30 aprile 2008

Un popolo camaleontico

Il carro dei vincitori non riesce ad accogliere tutti i "saltatori". Immagini e pensieri che ritornano a luglio 2006 dove la nazionale di calcio conquistò la vetta più elevata. A roma non bastarono pullman scoperti per contenere tutta la folla. Adesso, è lo stesso caso. Un popolo che per forza o debolezza si adatta alla situazione vincente del caso. E' un bene o un male? Penso che non sia nè l'uno, nè l'altro è il DNA.

Spiaceva quasi, l’altroieri, sentire l’intera piazza San Carlo che sfanculava ogni dieci minuti Johnny Raiotta, il direttore del Tg1 che fa rimpiangere Mimun. Troppi vaffa per un solo ometto. Poi però uno rincasava, cercava il servizio del Tg1 di mezza sera su una manifestazione criticabilissima come tutte, ma imponente, che in un giorno ha raccolto 500mila firme per tre referendum. Invece, sorpresa (si fa per dire): nessun servizio, nessuna notizia, nemmeno una parola.

Molti e giusti servizi sul 25 aprile dei politici, sulle elezioni a Roma, sul caro-prezzi, sul ragazzino annegato, poi largo spazio alle due vere notizie del giorno: le torte in faccia al direttore del New York Times e la mostra riminese su Romolo e Remo (anzi, per dirla col novello premier, Remolo). Seguiva un pallosissimo Tv7 con lo stesso Raiotta, Tremonti, la Bonino e Mieli che discutevano per ore e ore di nonsisabenechecosa. Raiotta indossava eccezionalmente...
una giacca, forse per riguardo verso il direttore del Corriere. Questo sì che è servizio pubblico. Così, nel tentativo maldestro di contrastare - oscurandolo - il V-Day sull’informazione, Johnny Raiotta del Kansas City ne confermava e rafforzava le ragioni.

E anche i giornali di ieri facevano a gara nel dimostrare che Grillo, anche quando esagera, non esagera mai abbastanza. Il Giornale della ditta, giustamente allarmato dal referendum per cancellare la legge Gasparri, sguinzaglia per il terzo giorno consecutivo un piccolo sicario con le mèches in una strepitosa inchiesta a puntate: “La vera vita di Grillo”. Finora il segugio ossigenato ha scoperto, nell’ordine, che Grillo: da giovane andava a letto con ragazze; alcuni suoi amici, invidiosi, parlano male di lui; la sua villa a Genova consuma energia elettrica; ha avuto un tragico incidente stradale; è genovese e dunque tirchio (fosse nato ad Ankara, fumerebbe come un turco); nel suo orto ha sistemato una melanzana di plastica; ha avuto un figlio “nato purtroppo con dei problemi motori” (il giornalista è un cultore della privacy); e, quando fa spettacoli a pagamento, pretende addirittura di essere pagato. Insomma, un delinquente. E siamo solo alla terza puntata: chissà quali altri delitti il Pulitzer arcoriano - già difensore di Craxi, Berlusconi, Dell’Utri e Mangano - scoprirà a carico di Grillo.

Nell’attesa, il Giornale ha mandato al V2-Day un inviato di punta, Tony Damascelli. Il quale, mentre il Cainano riceve il camerata Ciarrapico, paragona Grillo a Mussolini chiamandolo Benito e poi si duole perché piazza San Carlo ha applaudito a lungo Montanelli (fondatore del Giornale quand’era una cosa seria) e Biagi, definito graziosamente “il grande disoccupato”. La scelta di inviare Damascelli non è casuale, trattandosi di un giornalista sospeso dall’Ordine dei Giornalisti perché spiava un collega del suo stesso quotidiano, Franco Ordine, spifferando in anteprima quel che scriveva all’amico Moggi. Siccome l’Ordine non è una cosa seria, lo spione non fu cacciato, ma solo sospeso per 4 mesi. E siccome Il Giornale non è (più) una cosa seria, anziché licenziarlo l’ha spostato in cronaca. E l’ha mandato al V-Day che aveva di mira, fra l’altro, l’Ordine dei Giornalisti. Geniale.

