01 luglio 2008

Banche alla sbarra


Dunque, la Procura di Savona non ha scelto di adottare il comportamento di benevola sonnolenza che ha in buona parte contraddistinto sinora l’attività di altre Procure di fronte alle denunce di tanti cittadini che ad esse si erano rivolti per essere risarciti dei soprusi subiti dalle banche. Il casus belli è stato, in questo caso, la disinvolta applicazione della Commissione di Massimo Scoperto (CMS), nonostante la sua dubbia liceità, ma soprattutto la sua pretesa esclusione dal calcolo degli interessi per determinarne l’eventuale natura usuraria. Che la CMS sia, di per sé, una “gabella” discutibile balza evidente se si entra nel merito: quando la banca concede un fido, oltre agli interessi convenuti si applica una percentuale extra calcolata sulla punta massima di utilizzo del fido stesso. In base a quale logica si sia instaurata questa prassi risulta arduo comprendere; un po’ come il famigerato 20% che le società telefoniche applicavano ad ogni ricarica dei telefonini, messo poi fuori legge dal decreto Bersani. Un decreto che ha tentato, senza riuscirvi, di eliminare anche la CMS. Missione impossibile, specie quando al timone del governo stava una “filiale bancaria” come quella retta da Prodi, Padoa-Schioppa & Co.


Ma, anche se la CMS rende annualmente alle banche fior di miliardi, non si tratta comunque del male peggiore: se solleviamo il coperchio, ci accorgiamo trattarsi del vaso di Pandora. Saltando a piè pari altri “mali minori”, come l’anatocismo o le irragionevoli provvigioni dei fondi d’investimento, che hanno performance perlopiù peggiori di qualsiasi faidate, il male più grave è rappresentato certamente dal fatto che le banche prestano ciò che non hanno, e quindi chiedono un interesse, quale che sia, assolutamente non dovuto, oltre a pretendere la restituzione di ciò che in realtà non hanno dato. Quello che potrebbero al massimo chiedere è il pagamento dei servizi che offrono ai cittadini sotto svariate forme, al pari di qualsiasi altro ufficio. Al contrario, la concessione di prestiti senza un’adeguata copertura è un compito che può arrogarsi soltanto lo Stato, che vanta come garanzia la ricchezza, presente e futura, dei suoi cittadini; non certo una lobby privata i cui prestiti equivalgono all’emissione di assegni a vuoto. Eppure, questa autorità monetaria è stata usurpata secoli fa; e gli usurpatori si comportano con la sicumera di chi ha in pugno il destino di un’intera nazione, grazie alla presunta proprietà della sua moneta.


Detto questo, torniamo alla CMS. Le banche si fanno forza di una circolare di Bankitalia SpA che ne autorizza la pratica. Quello che rende assolutamente ridicola questa loro giustificazione è il fatto, incontestabile, anche se noto soltanto da una manciata d’anni, che Bankitalia è, appunto, una SpA e che i suoi azionisti, fatta eccezione per un 5% posseduto dall’INPS, sono, come accennato più sopra, proprio le banche su cui essa dovrebbe vigilare. Il tanto vituperato conflitto d’interessi di Berlusconi impallidisce di fronte a questo, se non altro per il fatto che penetra nel fondo delle nostre tasche, e vedremo come. Questo legame ombelicale è stato tenuto rigidamente segreto, per ovvi motivi, finché non è venuto alla luce come scoperta a latere in un’indagine condotta da Famiglia Cristiana nei primi anni di questo secolo.


Con il segreto veniva alla luce anche una grave trasgressione: quella allo Statuto della Banca “d’Italia” stessa (che d’Italia non è mai stata), laddove ne imponeva la proprietà esclusivamente pubblica. Come si poteva digerire il fatto che l’Istituto di vigilanza delle banche, l’Istituto di emissione del nostro denaro, l’Istituto di Diritto Pubblico che di tale appellativo si era sempre fregiato, continuasse imperterrito a svolgere la delicata mansione di sovranità monetaria, dopo che il bluff era stato smascherato, rivelando che i nostri soldi erano maneggiati da un club privato? I governanti, tuttavia, erano troppo presi da altri problemi per occuparsi di una simile quisquilia. E Bankitalia poté così continuare indisturbata il suo conflittuale cammino. Finché qualcuno, forse Bankitalia stessa, a disagio per essere così platealmente fuorilegge, sollevò il problema e si decise di risolverlo. Come? Non già rendendo Bankitalia agli italiani, bensì modificando la norma dello Statuto, e rendendo così legittima la prassi di illegittimità sino allora seguita. Ciò avvenne il 16 dicembre 2006, pochi mesi dopo l’insediamento di Prodi al Governo e di Napolitano al Quirinale; ossia dei due firmatari del provvedimento di legittimazione. Si tenga presente che il Presidente della Repubblica è, o dovrebbe essere, il supremo custode della Costituzione: la quale sancisce la Repubblica essere fondata sul lavoro e ne attribuisce la sovranità al popolo. * Ora, è fuor di dubbio che la sovranità monetaria è la base su cui può prosperare o languire ogni attività della nazione, insomma il frutto del lavoro di tutti. Trasferendo questa sovranità dal popolo, e cioè dalla Repubblica, ad una lobby di banchieri privati, si violano in un sol colpo i due suddetti principi costituzionali: centralità del lavoro e sovranità popolare.


