23 aprile 2008

La cura dell'Anima: Tra Denaro e Apparenze



Non si sente più parlare di anima. Questo termine, così diffuso e pregnante in altre epoche della storia occidentale non è sulla bocca, almeno nei loro discorsi in pubblico, del Papa, dei cardinali, dei vescovi e neppure dei preti. Ora, io non credo all'anima, ma il Papa, i cardinali, i vescovi, i preti ci dovrebbero credere visto che tutta la cosmogonia cristiana si basa sulla fede nella sua esistenza e che la funzione, diciamo così, istituzionale della Chiesa e dei suoi sacerdoti è proprio "la cura delle anime". Ma non ne parlano mai. Non ne parlano più.

Non si parla nemmeno, sul cotè laico, di spirito, l'antico "pneuma" del pensiero greco, ma questo non è più comprensibile dato l'uso sciagurato che ne hanno fatto Hegel, in Italia Gentile (e per la verità anche Croce) per cui ha finito per assumere un significato vagamente fascista.

Si parla, in compenso, molto del corpo e del suo benessere. Di "beauty farm", di palestre, di materassi , di plantari e anche di prodotti che aiutano la donna, e immagino anche l'uomo, a riacquistare la sua "normale regolarità" (che l'anima , per una bizzarra combinazione alchemica, abbia cambiato la sua sostanza?). Si parla moltissimo di cibo e di cibi il cui destino peraltro è inevitabile e non particolarmente glorioso. Si parla molto di chirurgia estetica che deve fare apparire il nostro corpo sempre giovane, bello e levigato e d'una medicina che deve rendere la nostra vita sempre più longeva e, prima o poi, immortale.

Ma si parla soprattutto di denaro, del Dio Quattrino che è l'unico nume unanimemente adorato, riconosciuto e condiviso, in Occidente, e quindi di economia, di finanza, di derivati, di banche, di carte di credito, di bancomat, di Cin, di Pin, di Iban. In questo nuovo Regno l'uomo ha ancora una parte, ma come sottoprodotto. Non è più propriamente un uomo, ma un "consumatore". È un tramite. È il tubo digerente, il lavandino, il water attraverso cui deve passare il più velocemente possibile ciò che altrettanto rapidamente produce. "Bisogna stimolare i consumi per aumentare la produzione". È il "terminale uomo" del meccanismo. È un target. Un obiettivo. Non è più soggetto, ma un oggetto. Si inventano strategie di marketing sempre più sofisticate, nascono scuole per "personalizzare" i venditori, ma se c'è qualcuno che tituba a ridurre la propria esistenza a quella di rapido defecatore e di Pinocchio nel Paese dei Balocchi si ricorre a metodi più spicci e si reclutano e si schiavizzano schiere di giovani Lucignoli perchè faccia, perbenino e senza protestare, il suo dovere.

Come l'uomo sono ridotti i Paesi e le Nazioni. Un Paese è considerato solo se è un appetibile mercato o è tanto più ganzo quanto più è capace di acquisire nuove "quote di mercato". Un tempo esisteva l'idea di Nazione, di una comunità con valori condivisi. Adesso la Nazione è stata sostituita dalla Produzione.

In occidente si torna a parlare, è vero, e molto di Dio. Ma non mi pare del tutto a sproposito. Se ne fa un uso parecchio utilitaristico. Il Presidente degli Stati Uniti conclude ogni suo discorso con la frase "Dio protegga l'America". E perché non l'Afghanistan? O l'Iraq? L'Iran? O ancor meglio, gli indigeni delle isole Andemane che non hanno mai rotto le scatole a nessuno? Oppure si impetrano da lui e o dalle sue Maestranze favori particolari. Ma perchè mai Dio dovrebbe concederli a questi piuttosto che a quelli? E, curioso che l'epoca del massimo e trionfante scientismo sia anche quella della massima superstizione (Fatima, Lourdes, la Madonna di Czestokowa, quella di Medjugorje, San Gennaro, Padre Pio, eccetera). Ma poi se non esiste più l'anima che senso mai può avere conservare Dio?

L'immateriale è scomparso dal mondo contemporaneo. È stato sostituito dal virtuale che solo apparentemente gli si apparenta. Perché è una parodia masturbatoria del reale. E non ha nulla a che vedere con l'Immateriale. Con lo Spirito. Con l'Anima.

Massimo FIni

L'immaginario colonizzato


Un'intervista a Maurizio Pallante si comincia a parlare di decrescita e vita compatibile.
Ma quali sono i NOSTRI veri bisogni? Quando li capiremo queste domande sono superflue.

«Siamo tossicodipendenti della crescita e del consumo, siamo stati colonizzati nel nostro immaginario, abbiamo subito l'economicizzazione del nostro spirito: e i nuovi profeti ci colpevolizzano se non siamo sufficientemente calcolatori. Ma i drogati, si sa, sono vittime con la tendenza a continuare ad assumere la droga e non a curarsi. Sono le multinazionali come la Nestlé o la Total che finanziano i modi per impedire che noi, drogati del consumo, possiamo curarci». E' l' “eretico”, il francese Serge Latouche, padre della decrescita che parla. E c'è chi condivide anche in Italia.