Il Foglio, per dimostrare l’ottima salute di cui gode l’informazione, pubblicava proprio ieri un articolo di Roberto Ciuni, ex P2. Ma, oltre ai giornalisti-cimice, abbiamo pure i giornalisti-medium. Quelli che non han bisogno di assistere a un fatto per raccontarlo: prescindono dal fattore spazio-temporale. Il Riformista, alla vigilia del V-Day, già sapeva che sarebbe stata una manifestazione terroristica, “con minacce in stile Br ai giornalisti servi” (“Le Grillate rosse”). Ecco chi erano i 100 mila in piazza San Carlo: brigatisti. Francesco Merlo se ne sta addirittura a Parigi: di lì, armato di un telescopio potentissimo, riesce a vedere e a spiegare agli italiani quel che accade in Italia. Ieri ha scritto su Repubblica che “in Italia c’è sovrapproduzione di informazione” (testuale): ce ne vorrebbe un po’ meno, ecco.

Quanto a Grillo, è “in crisi” (2 milioni di persone in 45 piazze) e “non riesce a far ridere” (strano: ridevano tutti). Poi, citando Alberoni (mica uno qualsiasi: Alberoni), ha sostenuto che “in piazza c’erano umori che non s’identificano con Grillo”. Ecco, Merlo è così bravo che, appollaiato tra Montmartre e gli Champs Elysées, riesce a penetrare la mente e gli umori dei cittadini in piazza a Torino, Milano, Bologna, Roma. E spiega loro che cosa effettivamente pensano. Più che un giornalista, un paragnosta. Finchè potrà contare su fenomeni così, l’informazione in Italia è salva. Di che si lamentano, allora, Grillo e gli italiani?

fonte:by voglioscendere

29 aprile 2008

La Trilaterale: i manager del nuovo ordine mondiale





Mentre i media, riparlano di stupri e veline, qualcuno si organizza per far saltare in banco. Naturalmente è tutto legale, come se per legge si vuole imporre un pensiero o un modo di agire. Non è dittatura, è persuasione che attraversa le menti, diciamo virtuale per non dire occulta.

Le riunioni del G8 o quelle del World Economic Forum di Davos sono oggetto di grande attenzione da parte dei mass media e dei movimenti no-global.

Quelle della Commissione Trilaterale, assai più importanti per le sorti del mondo, avvengono invece nel silenzio mediatico più totale. Nessuno se ne accorge, nessuno ne parla, nessuno protesta contro questo organo privato di concertazione e orientamento della politica mondiale che riunisce l’élite politico-economica di Stati Uniti, Europa e Giappone (da cui il nome): duecento tra capi di Stato e di governo, ministri, grandi banchieri, manager delle più grandi multinazionali, economisti, militari si riuniscono ogni anno per quattro giorni in una città della triade, per decidere a porte chiuse le linee guida di politica internazionale ed economica che i singoli governi devono poi seguire.

Quest’anno la riunione si tiene a Washington. I lavori, iniziati venerdì, si concludono oggi.

Il governo mondiale dei ‘migliori’. La Commissione Trilaterale è stata fondata nel 1973 dall’attuale presidente onorario dell’organizzazione, David Rockefeller, patriarca della potente dinastia bancaria e convinto ‘mondialista’, assieme a Zbigniew Brzezinski, uno dei principali architetti della guerra al terrorismo post-11 settembre, oggi consigliere di Barak Obama.

La stampa statunitense dell’epoca definì la Tilaterale una “filiazione diretta” del Gruppo Bilderberg, società segreta internazionale di cui condivide membri e ideologia: quella di un ordine mondiale gestito da una ristretta aristocrazia economico-politica soprannazionale.

Scrive il filosofo e sociologo francese Gilbert Larochelle, “la cittadella trilaterale è un luogo protetto dove i ‘migliori’, nella loro ispirata superiorità, elaborano criteri per poi inviarli verso il basso”.

Una sorta di massoneria internazionale. La Trilaterale non è un’organizzazione segreta, ma è caratterizzata dalla riservatezza tipica delle organizzazioni massoniche.

Ha un sito web molto discreto dove si trovano luoghi e date delle riunioni e dove si possono ordinare i ‘Trialoghi’, gli atti pubblici di quelle riunioni – che però, lo ricordiamo, si svolgono a porte chiuse, quindi non è detto che venga pubblicato proprio tutto.

La maggiore riservatezza riguarda i suoi membri: le liste aggiornate dei partecipanti sono pubbliche solo in teoria: noi l’abbiamo richiesta tempo fa, senza avere risposta.

Linee guida per la politica mondiale. Dai Trialoghi pubblicati finora emerge che nelle riunioni della Trilaterale si prendono decisioni ‘quadro’ in materia di globalizzazione dei mercati, politica energetica, finanza internazionale, liberalizzazione delle economie. Ma si discute anche crisi internazionali e guerre, gestione del dissenso e limitazione degli “eccessi della democrazia”. Il tema dipende dalle contingenze storiche.

