30 agosto 2008

Il debito

Sull'Herald del 2 agosto un articolo di David Brooks intitolato "Missing Dean Acheson".
Sottotitolo: "Il nostro nuovo mondo pluralistico ha dato origine a una globosclerosi, incapacità di risolvere un problema dopo l'altro."
Il tema è quello della impossibilità di decidere. Brooks ricorda con nostalgia i bei tempi in cui il gruppo dirigente americano prendeva decisioni sulla base dei suoi interessi e li imponeva senza tante storie, con le buone o con le cattive (generalmente con le cattive) a tutto il mondo dominato.
A partire dagli anni '40 il potere è stato fortemente concentrato nelle mani della classe dirigente occidentale, ma oggi il potere è disperso.
"La dispersione dovrebbe in teoria essere una buona cosa, scrive Brooks, ma in pratica multipolarità significa potere di veto sull'azione collettiva. In pratica questo nuovo mondo pluralistico ha dato origine alla globosclerosi, incapacità di risolvere un problema dopo l'altro."
Poi il caro David viene al punto che più lo addolora:
"Questa settimana per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, un tentativo di liberalizzare il mercato globale è fallito. Il Doha round ha subito un collasso perché il governo indiano non voleva offendere i piccoli contadini in previsione delle prossime elezioni."
A David Brooks dei piccoli contadini indiani non gliene può fregare di meno. Il suo problema è la fine della capacità di decisione economica da parte delle grandi potenze occidentali.
In effetti, nel corso dell'estate 2008 abbiamo avuto tre segnali impressionanti della fine della decisione politica, della fine del globalismo e della fine dell'egemonia occidentale. Il G8, il WTO, ed infine la NATO sono entrati in una sorta di paralisi.

All'inizio di luglio c'è stato il summit G8 di Hokkaido. Posti di fronte alla necessità di decidere qualcosa a proposito di processi che avanzano con velocità impressionante e distruggono il futuro del pianeta e dell'umanità (cambiamento climatico, crisi alimentare, crisi finanziaria) i capi delle potenze mondiali hanno fatto come suol dirsi scena muta.
Dovevano decidere qualcosa sul cambiamento climatico. La risoluzione finale relativa al cambiamento climatico dichiara semplicemente che nel 2050 le emissioni inquinanti saranno la metà di quelle attuali. Questo è quello che hanno stabilito i "Grandi". Come accadrà questo dimezzamento? Nessuno lo sa, nessuno lo ha detto. Ma tanto chi se ne frega, nel 2050 saremo tutti morti (probabilmente a causa del cambiamento climatico) quindi nessuno potrà recriminare.

Alla fine del mese di luglio c'è stato l'incontro di Ginevra del Doha Round del World trade organisation, dove è definitivamente fallito l'accordo sulla liberalizzazione del commercio internazionale - che per gli occidentali significa libertà di penetrazione nei mercati altrui e difesa protezionistica dei mercati propri.
Il WTO, l'organismo contro cui ci battemmo a Seattle nel 1999, quando il movimento no-global venne alla luce del sole, sembra defunto, non certo per la forza dei movimenti di contestazione, ma a causa dell'emergere di contrasti d'interesse inconciliabili, per il rifiuto che le nuove potenze economiche oppongono al globalismo a senso unico occidentale.

Poi c'è stata la guerra in Georgia. La lunga onda dell'89 è finita, ora rifluisce.
La Nato non ha potuto difendere in nessuna maniera il suo alleato georgiano, dimostrando che la presidenza Bush ha portato il sistema militare americano all'impotenza.
E l'Unione europea si trova ormai spaccata in due: da una parte coloro che per timore dell'aggressività russa vogliono puntare le armi contro Mosca, e dall'altra coloro che per timore della potenza energetica russa vorrebbero trovare un compromesso.

Sullo sfondo, mentre i vertici globali falliscono uno dopo l'altro, la guerra euroasiatica tende a saldarsi in un fronte variegato nel quale l'occidente perde tutte le battaglie.
La battaglia iraqena è ormai perduta da anni, la battaglia afghana sta diventando un inferno.
La battaglia iraniana volge a favore dell'oltranzismo nazional-islamista di Ahmadinejad e Khamenei, e la bomba sciita si delinea all'orizzonte mediorientale come una minaccia sempre meno immaginaria.
La battaglia libanese diventa ogni giorno più pericolosa per Israele, con il saldarsi di un fronte Siria-Hezbollah.
E per finire, più spaventosa di tutte, la battaglia pakistana sta rivelandosi un rovescio per gli americani. Il generale protetto dalla Casa Bianca deve andarsene, e Ahmad Gul, l'uomo forte dell'esercito, dichiara che il principale nemico del paese sono gli Stati Uniti d'America (e l'India dove la mettiamo?). Ah... dimenticavo: Kim Iong Il ha appena comunicato che la Corea del Nord riprende la produzione della bomba nonostante i mezzi accordi ottenuti dall'amministrazione Bush qualche mese fa.
Il clan Bush è riuscito in un capolavoro impensabile: la più grande potenza del mondo si è messa progressivamente in condizione di minorità militare e di paralisi politica. Com'è potuto accadere?

Occorre una nuova descrizione del mondo. Quelle di cui disponiamo non valgono più.
Fino al 1989 disponevamo di una descrizione del mondo che si era formata nel secondo dopoguerra, e delineava il futuro sulla base dell'opposizione tra capitalismo e socialismo.
Nel 1989 quella descrizione bipolare venne sostituita con una descrizione unipolare, fondata sull'egemonia della NATO e sul predominio di un nuovo modello di espansione capitalista.
Per un ventennio l'egemonia militare ha messo l'occidente in una posizione di predominio, che permetteva alla popolazione americana di indebitarsi illimitatamente, di mantenere un tenore di vita largamente superiore alla forza produttiva americana, e di consumare le risorse senza alcuna considerazione per il futuro del pianeta né per la sopravvivenza della specie umana.
L'undici settembre del 2001, con un'azione di eccezionale efficacia strategica, qualcuno (poco mi importa qui sapere chi) ha spinto la più grande potenza militare di tutti i tempi a compiere una serie di azioni completamente insensate, autodistruttive, di cui sette anni dopo, si misurano a pieno gli effetti. Dopo 911 il presidente degli Stati Uniti, che qualche mese prima non conosceva il nome del presidente golpista del Pakistan, decideva di lanciare una guerra poi un'altra guerra, senza considerarne le implicazioni geopolitiche, culturali, religiose, militari.
Io non so se questo sia dovuto all'ignoranza sbalorditiva del gruppo dirigente americano, o al cinismo di gruppi economici come la Halliburton la Bechtel la Texaco ecc che hanno considerato più importante il loro interesse economico immediato che la disfatta strategica del loro paese (non lo so nè qui mi interessa, per quanto si tratti di una questione appassionante). Mi limito a constatare l'evidenza: le guerre euroasiatiche scatenate dagli anglo-americani si sono risolte in una successione di sconfitte strategiche irrimediabili. L'egemonia militare dell'occidente è finita. Per sempre, credo.