«Penso che Latouche abbia completamente ragione. – dice Maurizio Pallante, presidente del Movimento per la Decrescita Felice in Italia (per ulteriori approfondimenti sito www.decrescitafelice.it ) e che attualmente svolge un'attività di ricerca e divulgazione scientifica sui rapporti tra ecologia, tecnologia e economia - Anzi molte delle cose che lui ha detto sono di una importanza fondamentale. In particolare l'esigenza di porre la decrescita a fine dell'attività economica e produttiva è un concetto che rompe con uno dei fondamenti delle società industriali avanzate. E' un concetto che non viene accettato perchè non viene fondamentalmente compreso. Ho letto una critica che fa Piero Bianucci all'ultimo libro di Latouche in cui dice, in un esempio iniziale, che i bambini crescono e gli alberi crescono. Però non ha l'onestà intellettuale di dire che gli adulti non crescono più e che gli alberi, da un certo punto in avanti, non crescono più Non è che la crescita è un fattore di qualità, lo può essere in certe condizioni. Mentre invece l'unica crescita che prosegue senza limitazioni è quella tumorale»

Ma che senso ha allora parlare di descrescita? E' utopia? Va contro il Progresso?

«Bisogna saper distinguere che cosa significa realmente progresso e che cosa ci hanno fatto credere che esso significhi. Se come progresso si intende la capacità di accrescere in continuazione la quantità di oggetti materiali e di merci che consumiamo, allora questo è un falso progresso, come diceva già Pasolini. Se invece per progresso si intende un miglioramento delle condizioni di vita generalizzato e tendente ad allargarsi per tutta l'umanità non è possibile proseguire con questo modello: occorre saper distinguere tra i beni (cioè degli oggetti) ed i servizi che rispondono alle esigenze reali degli esseri umani e le merci che invece rispondono all'esigenza del Prodotto Interno Lordo ed all'esigenza di farlo crescere sempre più. I due valori non omogenei. Si può avere un aumento della produzione di merci e una riduzione della qualità della vita»

Ovunque sentiamo parlare di Pil, Prodotto Interno Lordo che dobbiamo far crescere per migliorare la nostra qualità di vita. E' vera allora l'equazione più soldi=più ricchezza= più benessere?

«No, non mi risulta. Assolutamente. Perchè questo concetto non distingue tra l'idea di bene e l'idea di merce. I beni sono degli oggetti, dei servizi, che migliorano le condizioni di vita degli esseri umani, le merci sono degli oggetti e dei servizi che vengono scambiati con denaro.

Il Prodotto interno lordo misura la quantità delle merci ma non verifica se le merci sono dei beni o meno. La capacità di distinguere tra i beni e le merci è fondamentale. Esistono delle merci che non sono beni ed esistono dei beni che non sono merci.

Due esempio: una casa malcostruita per essere riscaldata ha bisogno di 20 litri di gasolio al metro quadrato all'anno. Essa fa crescere il Pil più di una casa ben costruita che ne ha bisogno solo di 7 litri o addirittura meno. Tutta l'energia in più - che nel caso nel rapporto tra una casa da 20 e una casa da 7 litri è di due terzi - è una merce che fa crescere il Pil ma non è un bene perchè si disperde a causa della cattiva coibentazione dell'edificio. Abbiamo quindi una crescita del Prodotto Interno Lordo ma un peggioramento delle condizioni di vita: una casa che consuma 20 litri manda in atmosfera i due terzi di CO2 in più rispetto allo stesso edificio ben costruito.

Esistono anche beni che non sono merci e che non fanno crescere il Pil. Pensiamo ai beni, oggetti e servizi autoprodotti donati per amore: non vengono scambiati per denaro, non fanno crescere il Pil ma soddisfano delle esigenze umane in maniera molto migliore rispetto alle merci equivalenti»

Noi, consumatori grassi e tristi che sperperiamo ovunque; voi fedeli alla Decrescita ed al ritorno alle antiche abitudini contadine di un tempo, forse bucolica, felici e contenti. E' così? Come si può fare affinchè anche i ricchi e sfrenati consumisti siano felici e non tristi?

«Questa cosa non è affatto bucolica, a parte che non c'è niente di negativo vivere in un ambiente sano, naturale. Ma se in questa maniera si pensa di ridicolizzare una aspirazione di un ritorno ad un passato mitico, siamo veramente fuori strada. La decrescita è felice perchè la riduzione della produzione del consumo di merci che non sono beni è un fattore che porta felicità. Essa richiede però più tecnologie rispetto ad una società basata sullo spreco delle risorse. In una casa che consuma 7 litri di gasolio per metro quadro, come dicevo in precedenza, si sta meglio fisicamente in quanto, non disperdendo il calore, le pareti sono calde e il nostro corpo è molto sensibile a quel calore più ancora di quanto non sia sensibile al calore dell'aria della stanza. Ci vogliono dunque tecnologie più avanzate che ci consentano di costruire case che consumano di meno, che ci facciano stare meglio, ci facciano essere più felici e contribuiscano a ridurre l'effetto serra. Esse quindi diventano un fattore - per quanto piccolo che sia - di miglioramento del benessere collettivo»

22 aprile 2008

Un assestamento globale

Liberismo sfrenato? solo per i future, quando si parla di cibo meglio l'economia locale. Ma, se i terreni sono delle multinazionali chi li coltiva?
I nuovi annunaki chi sono?
Lehman Brothers manderà a casa 600 dipendenti. Merrill Lynch ha annunciato che taglierà 4 mila posti di lavoro. Citigroup, dopo aver annunciato 4 mila licenziamenti a gennaio, ha dichiarato che licenzierà altri 9 mila dipendenti nei prossimi dodici mesi. Secondo il Financial Times, alla fine, i disoccupati ex-Citi saranno 25 mila.

La JP Morgan Chase, oltre alle perdite sue, subisce quelle dovute all’acquisto-salvataggio di Bear Stearns: di cui si prepara a sbattere fuori 14 mila dipendenti, e forse - secondo il Wall Street Journal - metà di tutti gli ex impiegati.