Ad esempio, dopo gli attentati dell’11 settembre, la riunione annuale del 2002 fu dominata da Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Colin Powell e Alan Greenspan che sollecitavano una “risposta globale” al terrorismo che vedesse impegnati tutti i Paesi occidentali sotto la guida degli Stati Uniti.

I saggi illuminati. Politica estera e militare, economica, finanziaria e sociale di ogni governo devono seguire le direttive imposte da questi ‘esperti’.

Su Le Monde Diplomatique del novembre 2003, l’autore di un articolo sulla Commissione Trilaterale – il professore Olivier Boiral – scriveva: “Come i re filosofi della città platonica, che contemplavano il mondo delle idee per infondere la loro trascendente saggezza nella gestione degli affari terrestri, l’élite che si riunisce all’interno di questa istituzione molto poco democratica si adopera nel definire i criteri di un ‘buon governo’ internazionale. Veicola un ideale platonico di ordine e controllo, assicurato da una classe privilegiata di tecnocrati che mette la propria competenza e la propria esperienza al di sopra delle profane rivendicazioni dei semplici cittadini”.

di Enrico Piovesana

28 aprile 2008

Parole giuste e parole ingiuste



Il potere delle parole. Chi pubblica le parole pensa di essere Parola. Ma chi pubblica falsità come sarà tranquillo con la sua coscienza. E, chi non pubblica sapendo che certi fatti non devono essere pubblicato sono schiavi o servi del Destino?

Ci sono parole e parole.
Ci sono parole usate per raccontare fatti e parole usate per orientare consensi, elettorali e non.
Parole trasparenti e parole oscure. Parole che vogliamo definire, con un’espressione forse non corretta ma che ci piace, “giuste” e “ingiuste”.

Spesso i giornalisti, che con le parole lavorano, complici del potere o dei poteri, usano le seconde, quelle ingiuste; talora ne inventano di sana pianta così da creare polveroni che mascherino o nascondano del tutto la verità.
E non parlo solo di silenzi, censure, falsità, imbrogli belli e buoni che quasi sempre raggiungono lettori ignari sotto forma di interi articoli.
Parlo proprio di parole, di semplici brevi parole, coniate dalla cattiva politica e adottate dalla cattiva stampa, nella migliore dell’ipotesi per pigrizia, nella peggiore per complice disonestà.

Vi ricordate di...
Bettino Craxi, tangentista della prima ora che per sfuggire al processo, scappò in Tunisia dove visse finché il diabete glielo permise, nella sua bellissima villa sul mare?

Uno che scappa per non subire condanne o comunque per non incappare nelle maglie della giustizia, secondo la lingua italiana, la logica e la coscienza, è un “latitante”.
Ebbene la stampa ne ha fatto un “esule”.

E che dire della guerra preventiva?
Invenzione del governo americano per giustificare un’aggressione sulla base di una presunzione di colpevolezza creata ad hoc, che gli irakeni – i magazzini stipati di armi chimiche – stessero per sferrare un attacco micidiale contro l’Occidente.
E talora le “guerre” diventano addirittura “missioni di pace”.

Non basta.
Ci sono altri ossimori della vergogna.

Il fuoco amico, ad esempio, per addolcire la pillola dell’errore del commilitone.
Amico il cavolo. La gente muore e mai nessuno è morto per amicizia.
Ed anche le bombe intelligenti. Stupidi ordigni che seminano il terrore.
E a proposito di terrore.
L’Occidente bolla – e a ragione – come terroristi, estremisti e integralisti islamici che con l’esplosivo fanno saltare e si fanno saltare in aria.
E’ chiaro che la definizione calza a pennello a chi semina morte con attentati. Perché terrore semina anche quando mette in gioco la sua stessa vita.

Ma forse hanno seminato meno terrore, le atomiche su Hiroshima e Nagasaki?
Le incursioni nei villaggi e i bombardamenti di napaln in Vietnam?
Gli interventi della Cia per appoggiare o rovesciare governi?
L’embargo per il quale sono stati negati presidi essenziali a popolazioni inermi?
Le ultime guerre che hanno allineato dietro gli Usa altri i paesi dell’“Occidente civile” sono state spacciate come esportazioni di democrazia e difesa di libertà.