I guasti di questa abdicazione dei due Capi, dello Stato e del Governo, non si sono fatti attendere, grazie anche alla capitolazione di precedenti vertici istituzionali all’abbraccio soffocante della moneta unica europea: tagliata su misura per il marco tedesco, non già per la lira italiana. Oggi ci troviamo così ad essere governati da una “Repubblica delle Banche” **, le quali ultime si appropriano di tutta la ricchezza prodotta dal lavoro degli italiani, incassandola sotto forma di “prestiti”, definiti successivamente “debito pubblico”. E la BCE, dall’alto della sua torre, ci rimprovera per non essere abbastanza bravi a pagarle una media di 80 miliardi l’anno di interessi su foglietti colorati di varie pezzature denominati “euro”, stampati dalla sua tipografia e poi addebitatici come fosse oro colato. Che lavoro ha fatto la BCE per produrli? Nessuno. Che lavoro deve fare lo Stato italiano per ripagarli in Titoli del Tesoro? Quello di tutti gli italiani che lavorano per pagare le tasse, ossia i tassi sul debito pubblico che la BCE medesima, ossia la destinataria degli stessi, stabilisce a suo insindacabile arbitrio.


Ma forse una nuova stagione si sta aprendo; e finalmente nei tribunali i tipi in doppiopetto e cravatta, che hanno sinora folleggiato sul lavoro degli altri, ci sfileranno in misura maggiore di tanti poveracci che ci finiscono per motivi legati all’impossibilità di far fronte agli impegni con le banche: ieri per l’auto o una vacanza, oggi per beni di prima necessità, i cui prezzi galoppano ben più dei loro magri introiti. Non solo a Savona, ma anche a Milano, per non dire di New York, le banche non dormono più sonni tanto tranquilli. Ma non, si badi, grazie a provvedimenti legislativi (Berlusconi ha altre priorità per la testa), bensì a seguito di esposti e denunce di persone truffate.


Intanto, gli eurocrati di Francoforte, con Jean Claude Trichet in testa, frustano gli italiani a lavorare di più e senza aumenti salariali (quando in realtà salari e stipendi sono diminuiti o scomparsi, grazie alle porte aperte ai mercati asiatici), onde “combattere l’inflazione”. Insomma, se guadagna di più un operaio, un impiegato, un precario, ciò comporta inflazione. Se invece salgono le tasse (per pagare le banche) l’inflazione scende. Ingegnoso, no? Ma, per colpa di leggi varate da nostri governanti senza nessuna consultazione popolare, di fronte ai diktat dell’Eurotower possiamo solo “obbedire e tacere”. Un binomio che evoca tempi lontani; ma oggi, per giunta, il duce è straniero: francese germanizzato. E medita nuove strette monetarie, che ci sveneranno ancora di più, già dal prossimo mese. Il collasso della nazione per anemia non è così lontano.


di Marco Giacinto Pellifroni

Ladri di notizie



Era il 2003 quando Amnesty International fu accusata di fare “terrorismo” pronosticando cinquantamila morti in seguito all'invasione dell'Iraq. A quel tempo i fautori della guerra sostenevano che si sarebbe trattato di un'operazione relativamente semplice intitolata alla diffusione della democrazia in Medio Oriente. Un milione di morti, dieci milioni di feriti e mutilati e quattro milioni di profughi iracheni dopo, sull'invasione dell'Iraq cala una cappa di silenzio a favorire lo scontato epilogo della più grande operazione criminale del nuovo secolo. Tutto sembra dimenticato ed in Iraq sembra non accada più nulla. Difficile pensare che si tratti di un caso. Cinque anni dopo l'invasione il silenzio sull'Iraq serve alla consumazione del grande furto. Il motivo reale dell'invasione dell'Iraq è il controllo degli approvvigionamenti di idrocarburi nell'area mediorientale, chi ancora lo neghi non può che essere in malafede.

