallettine fra le quali ci sono quelle piazzate in qualche fiction per il piacer suo o dei suoi amici?
Che credibilità può avere un signore che anche i suoi amici descrivono come bugiardo patologico ("un simpatico bugiardello", Tiziana Maiolo; "un adorabile bugiardo", Casini) e che, soprattutto, la Corte d'Appello di Venezia, nel maggio del 1990, quando nessun 'accanimento giudiziario' era ipotizzabile, ha dichiarato 'testimone spergiuro' (cioè ha giurato il falso in Tribunale) e che è poi stato salvato da un'amnistia voluta dai comunisti per non essere processati per i finanziamenti avuti dall'Urss?
Che rispetto per le Istituzioni e per il proprio Paese ci può insegnare un presidente del Consiglio che in terra di Spagna, davanti a tutta la stampa internazionale' ha definito 'Mani Pulite', cioè inchieste e sentenze, anche definitive, della magistratura italiana "una guerra civile" e che ha delegittimato, di volta in volta, oltre la magistratura ordinaria, la Corte dei Conti, il Presidente della Repubblica?

Che senso della legalità, che 'tolleranza zero' può pretendere un signore che ha avuto decine di processi, che ne ha in corso uno per 'corruzione di testimone', che da quattro è uscito non per aver commesso il fatto ma perchè la prescrizione ha estinto il reato e che nei casi in cui non poteva proprio scapolarla ha abolito, per legge, il reato di cui era imputato come il falso in bilancio che negli Stati Uniti può costare 30 anni di reclusione?
Che coerenza dobbiamo attribuire a un signore che afferma che lui non attacca mai personalmente, dio guardi, gli avversari politici e poi definisce ripetutamente Antonio Di Pietro "un uomo che mi fa orrore"? E gli fa orrore per lo stesso motivo per cui lo fa a buona parte della classe dirigente , di destra e di sinistra: perchè, insieme al pool dei magistrati di Milano, osò richiamare per la prima volta anche la classe dirigente a quel rispetto della legge cui tutti noialtri cittadini siamo tenuti senza se e senza ma.

Il lettore dirà che sono un comunista. Io sono sempre stato anticomunista, quando i comunisti esistevano e molti di quelli che oggi se la dan da anticomunisti erano iscritti al Pci o militavano nella sinistra extraparlamentare e mi aspettavano sotto casa per darmi una lezioncina a colpi di spranga. Sono semplicemente un cittadino italiano che, passati i 60, è stufo di essere preso in giro da questa gente. Non sono gli studenti che devono alzarsi quando entra il professore, sono i nostri uomini politici che dovrebbero mettersi in ginocchio davanti al popolo italiano per averlo ridotto come l'han ridotto, in campo economico, previdenziale, sociale, morale e per avergli tolto ogni senso di onestà, di lealtà, di correttezza e persino quella buona educazione che oggi si invoca dai ragazzi.

Massimo Fini
Fonte: www.ilgazzettino.it

04 aprile 2008

Banche Private: tre grossi errori


Le 3 banche degli autori sono Goldman Sachs, Morgan stanley,Lehman Brothers e punta il dito sul loro potere di gestire il denaro come il mondo. Una teoria che, generalizza tutto contro le 3 maggiori banche per uno sviluppo globalizzato. Ma è veramente così? Diciamo che le banche hanno gestito la situazione con la classica voracità degli squali, ma il sistema o modello sta per essere superato. E' un mio slogan, che devo rispolverare ogni tanto con poca soddisfazione.

Mentre grandi banche private e fondi d’investimento crollano un po’ dappertutto nei paesi del Nord, i dirigenti delle principali banche mondiali suggeriscono una semplice correzione del sistema, certamente dolorosa, ma non drammatica. Per Damien Millet e Eric Toussaint questa reazione è la prova che l’annullamento del debito del terzo mondo – che sarebbe meno gravoso della attuale crisi – non è un’utopia ma una esigenza realizzabile.

Dall’agosto del 2007, le banche nord-americane e europee sono sotto i riflettori a causa della gravissima crisi che stanno attraversando e che fanno attraversare al sistema economico neoliberista nel suo insieme. Al momento, il totale del deprezzamento degli attivi a cui hanno dovuto fare ricorso supera i 200 miliardi di dollari. Molti centri di studio delle banche ed esperti economisti reputano che il conto supererà i 1000 miliardi di dollari [1].

Come hanno potuto le banche accumulare una montagna di debiti così irrazionale? Avidi di profitti, gli organismi di credito ipotecario hanno concesso prestiti a un settore della popolazione già fortemente indebitato.