Altri grandi istituti bancari americani in rovina stanno licenziando: 3 mila alla Washington Mutual (1,14 miliardi di perdite dichiarate), centinaia alla Wachovia e alla Well Fargo. Le grandi banche d’affari globali hanno annunciato circa 20 mila licenziamenti, di cui 6 mila solo a New York.

In quella che gli USA chiamano la loro più vivace «industria» (la finanza), è un massacro.

Tra USA ed Europa, i posti di lavoro scomparsi nel settore finanziario-speculativo, del credito e dei derivati, si calcolano in 70 mila. Nei prossimi 12-18 mesi il numero può salire in USA a 200 mila, secondo Celent LLC, un centro di ricerca finanziaria; secondo Esperian, un «data provider», a fine 2008 gli operatori finanziari sul lastrico saranno 240 mila, sui 2 milioni di posizioni nel settore bancario commerciale (1).

«Non c’è più tanto bisogno di gente che sa ‘securitizzare’ debiti, dato che per quegli oggetti non c’è più mercato», ha scritto Floyd Norris, giornalista economico del Times. Sono begli stipendi e bonus profumati che scompaiono, e che fornivano il loro frizzante «glamour» a New York e Londra.

«Fino ad ora la crisi è determinata dal settore finanziario», ha spiegato John Thain, presidente esecutivo di Merrill Lynch, «ma dobbiamo ancora vedere l’effetto sul consumatore dei prezzi calanti degli immobili, dei prezzi crescenti dell’energia e del cibo, e della disoccupazione più alta».

Non che tutti i licenziati finanziari finiscano a chiedere l’elemosina. James Cayne, il presidente della Bear Stearns ed autore della sua bancarotta, negli ultimi cinque anni ha guadagnato 155,26 milioni di dollari; anche se, prima di essere sbattuto fuori, ha potuto rivendere le sua azioni nella banca fallita per «soli» 61 milioni di dollari in marzo.

Charles Prince, presidente di Citigroup, e Staney O’Neal, di Merrill, sono stati accompagnati alla porta per aver fatto perdere miliardi di dollari in speculazioni dementi alle loro banche, con un gruzzoletto, rispettivamente, di 68 e di 161 milioni di dollari.

Gli squali, anche feriti a morte, continuano a divorare. Non a caso il costo del metro quadro a Manhattan è salito ancora del 41% in questo anno di crisi.

Sono altri i lavoratori che pagano il prezzo: i 5 mila licenziati alla AT&T, i 1.100 della Volvo Trucks, i 730 della Harley Davidson, i 477 della Siemens Automation, i 356 del Greenville Hospital di Jersey city, i 250 della immobiliare Dutch Housing. A marzo, risulta che 5 milioni di lavoratori - 400 mila più che a novembre - sono in USA a orario e paga ridotte, dato che le aziende hanno meno attività. I redditi salariali sono in declino da sei mesi consecutivi. Lo squalo del capitalismo terminale perde sangue a fiotti, ma continua a divorare.

Gli hedge fund si sono buttati sui mercati-merci, provocando il rialzo speculativo del cibo (il riso è rincarato del 120% nell’anno, di cui il 75% negli ultimi due mesi). Feriti a morte, riescono ancora a fare profitti e a devastare le società con i rincari di alimenti e petrolio.

Al mercato merci di Chicago, che tratta 25 materie prime agricole, il volume dei contratti è cresciuto del 20% da gennaio, superando un milione di contratti al giorno. Gli hedge fund comprano ogni giorno 30 milioni di tonnellate di soya per futura consegna... Naturalmente non si fanno consegnare questa merce voluminosa, ma rivendono i «futures» prima. E’ questo che rende la loro opera distruttiva.

I «futures» agricoli, in mano agli operatori dell’economia reale, servono a stabilizzare i prezzi e a finanziare gli agricoltori con anticipi su raccolti futuri. Gli hedge, comprando e vendendo futures di carta, hanno fatto impazzire questo mercato, condannando alla fame centinaia di milioni di poveracci in Asia, e provocando fenomeni di accaparramento e tesaurizzazione da parte dei Paesi produttori, che temono, se vendono il riso e grano sui mercati mondiali, di non riuscire a sfamare la loro popolazione.

William Pfaff (2) trova «stupefacente che in questa situazione, le istituzioni finanziarie internazionali e i regolatori di Stato non stronchino questa attività parassitaria e anti-sociale». Basterebbe riservare il mercato-merci di Chicago, e gli altri simili, agli operatori reali, quelli che davveno trattano granaglie, e che sono poche decine, e ben noti.

Ma le istituzioni monetarie non lo fanno: «Il mito del mercato imparziale e benefico ha la meglio sull’evidenza contraria». Continua ad operare l’ideologia liberista dogmatica. E’ il capitalismo in agonia che addenta le ultime sue prede.

Perchè mentre i colossi della finanza crollano, e l’economia USA si restringe drasticamente in una depressione che si promette abissale, incapace di punire i colpevoli e di mettere un freno alla follia, si scopre che, nel mondo, certe economie «vecchio stile» stanno sostenendo la tempesta meglio di quelle che si sono adeguate al dogma liberista e che hanno puntato tutto sulla fornitura agli indebitati consumatori USA.