Nelle ultime settimane si sono registrate due significative novità: la completa sparizione dell'Iraq dal mainstream occidentale e l'assegnazione dello sfruttamento delle risorse petrolifere irachene proprio alle compagnie occidentali che furono espropriate da Saddam quando nazionalizzò il petrolio. Dicono i soloni dei media che negli Stati Uniti l'Iraq in televisione non tira più e di conseguenza le big dell'informazione si sono adeguate e meditano un ritiro quasi completo dal fronte. Fronte sul quale restano centocinquantamila “bravi ragazzi”, quasi altrettanti mercenari, in gran parte statunitensi; tutti americani che non interessano più agli americani.

Andrew Tyndall, un consulente televisivo che osserva i palinsesti informativi serali dei tre maggiori network, ha rilevato che lo spazio dedicato all'Iraq è stato “massicciamente” ridotto nel 2008 rispetto al 2007, ultimo di una serie di anni comunque a calare. Nei primi sei mesi del 2008 sono stati complessivamente centottantuno minuti a settimana, contro i millecentocinquantasette registrati durante lo scorso anno. Quasi tutte le major ormai progettano una fuga da Baghdad dopo le elezioni americane di novembre. Si spengono le luci e l'assassino torna sul luogo del delitto. Quasi quattro decenni fa quattro grandi compagnie occidentali controllavano il petrolio iracheno.

BP, Exxon Mobil, Total e Shell erano azionisti alla pari di un consorzio anglo-franco-americano che ha controllato le risorse irachene per quasi mezzo secolo. La Turkish Petroleum Company, creata nel 1912 per impadronirsi delle riserve dell'impero ottomano in disfacimento, poi divenuta Iraq Petroleum Company. Queste quattro compagnie hanno ottenuto un accordo per “assistere” il governo iracheno nello sviluppo dei pozzi, pur non avendo competenze in proposito visto che questo genere di attività è svolto da imprese specializzate e non delle major che si occupano della sua distribuzione. Accordo che sarà remunerato in petrolio, ma soprattutto con un diritto di prelazione sui giacimenti iracheni una volta che sia stata varata la legge nazionale sugli idrocarburi.

Una truffa smaccata per scavalcare la resistenza del parlamento iracheno, che da anni come Penelope tesse e disfa la tela di una legge che nessun iracheno vuole firmare, vista la pretesa americana per un assetto che consegni il petrolio proprio a quelle compagnie. Dicono quasi tutti i media anglosassoni che questa mossa ha agitato gli arabi “sospettosi”, che si sono fatti venire in mente e alla bocca accuse di rapina colonialista a mano armata. Strano, che cattivoni questi arabi “sospettosi”.

Il fatto che gli americani abbiano protetto, unico tra tutti, il ministero del petrolio nel giorno dell'invasione, che gli Stati Uniti vogliano una legge sul petrolio terribilmente sfavorevole agli interessi iracheni, che gli Stati Uniti abbiano costruito in Iraq basi immense e un'ambasciata fortificata per millecinquecento addetti e che stiano perpetrando una truffa per scavalcare la volontà del parlamento iracheno, non ha spinto alcun commentatore anglosassone od occidentale ad andare oltre la citazione dei sospetti dei “sospettosi” e innominati arabi.

Lo assicurano fior di commentatori e di stupidi galantuomini, secondo i quali siamo andati in guerra per combattere il feroce Saladino che ci voleva sgozzare e per portare la civiltà in quelle lande desolate abitate da beduini. Il petrolio non c'entra, è un dettaglio secondario per un'amministrazione di petrolieri, sulla buona fede della quale non si possono esprimere dubbi del genere, nemmeno dopo la certificazione dell'enorme mole di fandonie propinate alle opinioni pubbliche, nemmeno dopo la rivelazione di come l'invasione dell'Iraq sia fino a qui servita per far sparire in centinaia di truffe gran parte del denaro dei contribuenti americani stanziato per il conflitto e per l'invisibile ricostruzione irachena.

Tony Blair e il suo omologo australiano Howard, sono stati denunciati da numerose associazioni occidentali per i crimini di guerra commessi in Iraq. Procedimenti a loro carico sono stati avviati al Tribunale Penale Internazionale. Molto probabilmente, vista la mole di prove a carico dei denunciati, si farà un processo con i due ex premier alla sbarra. La stessa avventura potrebbe capitare a breve al primo ministro italiano Silvio Berlusconi. A George W. Bush no, gli Stati Uniti sono tra i pochi stati che non hanno aderito alla convenzione istitutiva del TPI. Al contrario sono gli unici che con pressioni e ricatti hanno estorto trattati di esclusione di responsabilità per le truppe americane a numerosi governi.

I cattivi arabi “sospettosi” e gli occidentali minimamente smaliziati intanto potranno continuare ad assistere allibiti ed impotenti a questo massacro della realtà, traendo ben poca soddisfazione dall'esser stati facili profeti di sventura. Nessuno dei folli sostenitori dell'invasione irachena se n’è ancora dissociato, nel nostro paese l'argomento sembra un tabù inaffrontabile e il garrulo neo-ministro della difesa straparla di una escalation dell'impegno del nostro paese in Afghanistan.