Le condizioni di tali prestiti ad alto rendimento (per il prestatore) costituivano una vera e propria truffa: un tasso fisso e ragionevole per i primi due anni seguito da forti aumenti. I prestatori dichiaravano agli imprenditori che il bene che essi stavano comprando si sarebbe rapidamente rivalutato grazie all’aumento dei prezzi del settore immobiliare. Il problema è che la bolla del settore immobiliare ha finito per scoppiare nel 2007 e i prezzi hanno cominciato inesorabilmente a scendere. Dato che i mancati pagamenti sono considerevolmente aumentati, gli organismi di credito ipotecario hanno avuto difficoltà a rimborsare i propri debiti. Le grandi banche, per proteggersi, hanno rifiutato di concedere nuovi prestiti o hanno preteso tassi molto più elevati. Ma la spirale non si è fermata qui perché le banche avevano acquistato una grande quantità di crediti ipotecari e, in larga misura, fuori bilancio creando specifiche società chiamate Structured Investiment Vehicles (SIV), che hanno finanziato l’acquisto di crediti ipotecari ad alto rendimento trasformati in titoli (CDO, Collateralized Debt Obligations).

A partire dall’agosto 2007, gli investitori hanno smesso di comprare i titoli emessi senza garanzie dai SIV la cui salute e credibilità si erano fortemente deteriorate. Di conseguenza, i SIV si sono trovati in crisi di liquidità per acquistare i crediti ipotecari cartolarizzati e la crisi si è amplificata. Le grandi banche che avevano creato i SIV hanno dovuto fare fronte agli impegni di questi ultimi per evitare il loro fallimento. Mentre fino a quel momento le operazioni dei SIV non entravano nella loro contabilità (il che permetteva loro di dissimulare i rischi affrontati), alla fine le banche sono state costrette ad inserire nei propri bilanci i debiti dei SIV.

Risultato: il panico. Negli Stati Uniti, 84 società di crediti ipotecari hanno fatto fallimento o hanno cessato parzialmente la propria attività tra il 1 gennaio e il 17 agosto 2007, contro solamente 17 nel corso di tutto il 2006. In Germania, la banca IKB e l’Istituto SachsenLB sono stati salvati in extremis. Recentemente, l’Inghilterra ha dovuto nazionalizzare la banca Northern Rock caduta in fallimento. Il 13 marzo, i fondi Carlyle Capital Corporation (CCC), conosciuti per la loro vicinanza al clan Bush, sono crollati: i debiti rappresentavano 32 volte il capitale. Il giorno seguente, la prestigiosa banca statunitense Bear Stearns (la quinta banca d’affari degli Stati Uniti), a corto di liquidità, ha fatto appello all’intervento della Federal Reserve (FED) per ottenere un finanziamento d’urgenza. Sarà rilevata dalla JP Morgan Chase Bank per un tozzo di pane.


Molti segmenti del mercato del debito non sono che costruzioni traballanti in procinto di crollare. Trascinano nelle loro disavventure le potenti banche, gli hedge funds e i fondi d’investimento che li avevano creati. Il salvataggio delle istituzioni finanziarie private è realizzato grazie al massiccio intervento dei poteri pubblici. Privatizzazione dei benefici, socializzazione delle perdite sono ancora una volta la regola.

Ma si pone una domanda: perché le banche, che oggi non esitano a cancellare debiti dubbi per decine di miliardi di dollari, hanno sempre rifiutato di annullare i loro crediti verso i paesi in via di sviluppo? Stanno dando la dimostrazione che ciò è perfettamente possibile e assolutamente necessario. Ricordiamoci che all’origine dei debiti attualmente reclamati dalle banche nei confronti di tali paesi, si trovano dittature criminali, regimi corrotti, dirigenti fedeli alle grandi potenze e ai creditori. Le grandi banche hanno concesso prestiti senza discutere a regimi poco raccomandabili come quelli di Mobutu nello Zaire, di Suharto in Indonesia, alle dittature latino-americane degli anni 1970-1980, senza dimenticare il regime di apartheid in Sudafrica. Come possono continuare ad infliggere il giogo del debito a popoli che hanno sofferto sotto regimi dittatoriali da loro stesse finanziati? Sul piano giuridico, nei loro libri contabili figurano numerosi debiti odiosi che non dovrebbero essere rimborsati. Ma le banche continuano ad esigerne la restituzione.

Ricordiamo anche la crisi del debito del terzo mondo provocata nel 1982 dal rialzo brutale e unilaterale dei tassi di interesse deciso dalla FED. In precedenza le banche private avevano prestato a piene mani a tasso variabile a paesi già sovraindebitati e alla fine incapaci di fare fronte [agli impegni]. Oggi la storia si ripete, ma al Nord e in maniera particolare: le famiglie sovraindebitate degli Stati Uniti sono divenute incapaci di rimborsare i loro mutui ipotecari a tasso variabile perché è scoppiata la bolla immobiliare.