Russia, Brasile e Australia, ricchi di materie prime, se la stanno cavando bene nonostante il rallentamento mondiale. Germania e Giappone, ancora produttori di macchinari industriali «pesanti» per la produzione e non il consumo - l’industria che gli USA hanno abbandonato - continuano a tener testa alla situazione. In Brasile, grazie alla domanda sostenuta dei suoi prodottti: minerale ferroso, caffè, zucchero, i tassi d’interesse sono addirittura calanti.

L’India sta facendo meglio della Cina, perchè ha un forte mercato interno, che non dipende troppo dalle esportazioni in USA. La Cina, con la Thailandia, le Filippine e la Malaysia stanno subendo rallentamenti perchè hanno fidato troppo nell’export in USA. E Paesi come Ungheria e Turchia sono nei guai per essersi indebitati troppo sui mercati finanziari. In generale, se la cavano quei settori europei che hanno compensato l’euro forte rinunciando al mercato americano, e trovandosi altri clienti.

Il mercato USA sta diventando sempre meno rilevante nel mondo. Di più: Dani Rodrik, docente ad Harvard (Kennedy School), ha stabilito che i Paesi - specie dell’America Latina - che hanno seguito i consigli liberalizzatori del Fondo Monetario e della Banca Mondiale, nel 1980-90, hanno sperimentato una crescita «negativa» dello 0,8% (l’Asia, intanto, cresceva del 5,6 %), e di uno stentato 1% fino al 2000.

Poi, alcuni Paesi hanno rigettato le ricette del liberismo e dei suoi custodi globali («privatizza, liberalizza, svaluta») per adottare politiche economiche nazionali, «disapprovate» dal FMI: e stanno crescendo meglio dei vicini, e anche più del Vietnam e della Cina. I Paesi liberati sono: Argentina, Bolivia, Brazile, Cile, Salvador, Messico, Uruguay.

Nel complesso, sta emergendo un «Nuovo Ordine Mondiale», ma ben diverso da quello immaginato dai profeti anglo-americani del mercato-mondo: è in atto uno storico dislocamento di potenza, di influenza politica, di prestigio e di ricchezza reale dall’Occidente ex avanzato al quello che era ex Terzo Mondo, o secondo mondo.
In linea di massima, il potere sta sfuggendo dai Paesi in deficit di energia verso quelli che hanno energia (petrolio, gas, uranio) da vendere (3).

La Cina, bisognosa di materie prime energetiche, sta però solo in teoria nel primo gruppo declinante: perchè usa la sua nuova influenza politica per accordi strategici di Stato, ben lontani dal liberismo alla Adam Smith, per assicurarsi il futuro. Così la Sinopec cinese ha un accordo storico con la Aramco saudita (che un tempo apparteneva alla Exxon e Chevron) per nuove esplorazioni in Arabia; la China National Peroleum collaborerà con Gazprom, il colosso sottto controllo di Stato, per costruire oleo e gasdotti che porteranno il gas russo ai cinesi. La indiana Oil and Natural Gas Corporation (impresa pubblica) sta aiutando il Venezuela a sviluppare i suoi giacimenti di greggio pesante un tempo controllati da Chevron.

Il trasferimento di ricchezza ai fornitori di greggio, gas e metalli è enorme: di 970 miliardi di dollari nel 2006, e sicuramente molto più nel 2008, visti i rincari. Parte rilevante di questa ricchezza viene depositata in fondi sovrani di Stato, che stanno acquistando tutto ciò che vale qualcosa in USA, con dollari svalutati.

Di imprevedibile rilevanza per il futuro è la concentrazione straordinaria del potere energetico: dieci soli Stati possiedono l’82,2% delle riserve mondiali accertate, e solo tre - Russia, Iran e Katar - controllano il 55,8% dell’offerta globale. Un accordo fra Russia e Iran per la divisione pacifica ma «politica» dei mercati, senza concorrenza fra loro (che Teheran ha già proposto) eserciterà una storica tenaglia sui Paesi dell’OCSE, sviluppati, (ex) industrializzati, abituati ad un alto tenore di vita, oggi - specialmente gli USA - a credito.

Inneggia a questo imprevisto nuovo ordine globale un libro che sta facendo furore in Asia: «The new Asia hemisphere - The irresistible shift of global power do the East», di Kishore Mahbubani. Costui, un diplomatico di Singapore, sostiene che i grandi Paesi asiatici, cresciuti al nuovo benessere grazie ai «valori occidentali», libero mercato, proprietà privata e tecnologie comprese, stanno tagliando il cordone ombelicale che li subordinava alla cultura occidentale (4).

Oggi, una imponente «de-occidentalizzazione» sarebbe in corso dalla Cina al Medio Oriente, perchè questi Paesi hanno constatato come la prosperità mondiale venga oggi «messa in pericolo da processi politici occidentali fortemente antagonizzanti e disfunzionali», come le guerre di Bush.

Essi vedono l’ipocrisia con cui «l’Occidente, abitato soltanto dal 12% della popolazione mondiale», si affanna a mantenere il controllo degli organismi del libero commercio globale, dal Fondo Monetario alla Banca Mondiale al WTO, fino al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, «che furono create con l’intento di servire all’umanità».

Insomma, l’Asia non crede più che l’Occidente sia «la parte più civilizzata del mondo», non è più soggiogata dal prestigio culturale di Europa ed USA.
M. Blondet



1) David Walsh, «As losses mount, US banks cut thousands of jobs», World Socialist Website, 19 aprile 2008.
2) William Pfaff, « The speculators driving food price rises», 15 aprile 2008.
3) Michael T. Klare, «The rise of the new energy world order», Asia Times, 17 aprile 2008.
4) Sreeram Chaulia, «Asia pushes, West resists», Asia Times, 19 aprile 2008.