Nemmeno l'evidenza di come la guerra abbia contribuito all'esplosione della speculazione energetica mondiale suscita dibattito. Il tema dell'energia è così importante che si preferisce delirare di centrali nucleari piuttosto che puntare il dito contro chi quell'energia se la vuole conquistare a mano armata e a prezzo di qualunque massacro.

Un italiano “sospettoso” potrebbe pensare che ciò sia dovuto alla mancia promessa all'ENI per la partecipazione e il supporto politico dell'Italia al conflitto, ma probabilmente si tratta solo del servilismo di una classe politica troppo occupata a depredare i propri cittadini per potersi concedere il lusso di riflettere prima di pronunciare sonori “yes!” in cambio di un misero posto a tavola.


Mazzetta

Esercito ad Acerra in missione di pace?



Questa mattina tutte le maggiori agenzie di stampa, dall’Ansa ad Adnkronos, hanno dato la notizia dell’ingresso degli uomini e dei mezzi dell’esercito all’interno dell’area del megainceneritore di Acerra che i giornalisti nostrani si ostinano a definire “termovalorizzatore” in virtù di un neologismo privo di qualunque valenza scientifica.

Circa 60 militari della Brigata Bersaglieri Garibaldi hanno occupato il sito in applicazione al decreto legge n. 90/2008 e hanno immediatamente provveduto a delimitare l’area applicando cartelli che la descrivono come “sito d’interesse strategico nazionale” protetto da sorveglianza armata e con accesso vietato.

Questa operazione militare inaugura di fatto il nuovo programma del governo che intende utilizzare il supporto dell’esercito per presidiare ed imporre, nel caso anche tramite l’uso della forza, i cantieri delle grandi opere anche quando, come nel caso di Acerra, si tratta di opere fortemente osteggiate dalle popolazioni locali. Con tutta probabilità lo stesso copione verrà replicato nel futuro cantiere della discarica di Chiaiano, nei futuri cantieri del Tav, a Vicenza quando partirà la costruzione della base militare americana Dal Molin ed ogni qualvolta occorrerà calare dall’alto una grande opera altamente impattante contro la volontà dei cittadini.

L’esercito italiano da oggi non è più solamente un veicolo deputato all’esportazione armata della “democrazia” nei Paesi scarsamente graditi all’amministrazione statunitense, ma diventa l’artefice di missioni militari sul nostro territorio, volte a contrastare ed intimidire quella parte di società in continua crescita che difende il proprio diritto ad avere un futuro opponendosi alla costruzione di quelle grandi opere che distruggono l’ambiente e scavano nuove voragini all’interno del debito pubblico, al fine di garantire profitti miliardari alla consorteria di sanguisughe che da sempre suggono denaro dalle tasche dei contribuenti.

Non risulta ancora ben chiaro se si tratterà di missioni di pace o di guerra, ma abbiamo ormai imparato guardando all’Iraq, all’Afghanistan, al Kosovo e alla Bosnia come il confine fra queste due parole sia in fondo molto labile quando come veicolo di “pace” si scelgono le armi. Senza dubbio i militari in missione in Italia incontreranno comunque qualche problema in più qualora dovessero trovarsi a fronteggiare i cittadini che protestano contro le grandi opere, sia perché si tratta di quegli stessi cittadini che ogni mese pagano loro lo stipendio, sia perché ad Acerra, a Chiaiano, in Val di Susa ed a Vicenza risulterebbe molto più complicato archiviare sotto forma di “errori” eventuali spargimenti di sangue.

Ad Acerra nel 2004 i pastori del luogo abbandonarono ai piedi del cordone di poliziotti che allora presidiavano il cantiere del megainceneritore, alcune pecore provenienti dai loro allevamenti, agonizzanti in quanto contaminate dalla diossina che infesta l’intero territorio, determinando un’incidenza altissima di patologie tumorali presso la popolazione.

Se Guido Bertolaso avesse realmente a cuore “l’interesse nazionale” potrebbe iniziare ad usare l’esercito per tentare di decontaminare l’intera area prima che l’epidemia di tumori assuma proporzioni catastrofiche, anziché inviare i militari a presidiare la costruzione di un forno inceneritore che nei prossimi anni contribuirà a peggiorare ulteriormente una situazione già oggi drammatica. Ma se qualcuno in questo Paese guardasse all’interesse nazionale non esisterebbe il decreto legge 90/2008 che identifica i cittadini italiani come potenziali nemici da combattere con l’uso dell’esercito, quasi ci trovassimo all’interno di un golpe alle isole delle Comore.