La cancellazione dei debiti realizzata dalle banche dà ragione a tutti quelli, come il CADTM (Comitato per l’Annullamento del Debito del Terzo Mondo), che rivendicano l’annullamento del debito ai paesi in via di sviluppo. Perché? Perché il debito a lungo termine delle istituzioni pubbliche del terzo mondo verso le banche internazionali raggiungeva 181,9 miliardi di dollari nel 2006 [2]. Dopo l’agosto 2007, esse hanno già dovuto cancellare una somma ben superiore, e non è ancora finita …

Le grandi banche private hanno commesso un triplice errore:

- hanno costruito disastrose montagne di debiti privati che hanno portato alla catastrofe attuale;

- hanno concesso prestiti a dittature ed hanno obbligato i successivi governi democratici a rimborsare questi odiosi debiti fino all’ultimo centesimo;

- rifiutano di annullare i debiti dei paesi in via di sviluppo anche quando il rimborso implica un deterioramento nelle condizioni di vita di queste popolazioni.

Per tutte queste ragioni è necessario esigere che le grandi banche rendano conto del loro comportamento nei decenni passati. I governi dei paesi del Sud devono procedere a una revisioni dei propri debiti, così come ha fatto recentemente l’Ecuador, e ripudiare tutti i debiti odiosi o illegittimi. I banchieri dimostrano che ciò è perfettamente possibile. Si tratterà del primo passo per dare alla finanza il ruolo che le spetta, quello di uno strumento al servizio degli esseri umani. Di tutti gli esseri umani.

Eric Toussaint: presidente del CADTM (Comitato per l’Annullamento del Debito del Terzo Mondo) in Belgio. Il suo ultimo libro pubblicato è: Banque de Sud et nouvelle crise internazionale [Banca del Sud e nuova crisi internazionale] CADTM/Syllepse, 2008

Damien Millet: segretario generale del CADTM in Francia. Il suo ultimo libro pubblicato è: Dette odieuse [Debito odioso] (con Fédéric Chauvreau). CADTM/Syllepse, 2006.

[1] Il centro studi di Goldman Sachs stimava, al 7 marzo 2008, che le perdite fossero di 1156 miliardi di dollari, George Magnus di UBS, in febbraio, avanzava una cifra superiore a 1000 miliardi, Nouriel Rubini, dell’Università di New York, fa l’ipotesi di una perdita di almeno 1000 miliardi di dollari.

[2] Banca Mondiale, Global Development Finance, 2007.

05 aprile 2008

Copiare per innovare


In una lucida analisi Blondet traccia la situazione senza una via d'uscita e, si appella alla storia dove alcuni Italiani si sono distinti permettendo non solo il loro sviluppo ma, anche quella del loro paese.Però dimentica sempre quel vecchio detto ' si può fare tutto, ma solo col consenso della mamma'. Teoria dei bamboccioni? No, solo teoria di madre patria.

La bolla immobiliare spagnola è scoppiata. I prezzi delle case sono scesi del 5-7%, e c’è chi prevede che caleranno del 25% . Gli investitori stranieri stanno svendendo in fretta le obbligazioni iberiche sostenute nei mutui. Ismael Clemente, il capo della branca della Deutsche Bank che si occupa di immobiliare, ha ammesso che lui e gli altri speculatori esteri stanno vendendo i titoli dei mutui ispanici col 40% di sconto.

Naturalmente questo accelera il precipizio. Le vendite di auto sono crollate del 28% a marzo. Ma cosa fa il governo spagnolo?

Ha stanziato 20 miliardi di euro per finanziare grandi opere pubbliche, anzitutto nuove ferrovie ad alta velocità, in funzione anticiclica. Una misura keynesiana. Ad effetto immediato, senza lungaggini. E con uno stanziamento enorme, nonostante la crisi certo non prometta risorse tributarie aggiuntive. Il confronto con la «politica» e l’amministrazione pubblica italiana è schiacciante.

Da noi, lo Stato non è mai stato rapido a stanziare 20 miliardi di euro per contrastare una recessione; da sempre, è rapidissimo solo a «prendere» 20 o 30 miliardi di euro dalle tasche dei cittadini, con ogni nuova finanziaria. Forse gli spagnoli non hanno i verdi e gli ecologisti e i localisti fanatici che impediscono ogni opera pubblica, sia l’alta velocità siano gli inceneritori.

E già che parliamo di ambientalismo, ecco un’informazione per i nostri Pecorari Scanii che parlano a vanvera di energie rinnovabili: sabato scorso, giornata di vento forte, i generatori a vento spagnoli hanno generato 9.862 megawatt, pari al 40,8% del consumo di elettricità totale di un giorno . Nei giorni più calmi, i super-mulini a vento iberici coprono il 28-30% del fabbisogno di energia elettrica. Sabato la forza del vento ha superato quella idroelettrica, per la prima volta.