Ma la sconfitta militare sta provocando una crisi di credibilità che ha risvolti finanziari ed economici. Il popolo americano ha potuto appropriarsi delle ricchezze del pianeta grazie all'(apparente) superiorità militare della NATO. Ora, dopo la disfatta strategica dell'occidente nel continente euroasiatico, il gioco è scoperto. L'occidente non dispone più della sua forza di ricatto.
Ora il pianeta gli presenta il conto. Temo che sarà salato.
Non si può più contare sul debito illimitato.
Il 15 agosto è uscito sulla Repubblica un articolo di Nouriel Roubini, professore alla Stern school della New York University. Titolo: "La tempesta perfetta".
Il quadro che descrive Roubini è quello di una recessione generalizzata, profonda, e di lungo periodo. Questo non è così grave, di recessioni ne abbiamo viste tante nel corso del novecento, prima o poi se ne esce.
Il problema è che stavolta la recessione coincide con la fine del predominio occidentale sul pianeta.
L'occidente può accettare un ridimensionamento, che significa prima di tutto una riduzione del consumo energetico, e del consumo in generale?
Gli americani accetteranno di rinunciare al privilegio economico e finanziario di cui hanno goduto negli ultimi venti anni? Saranno capaci di farlo?
Dopo il crollo del sistema di credito immobiliare, si sta aprendo il problema delle carte di credito. Dopo la bolla dei mutui sulla casa, è sul punto di esplodere anche la bolla dell'indebitamento privato. Mi pare che qui ci sia un nucleo essenziale della crisi finanziaria che si sta trasformando in recessione di lungo periodo: la fine della possibilità di indebitarsi indefinitamente puntando una rivoltella alla tempia del creditore.
Ora il creditore ha scoperto che la rivoltella è scarica.
Accetterà l'occidente, accetterà il popolo americano di pagare il suo debito?
Il debito. Ciò che dobbiamo agli altri.
Oppure sceglierà di usare l'arma estrema, la violenza impensabile, per riaffermare il proprio diritto di depredare il futuro di tutti?
Il pericolo che si delinea all'orizzonte è senza precedenti.
Non è vero che sia tornata la guerra fredda. Magari.
La Guerra fredda era fredda perché gli americani non avevano l'acqua alla gola e perché l'Unione sovietica era un sistema totalitario, ma il gruppo dirigente del PCUS aveva una logica politica diversa da quella della mafia e del KGB coalizzati.

Bifo
Fonte: www.rekombinant.org/

La fisica sul crollo delle Torri gemelle

Questo documento esamina le fasi di carico elastico e di deformazione plastica delle colonne del WTC1 dopo l'impatto degli ultimi 18 piani dell'edificio su quelli sottostanti ed il loro effetto sul trasferimento della quantità di moto dopo la collisione. Viene quindi derivata una equazione di bilancio energetico che mostra esserci un deficit di energia che avviene prima del completamento della fase di snervamento il quale non avrebbe permesso al collasso di proseguire, sotto le ipotesi formulate in questo documento.

Introduzione:

L'analisi precedente riguardo al trasferimento della quantità di moto durante il crollo delle torri le ha modellate come un insieme di piani sospesi nello spazio ed ha esaminato il processo di trasferimento della quantità di moto attraverso una serie di urti elastici ed anelastici, indipendenti gli uni dagli altri. Questo tipo di analisi estrapola il trasferimento della quantità di moto dal suo contesto, caratterizzato da altri effetti degli urti. Questo avviene perché questo tipo di analisi assume che gli impatti abbiano effetto soltanto sul piano superiore della sezione su cui essi avvengono.

La realtà dei fatti è invece che essi hanno un effetto su diversi piani della sezione sottostante e per effettuare un'analisi valida, bisogna tener conto di ognuno di questi trasferimenti della quantità di moto Se assumiamo che la sezione superiore, che comprende 16 piani in caduta, cada sotto una piena accelerazione gravitazionale attraverso lo spazio occupato da un piano (rimosso), per una distanza di 3,7 metri, possiamo calcolare che la sua velocità al momento dell'impatto sarà 8,52 metri al secondo e la sua energia cinetica, dovuta a massa e velocità, di circa 2.105 GJ (usando l'ipotesi di 58000 tonnellate come dettagliato nel rapport di Bazant & Zhou [1]).
Nella realtà ci dovrebbero essere alcune perdite di energia dovuta alla resistenza residua delle colonne in cedimento della sezione rimossa, ma esse vengono trascurate per lo scopo dell'analisi.

Al momento dell'impatto con la sezione sottostante, la massa in caduta dovrebbe trasmettere una tensione che crescerà da zero, sino alla tensione di snervamento delle colonne del piano impattato, in un periodo di tempo e percorrendo una distanza finita.

Questa forza verrà percepita anche dalle colonne al di sotto del piano urtato per primo.



Analisi:

La sezione superiore in caduta, con una velocità di non più di 8,5 metri al secondo, al momento dell'urto incontrerà la resistenza delle colonne impattate e, come prima operazione, dovrà necessariamente caricare queste colonne, dapprima nell'intervallo di carico elastico e quindi attraverso la fase di snervamento. Esamineremo per prima cosa questo intervallo di tempo incrementale.

Bazant/Zhou [1] mostrano, nella loro analisi, che il comportamento elastico e plastico di una colonna di acciaio, sottoposta ad un carico di punta dinamico consista in tre fasi distinte:

Esse possono essere visualizzate in un grafico tensione/deformazione e consistono in una fase iniziale elastica, una di snervamento ed una rapida fase di deformazione plastica.

1- La fase elastica mostra una relazione lineare tra carico e deformazione sino al limite di tensione elastica. Il carico a questo punto raggiunge la tensione di snervamento e la deformazione al limite elastico per l'acciaio è generalmente lo 0,2% della sua lunghezza iniziale.