23 aprile 2008

La cura dell'Anima: Tra Denaro e Apparenze



Non si sente più parlare di anima. Questo termine, così diffuso e pregnante in altre epoche della storia occidentale non è sulla bocca, almeno nei loro discorsi in pubblico, del Papa, dei cardinali, dei vescovi e neppure dei preti. Ora, io non credo all'anima, ma il Papa, i cardinali, i vescovi, i preti ci dovrebbero credere visto che tutta la cosmogonia cristiana si basa sulla fede nella sua esistenza e che la funzione, diciamo così, istituzionale della Chiesa e dei suoi sacerdoti è proprio "la cura delle anime". Ma non ne parlano mai. Non ne parlano più.

Non si parla nemmeno, sul cotè laico, di spirito, l'antico "pneuma" del pensiero greco, ma questo non è più comprensibile dato l'uso sciagurato che ne hanno fatto Hegel, in Italia Gentile (e per la verità anche Croce) per cui ha finito per assumere un significato vagamente fascista.

Si parla, in compenso, molto del corpo e del suo benessere. Di "beauty farm", di palestre, di materassi , di plantari e anche di prodotti che aiutano la donna, e immagino anche l'uomo, a riacquistare la sua "normale regolarità" (che l'anima , per una bizzarra combinazione alchemica, abbia cambiato la sua sostanza?). Si parla moltissimo di cibo e di cibi il cui destino peraltro è inevitabile e non particolarmente glorioso. Si parla molto di chirurgia estetica che deve fare apparire il nostro corpo sempre giovane, bello e levigato e d'una medicina che deve rendere la nostra vita sempre più longeva e, prima o poi, immortale.

Ma si parla soprattutto di denaro, del Dio Quattrino che è l'unico nume unanimemente adorato, riconosciuto e condiviso, in Occidente, e quindi di economia, di finanza, di derivati, di banche, di carte di credito, di bancomat, di Cin, di Pin, di Iban. In questo nuovo Regno l'uomo ha ancora una parte, ma come sottoprodotto. Non è più propriamente un uomo, ma un "consumatore". È un tramite. È il tubo digerente, il lavandino, il water attraverso cui deve passare il più velocemente possibile ciò che altrettanto rapidamente produce. "Bisogna stimolare i consumi per aumentare la produzione". È il "terminale uomo" del meccanismo. È un target. Un obiettivo. Non è più soggetto, ma un oggetto. Si inventano strategie di marketing sempre più sofisticate, nascono scuole per "personalizzare" i venditori, ma se c'è qualcuno che tituba a ridurre la propria esistenza a quella di rapido defecatore e di Pinocchio nel Paese dei Balocchi si ricorre a metodi più spicci e si reclutano e si schiavizzano schiere di giovani Lucignoli perchè faccia, perbenino e senza protestare, il suo dovere.

Come l'uomo sono ridotti i Paesi e le Nazioni. Un Paese è considerato solo se è un appetibile mercato o è tanto più ganzo quanto più è capace di acquisire nuove "quote di mercato". Un tempo esisteva l'idea di Nazione, di una comunità con valori condivisi. Adesso la Nazione è stata sostituita dalla Produzione.

In occidente si torna a parlare, è vero, e molto di Dio. Ma non mi pare del tutto a sproposito. Se ne fa un uso parecchio utilitaristico. Il Presidente degli Stati Uniti conclude ogni suo discorso con la frase "Dio protegga l'America". E perché non l'Afghanistan? O l'Iraq? L'Iran? O ancor meglio, gli indigeni delle isole Andemane che non hanno mai rotto le scatole a nessuno? Oppure si impetrano da lui e o dalle sue Maestranze favori particolari. Ma perchè mai Dio dovrebbe concederli a questi piuttosto che a quelli? E, curioso che l'epoca del massimo e trionfante scientismo sia anche quella della massima superstizione (Fatima, Lourdes, la Madonna di Czestokowa, quella di Medjugorje, San Gennaro, Padre Pio, eccetera). Ma poi se non esiste più l'anima che senso mai può avere conservare Dio?

L'immateriale è scomparso dal mondo contemporaneo. È stato sostituito dal virtuale che solo apparentemente gli si apparenta. Perché è una parodia masturbatoria del reale. E non ha nulla a che vedere con l'Immateriale. Con lo Spirito. Con l'Anima.

Massimo FIni

L'immaginario colonizzato


Un'intervista a Maurizio Pallante si comincia a parlare di decrescita e vita compatibile.
Ma quali sono i NOSTRI veri bisogni? Quando li capiremo queste domande sono superflue.

«Siamo tossicodipendenti della crescita e del consumo, siamo stati colonizzati nel nostro immaginario, abbiamo subito l'economicizzazione del nostro spirito: e i nuovi profeti ci colpevolizzano se non siamo sufficientemente calcolatori. Ma i drogati, si sa, sono vittime con la tendenza a continuare ad assumere la droga e non a curarsi. Sono le multinazionali come la Nestlé o la Total che finanziano i modi per impedire che noi, drogati del consumo, possiamo curarci». E' l' “eretico”, il francese Serge Latouche, padre della decrescita che parla. E c'è chi condivide anche in Italia.