M. Cedolin

01 luglio 2008

Banche alla sbarra


Dunque, la Procura di Savona non ha scelto di adottare il comportamento di benevola sonnolenza che ha in buona parte contraddistinto sinora l’attività di altre Procure di fronte alle denunce di tanti cittadini che ad esse si erano rivolti per essere risarciti dei soprusi subiti dalle banche. Il casus belli è stato, in questo caso, la disinvolta applicazione della Commissione di Massimo Scoperto (CMS), nonostante la sua dubbia liceità, ma soprattutto la sua pretesa esclusione dal calcolo degli interessi per determinarne l’eventuale natura usuraria. Che la CMS sia, di per sé, una “gabella” discutibile balza evidente se si entra nel merito: quando la banca concede un fido, oltre agli interessi convenuti si applica una percentuale extra calcolata sulla punta massima di utilizzo del fido stesso. In base a quale logica si sia instaurata questa prassi risulta arduo comprendere; un po’ come il famigerato 20% che le società telefoniche applicavano ad ogni ricarica dei telefonini, messo poi fuori legge dal decreto Bersani. Un decreto che ha tentato, senza riuscirvi, di eliminare anche la CMS. Missione impossibile, specie quando al timone del governo stava una “filiale bancaria” come quella retta da Prodi, Padoa-Schioppa & Co.


Ma, anche se la CMS rende annualmente alle banche fior di miliardi, non si tratta comunque del male peggiore: se solleviamo il coperchio, ci accorgiamo trattarsi del vaso di Pandora. Saltando a piè pari altri “mali minori”, come l’anatocismo o le irragionevoli provvigioni dei fondi d’investimento, che hanno performance perlopiù peggiori di qualsiasi faidate, il male più grave è rappresentato certamente dal fatto che le banche prestano ciò che non hanno, e quindi chiedono un interesse, quale che sia, assolutamente non dovuto, oltre a pretendere la restituzione di ciò che in realtà non hanno dato. Quello che potrebbero al massimo chiedere è il pagamento dei servizi che offrono ai cittadini sotto svariate forme, al pari di qualsiasi altro ufficio. Al contrario, la concessione di prestiti senza un’adeguata copertura è un compito che può arrogarsi soltanto lo Stato, che vanta come garanzia la ricchezza, presente e futura, dei suoi cittadini; non certo una lobby privata i cui prestiti equivalgono all’emissione di assegni a vuoto. Eppure, questa autorità monetaria è stata usurpata secoli fa; e gli usurpatori si comportano con la sicumera di chi ha in pugno il destino di un’intera nazione, grazie alla presunta proprietà della sua moneta.


Detto questo, torniamo alla CMS. Le banche si fanno forza di una circolare di Bankitalia SpA che ne autorizza la pratica. Quello che rende assolutamente ridicola questa loro giustificazione è il fatto, incontestabile, anche se noto soltanto da una manciata d’anni, che Bankitalia è, appunto, una SpA e che i suoi azionisti, fatta eccezione per un 5% posseduto dall’INPS, sono, come accennato più sopra, proprio le banche su cui essa dovrebbe vigilare. Il tanto vituperato conflitto d’interessi di Berlusconi impallidisce di fronte a questo, se non altro per il fatto che penetra nel fondo delle nostre tasche, e vedremo come. Questo legame ombelicale è stato tenuto rigidamente segreto, per ovvi motivi, finché non è venuto alla luce come scoperta a latere in un’indagine condotta da Famiglia Cristiana nei primi anni di questo secolo.


Con il segreto veniva alla luce anche una grave trasgressione: quella allo Statuto della Banca “d’Italia” stessa (che d’Italia non è mai stata), laddove ne imponeva la proprietà esclusivamente pubblica. Come si poteva digerire il fatto che l’Istituto di vigilanza delle banche, l’Istituto di emissione del nostro denaro, l’Istituto di Diritto Pubblico che di tale appellativo si era sempre fregiato, continuasse imperterrito a svolgere la delicata mansione di sovranità monetaria, dopo che il bluff era stato smascherato, rivelando che i nostri soldi erano maneggiati da un club privato? I governanti, tuttavia, erano troppo presi da altri problemi per occuparsi di una simile quisquilia. E Bankitalia poté così continuare indisturbata il suo conflittuale cammino. Finché qualcuno, forse Bankitalia stessa, a disagio per essere così platealmente fuorilegge, sollevò il problema e si decise di risolverlo. Come? Non già rendendo Bankitalia agli italiani, bensì modificando la norma dello Statuto, e rendendo così legittima la prassi di illegittimità sino allora seguita. Ciò avvenne il 16 dicembre 2006, pochi mesi dopo l’insediamento di Prodi al Governo e di Napolitano al Quirinale; ossia dei due firmatari del provvedimento di legittimazione. Si tenga presente che il Presidente della Repubblica è, o dovrebbe essere, il supremo custode della Costituzione: la quale sancisce la Repubblica essere fondata sul lavoro e ne attribuisce la sovranità al popolo. * Ora, è fuor di dubbio che la sovranità monetaria è la base su cui può prosperare o languire ogni attività della nazione, insomma il frutto del lavoro di tutti. Trasferendo questa sovranità dal popolo, e cioè dalla Repubblica, ad una lobby di banchieri privati, si violano in un sol colpo i due suddetti principi costituzionali: centralità del lavoro e sovranità popolare.