2- La fase di snervamento permette che sia applicato lo stesso carico sino a quando la deformazione verticale raggiunge il 3%, punto in cui la colonna inizia a formare dei punti di imbozzamento.

3- La terza fase mostra una rapida discesa della tensione richiesta per continuare la deformazione, con la tensione necessaria minore di quella di snervamento. Questa fase continua fino a quanto la deformazione verticale eguaglia la lunghezza originale. In altre parole la colonna è piegata in due.

Per deformare le colonne del piano, impattato per primo, del 3%, cosa sufficiente per completare la fase di snervamento, cioè una distanza di circa 0,111 metri, sarebbero necessari un minimo di 0,013 secondi, supponendo una velocità costante di 8,5 metri al secondo.

La velocità dell'onda di propagazione attraverso un un materiale generico è data dalla formula generale di propagazione d'onda:

Velocità = radice quadrata (modulo compressibilità/densità)

Che per l'acciaio strutturale è dell'ordine di 4500 metri al secondo. L'onda di propagazione della forza d'impatto avrebbe viaggiato quindi per 58,7 metri nel tempo di 0,013 secondi. Questo significa che durante il tempo impiegato dalle colonne impattate nella fase di snervamento, la stessa tensione sarebbe stata avvertita ad una distanza minima di 58,7 metri, o approssimativamente 16 piani, dall'impatto.

Questi piani, perciò, avrebbero subito una deformazione elastica in reazione, e proporzionale, alla tensione di snervamento applicata al piano impattato. Queste deformazioni avrebbero esse stesse richiesto del tempo ed avrebbero fatto sì che l'onda di propagazione si muovesse ulteriormente verso il basso coinvolgendo, di nuovo, un numero maggiore di piani.

Possiamo stimare la deformazione elastica delle colonne di questi 16 piani come compresa tra 0 e 7 mm. La massima deformazione elastica di una colonna di 3,7m, usando l'approssimazione, comunemente accettata dello 0,2% della lunghezza iniziale, è di 7,4 mm. Le colonne nei piani superiori avrebbero subito una deformazione quasi pari alla massima deformazione elastica perché la loro tensione di snervamento è simile, benché leggermente più grande, a quella del piano impattato inizialmente.

Le colonne dei piani più distanti dalla zona dell'impatto avrebbero avuto una sezione trasversale maggiore, richiedendo quindi tensioni maggiori per causare la massima deformazione elastica. Usare soltanto metà della massima deformazione elastica, 56mm /16*7/2) è, di nuovo, un'assunzione a favore della continuazione del crollo.

La deformazione elastica dei piani sottostanti avrebbe aumentato la distanza attraverso la quale la sezione in caduta avrebbe dovuto muoversi per caricare le colonne impattate e completare la deformazione del 3% della fase di snervamento. Il tempo impiegato, utilizzando di nuovo una velocità costante di 8,5 m/sec,verrebbe innalzato a circa 0,02 secondi, permettendo all'onda di propagazione di muoversi ed avere effetto su 8 piani ulteriori.

Poiché queste colonne subiscono una deformazione verticale, i piani a cui sono fissate si muovono verso il basso ed avrebbero quindi anche loro una velocità ed una quantità di moto.

Perdite di energia:

Una semplice equazione della conservazione della quantità di moto, ignorando questi movimenti, considererebbe 16 piani in caduta che si muovono ad 8,5 m/sec prima dell'impatto che diventano 17 piani che cadono a (8,5*(16/17)) = 8m/sec dopo l'impatto. Questo non tiene conto del fatto che un minimo di ulteriori 24 piani sarebbero stati fatti muovere verso il basso a velocità variabili.

Per stimare ed illustrare queste ulteriori variazioni della quantità di moto, possiamo assumere che il piano che è 25 piani al di sotto della zona d'impatto rimanga statico e che la velocità dei 24 piani sovrastanti vari in modo lineare dalla velocità di caduta della sezione in caduta, sino a zero.

Quantità di moto prima dell'impatto = 16 piani che si muovono a 8,5 m/sec

Quantità di moto dopo l'impatto = 17 piani che si muovono a V2 m/sec + 1 piano che si muove a 23/24*V2 m/sec + 1 piano che si muove a 22/24*V2m/sec+....+1 piano che si muove a 2/24*V2 m/sec + 1 piano che si muove a 1/24*V2 m/sec.

16*8,5 = V2 (17 +11,5)
V2 = 16 * 8,5 /28,5 = 4,8 metri al secondo.

La velocità della sezione impattante verrebbe quindi ridotta, per la collisione, da 8,5 m/sec ad una velocità minore di 4,8 m/sec invece che gli 8m/sec derivati dall'equazione della quantità di moto che non include questo fattore. E' da notare anche che la riduzione della velocità darebbe ancora più tempo all'onda di propagazione per viaggiare verso il basso attraverso le colonne della torre, permettendo che altri, ulteriori, piani ne subiscano l'effetto..

L'energia cinetica della sezione in caduta sarebbe influenzata in modo simile ma, poiché essa dipende dal quadrato della velocità, la riduzione in energia cinetica sarebbe più pronunciata.

E.C. Della sezione in caduta prima dell'impatto =
16 piani che si muovono a (8,5 m/sec)^2
E.C. Della sezione in caduta dopo l'impatto =
17 piano che si muovono a (4,8 m/sec)^2
Perdita percentuale di E.C. = 1- (17 * 4.82) / (16 *8.52) * 100% = 66%

Questa è una stima per difetto della perdita energetica, poiché la decelerazione avrebbe concesso più tempo perché l'onda di propagazione viaggiasse ed avesse affetto su più piani, ma, anche così, si mostra un assorbimento di circa il 66% dell'energia cinetica totale della sezione in caduta.

Bilancio Energetico:

Poiché vi erano circa 2,1 GJ a disposizione al momento del primo urto, una perdita del 66% ridurrebbe questa stima a 714 MJ. L'energia cinetica verrebbe però incrementata dell'energia potenziale rilasciata dall'ulteriore movimento verso il basso della massa in caduta e, se assumiamo che la caduta sia avvenuta per l'intersa lunghezza del 3% assunto per la fase di snervamento del piano impattato e della deformazione elastica dei piani sottostanti, allora l'energia potenziale addizionale è

58*106 * g * (0.111 + .056) = + 95MJ.