Ma abbiamo visto il terrore negli occhi di donne e bambini.
Peccato che nessun giornalista abbia definito terroristi i governi Usa.
Ada Mollica

30 aprile 2008

Un popolo camaleontico

Il carro dei vincitori non riesce ad accogliere tutti i "saltatori". Immagini e pensieri che ritornano a luglio 2006 dove la nazionale di calcio conquistò la vetta più elevata. A roma non bastarono pullman scoperti per contenere tutta la folla. Adesso, è lo stesso caso. Un popolo che per forza o debolezza si adatta alla situazione vincente del caso. E' un bene o un male? Penso che non sia nè l'uno, nè l'altro è il DNA.

Spiaceva quasi, l’altroieri, sentire l’intera piazza San Carlo che sfanculava ogni dieci minuti Johnny Raiotta, il direttore del Tg1 che fa rimpiangere Mimun. Troppi vaffa per un solo ometto. Poi però uno rincasava, cercava il servizio del Tg1 di mezza sera su una manifestazione criticabilissima come tutte, ma imponente, che in un giorno ha raccolto 500mila firme per tre referendum. Invece, sorpresa (si fa per dire): nessun servizio, nessuna notizia, nemmeno una parola.

Molti e giusti servizi sul 25 aprile dei politici, sulle elezioni a Roma, sul caro-prezzi, sul ragazzino annegato, poi largo spazio alle due vere notizie del giorno: le torte in faccia al direttore del New York Times e la mostra riminese su Romolo e Remo (anzi, per dirla col novello premier, Remolo). Seguiva un pallosissimo Tv7 con lo stesso Raiotta, Tremonti, la Bonino e Mieli che discutevano per ore e ore di nonsisabenechecosa. Raiotta indossava eccezionalmente...
una giacca, forse per riguardo verso il direttore del Corriere. Questo sì che è servizio pubblico. Così, nel tentativo maldestro di contrastare - oscurandolo - il V-Day sull’informazione, Johnny Raiotta del Kansas City ne confermava e rafforzava le ragioni.

E anche i giornali di ieri facevano a gara nel dimostrare che Grillo, anche quando esagera, non esagera mai abbastanza. Il Giornale della ditta, giustamente allarmato dal referendum per cancellare la legge Gasparri, sguinzaglia per il terzo giorno consecutivo un piccolo sicario con le mèches in una strepitosa inchiesta a puntate: “La vera vita di Grillo”. Finora il segugio ossigenato ha scoperto, nell’ordine, che Grillo: da giovane andava a letto con ragazze; alcuni suoi amici, invidiosi, parlano male di lui; la sua villa a Genova consuma energia elettrica; ha avuto un tragico incidente stradale; è genovese e dunque tirchio (fosse nato ad Ankara, fumerebbe come un turco); nel suo orto ha sistemato una melanzana di plastica; ha avuto un figlio “nato purtroppo con dei problemi motori” (il giornalista è un cultore della privacy); e, quando fa spettacoli a pagamento, pretende addirittura di essere pagato. Insomma, un delinquente. E siamo solo alla terza puntata: chissà quali altri delitti il Pulitzer arcoriano - già difensore di Craxi, Berlusconi, Dell’Utri e Mangano - scoprirà a carico di Grillo.

Nell’attesa, il Giornale ha mandato al V2-Day un inviato di punta, Tony Damascelli. Il quale, mentre il Cainano riceve il camerata Ciarrapico, paragona Grillo a Mussolini chiamandolo Benito e poi si duole perché piazza San Carlo ha applaudito a lungo Montanelli (fondatore del Giornale quand’era una cosa seria) e Biagi, definito graziosamente “il grande disoccupato”. La scelta di inviare Damascelli non è casuale, trattandosi di un giornalista sospeso dall’Ordine dei Giornalisti perché spiava un collega del suo stesso quotidiano, Franco Ordine, spifferando in anteprima quel che scriveva all’amico Moggi. Siccome l’Ordine non è una cosa seria, lo spione non fu cacciato, ma solo sospeso per 4 mesi. E siccome Il Giornale non è (più) una cosa seria, anziché licenziarlo l’ha spostato in cronaca. E l’ha mandato al V-Day che aveva di mira, fra l’altro, l’Ordine dei Giornalisti. Geniale.