I guasti di questa abdicazione dei due Capi, dello Stato e del Governo, non si sono fatti attendere, grazie anche alla capitolazione di precedenti vertici istituzionali all’abbraccio soffocante della moneta unica europea: tagliata su misura per il marco tedesco, non già per la lira italiana. Oggi ci troviamo così ad essere governati da una “Repubblica delle Banche” **, le quali ultime si appropriano di tutta la ricchezza prodotta dal lavoro degli italiani, incassandola sotto forma di “prestiti”, definiti successivamente “debito pubblico”. E la BCE, dall’alto della sua torre, ci rimprovera per non essere abbastanza bravi a pagarle una media di 80 miliardi l’anno di interessi su foglietti colorati di varie pezzature denominati “euro”, stampati dalla sua tipografia e poi addebitatici come fosse oro colato. Che lavoro ha fatto la BCE per produrli? Nessuno. Che lavoro deve fare lo Stato italiano per ripagarli in Titoli del Tesoro? Quello di tutti gli italiani che lavorano per pagare le tasse, ossia i tassi sul debito pubblico che la BCE medesima, ossia la destinataria degli stessi, stabilisce a suo insindacabile arbitrio.


Ma forse una nuova stagione si sta aprendo; e finalmente nei tribunali i tipi in doppiopetto e cravatta, che hanno sinora folleggiato sul lavoro degli altri, ci sfileranno in misura maggiore di tanti poveracci che ci finiscono per motivi legati all’impossibilità di far fronte agli impegni con le banche: ieri per l’auto o una vacanza, oggi per beni di prima necessità, i cui prezzi galoppano ben più dei loro magri introiti. Non solo a Savona, ma anche a Milano, per non dire di New York, le banche non dormono più sonni tanto tranquilli. Ma non, si badi, grazie a provvedimenti legislativi (Berlusconi ha altre priorità per la testa), bensì a seguito di esposti e denunce di persone truffate.


Intanto, gli eurocrati di Francoforte, con Jean Claude Trichet in testa, frustano gli italiani a lavorare di più e senza aumenti salariali (quando in realtà salari e stipendi sono diminuiti o scomparsi, grazie alle porte aperte ai mercati asiatici), onde “combattere l’inflazione”. Insomma, se guadagna di più un operaio, un impiegato, un precario, ciò comporta inflazione. Se invece salgono le tasse (per pagare le banche) l’inflazione scende. Ingegnoso, no? Ma, per colpa di leggi varate da nostri governanti senza nessuna consultazione popolare, di fronte ai diktat dell’Eurotower possiamo solo “obbedire e tacere”. Un binomio che evoca tempi lontani; ma oggi, per giunta, il duce è straniero: francese germanizzato. E medita nuove strette monetarie, che ci sveneranno ancora di più, già dal prossimo mese. Il collasso della nazione per anemia non è così lontano.


di Marco Giacinto Pellifroni

Ladri di notizie



Era il 2003 quando Amnesty International fu accusata di fare “terrorismo” pronosticando cinquantamila morti in seguito all'invasione dell'Iraq. A quel tempo i fautori della guerra sostenevano che si sarebbe trattato di un'operazione relativamente semplice intitolata alla diffusione della democrazia in Medio Oriente. Un milione di morti, dieci milioni di feriti e mutilati e quattro milioni di profughi iracheni dopo, sull'invasione dell'Iraq cala una cappa di silenzio a favorire lo scontato epilogo della più grande operazione criminale del nuovo secolo. Tutto sembra dimenticato ed in Iraq sembra non accada più nulla. Difficile pensare che si tratti di un caso. Cinque anni dopo l'invasione il silenzio sull'Iraq serve alla consumazione del grande furto. Il motivo reale dell'invasione dell'Iraq è il controllo degli approvvigionamenti di idrocarburi nell'area mediorientale, chi ancora lo neghi non può che essere in malafede.