In giugno il governo di Madrid ha varato un decreto che porterà alla costruzione di «parchi del vento» galleggianti off-shore lungo la costa, più costosi dei mulini a terra ma capaci di profittare di brezze più potenti e costanti. La Spagna, apprendiamo, è con la Danimarca e la Germania il Paese che più produce energia dal vento, e conta di triplicare la produzione entro il 2020.

I nostri ecologisti ambientalisti e pecorari, se non erro, hanno bloccato l’installazione di pochi generatori a vento in Liguria, avendo scoperto (maguarda!) che sono anti-estetici (pardon, pongono problemi di «impatto ambientale»); del resto basta aver viaggiato in Sicilia e Sardegna per aver visto quelle torri con le pale per lo più ferme, per mancanza di manutenzione. Evidentemente, una tecnologia troppo complicata per neander(i)taliani.

I nostri verdi sono così: no al nucleare, no al vento, no a tutto. Per loro, è energia «pulita» solo quella che brucia gas, la più costosa e preziosa delle materie prime energetiche. Signorini del mondo.

E’ stato detto che per l’Expo universale del 1998, il Portogallo ha costruito il ponte più lungo d’Europa, 18 chilometri, oltre che l’acquario più grande del mondo e reti di metropolitane. Il timore è che l’Expo a Milano porti orrori architettonici, colate di cemento e speculazione mafioso-edilizia firmata Ligresti; forse però alla fin fine nemmeno quello, perché da noi i politici promettono, ma sono poi incapaci di mantenere.

Prodi ordinò che la spazzatura da Napoli sparisse «entro 48 ore», e s’è visto. Berlusconi promise il Ponte di Messina e la riduzione delle aliquote, ed abbiamo visto.

Oggi, promettono tutto: salvare Alitalia, asili-nido, riduzione della burocrazia, stroncamento della mafia, fiscalità dignitosa, snellimento, deregulation… la verità è che dobbiamo pagare una tassa sugli assegni che emettiamo, obbligatoriamente renderli non-trasferibili, e persino comunicare il nostro codice fiscale al farmacista se vogliamo poter detrarre qualche medicinale dal 740. La burocrazia, specie quella fiscale, diventa ogni giorno più asfissiante.

Tutto il resto è inefficiente: il numero delle badanti (moldave, ucraine e romene) ha superato il numero dei dipendenti della Sanità, gli italiani con vecchi a carico pagano due volte, una i fancazzisti «nazionali», l’altra le romene e ucraine. Perché i nostri politici hanno «i loro metodi» per fare le cose, la nostra burocrazia ha «i suoi metodi», ed è questo il problema.

In tutti gli altri Paesi vigono metodi completamente diversi, e tutto funziona meglio. In Inghilterra, ma anche in Spagna, quando si compra una casa non occorre pagare un notaio privato a percentuale sul valore dell’immobile (assurdo), basta rivolgersi all’ufficio del registro e pagare 60 euro.
In Gran Bretagna non si conosce lo scontrino fiscale; eppure l’evasione non è un fenomeno nazionale né il pianto greco continuo del potere. In Francia, gli studi di settore funzionano benissimo, senza suscitare rivolte tra i contribuenti.

Dovunque il sistema giudiziario funziona più rapido e soddisfacente che da noi, spesso con un numero di giudici e di avvocati dieci volte inferiore. Come fanno? Come ci riescono, gli altri?

Per saperlo, bisogna andare a studiare. Andare a vedere, e adottare i metodi e i regolamenti che usano gli altri. Non c’è niente di umiliante in questo, anzi, proprio le nazioni che nella storia hanno avuto uno scatto di orgoglio hanno copiato i Paesi migliori.

Quando la Turchia divenne repubblica, decisa a superare la vecchia arretratezza, assoldò giuristi tedeschi per farsi scrivere i codici civile, penale e commerciale (e i codici turchi sono praticamente quelli germanici), ufficiali tedeschi per la riforma delle forze armate, persino linguisti tedeschi per trasferire i fonemi della lingua turca nei caratteri latini, che Ataturk aveva deciso dovessero sostituire la scrittura araba.

Nella seconda metà dell’Ottocento la classe dirigente nipponica capì che, se non non modernizzava velocemente il Paese, sarebbe caduta nelle mani degli occidentali, colonizzata. Nel 1869 l’imperatore emanò un proclama in cui invitò il popolo ad «attingere il sapere da tutto
il mondo così da rafforzare le fondamenta dell’impero». Migliaia di funzionari, politici, uomini d’affari e studiosi furono spediti in Europa e in America a studiare «le leggi e i regolamenti fiscali, le Borse, il debito pubblico, le compagnie d’assicurazione, le fabbriche d’ogni tipo, le società commerciali».