Il Foglio, per dimostrare l’ottima salute di cui gode l’informazione, pubblicava proprio ieri un articolo di Roberto Ciuni, ex P2. Ma, oltre ai giornalisti-cimice, abbiamo pure i giornalisti-medium. Quelli che non han bisogno di assistere a un fatto per raccontarlo: prescindono dal fattore spazio-temporale. Il Riformista, alla vigilia del V-Day, già sapeva che sarebbe stata una manifestazione terroristica, “con minacce in stile Br ai giornalisti servi” (“Le Grillate rosse”). Ecco chi erano i 100 mila in piazza San Carlo: brigatisti. Francesco Merlo se ne sta addirittura a Parigi: di lì, armato di un telescopio potentissimo, riesce a vedere e a spiegare agli italiani quel che accade in Italia. Ieri ha scritto su Repubblica che “in Italia c’è sovrapproduzione di informazione” (testuale): ce ne vorrebbe un po’ meno, ecco.

Quanto a Grillo, è “in crisi” (2 milioni di persone in 45 piazze) e “non riesce a far ridere” (strano: ridevano tutti). Poi, citando Alberoni (mica uno qualsiasi: Alberoni), ha sostenuto che “in piazza c’erano umori che non s’identificano con Grillo”. Ecco, Merlo è così bravo che, appollaiato tra Montmartre e gli Champs Elysées, riesce a penetrare la mente e gli umori dei cittadini in piazza a Torino, Milano, Bologna, Roma. E spiega loro che cosa effettivamente pensano. Più che un giornalista, un paragnosta. Finchè potrà contare su fenomeni così, l’informazione in Italia è salva. Di che si lamentano, allora, Grillo e gli italiani?

fonte:by voglioscendere

29 aprile 2008

La Trilaterale: i manager del nuovo ordine mondiale





Mentre i media, riparlano di stupri e veline, qualcuno si organizza per far saltare in banco. Naturalmente è tutto legale, come se per legge si vuole imporre un pensiero o un modo di agire. Non è dittatura, è persuasione che attraversa le menti, diciamo virtuale per non dire occulta.

Le riunioni del G8 o quelle del World Economic Forum di Davos sono oggetto di grande attenzione da parte dei mass media e dei movimenti no-global.

Quelle della Commissione Trilaterale, assai più importanti per le sorti del mondo, avvengono invece nel silenzio mediatico più totale. Nessuno se ne accorge, nessuno ne parla, nessuno protesta contro questo organo privato di concertazione e orientamento della politica mondiale che riunisce l’élite politico-economica di Stati Uniti, Europa e Giappone (da cui il nome): duecento tra capi di Stato e di governo, ministri, grandi banchieri, manager delle più grandi multinazionali, economisti, militari si riuniscono ogni anno per quattro giorni in una città della triade, per decidere a porte chiuse le linee guida di politica internazionale ed economica che i singoli governi devono poi seguire.

Quest’anno la riunione si tiene a Washington. I lavori, iniziati venerdì, si concludono oggi.

Il governo mondiale dei ‘migliori’. La Commissione Trilaterale è stata fondata nel 1973 dall’attuale presidente onorario dell’organizzazione, David Rockefeller, patriarca della potente dinastia bancaria e convinto ‘mondialista’, assieme a Zbigniew Brzezinski, uno dei principali architetti della guerra al terrorismo post-11 settembre, oggi consigliere di Barak Obama.

La stampa statunitense dell’epoca definì la Tilaterale una “filiazione diretta” del Gruppo Bilderberg, società segreta internazionale di cui condivide membri e ideologia: quella di un ordine mondiale gestito da una ristretta aristocrazia economico-politica soprannazionale.

Scrive il filosofo e sociologo francese Gilbert Larochelle, “la cittadella trilaterale è un luogo protetto dove i ‘migliori’, nella loro ispirata superiorità, elaborano criteri per poi inviarli verso il basso”.

Una sorta di massoneria internazionale. La Trilaterale non è un’organizzazione segreta, ma è caratterizzata dalla riservatezza tipica delle organizzazioni massoniche.

Ha un sito web molto discreto dove si trovano luoghi e date delle riunioni e dove si possono ordinare i ‘Trialoghi’, gli atti pubblici di quelle riunioni – che però, lo ricordiamo, si svolgono a porte chiuse, quindi non è detto che venga pubblicato proprio tutto.

La maggiore riservatezza riguarda i suoi membri: le liste aggiornate dei partecipanti sono pubbliche solo in teoria: noi l’abbiamo richiesta tempo fa, senza avere risposta.

Linee guida per la politica mondiale. Dai Trialoghi pubblicati finora emerge che nelle riunioni della Trilaterale si prendono decisioni ‘quadro’ in materia di globalizzazione dei mercati, politica energetica, finanza internazionale, liberalizzazione delle economie. Ma si discute anche crisi internazionali e guerre, gestione del dissenso e limitazione degli “eccessi della democrazia”. Il tema dipende dalle contingenze storiche.