Nelle ultime settimane si sono registrate due significative novità: la completa sparizione dell'Iraq dal mainstream occidentale e l'assegnazione dello sfruttamento delle risorse petrolifere irachene proprio alle compagnie occidentali che furono espropriate da Saddam quando nazionalizzò il petrolio. Dicono i soloni dei media che negli Stati Uniti l'Iraq in televisione non tira più e di conseguenza le big dell'informazione si sono adeguate e meditano un ritiro quasi completo dal fronte. Fronte sul quale restano centocinquantamila “bravi ragazzi”, quasi altrettanti mercenari, in gran parte statunitensi; tutti americani che non interessano più agli americani.

Andrew Tyndall, un consulente televisivo che osserva i palinsesti informativi serali dei tre maggiori network, ha rilevato che lo spazio dedicato all'Iraq è stato “massicciamente” ridotto nel 2008 rispetto al 2007, ultimo di una serie di anni comunque a calare. Nei primi sei mesi del 2008 sono stati complessivamente centottantuno minuti a settimana, contro i millecentocinquantasette registrati durante lo scorso anno. Quasi tutte le major ormai progettano una fuga da Baghdad dopo le elezioni americane di novembre. Si spengono le luci e l'assassino torna sul luogo del delitto. Quasi quattro decenni fa quattro grandi compagnie occidentali controllavano il petrolio iracheno.

BP, Exxon Mobil, Total e Shell erano azionisti alla pari di un consorzio anglo-franco-americano che ha controllato le risorse irachene per quasi mezzo secolo. La Turkish Petroleum Company, creata nel 1912 per impadronirsi delle riserve dell'impero ottomano in disfacimento, poi divenuta Iraq Petroleum Company. Queste quattro compagnie hanno ottenuto un accordo per “assistere” il governo iracheno nello sviluppo dei pozzi, pur non avendo competenze in proposito visto che questo genere di attività è svolto da imprese specializzate e non delle major che si occupano della sua distribuzione. Accordo che sarà remunerato in petrolio, ma soprattutto con un diritto di prelazione sui giacimenti iracheni una volta che sia stata varata la legge nazionale sugli idrocarburi.

Una truffa smaccata per scavalcare la resistenza del parlamento iracheno, che da anni come Penelope tesse e disfa la tela di una legge che nessun iracheno vuole firmare, vista la pretesa americana per un assetto che consegni il petrolio proprio a quelle compagnie. Dicono quasi tutti i media anglosassoni che questa mossa ha agitato gli arabi “sospettosi”, che si sono fatti venire in mente e alla bocca accuse di rapina colonialista a mano armata. Strano, che cattivoni questi arabi “sospettosi”.

Il fatto che gli americani abbiano protetto, unico tra tutti, il ministero del petrolio nel giorno dell'invasione, che gli Stati Uniti vogliano una legge sul petrolio terribilmente sfavorevole agli interessi iracheni, che gli Stati Uniti abbiano costruito in Iraq basi immense e un'ambasciata fortificata per millecinquecento addetti e che stiano perpetrando una truffa per scavalcare la volontà del parlamento iracheno, non ha spinto alcun commentatore anglosassone od occidentale ad andare oltre la citazione dei sospetti dei “sospettosi” e innominati arabi.

Lo assicurano fior di commentatori e di stupidi galantuomini, secondo i quali siamo andati in guerra per combattere il feroce Saladino che ci voleva sgozzare e per portare la civiltà in quelle lande desolate abitate da beduini. Il petrolio non c'entra, è un dettaglio secondario per un'amministrazione di petrolieri, sulla buona fede della quale non si possono esprimere dubbi del genere, nemmeno dopo la certificazione dell'enorme mole di fandonie propinate alle opinioni pubbliche, nemmeno dopo la rivelazione di come l'invasione dell'Iraq sia fino a qui servita per far sparire in centinaia di truffe gran parte del denaro dei contribuenti americani stanziato per il conflitto e per l'invisibile ricostruzione irachena.

Tony Blair e il suo omologo australiano Howard, sono stati denunciati da numerose associazioni occidentali per i crimini di guerra commessi in Iraq. Procedimenti a loro carico sono stati avviati al Tribunale Penale Internazionale. Molto probabilmente, vista la mole di prove a carico dei denunciati, si farà un processo con i due ex premier alla sbarra. La stessa avventura potrebbe capitare a breve al primo ministro italiano Silvio Berlusconi. A George W. Bush no, gli Stati Uniti sono tra i pochi stati che non hanno aderito alla convenzione istitutiva del TPI. Al contrario sono gli unici che con pressioni e ricatti hanno estorto trattati di esclusione di responsabilità per le truppe americane a numerosi governi.

I cattivi arabi “sospettosi” e gli occidentali minimamente smaliziati intanto potranno continuare ad assistere allibiti ed impotenti a questo massacro della realtà, traendo ben poca soddisfazione dall'esser stati facili profeti di sventura. Nessuno dei folli sostenitori dell'invasione irachena se n’è ancora dissociato, nel nostro paese l'argomento sembra un tabù inaffrontabile e il garrulo neo-ministro della difesa straparla di una escalation dell'impegno del nostro paese in Afghanistan.