L'energia di deformazione consumata dalle colonne del piano impattato, durante la fase elastica e quella di snervamento, può essere calcolata utilizzando la tensione di snervamento. Quella usata in questa analisi è derivata utilizzando la massa al di sopra della zona d'impatto, 58000 tonnellate, ed un fattore di sicurezza 4. L'esame della geometria della colonna con riferimento alle equazioni di Eulero mostra che questa è una sottostima sia della tensione di snervamento che della deformazione da compiere prima della rottura, e questa è una grossa assunzione a favore della continuazione del crollo. Un fattore di 0,029 è stato incluso per modellare il profilo della tensione durante la fase di snervamento (del 3%)

Il profilo della tensione mostra una crescita lineare da zero sino alla tensione di snervamento allo 0,2% della lunghezza, seguita da una tensione costante per il restante 2,8% della lunghezza.

Energia di deformazione plastica:

58 * 106kg * 4 * g * 3.7m * 0.029 = - 244 MJ.

Un valore simile ma lievemente inferiore a questo sarebbe necessario per il primo piano del blocco superiore che colpisce i piani sottostanti. Dato che questo piano portava un carico inferiore, 15 piani, rispetto al piano colpito, 17 piani, le sue capacità di progetto sarebbero state proporzionalmente inferiori. Forti di questa conoscenza è possibile stimare che l’energia consumata da questo piano sarebbe stata
(244 MJ * 15 / 17) = - 215 MJ.

La risposta elastica entro la capacità delle colonne del piano sottostante avrebbe richiesto ulteriore energia, assorbita sotto forma di energia di deformazione. Questa può essere stimata usando un coefficiente di sicurezza pari a 4, una massa di 58000 tonnellate, una distanza di 0.056 metri e un fattore pari a 0.5 per riflettere il profilo di tensione

58 * 106kg * 4 * g * 0.056m * 0.5 = - 64 MJ.

Il movimento verso il basso di questi piani in risposta all’impatto rilascerà altra energia potenziale dovuta alla loro compressione; usando le stesse deformazioni usate in precedenza e un valore di massa proporzionale al numero di piani, questa sarà

58 * 106kg * 24/16 * g * 0.056m / 2 = + 24 MJ.

Altre perdite di energia sono evidenti in un’analisi della compressione dei piani all’interno del blocco superiore in caduta. Questi piani, costruiti con colonne dotate di sezione inferiore rispetto a quelle colpite, sarebbero incapaci di sostenere il carico critico presente sul fronte di impatto e subirebbero deformazioni plastiche oltre il loro limite elastico, ma per semplicità assumiamo che subiscano solo la loro completa deformazione elastica. Questa è un’altra supposizione largamente favorevole al proseguimento del crollo.
La deformazione totale sarebbe pari a 15 piani moltiplicati per la curvatura elastica di 7.4mm, e l’energia di deformazione consumata può essere stimata come

15 * 7.4 * 10-3 * 4 * 58 * 106 * g / 2 = - 126 MJ.

Il movimento dei piani nel blocco superiore rilascerà ulteriore energia potenziale dovuta alla loro compressione e al conseguente movimento. E’ verosimile che questa energia si manifesti sotto forma di cedimenti all’interno della sezione superiore, ciononostante è stata aggiunta come energia disponibile per il proseguimento del crollo. Il piano più in alto si muoverà verso il basso di 15 volte la deformazione elastica mentre quello più in basso resterà statico, entrambi rispetto al punto di impatto, fornendo ulteriore energia potenziale

15 * 0.0074 * 58 * 106 * g / 2 = + 32 MJ.

Una considerevole quantità di energia sarebbe necessaria per polverizzare il calcestruzzo nella fine polvere che si può notare nelle fotografie e da altre fonti. Per quantificare questa energia è necessario usare il valore di energia di frattura, ma questo è variabile in funzione, tra gli altri fattori, della dimensione del pezzo di calcestruzzo e della sua composizione, in particolare della granulometria degli inerti. Non c’è un valore tipico. Per stimare l’energia consumata mi riferirò al lavoro del Dr. Frank Greening [2].

Bisogna notare che Greening, come Bazant, non ha al momento sostenuto che il crollo della torre sia stato provocato da altro che dal danno dovuto all’impatto dell’aereo con successivi e conseguenti incendi. La torre, usando i valori di Greening, conteneva approssimativamente 50000 tonnellate di calcestruzzo, e si suppone che solo il 10% di questo sia stato polverizzato ad una dimensione di 60 micrometri. Un kg di calcestruzzo con questa granulometria avrà una superficie di 67 m2. Possiamo ora usare il valore di Greening per l’energia di frattura del calcestruzzo, pari a 100 J/m2 per mostrare che l’energia richiesta per un piano sarebbe

50 * 106kg / 110piani * 67m2 * 100J/m2 * 10% = - 304 MJ.

Potrebbe essere considerato inverosimile che un impatto a bassa velocità possa impiegare grandi quantità di energia nella polverizzazione dei materiali, questo è più verosimile negli stadi successivi del crollo. Tuttavia, le vaste espulsioni di polvere sono state visivamente evidenti fin dall’inizio del crollo.

Riassunto dell’energia:

Il bilancio energetico può essere riassunto come

Energia disponibile;
Energia cinetica 2105 MJ
Energia potenziale Ulteriore movimento verso il basso 95 MJ
Compressione della sezione impattante 32 MJ
Compressione della sezione impattata 24 MJ
Energia disponibile totale 2256 MJ
Energia richiesta;
Perdite di quantità di moto 1389 MJ
Energia di deformazione plastica nel piano inferiore impattato 244 MJ
Energia di deformazione plastica nel piano superiore impattato 215 MJ
Energia di deformazione elastica nei piani inferiori 64 MJ
Energia di deformazione elastica nei piani superiori 126 MJ
Polverizzazione del calcestruzzo sul piano impattante 304 MJ
Polverizzazione del calcestruzzo sul piano impattato 304 MJ
Energia totale richiesta 2646 MJ
Deficit minimo di energia -390 MJ

Conclusioni:

Un meccanismo d’attivazione che coinvolga una perdita totale ed istantanea di tutta la capacità portante su un piano, sufficiente a causare una caduta di 3.7m in piena accelerazione gravitazionale, seguito da un impatto “pulito” non è realistico. Questo lavoro è presentato per mostrare le quantità relative delle energie coinvolte. Questa analisi sottostima le richieste energetiche utilizzando un valore costante di velocità, pari alla velocità all’impatto, di 8.5 m/s.

Questa è un’ipotesi in favore della continuazione del crollo.