Tra il 1870 e il 1890 il solo ministero dell’Industria giapponese ebbe alle sue dipendenze oltre 500 tecnici occidentali, in un Paese dove pochi anni prima tenere rapporti con uno straniero era punito con la morte. Sulla base dei modelli occidentali fu introdotta la coscrizione obbligatoria, fu creato un sistema scolastico moderno; i samurai furono incitati a diventare imprenditori, ad assumersi il carico di industrie create con fondi pubblici e, appena avviate, cedute ai privati (3).

Anche in Cina non mancarono tentativi di questo genere. Vi furono esponenti riformisti, consci della necessità di modernizzare il Paese perché non cadesse sotto il dominio straniero, che incitarono a copiare quel che si faceva all’estero: «Quando mai avete avuto una vera comprensione della cultura dei popoli stranieri?», diceva un esponente del movimento ai suoi connazionali: «Voi li identificate con quello che vedete e toccate, con le navi a vapore, le linee telegrafiche, i treni e i fucili, cannoni, macchine tessili. Mai potrete immaginare la bellezza e la perfezione delle istituzioni e del diritto occidentali». In Europa, diceva un altro, «il commercio è retto da norme precise e dignitose e condotto con metodi esatti». La vera forza dell’Inghilterra, sta nel fatto «che vi è là mutua simpatia tra i governanti e i governati».

I riformisti, attorno al giovane imperatore Kuang-hsu, cercarono di trasformare la Cina come i giapponesi avevano trasformato il Giappone. Furono i «Cento giorni della riforma». Perché il tentativo durò esattamente 110 giorni; poi i mandarini, ossia la burocrazia tradizionale, i calligrafi, i funzionari abituati a secoli di corruzione sbatterono fuori i riformisti, ne giustiziarono parecchi con raffinate torture, e cacciarono l’imperatore.

Noi siamo così.

La nostra burocrazia, come i mandarini e i calligrafi di ideogrammi, sono affezionati ai loro metodi (fancazzismo), sono ammanicati a politici che hanno i loro metodi e ne traggono il dovuto tornaconto in clientelismo: il tutto costa, secondo l’economista Ricolfi (di sinistra), 80 miliardi di euro in sciali, sprechi, inefficienze e mazzette, ma quei soldi ingrassano un ceto che detiene il potere e le sue leve. E che ha sempre resistito vittoriosamente.

La Dc scacciò il suo fondatore, don Sturzo, quando questi cominciò a denunciare le «tre male bestie italiane», ossia statalismo, partitocrazia e abuso di pubblico denaro. Eppure c’è stato un esempio, persino da noi, di gente che è andata a copiare all’estero. Milano, 1830.

L’alta borghesia, arricchita dalle filande e seterie (agro-industriali), si accorge che in Germania e Francia stanno esplodendo nuove industrie, la chimica, l’elettromeccanica, la metallurgia avanzata. Se ne accorge perché vede i suoi pochi settori manifatturieri dipendenti da industrie straniere per ogni novità tecnologica, che bisognava comprare all’estero. Allora il direttore del Politecnico, Giuseppe Colombo, manda a studiare al politecnico di Zurigo un giovane laureato, Franco Tosi, che poi fonderà la ditta omonima; suggerisce ad uno studente, tale Giovanni Battista Pirelli, di andare a studiare in Germania e Francia l’industria della gomma, che pareva avere un grande futuro; consiglia ad un altro neo-ingegnere, di nome Ernesto Breda, di andare a studiare in Germania, Olanda e Danimarca le innovazioni nell’industria siderurgico-meccanica.

Il Colombo a volte paga di tasca sua i viaggi di questi studenti promettenti; altre volte, a pagare sono i ricchi milanesi, che capiscono la necessità d’innovazione industriale. Non solo: questi imprenditori capiscono che bisogna «adeguare il sistema di istruzione superiore alle nuove caratteristiche che va assumendo lo sviluppo economico-industriale della città». Occorrono operai moderni e tecnici.

Il signor Carlo Erba, molto ricco, sborsa 400 mila lire di allora di tasca sua per fondare la Scuola speciale di elettrotecnica, e poi volge un appello agli altri ricchi, che facciano altrettanto, che sostengano la ricerca applicata all’industria. Nascono così la Società Chimica Milanese, il Laboratorio di Geodesia, l’Associazione Elettrotecnica Italiana, il Laboratorio Sperimentale di Ricerche sulla Carta.

Già molti anni prima, su finanziamenro di privati, e sul modello francese, era sorta la Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri, da cui usciranno operai capaci di diventare imprenditori, come tale Ercole Marelli. Per questo, e non per chissà quali misteriose doti naturali, Milano è stata per un secolo e mezzo la capitale industriale italiana e il centro delle innovazioni: per volontarismo, per «simpatia fra governanti e governati», per una decisione rapidamente presa. E per ambizione, Milano è andata a imparare all’estero, umilmente, come far meglio.