«Penso che Latouche abbia completamente ragione. – dice Maurizio Pallante, presidente del Movimento per la Decrescita Felice in Italia (per ulteriori approfondimenti sito www.decrescitafelice.it ) e che attualmente svolge un'attività di ricerca e divulgazione scientifica sui rapporti tra ecologia, tecnologia e economia - Anzi molte delle cose che lui ha detto sono di una importanza fondamentale. In particolare l'esigenza di porre la decrescita a fine dell'attività economica e produttiva è un concetto che rompe con uno dei fondamenti delle società industriali avanzate. E' un concetto che non viene accettato perchè non viene fondamentalmente compreso. Ho letto una critica che fa Piero Bianucci all'ultimo libro di Latouche in cui dice, in un esempio iniziale, che i bambini crescono e gli alberi crescono. Però non ha l'onestà intellettuale di dire che gli adulti non crescono più e che gli alberi, da un certo punto in avanti, non crescono più Non è che la crescita è un fattore di qualità, lo può essere in certe condizioni. Mentre invece l'unica crescita che prosegue senza limitazioni è quella tumorale»

Ma che senso ha allora parlare di descrescita? E' utopia? Va contro il Progresso?

«Bisogna saper distinguere che cosa significa realmente progresso e che cosa ci hanno fatto credere che esso significhi. Se come progresso si intende la capacità di accrescere in continuazione la quantità di oggetti materiali e di merci che consumiamo, allora questo è un falso progresso, come diceva già Pasolini. Se invece per progresso si intende un miglioramento delle condizioni di vita generalizzato e tendente ad allargarsi per tutta l'umanità non è possibile proseguire con questo modello: occorre saper distinguere tra i beni (cioè degli oggetti) ed i servizi che rispondono alle esigenze reali degli esseri umani e le merci che invece rispondono all'esigenza del Prodotto Interno Lordo ed all'esigenza di farlo crescere sempre più. I due valori non omogenei. Si può avere un aumento della produzione di merci e una riduzione della qualità della vita»

Ovunque sentiamo parlare di Pil, Prodotto Interno Lordo che dobbiamo far crescere per migliorare la nostra qualità di vita. E' vera allora l'equazione più soldi=più ricchezza= più benessere?

«No, non mi risulta. Assolutamente. Perchè questo concetto non distingue tra l'idea di bene e l'idea di merce. I beni sono degli oggetti, dei servizi, che migliorano le condizioni di vita degli esseri umani, le merci sono degli oggetti e dei servizi che vengono scambiati con denaro.

Il Prodotto interno lordo misura la quantità delle merci ma non verifica se le merci sono dei beni o meno. La capacità di distinguere tra i beni e le merci è fondamentale. Esistono delle merci che non sono beni ed esistono dei beni che non sono merci.

Due esempio: una casa malcostruita per essere riscaldata ha bisogno di 20 litri di gasolio al metro quadrato all'anno. Essa fa crescere il Pil più di una casa ben costruita che ne ha bisogno solo di 7 litri o addirittura meno. Tutta l'energia in più - che nel caso nel rapporto tra una casa da 20 e una casa da 7 litri è di due terzi - è una merce che fa crescere il Pil ma non è un bene perchè si disperde a causa della cattiva coibentazione dell'edificio. Abbiamo quindi una crescita del Prodotto Interno Lordo ma un peggioramento delle condizioni di vita: una casa che consuma 20 litri manda in atmosfera i due terzi di CO2 in più rispetto allo stesso edificio ben costruito.

Esistono anche beni che non sono merci e che non fanno crescere il Pil. Pensiamo ai beni, oggetti e servizi autoprodotti donati per amore: non vengono scambiati per denaro, non fanno crescere il Pil ma soddisfano delle esigenze umane in maniera molto migliore rispetto alle merci equivalenti»

Noi, consumatori grassi e tristi che sperperiamo ovunque; voi fedeli alla Decrescita ed al ritorno alle antiche abitudini contadine di un tempo, forse bucolica, felici e contenti. E' così? Come si può fare affinchè anche i ricchi e sfrenati consumisti siano felici e non tristi?

«Questa cosa non è affatto bucolica, a parte che non c'è niente di negativo vivere in un ambiente sano, naturale. Ma se in questa maniera si pensa di ridicolizzare una aspirazione di un ritorno ad un passato mitico, siamo veramente fuori strada. La decrescita è felice perchè la riduzione della produzione del consumo di merci che non sono beni è un fattore che porta felicità. Essa richiede però più tecnologie rispetto ad una società basata sullo spreco delle risorse. In una casa che consuma 7 litri di gasolio per metro quadro, come dicevo in precedenza, si sta meglio fisicamente in quanto, non disperdendo il calore, le pareti sono calde e il nostro corpo è molto sensibile a quel calore più ancora di quanto non sia sensibile al calore dell'aria della stanza. Ci vogliono dunque tecnologie più avanzate che ci consentano di costruire case che consumano di meno, che ci facciano stare meglio, ci facciano essere più felici e contribuiscano a ridurre l'effetto serra. Esse quindi diventano un fattore - per quanto piccolo che sia - di miglioramento del benessere collettivo»

22 aprile 2008

Un assestamento globale

Liberismo sfrenato? solo per i future, quando si parla di cibo meglio l'economia locale. Ma, se i terreni sono delle multinazionali chi li coltiva?
I nuovi annunaki chi sono?
Lehman Brothers manderà a casa 600 dipendenti. Merrill Lynch ha annunciato che taglierà 4 mila posti di lavoro. Citigroup, dopo aver annunciato 4 mila licenziamenti a gennaio, ha dichiarato che licenzierà altri 9 mila dipendenti nei prossimi dodici mesi. Secondo il Financial Times, alla fine, i disoccupati ex-Citi saranno 25 mila.

La JP Morgan Chase, oltre alle perdite sue, subisce quelle dovute all’acquisto-salvataggio di Bear Stearns: di cui si prepara a sbattere fuori 14 mila dipendenti, e forse - secondo il Wall Street Journal - metà di tutti gli ex impiegati.