La presente analisi presume inoltre che ogni piano avesse la medesima massa. L’effetto di questa ipotesi è quello di sottostimare le perdite energetiche all’impatto. Non si è tenuto conto della massa che cade al di fuori del perimetro della torre, né soprattutto dell’espulsione di grandi quantità di polvere all’inizio del crollo o dell’energia richiesta per provocare lo spostamento di queste masse oltre il perimetro.

Questa analisi non considera l’energia consumata per danneggiare le travi di collegamento o altri elementi strutturali, per sconnettere i pavimenti dai supporti sulle colonne, per distruggere il contenuto dei piani o altro. Non si tiene conto di alcun dispendio di energia di deformazione durante la caduta iniziale per tutta l’altezza di un piano, nonostante questa sarebbe una porzione sostanziale dell’input energetico iniziale.

Il bilancio energetico del crollo diventa deficitario durante la fase di compressione plastica delle prime colonne colpite, mostrando che non ci sarebbe sufficiente energia disponibile, a partire dall’energia potenziale rilasciata dalla sezione superiore, per soddisfare tutte le richieste energetiche dell’impatto.

L’analisi mostra che, nonostante le ipotesi fatte in favore della continuazione del crollo, il movimento verticale della sezione in caduta sarebbe stato arrestato prima del completamento della fase di compressione del 3% delle colonne colpite, ed entro circa 0.02 secondi dall’impatto. Senza le molteplici ipotesi fatte in favore della continuazione del crollo, il deficit energetico sarebbe molto più alto del valore ottenuto di -390 MJ.

Un crollo dovuto alla sola forza di gravità non sarebbe continuato oltre quel punto.

Bisogna comprendere che le perdite di energia alle quali ci si è riferiti come perdite di quantità di moto non possono essere riutilizzate come energia di deformazione o nell’energia richiesta per polverizzare i piani, riducendo pertanto la richiesta totale di energia. Questi trasferimenti di energia esisterebbero indipendentemente dallo stato di integrità dei piani dopo l’impatto e si manifesterebbero come calore nei materiali colpiti.

L’energia cinetica considerata è quella della massa impattante della sezione in caduta. C’è energia cinetica nei piani sottostanti che iniziano a muoversi, ma questa è stata persa dalla massa impattante. L’unica sorgente di energia disponibile per la massa in caduta è l’energia potenziale e, a meno che questa energia sia rilasciata tramite il crollo di ulteriori colonne, la massa in caduta si arresterebbe. Mentre l’onda di propagazione scende lungo la torre caricando altre colonne, l’energia si diffonderà attraverso i piani sottostanti come energia di deformazione elastica, che è riutilizzabile, al contrario di quella di deformazione plastica.

Al decelerare della sezione superiore, la forza che essa è in grado di esercitare si ridurrà, e la curvatura elastica si ridurrà in risposta. Mentre questa si riduce, l’energia di deformazione elastica precedentemente assorbita dai piani inferiori si riconvertirà in energia potenziale. In altri termini si scaricherà, o verrà restituita. Le torri potevano essere ben descritte come una serie di molle e smorzatori, colpita da una grande ma relativamente lenta e meno sostanziale altra serie di molle e smorzatori.

In questa analisi il danno, a parte il piano rimosso per iniziare il crollo, è limitato al danno subìto dai due piani che si sono scontrati, e perfino questa semplificazione non è sufficiente a portare le colonne colpite attraverso la fase di snervamento fino alla fase di deformazione plastica che è caratterizzata ed accompagnata dall’insorgenza di punti di imbozzamento. Bisogna notare che questo concentra l’energia dell’impatto. In realtà molti dei piani più vicini al punto di impatto e specialmente quelli dotati di colonne con sezione minore nel blocco superiore in caduta avrebbero subìto una parte del danno ciascuno. Questo dissiperebbe ulteriormente l’energia in punti lontani dal fronte del crollo.

Scoperta del DNA e sua manipolazione

Come già accennato precedentemente il concetto di selezione genetica ha sempre accompagnato la storia dell’uomo utilizzando, però metodiche empiriche basate sull’accoppiamento dei soggetti morfologicamente più idonei per specifici compiti collegati all’attività dell’uomo stesso. Ma dopo la fine del secondo conflitto mondiale, curiosamente, c’è stato un netto salto in avanti: con il DNA, venne scoperta la struttura fisica più intima che consente la trasmissione dell’ereditarietà, riuscendo anche a decifrare i meccanismi e le leggi che regolano l’affascinante mondo biologico che porta la vita.


Esattamente il sogno degli eugenetisti dei primi del ‘900: già, perché era evidente che tutta la loro visione del futuro dell’uomo aveva come scopo la scoperta ed il controllo stretto della conoscenza biologica per mettere le mani sui meccanismi fisici che regolano, da sempre, la vita sulla terra. In questo senso tutta la politica di selezione razziale del nazismo è stata nei fatti, al di là delle intenzioni di cui non avremo mai conoscenza precisa, un fondamentale laboratorio anche se di orrori sociali! Nulla dei risultati ottenuti nei campi di sterminio è stato lasciato inutilizzato. Nemmeno i ricercatori dei lager, molto probabilmente sono rimasti disoccupati. Già, che fine fecero tutti coloro che, a vario titolo, ebbero ruoli di prima linea nelle mostruose sperimentazioni? Tutti assicurati alla giustizia? Processati a Norimberga? Nulla di tutto questo…e allora? Sospettare che possano essere stati reimpiegati in USA, Inghilterra ed in Unione Sovietica, cioè nei paesi vincitori, come molti altri scienziati nazisti è ipotesi troppo azzardata? O pensiamo che dalla Germania si sia preso solo vonBraun il padre del programma Apollo? E’ ovvio che i vincitori si sono accaparrati i cervelli in settori d’importanza strategica come il campo delle nuove armi aero-navali, chimiche e batteriologiche. Così è facilmente comprensibile come non possa essere stato ignorato il campo della ricerca biologica-ereditaria con dati ottenuti con l’utilizzo di cavie umane dei lager: quale migliore occasione per ottenere dati e conoscenze direttamente con un abominevole sacrificio umano?


Arriviamo, così, al fatidico ’53, anno in cui viene scoperta la struttura del DNA: momento storico davvero! Dopo soli 8 anni dalla fine della 2° Guerra mondiale si è riusciti nel sogno inseguito da decenni: solo una coincidenza? Agli scopritori, anzi agli Scienziati Watson & Crick onore e gloria: è del 2 aprile del ’53 la famosa lettera con cui i nostri eroi annunciavano alla rivista “Nature” il fatidico evento.