Oggi manca l’ambizione e, insieme, l’umiltà. Abbiamo i nostri metodi. Il metodo Mastella, il metodo Berlusconi, il metodo Visco, il metodo Bassolino. Loro sanno come si fa, hanno imparato anche già troppo.
fonte: M. Blondet

Berlusconeide massonica


Quando qualcuno è ridicolo ha 2 strade:
  1. si nasconde e, aspetta che il tempo sia galantuomo;
  2. fa finta di niente e, attacca che osa dubitare della sua onestà.
Questo è il caso del nostro leader supremo. Una lotta impari, quando denaro e potere si incrociano in poteri e complotti legati da una scia di suicidi.
Tutti in piedi quando entra il professore. E' un segno di rispetto e di buona educazione" ha dichiarato Berlusconi alla videochat del Corriere. Certo che il Cavaliere ha davvero una bella faccia tosta ed è forse per questo che piace tanto a molti italiani. Chi in una riunione in Spagna di tutti i premier europei è stato pescato a fare le corna dietro la testa di un collega come uno scolaretto discolo nella foto di gruppo dell'ultimo giorno di scuola? Solo che se una birichinata del genere la fa un ragazzino, a scuola, in un giorno che è ormai di vacanza e siamo vicini al 'rompete le righe', è una cosa, se lo fa in un consesso internazionale un presidente del Consiglio, che rappresenta il suo Paese, è un'altra .

L'altra sera l'onorevole Fini lamentava, naturalmente in Tv (che è la principale responsabile dello sfacelo culturale del nostro Paese) che il 90% degli studenti non sa dove sia Matera. Ma chi, parlando dei mitici fondatori di Roma, li ha chiamati Romolo e Remolo? Una cosa che nella pur sgangherata scuola italiana, usata dalla nostra classe politica come area di parcheggio per precari, costerebbe a un alunno di quinta elementare un giro dietro la lavagna con un cappello con la scritta 'asino'?



Che lezioni di buona educazione e di buon gusto possono venire da un signore che al premier norvegese Rasmussen, in visita ufficiale, fa una battuta trucida sulla propria moglie o che in quelle festicciole che la Tv organizza per autocelebrarsi fa il cicisbeo con vallette e vallettine fra le quali ci sono quelle piazzate in qualche fiction per il piacer suo o dei suoi amici?
Che credibilità può avere un signore che anche i suoi amici descrivono come bugiardo patologico ("un simpatico bugiardello", Tiziana Maiolo; "un adorabile bugiardo", Casini) e che, soprattutto, la Corte d'Appello di Venezia, nel maggio del 1990, quando nessun 'accanimento giudiziario' era ipotizzabile, ha dichiarato 'testimone spergiuro' (cioè ha giurato il falso in Tribunale) e che è poi stato salvato da un'amnistia voluta dai comunisti per non essere processati per i finanziamenti avuti dall'Urss?
Che rispetto per le Istituzioni e per il proprio Paese ci può insegnare un presidente del Consiglio che in terra di Spagna, davanti a tutta la stampa internazionale' ha definito 'Mani Pulite', cioè inchieste e sentenze, anche definitive, della magistratura italiana "una guerra civile" e che ha delegittimato, di volta in volta, oltre la magistratura ordinaria, la Corte dei Conti, il Presidente della Repubblica?

Che senso della legalità, che 'tolleranza zero' può pretendere un signore che ha avuto decine di processi, che ne ha in corso uno per 'corruzione di testimone', che da quattro è uscito non per aver commesso il fatto ma perchè la prescrizione ha estinto il reato e che nei casi in cui non poteva proprio scapolarla ha abolito, per legge, il reato di cui era imputato come il falso in bilancio che negli Stati Uniti può costare 30 anni di reclusione?
Che coerenza dobbiamo attribuire a un signore che afferma che lui non attacca mai personalmente, dio guardi, gli avversari politici e poi definisce ripetutamente Antonio Di Pietro "un uomo che mi fa orrore"? E gli fa orrore per lo stesso motivo per cui lo fa a buona parte della classe dirigente , di destra e di sinistra: perchè, insieme al pool dei magistrati di Milano, osò richiamare per la prima volta anche la classe dirigente a quel rispetto della legge cui tutti noialtri cittadini siamo tenuti senza se e senza ma.