Nemmeno l'evidenza di come la guerra abbia contribuito all'esplosione della speculazione energetica mondiale suscita dibattito. Il tema dell'energia è così importante che si preferisce delirare di centrali nucleari piuttosto che puntare il dito contro chi quell'energia se la vuole conquistare a mano armata e a prezzo di qualunque massacro.

Un italiano “sospettoso” potrebbe pensare che ciò sia dovuto alla mancia promessa all'ENI per la partecipazione e il supporto politico dell'Italia al conflitto, ma probabilmente si tratta solo del servilismo di una classe politica troppo occupata a depredare i propri cittadini per potersi concedere il lusso di riflettere prima di pronunciare sonori “yes!” in cambio di un misero posto a tavola.


Mazzetta

Esercito ad Acerra in missione di pace?



Questa mattina tutte le maggiori agenzie di stampa, dall’Ansa ad Adnkronos, hanno dato la notizia dell’ingresso degli uomini e dei mezzi dell’esercito all’interno dell’area del megainceneritore di Acerra che i giornalisti nostrani si ostinano a definire “termovalorizzatore” in virtù di un neologismo privo di qualunque valenza scientifica.

Circa 60 militari della Brigata Bersaglieri Garibaldi hanno occupato il sito in applicazione al decreto legge n. 90/2008 e hanno immediatamente provveduto a delimitare l’area applicando cartelli che la descrivono come “sito d’interesse strategico nazionale” protetto da sorveglianza armata e con accesso vietato.

Questa operazione militare inaugura di fatto il nuovo programma del governo che intende utilizzare il supporto dell’esercito per presidiare ed imporre, nel caso anche tramite l’uso della forza, i cantieri delle grandi opere anche quando, come nel caso di Acerra, si tratta di opere fortemente osteggiate dalle popolazioni locali. Con tutta probabilità lo stesso copione verrà replicato nel futuro cantiere della discarica di Chiaiano, nei futuri cantieri del Tav, a Vicenza quando partirà la costruzione della base militare americana Dal Molin ed ogni qualvolta occorrerà calare dall’alto una grande opera altamente impattante contro la volontà dei cittadini.

L’esercito italiano da oggi non è più solamente un veicolo deputato all’esportazione armata della “democrazia” nei Paesi scarsamente graditi all’amministrazione statunitense, ma diventa l’artefice di missioni militari sul nostro territorio, volte a contrastare ed intimidire quella parte di società in continua crescita che difende il proprio diritto ad avere un futuro opponendosi alla costruzione di quelle grandi opere che distruggono l’ambiente e scavano nuove voragini all’interno del debito pubblico, al fine di garantire profitti miliardari alla consorteria di sanguisughe che da sempre suggono denaro dalle tasche dei contribuenti.

Non risulta ancora ben chiaro se si tratterà di missioni di pace o di guerra, ma abbiamo ormai imparato guardando all’Iraq, all’Afghanistan, al Kosovo e alla Bosnia come il confine fra queste due parole sia in fondo molto labile quando come veicolo di “pace” si scelgono le armi. Senza dubbio i militari in missione in Italia incontreranno comunque qualche problema in più qualora dovessero trovarsi a fronteggiare i cittadini che protestano contro le grandi opere, sia perché si tratta di quegli stessi cittadini che ogni mese pagano loro lo stipendio, sia perché ad Acerra, a Chiaiano, in Val di Susa ed a Vicenza risulterebbe molto più complicato archiviare sotto forma di “errori” eventuali spargimenti di sangue.

Ad Acerra nel 2004 i pastori del luogo abbandonarono ai piedi del cordone di poliziotti che allora presidiavano il cantiere del megainceneritore, alcune pecore provenienti dai loro allevamenti, agonizzanti in quanto contaminate dalla diossina che infesta l’intero territorio, determinando un’incidenza altissima di patologie tumorali presso la popolazione.

Se Guido Bertolaso avesse realmente a cuore “l’interesse nazionale” potrebbe iniziare ad usare l’esercito per tentare di decontaminare l’intera area prima che l’epidemia di tumori assuma proporzioni catastrofiche, anziché inviare i militari a presidiare la costruzione di un forno inceneritore che nei prossimi anni contribuirà a peggiorare ulteriormente una situazione già oggi drammatica. Ma se qualcuno in questo Paese guardasse all’interesse nazionale non esisterebbe il decreto legge 90/2008 che identifica i cittadini italiani come potenziali nemici da combattere con l’uso dell’esercito, quasi ci trovassimo all’interno di un golpe alle isole delle Comore.

M. Cedolin