Cominciava così: “Desideriamo proporre una struttura per il sale dell’acido desossiribonucleico”, a cui seguiva un comunicato breve e stringato che spiegava la struttura semplice e nello stesso tempo splendida, del DNA, costituito da una molecola di desossiribosio (zucchero) alternata a gruppi fosfati disposti spazialmente in lungo filamento. La struttura a doppia elica si forma perché a questi filamenti, posti uno di fronte all’altro si legano le basi nucleotidiche cioè Adenina, Guanina, Citosina e Timina che si dispongono nello spazio come i pioli di una scala ideale attorcigliata su se stessa. Una fantastica spirale della vita che, guarda caso, è rappresentata da migliaia di anni come simbolo positivo in tutte le culture di ogni epoca a livello planetario. In questa magica scala è fondamentale l’ordine in cui si susseguono le quattro basi citate. Sono loro che danno la chiave o il codice che comanda una certa sintesi proteica. Il gene non è altro che un pezzo di DNA che è in grado di comandare la produzione o sintesi di una proteina. In realtà un gene non è mai da solo quando sintetizza una proteina ma collabora con un dialogo fatto di migliaia e migliaia d’impulsi chimici con altri geni posti in settori anche molto distanti del DNA. Ricordate questo passaggio perché sarà di basilare importanza quando parleremo di transgenesi!



Quindi potremmo definire Watson & Crick un’accoppiata vincente, come si direbbe oggi, immersi come siamo nello spirito competitivo della nostra epoca. In effetti mai termine è più appropriato di questo per sintetizzare la storia della scoperta del DNA.
Watson era statunitense e zoologo mentre Crick era inglese e fisico: davvero una strana coppia.
James Dewey Watson laureato in zoologia era poi passato alla genetica sotto la guida del nobel italiano Salvador Luria. Quest’ultimo gli aveva consigliato un periodo di studio in Europa e così Watson passò per Copenaghen e Napoli, dove, come ricorda egli stesso, passò la maggior parte del tempo “a camminare per le strade e visitare templi e castelli”, ma fece anche una importante conoscenza: Maurice Wilkins, cristallografo del King’s college di Londra che si stava occupando della struttura del DNA.
Che combinazione!

Dopo avere ascoltato una sua conferenza decise che il suo futuro sarebbe stato sulla ricerca genetica e sempre sotto i buoni uffici di Luria si fece trasferire a Cambridge. Qui avvenne il fatidico incontro con l’altro protagonista: Francis Harry Compton Crick, inglese di Northampton. Era un fisico che durante la guerra si era specializzato in uno dei settori top secret della ricerca militare e cioè lo sviluppo delle ricerche sul radar. Particolare interessante, vero? Infatti è piuttosto insolito che un pur meritevole ricercatore di sistemi elettro-magnetici top-secret venga quasi catapultato ad occuparsi di genetica, aspetto curioso che meriterebbe ampi approfondimenti fedeli al motto: “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei!”


I due, menti acute, erano complementari e il loro lavoro procedette molto spedito in quegli anni, poi i diversi caratteri li portarono ad una profonda inimicizia e le loro strade si separarono per sempre. L’unione di questi due cervelli eccezionali portò a molti importanti risultati quasi esclusivamente sulla base di un esercizio di pura logica e speculazione mentale, ottenendo velocemente ciò che altri colleghi trovavano dopo duro e noioso lavoro di verifiche sperimentali in laboratorio. Anche questo modo di procedere poco scientifico, francamente poco ortodosso, è singolare e meriterebbe maggiori ricerche e chiarimenti!


In realtà la premessa basilare alla scoperta della molecola fu attuata nel ’44 da un ricercatore americano, un certo Avery, che rivelò al mondo che i geni, ovvero quelle perle componenti i cromosomi erano costituiti da molecole di acido desossiribonucleico (il DNA appunto). Non era stato per niente facile arrivarci ma questa scoperta non portò alcun riconoscimento al suo scopritore: chissà perché? A questo punto mancava ancora la comprensione di come fosse strutturato nello spazio il DNA e chi l’avesse scoperto avrebbe aperto la strada alla sua possibile manipolazione o modificazione: il potere sulla vita, per l’appunto! Almeno questo era quello che si sperava di ottenere in certi ambienti e avrebbe coronato decenni di finanziamenti enormi, profusi con larghezza e generosità a qualsiasi centro di ricerche senza alcuna distinzione di razza o paese o cultura o religione. La posta in gioco era evidentemente troppo importante per rischiare di ritardarne l’acquisizione con sciocche remore etiche: in fondo il fine giustifica il mezzo, non è così?



Ecco allora che la gara era aperta e diversi laboratori nel mondo stavano puntando tutte le energie al medesimo obbiettivo, anche perché tutti erano finanziati generosamente per lo stesso scopo. Ora, senza togliere nulla a Watson & Crick, va detto che non sarebbero arrivati per primi se qualcuno non li avesse passato dati fondamentali provenienti da ricerche fatte da altri! Proprio così, le loro ricerche erano a buon punto ma mancava ancora la spintarella giusta. Essa si concretizzò, quando il Wilkins, sì, quello conosciuto a Napoli da Watson, direttore del King’s College di Londra, passò loro il brillante lavoro di Rosalind Franklin all’insaputa dell’interessata. In realtà esisteva già una collaborazione ufficiale tra la coppia Watson & Crick e l’istituto con a capo il Wilkins, ma tra Rosalind Franklin e il trio non correva buon sangue. Particolarmente duri erano i rapporti tra la ricercatrice ed il suo capo Wilkins che si ostinava a non riconoscerle il valore professionale ed umano di cui era invece abbondantemente dotata. Fu proprio Wilkins a copiare, di nascosto, le immagini del DNA ottenute con la diffrazione a raggi X fatte dalla Franklin e passarle a Watson & Crick. La cosa fu basilare per consentire al duo di bruciare tutti sul filo di lana. Watson, nelle sue memorie ricorda: “Come vidi le fotografie, rimasi a bocca aperta ed il cuore prese a battermi forte”. Fu così che poche settimane dopo elaborarono la famosa e bellissima struttura del DNA a doppia elica che srotolandosi ed aprendosi consentiva il passaggio della informazione genetica: il tutto in 200 milionesimi di millimetro!

Tratto dal libro di Paolo Girotto, "DNA ed Eugenetica: chi vuole il potere sulla vita?"