Il lettore dirà che sono un comunista. Io sono sempre stato anticomunista, quando i comunisti esistevano e molti di quelli che oggi se la dan da anticomunisti erano iscritti al Pci o militavano nella sinistra extraparlamentare e mi aspettavano sotto casa per darmi una lezioncina a colpi di spranga. Sono semplicemente un cittadino italiano che, passati i 60, è stufo di essere preso in giro da questa gente. Non sono gli studenti che devono alzarsi quando entra il professore, sono i nostri uomini politici che dovrebbero mettersi in ginocchio davanti al popolo italiano per averlo ridotto come l'han ridotto, in campo economico, previdenziale, sociale, morale e per avergli tolto ogni senso di onestà, di lealtà, di correttezza e persino quella buona educazione che oggi si invoca dai ragazzi.

Massimo Fini
Fonte: www.ilgazzettino.it

04 aprile 2008

Banche Private: tre grossi errori


Le 3 banche degli autori sono Goldman Sachs, Morgan stanley,Lehman Brothers e punta il dito sul loro potere di gestire il denaro come il mondo. Una teoria che, generalizza tutto contro le 3 maggiori banche per uno sviluppo globalizzato. Ma è veramente così? Diciamo che le banche hanno gestito la situazione con la classica voracità degli squali, ma il sistema o modello sta per essere superato. E' un mio slogan, che devo rispolverare ogni tanto con poca soddisfazione.

Mentre grandi banche private e fondi d’investimento crollano un po’ dappertutto nei paesi del Nord, i dirigenti delle principali banche mondiali suggeriscono una semplice correzione del sistema, certamente dolorosa, ma non drammatica. Per Damien Millet e Eric Toussaint questa reazione è la prova che l’annullamento del debito del terzo mondo – che sarebbe meno gravoso della attuale crisi – non è un’utopia ma una esigenza realizzabile.

Dall’agosto del 2007, le banche nord-americane e europee sono sotto i riflettori a causa della gravissima crisi che stanno attraversando e che fanno attraversare al sistema economico neoliberista nel suo insieme. Al momento, il totale del deprezzamento degli attivi a cui hanno dovuto fare ricorso supera i 200 miliardi di dollari. Molti centri di studio delle banche ed esperti economisti reputano che il conto supererà i 1000 miliardi di dollari [1].

Come hanno potuto le banche accumulare una montagna di debiti così irrazionale? Avidi di profitti, gli organismi di credito ipotecario hanno concesso prestiti a un settore della popolazione già fortemente indebitato.

Le condizioni di tali prestiti ad alto rendimento (per il prestatore) costituivano una vera e propria truffa: un tasso fisso e ragionevole per i primi due anni seguito da forti aumenti. I prestatori dichiaravano agli imprenditori che il bene che essi stavano comprando si sarebbe rapidamente rivalutato grazie all’aumento dei prezzi del settore immobiliare. Il problema è che la bolla del settore immobiliare ha finito per scoppiare nel 2007 e i prezzi hanno cominciato inesorabilmente a scendere. Dato che i mancati pagamenti sono considerevolmente aumentati, gli organismi di credito ipotecario hanno avuto difficoltà a rimborsare i propri debiti. Le grandi banche, per proteggersi, hanno rifiutato di concedere nuovi prestiti o hanno preteso tassi molto più elevati. Ma la spirale non si è fermata qui perché le banche avevano acquistato una grande quantità di crediti ipotecari e, in larga misura, fuori bilancio creando specifiche società chiamate Structured Investiment Vehicles (SIV), che hanno finanziato l’acquisto di crediti ipotecari ad alto rendimento trasformati in titoli (CDO, Collateralized Debt Obligations).

A partire dall’agosto 2007, gli investitori hanno smesso di comprare i titoli emessi senza garanzie dai SIV la cui salute e credibilità si erano fortemente deteriorate. Di conseguenza, i SIV si sono trovati in crisi di liquidità per acquistare i crediti ipotecari cartolarizzati e la crisi si è amplificata. Le grandi banche che avevano creato i SIV hanno dovuto fare fronte agli impegni di questi ultimi per evitare il loro fallimento. Mentre fino a quel momento le operazioni dei SIV non entravano nella loro contabilità (il che permetteva loro di dissimulare i rischi affrontati), alla fine le banche sono state costrette ad inserire nei propri bilanci i debiti dei SIV.

Risultato: il panico. Negli Stati Uniti, 84 società di crediti ipotecari hanno fatto fallimento o hanno cessato parzialmente la propria attività tra il 1 gennaio e il 17 agosto 2007, contro solamente 17 nel corso di tutto il 2006. In Germania, la banca IKB e l’Istituto SachsenLB sono stati salvati in extremis. Recentemente, l’Inghilterra ha dovuto nazionalizzare la banca Northern Rock caduta in fallimento. Il 13 marzo, i fondi Carlyle Capital Corporation (CCC), conosciuti per la loro vicinanza al clan Bush, sono crollati: i debiti rappresentavano 32 volte il capitale. Il giorno seguente, la prestigiosa banca statunitense Bear Stearns (la quinta banca d’affari degli Stati Uniti), a corto di liquidità, ha fatto appello all’intervento della Federal Reserve (FED) per ottenere un finanziamento d’urgenza. Sarà rilevata dalla JP Morgan Chase Bank per un tozzo di pane.