Altri grandi istituti bancari americani in rovina stanno licenziando: 3 mila alla Washington Mutual (1,14 miliardi di perdite dichiarate), centinaia alla Wachovia e alla Well Fargo. Le grandi banche d’affari globali hanno annunciato circa 20 mila licenziamenti, di cui 6 mila solo a New York.

In quella che gli USA chiamano la loro più vivace «industria» (la finanza), è un massacro.

Tra USA ed Europa, i posti di lavoro scomparsi nel settore finanziario-speculativo, del credito e dei derivati, si calcolano in 70 mila. Nei prossimi 12-18 mesi il numero può salire in USA a 200 mila, secondo Celent LLC, un centro di ricerca finanziaria; secondo Esperian, un «data provider», a fine 2008 gli operatori finanziari sul lastrico saranno 240 mila, sui 2 milioni di posizioni nel settore bancario commerciale (1).

«Non c’è più tanto bisogno di gente che sa ‘securitizzare’ debiti, dato che per quegli oggetti non c’è più mercato», ha scritto Floyd Norris, giornalista economico del Times. Sono begli stipendi e bonus profumati che scompaiono, e che fornivano il loro frizzante «glamour» a New York e Londra.

«Fino ad ora la crisi è determinata dal settore finanziario», ha spiegato John Thain, presidente esecutivo di Merrill Lynch, «ma dobbiamo ancora vedere l’effetto sul consumatore dei prezzi calanti degli immobili, dei prezzi crescenti dell’energia e del cibo, e della disoccupazione più alta».

Non che tutti i licenziati finanziari finiscano a chiedere l’elemosina. James Cayne, il presidente della Bear Stearns ed autore della sua bancarotta, negli ultimi cinque anni ha guadagnato 155,26 milioni di dollari; anche se, prima di essere sbattuto fuori, ha potuto rivendere le sua azioni nella banca fallita per «soli» 61 milioni di dollari in marzo.

Charles Prince, presidente di Citigroup, e Staney O’Neal, di Merrill, sono stati accompagnati alla porta per aver fatto perdere miliardi di dollari in speculazioni dementi alle loro banche, con un gruzzoletto, rispettivamente, di 68 e di 161 milioni di dollari.

Gli squali, anche feriti a morte, continuano a divorare. Non a caso il costo del metro quadro a Manhattan è salito ancora del 41% in questo anno di crisi.

Sono altri i lavoratori che pagano il prezzo: i 5 mila licenziati alla AT&T, i 1.100 della Volvo Trucks, i 730 della Harley Davidson, i 477 della Siemens Automation, i 356 del Greenville Hospital di Jersey city, i 250 della immobiliare Dutch Housing. A marzo, risulta che 5 milioni di lavoratori - 400 mila più che a novembre - sono in USA a orario e paga ridotte, dato che le aziende hanno meno attività. I redditi salariali sono in declino da sei mesi consecutivi. Lo squalo del capitalismo terminale perde sangue a fiotti, ma continua a divorare.

Gli hedge fund si sono buttati sui mercati-merci, provocando il rialzo speculativo del cibo (il riso è rincarato del 120% nell’anno, di cui il 75% negli ultimi due mesi). Feriti a morte, riescono ancora a fare profitti e a devastare le società con i rincari di alimenti e petrolio.

Al mercato merci di Chicago, che tratta 25 materie prime agricole, il volume dei contratti è cresciuto del 20% da gennaio, superando un milione di contratti al giorno. Gli hedge fund comprano ogni giorno 30 milioni di tonnellate di soya per futura consegna... Naturalmente non si fanno consegnare questa merce voluminosa, ma rivendono i «futures» prima. E’ questo che rende la loro opera distruttiva.

I «futures» agricoli, in mano agli operatori dell’economia reale, servono a stabilizzare i prezzi e a finanziare gli agricoltori con anticipi su raccolti futuri. Gli hedge, comprando e vendendo futures di carta, hanno fatto impazzire questo mercato, condannando alla fame centinaia di milioni di poveracci in Asia, e provocando fenomeni di accaparramento e tesaurizzazione da parte dei Paesi produttori, che temono, se vendono il riso e grano sui mercati mondiali, di non riuscire a sfamare la loro popolazione.

William Pfaff (2) trova «stupefacente che in questa situazione, le istituzioni finanziarie internazionali e i regolatori di Stato non stronchino questa attività parassitaria e anti-sociale». Basterebbe riservare il mercato-merci di Chicago, e gli altri simili, agli operatori reali, quelli che davveno trattano granaglie, e che sono poche decine, e ben noti.

Ma le istituzioni monetarie non lo fanno: «Il mito del mercato imparziale e benefico ha la meglio sull’evidenza contraria». Continua ad operare l’ideologia liberista dogmatica. E’ il capitalismo in agonia che addenta le ultime sue prede.

Perchè mentre i colossi della finanza crollano, e l’economia USA si restringe drasticamente in una depressione che si promette abissale, incapace di punire i colpevoli e di mettere un freno alla follia, si scopre che, nel mondo, certe economie «vecchio stile» stanno sostenendo la tempesta meglio di quelle che si sono adeguate al dogma liberista e che hanno puntato tutto sulla fornitura agli indebitati consumatori USA.