30 agosto 2008

Il debito

Sull'Herald del 2 agosto un articolo di David Brooks intitolato "Missing Dean Acheson".
Sottotitolo: "Il nostro nuovo mondo pluralistico ha dato origine a una globosclerosi, incapacità di risolvere un problema dopo l'altro."
Il tema è quello della impossibilità di decidere. Brooks ricorda con nostalgia i bei tempi in cui il gruppo dirigente americano prendeva decisioni sulla base dei suoi interessi e li imponeva senza tante storie, con le buone o con le cattive (generalmente con le cattive) a tutto il mondo dominato.
A partire dagli anni '40 il potere è stato fortemente concentrato nelle mani della classe dirigente occidentale, ma oggi il potere è disperso.
"La dispersione dovrebbe in teoria essere una buona cosa, scrive Brooks, ma in pratica multipolarità significa potere di veto sull'azione collettiva. In pratica questo nuovo mondo pluralistico ha dato origine alla globosclerosi, incapacità di risolvere un problema dopo l'altro."
Poi il caro David viene al punto che più lo addolora:
"Questa settimana per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, un tentativo di liberalizzare il mercato globale è fallito. Il Doha round ha subito un collasso perché il governo indiano non voleva offendere i piccoli contadini in previsione delle prossime elezioni."
A David Brooks dei piccoli contadini indiani non gliene può fregare di meno. Il suo problema è la fine della capacità di decisione economica da parte delle grandi potenze occidentali.
In effetti, nel corso dell'estate 2008 abbiamo avuto tre segnali impressionanti della fine della decisione politica, della fine del globalismo e della fine dell'egemonia occidentale. Il G8, il WTO, ed infine la NATO sono entrati in una sorta di paralisi.

All'inizio di luglio c'è stato il summit G8 di Hokkaido. Posti di fronte alla necessità di decidere qualcosa a proposito di processi che avanzano con velocità impressionante e distruggono il futuro del pianeta e dell'umanità (cambiamento climatico, crisi alimentare, crisi finanziaria) i capi delle potenze mondiali hanno fatto come suol dirsi scena muta.
Dovevano decidere qualcosa sul cambiamento climatico. La risoluzione finale relativa al cambiamento climatico dichiara semplicemente che nel 2050 le emissioni inquinanti saranno la metà di quelle attuali. Questo è quello che hanno stabilito i "Grandi". Come accadrà questo dimezzamento? Nessuno lo sa, nessuno lo ha detto. Ma tanto chi se ne frega, nel 2050 saremo tutti morti (probabilmente a causa del cambiamento climatico) quindi nessuno potrà recriminare.

Alla fine del mese di luglio c'è stato l'incontro di Ginevra del Doha Round del World trade organisation, dove è definitivamente fallito l'accordo sulla liberalizzazione del commercio internazionale - che per gli occidentali significa libertà di penetrazione nei mercati altrui e difesa protezionistica dei mercati propri.
Il WTO, l'organismo contro cui ci battemmo a Seattle nel 1999, quando il movimento no-global venne alla luce del sole, sembra defunto, non certo per la forza dei movimenti di contestazione, ma a causa dell'emergere di contrasti d'interesse inconciliabili, per il rifiuto che le nuove potenze economiche oppongono al globalismo a senso unico occidentale.

Poi c'è stata la guerra in Georgia. La lunga onda dell'89 è finita, ora rifluisce.
La Nato non ha potuto difendere in nessuna maniera il suo alleato georgiano, dimostrando che la presidenza Bush ha portato il sistema militare americano all'impotenza.
E l'Unione europea si trova ormai spaccata in due: da una parte coloro che per timore dell'aggressività russa vogliono puntare le armi contro Mosca, e dall'altra coloro che per timore della potenza energetica russa vorrebbero trovare un compromesso.

Sullo sfondo, mentre i vertici globali falliscono uno dopo l'altro, la guerra euroasiatica tende a saldarsi in un fronte variegato nel quale l'occidente perde tutte le battaglie.
La battaglia iraqena è ormai perduta da anni, la battaglia afghana sta diventando un inferno.
La battaglia iraniana volge a favore dell'oltranzismo nazional-islamista di Ahmadinejad e Khamenei, e la bomba sciita si delinea all'orizzonte mediorientale come una minaccia sempre meno immaginaria.
La battaglia libanese diventa ogni giorno più pericolosa per Israele, con il saldarsi di un fronte Siria-Hezbollah.
E per finire, più spaventosa di tutte, la battaglia pakistana sta rivelandosi un rovescio per gli americani. Il generale protetto dalla Casa Bianca deve andarsene, e Ahmad Gul, l'uomo forte dell'esercito, dichiara che il principale nemico del paese sono gli Stati Uniti d'America (e l'India dove la mettiamo?). Ah... dimenticavo: Kim Iong Il ha appena comunicato che la Corea del Nord riprende la produzione della bomba nonostante i mezzi accordi ottenuti dall'amministrazione Bush qualche mese fa.
Il clan Bush è riuscito in un capolavoro impensabile: la più grande potenza del mondo si è messa progressivamente in condizione di minorità militare e di paralisi politica. Com'è potuto accadere?

Occorre una nuova descrizione del mondo. Quelle di cui disponiamo non valgono più.
Fino al 1989 disponevamo di una descrizione del mondo che si era formata nel secondo dopoguerra, e delineava il futuro sulla base dell'opposizione tra capitalismo e socialismo.
Nel 1989 quella descrizione bipolare venne sostituita con una descrizione unipolare, fondata sull'egemonia della NATO e sul predominio di un nuovo modello di espansione capitalista.
Per un ventennio l'egemonia militare ha messo l'occidente in una posizione di predominio, che permetteva alla popolazione americana di indebitarsi illimitatamente, di mantenere un tenore di vita largamente superiore alla forza produttiva americana, e di consumare le risorse senza alcuna considerazione per il futuro del pianeta né per la sopravvivenza della specie umana.
L'undici settembre del 2001, con un'azione di eccezionale efficacia strategica, qualcuno (poco mi importa qui sapere chi) ha spinto la più grande potenza militare di tutti i tempi a compiere una serie di azioni completamente insensate, autodistruttive, di cui sette anni dopo, si misurano a pieno gli effetti. Dopo 911 il presidente degli Stati Uniti, che qualche mese prima non conosceva il nome del presidente golpista del Pakistan, decideva di lanciare una guerra poi un'altra guerra, senza considerarne le implicazioni geopolitiche, culturali, religiose, militari.
Io non so se questo sia dovuto all'ignoranza sbalorditiva del gruppo dirigente americano, o al cinismo di gruppi economici come la Halliburton la Bechtel la Texaco ecc che hanno considerato più importante il loro interesse economico immediato che la disfatta strategica del loro paese (non lo so nè qui mi interessa, per quanto si tratti di una questione appassionante). Mi limito a constatare l'evidenza: le guerre euroasiatiche scatenate dagli anglo-americani si sono risolte in una successione di sconfitte strategiche irrimediabili. L'egemonia militare dell'occidente è finita. Per sempre, credo.