Molti segmenti del mercato del debito non sono che costruzioni traballanti in procinto di crollare. Trascinano nelle loro disavventure le potenti banche, gli hedge funds e i fondi d’investimento che li avevano creati. Il salvataggio delle istituzioni finanziarie private è realizzato grazie al massiccio intervento dei poteri pubblici. Privatizzazione dei benefici, socializzazione delle perdite sono ancora una volta la regola.

Ma si pone una domanda: perché le banche, che oggi non esitano a cancellare debiti dubbi per decine di miliardi di dollari, hanno sempre rifiutato di annullare i loro crediti verso i paesi in via di sviluppo? Stanno dando la dimostrazione che ciò è perfettamente possibile e assolutamente necessario. Ricordiamoci che all’origine dei debiti attualmente reclamati dalle banche nei confronti di tali paesi, si trovano dittature criminali, regimi corrotti, dirigenti fedeli alle grandi potenze e ai creditori. Le grandi banche hanno concesso prestiti senza discutere a regimi poco raccomandabili come quelli di Mobutu nello Zaire, di Suharto in Indonesia, alle dittature latino-americane degli anni 1970-1980, senza dimenticare il regime di apartheid in Sudafrica. Come possono continuare ad infliggere il giogo del debito a popoli che hanno sofferto sotto regimi dittatoriali da loro stesse finanziati? Sul piano giuridico, nei loro libri contabili figurano numerosi debiti odiosi che non dovrebbero essere rimborsati. Ma le banche continuano ad esigerne la restituzione.

Ricordiamo anche la crisi del debito del terzo mondo provocata nel 1982 dal rialzo brutale e unilaterale dei tassi di interesse deciso dalla FED. In precedenza le banche private avevano prestato a piene mani a tasso variabile a paesi già sovraindebitati e alla fine incapaci di fare fronte [agli impegni]. Oggi la storia si ripete, ma al Nord e in maniera particolare: le famiglie sovraindebitate degli Stati Uniti sono divenute incapaci di rimborsare i loro mutui ipotecari a tasso variabile perché è scoppiata la bolla immobiliare.

La cancellazione dei debiti realizzata dalle banche dà ragione a tutti quelli, come il CADTM (Comitato per l’Annullamento del Debito del Terzo Mondo), che rivendicano l’annullamento del debito ai paesi in via di sviluppo. Perché? Perché il debito a lungo termine delle istituzioni pubbliche del terzo mondo verso le banche internazionali raggiungeva 181,9 miliardi di dollari nel 2006 [2]. Dopo l’agosto 2007, esse hanno già dovuto cancellare una somma ben superiore, e non è ancora finita …

Le grandi banche private hanno commesso un triplice errore:

- hanno costruito disastrose montagne di debiti privati che hanno portato alla catastrofe attuale;

- hanno concesso prestiti a dittature ed hanno obbligato i successivi governi democratici a rimborsare questi odiosi debiti fino all’ultimo centesimo;

- rifiutano di annullare i debiti dei paesi in via di sviluppo anche quando il rimborso implica un deterioramento nelle condizioni di vita di queste popolazioni.

Per tutte queste ragioni è necessario esigere che le grandi banche rendano conto del loro comportamento nei decenni passati. I governi dei paesi del Sud devono procedere a una revisioni dei propri debiti, così come ha fatto recentemente l’Ecuador, e ripudiare tutti i debiti odiosi o illegittimi. I banchieri dimostrano che ciò è perfettamente possibile. Si tratterà del primo passo per dare alla finanza il ruolo che le spetta, quello di uno strumento al servizio degli esseri umani. Di tutti gli esseri umani.

Eric Toussaint: presidente del CADTM (Comitato per l’Annullamento del Debito del Terzo Mondo) in Belgio. Il suo ultimo libro pubblicato è: Banque de Sud et nouvelle crise internazionale [Banca del Sud e nuova crisi internazionale] CADTM/Syllepse, 2008

Damien Millet: segretario generale del CADTM in Francia. Il suo ultimo libro pubblicato è: Dette odieuse [Debito odioso] (con Fédéric Chauvreau). CADTM/Syllepse, 2006.

[1] Il centro studi di Goldman Sachs stimava, al 7 marzo 2008, che le perdite fossero di 1156 miliardi di dollari, George Magnus di UBS, in febbraio, avanzava una cifra superiore a 1000 miliardi, Nouriel Rubini, dell’Università di New York, fa l’ipotesi di una perdita di almeno 1000 miliardi di dollari.

[2] Banca Mondiale, Global Development Finance, 2007.