Russia, Brasile e Australia, ricchi di materie prime, se la stanno cavando bene nonostante il rallentamento mondiale. Germania e Giappone, ancora produttori di macchinari industriali «pesanti» per la produzione e non il consumo - l’industria che gli USA hanno abbandonato - continuano a tener testa alla situazione. In Brasile, grazie alla domanda sostenuta dei suoi prodottti: minerale ferroso, caffè, zucchero, i tassi d’interesse sono addirittura calanti.

L’India sta facendo meglio della Cina, perchè ha un forte mercato interno, che non dipende troppo dalle esportazioni in USA. La Cina, con la Thailandia, le Filippine e la Malaysia stanno subendo rallentamenti perchè hanno fidato troppo nell’export in USA. E Paesi come Ungheria e Turchia sono nei guai per essersi indebitati troppo sui mercati finanziari. In generale, se la cavano quei settori europei che hanno compensato l’euro forte rinunciando al mercato americano, e trovandosi altri clienti.

Il mercato USA sta diventando sempre meno rilevante nel mondo. Di più: Dani Rodrik, docente ad Harvard (Kennedy School), ha stabilito che i Paesi - specie dell’America Latina - che hanno seguito i consigli liberalizzatori del Fondo Monetario e della Banca Mondiale, nel 1980-90, hanno sperimentato una crescita «negativa» dello 0,8% (l’Asia, intanto, cresceva del 5,6 %), e di uno stentato 1% fino al 2000.

Poi, alcuni Paesi hanno rigettato le ricette del liberismo e dei suoi custodi globali («privatizza, liberalizza, svaluta») per adottare politiche economiche nazionali, «disapprovate» dal FMI: e stanno crescendo meglio dei vicini, e anche più del Vietnam e della Cina. I Paesi liberati sono: Argentina, Bolivia, Brazile, Cile, Salvador, Messico, Uruguay.

Nel complesso, sta emergendo un «Nuovo Ordine Mondiale», ma ben diverso da quello immaginato dai profeti anglo-americani del mercato-mondo: è in atto uno storico dislocamento di potenza, di influenza politica, di prestigio e di ricchezza reale dall’Occidente ex avanzato al quello che era ex Terzo Mondo, o secondo mondo.
In linea di massima, il potere sta sfuggendo dai Paesi in deficit di energia verso quelli che hanno energia (petrolio, gas, uranio) da vendere (3).

La Cina, bisognosa di materie prime energetiche, sta però solo in teoria nel primo gruppo declinante: perchè usa la sua nuova influenza politica per accordi strategici di Stato, ben lontani dal liberismo alla Adam Smith, per assicurarsi il futuro. Così la Sinopec cinese ha un accordo storico con la Aramco saudita (che un tempo apparteneva alla Exxon e Chevron) per nuove esplorazioni in Arabia; la China National Peroleum collaborerà con Gazprom, il colosso sottto controllo di Stato, per costruire oleo e gasdotti che porteranno il gas russo ai cinesi. La indiana Oil and Natural Gas Corporation (impresa pubblica) sta aiutando il Venezuela a sviluppare i suoi giacimenti di greggio pesante un tempo controllati da Chevron.

Il trasferimento di ricchezza ai fornitori di greggio, gas e metalli è enorme: di 970 miliardi di dollari nel 2006, e sicuramente molto più nel 2008, visti i rincari. Parte rilevante di questa ricchezza viene depositata in fondi sovrani di Stato, che stanno acquistando tutto ciò che vale qualcosa in USA, con dollari svalutati.

Di imprevedibile rilevanza per il futuro è la concentrazione straordinaria del potere energetico: dieci soli Stati possiedono l’82,2% delle riserve mondiali accertate, e solo tre - Russia, Iran e Katar - controllano il 55,8% dell’offerta globale. Un accordo fra Russia e Iran per la divisione pacifica ma «politica» dei mercati, senza concorrenza fra loro (che Teheran ha già proposto) eserciterà una storica tenaglia sui Paesi dell’OCSE, sviluppati, (ex) industrializzati, abituati ad un alto tenore di vita, oggi - specialmente gli USA - a credito.

Inneggia a questo imprevisto nuovo ordine globale un libro che sta facendo furore in Asia: «The new Asia hemisphere - The irresistible shift of global power do the East», di Kishore Mahbubani. Costui, un diplomatico di Singapore, sostiene che i grandi Paesi asiatici, cresciuti al nuovo benessere grazie ai «valori occidentali», libero mercato, proprietà privata e tecnologie comprese, stanno tagliando il cordone ombelicale che li subordinava alla cultura occidentale (4).

Oggi, una imponente «de-occidentalizzazione» sarebbe in corso dalla Cina al Medio Oriente, perchè questi Paesi hanno constatato come la prosperità mondiale venga oggi «messa in pericolo da processi politici occidentali fortemente antagonizzanti e disfunzionali», come le guerre di Bush.

Essi vedono l’ipocrisia con cui «l’Occidente, abitato soltanto dal 12% della popolazione mondiale», si affanna a mantenere il controllo degli organismi del libero commercio globale, dal Fondo Monetario alla Banca Mondiale al WTO, fino al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, «che furono create con l’intento di servire all’umanità».

Insomma, l’Asia non crede più che l’Occidente sia «la parte più civilizzata del mondo», non è più soggiogata dal prestigio culturale di Europa ed USA.
M. Blondet



1) David Walsh, «As losses mount, US banks cut thousands of jobs», World Socialist Website, 19 aprile 2008.
2) William Pfaff, « The speculators driving food price rises», 15 aprile 2008.
3) Michael T. Klare, «The rise of the new energy world order», Asia Times, 17 aprile 2008.
4) Sreeram Chaulia, «Asia pushes, West resists», Asia Times, 19 aprile 2008.