Ad esempio, dopo gli attentati dell’11 settembre, la riunione annuale del 2002 fu dominata da Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Colin Powell e Alan Greenspan che sollecitavano una “risposta globale” al terrorismo che vedesse impegnati tutti i Paesi occidentali sotto la guida degli Stati Uniti.

I saggi illuminati. Politica estera e militare, economica, finanziaria e sociale di ogni governo devono seguire le direttive imposte da questi ‘esperti’.

Su Le Monde Diplomatique del novembre 2003, l’autore di un articolo sulla Commissione Trilaterale – il professore Olivier Boiral – scriveva: “Come i re filosofi della città platonica, che contemplavano il mondo delle idee per infondere la loro trascendente saggezza nella gestione degli affari terrestri, l’élite che si riunisce all’interno di questa istituzione molto poco democratica si adopera nel definire i criteri di un ‘buon governo’ internazionale. Veicola un ideale platonico di ordine e controllo, assicurato da una classe privilegiata di tecnocrati che mette la propria competenza e la propria esperienza al di sopra delle profane rivendicazioni dei semplici cittadini”.

di Enrico Piovesana

28 aprile 2008

Parole giuste e parole ingiuste



Il potere delle parole. Chi pubblica le parole pensa di essere Parola. Ma chi pubblica falsità come sarà tranquillo con la sua coscienza. E, chi non pubblica sapendo che certi fatti non devono essere pubblicato sono schiavi o servi del Destino?

Ci sono parole e parole.
Ci sono parole usate per raccontare fatti e parole usate per orientare consensi, elettorali e non.
Parole trasparenti e parole oscure. Parole che vogliamo definire, con un’espressione forse non corretta ma che ci piace, “giuste” e “ingiuste”.

Spesso i giornalisti, che con le parole lavorano, complici del potere o dei poteri, usano le seconde, quelle ingiuste; talora ne inventano di sana pianta così da creare polveroni che mascherino o nascondano del tutto la verità.
E non parlo solo di silenzi, censure, falsità, imbrogli belli e buoni che quasi sempre raggiungono lettori ignari sotto forma di interi articoli.
Parlo proprio di parole, di semplici brevi parole, coniate dalla cattiva politica e adottate dalla cattiva stampa, nella migliore dell’ipotesi per pigrizia, nella peggiore per complice disonestà.

Vi ricordate di...
Bettino Craxi, tangentista della prima ora che per sfuggire al processo, scappò in Tunisia dove visse finché il diabete glielo permise, nella sua bellissima villa sul mare?

Uno che scappa per non subire condanne o comunque per non incappare nelle maglie della giustizia, secondo la lingua italiana, la logica e la coscienza, è un “latitante”.
Ebbene la stampa ne ha fatto un “esule”.

E che dire della guerra preventiva?
Invenzione del governo americano per giustificare un’aggressione sulla base di una presunzione di colpevolezza creata ad hoc, che gli irakeni – i magazzini stipati di armi chimiche – stessero per sferrare un attacco micidiale contro l’Occidente.
E talora le “guerre” diventano addirittura “missioni di pace”.

Non basta.
Ci sono altri ossimori della vergogna.

Il fuoco amico, ad esempio, per addolcire la pillola dell’errore del commilitone.
Amico il cavolo. La gente muore e mai nessuno è morto per amicizia.
Ed anche le bombe intelligenti. Stupidi ordigni che seminano il terrore.
E a proposito di terrore.
L’Occidente bolla – e a ragione – come terroristi, estremisti e integralisti islamici che con l’esplosivo fanno saltare e si fanno saltare in aria.
E’ chiaro che la definizione calza a pennello a chi semina morte con attentati. Perché terrore semina anche quando mette in gioco la sua stessa vita.

Ma forse hanno seminato meno terrore, le atomiche su Hiroshima e Nagasaki?
Le incursioni nei villaggi e i bombardamenti di napaln in Vietnam?
Gli interventi della Cia per appoggiare o rovesciare governi?
L’embargo per il quale sono stati negati presidi essenziali a popolazioni inermi?
Le ultime guerre che hanno allineato dietro gli Usa altri i paesi dell’“Occidente civile” sono state spacciate come esportazioni di democrazia e difesa di libertà.

Ma abbiamo visto il terrore negli occhi di donne e bambini.
Peccato che nessun giornalista abbia definito terroristi i governi Usa.
Ada Mollica