Ma la sconfitta militare sta provocando una crisi di credibilità che ha risvolti finanziari ed economici. Il popolo americano ha potuto appropriarsi delle ricchezze del pianeta grazie all'(apparente) superiorità militare della NATO. Ora, dopo la disfatta strategica dell'occidente nel continente euroasiatico, il gioco è scoperto. L'occidente non dispone più della sua forza di ricatto.
Ora il pianeta gli presenta il conto. Temo che sarà salato.
Non si può più contare sul debito illimitato.
Il 15 agosto è uscito sulla Repubblica un articolo di Nouriel Roubini, professore alla Stern school della New York University. Titolo: "La tempesta perfetta".
Il quadro che descrive Roubini è quello di una recessione generalizzata, profonda, e di lungo periodo. Questo non è così grave, di recessioni ne abbiamo viste tante nel corso del novecento, prima o poi se ne esce.
Il problema è che stavolta la recessione coincide con la fine del predominio occidentale sul pianeta.
L'occidente può accettare un ridimensionamento, che significa prima di tutto una riduzione del consumo energetico, e del consumo in generale?
Gli americani accetteranno di rinunciare al privilegio economico e finanziario di cui hanno goduto negli ultimi venti anni? Saranno capaci di farlo?
Dopo il crollo del sistema di credito immobiliare, si sta aprendo il problema delle carte di credito. Dopo la bolla dei mutui sulla casa, è sul punto di esplodere anche la bolla dell'indebitamento privato. Mi pare che qui ci sia un nucleo essenziale della crisi finanziaria che si sta trasformando in recessione di lungo periodo: la fine della possibilità di indebitarsi indefinitamente puntando una rivoltella alla tempia del creditore.
Ora il creditore ha scoperto che la rivoltella è scarica.
Accetterà l'occidente, accetterà il popolo americano di pagare il suo debito?
Il debito. Ciò che dobbiamo agli altri.
Oppure sceglierà di usare l'arma estrema, la violenza impensabile, per riaffermare il proprio diritto di depredare il futuro di tutti?
Il pericolo che si delinea all'orizzonte è senza precedenti.
Non è vero che sia tornata la guerra fredda. Magari.
La Guerra fredda era fredda perché gli americani non avevano l'acqua alla gola e perché l'Unione sovietica era un sistema totalitario, ma il gruppo dirigente del PCUS aveva una logica politica diversa da quella della mafia e del KGB coalizzati.

Bifo
Fonte: www.rekombinant.org/

La fisica sul crollo delle Torri gemelle

Questo documento esamina le fasi di carico elastico e di deformazione plastica delle colonne del WTC1 dopo l'impatto degli ultimi 18 piani dell'edificio su quelli sottostanti ed il loro effetto sul trasferimento della quantità di moto dopo la collisione. Viene quindi derivata una equazione di bilancio energetico che mostra esserci un deficit di energia che avviene prima del completamento della fase di snervamento il quale non avrebbe permesso al collasso di proseguire, sotto le ipotesi formulate in questo documento.

Introduzione:

L'analisi precedente riguardo al trasferimento della quantità di moto durante il crollo delle torri le ha modellate come un insieme di piani sospesi nello spazio ed ha esaminato il processo di trasferimento della quantità di moto attraverso una serie di urti elastici ed anelastici, indipendenti gli uni dagli altri. Questo tipo di analisi estrapola il trasferimento della quantità di moto dal suo contesto, caratterizzato da altri effetti degli urti. Questo avviene perché questo tipo di analisi assume che gli impatti abbiano effetto soltanto sul piano superiore della sezione su cui essi avvengono.

La realtà dei fatti è invece che essi hanno un effetto su diversi piani della sezione sottostante e per effettuare un'analisi valida, bisogna tener conto di ognuno di questi trasferimenti della quantità di moto Se assumiamo che la sezione superiore, che comprende 16 piani in caduta, cada sotto una piena accelerazione gravitazionale attraverso lo spazio occupato da un piano (rimosso), per una distanza di 3,7 metri, possiamo calcolare che la sua velocità al momento dell'impatto sarà 8,52 metri al secondo e la sua energia cinetica, dovuta a massa e velocità, di circa 2.105 GJ (usando l'ipotesi di 58000 tonnellate come dettagliato nel rapport di Bazant & Zhou [1]).
Nella realtà ci dovrebbero essere alcune perdite di energia dovuta alla resistenza residua delle colonne in cedimento della sezione rimossa, ma esse vengono trascurate per lo scopo dell'analisi.

Al momento dell'impatto con la sezione sottostante, la massa in caduta dovrebbe trasmettere una tensione che crescerà da zero, sino alla tensione di snervamento delle colonne del piano impattato, in un periodo di tempo e percorrendo una distanza finita.

Questa forza verrà percepita anche dalle colonne al di sotto del piano urtato per primo.



Analisi:

La sezione superiore in caduta, con una velocità di non più di 8,5 metri al secondo, al momento dell'urto incontrerà la resistenza delle colonne impattate e, come prima operazione, dovrà necessariamente caricare queste colonne, dapprima nell'intervallo di carico elastico e quindi attraverso la fase di snervamento. Esamineremo per prima cosa questo intervallo di tempo incrementale.

Bazant/Zhou [1] mostrano, nella loro analisi, che il comportamento elastico e plastico di una colonna di acciaio, sottoposta ad un carico di punta dinamico consista in tre fasi distinte:

Esse possono essere visualizzate in un grafico tensione/deformazione e consistono in una fase iniziale elastica, una di snervamento ed una rapida fase di deformazione plastica.

1- La fase elastica mostra una relazione lineare tra carico e deformazione sino al limite di tensione elastica. Il carico a questo punto raggiunge la tensione di snervamento e la deformazione al limite elastico per l'acciaio è generalmente lo 0,2% della sua lunghezza iniziale.

2- La fase di snervamento permette che sia applicato lo stesso carico sino a quando la deformazione verticale raggiunge il 3%, punto in cui la colonna inizia a formare dei punti di imbozzamento.

3- La terza fase mostra una rapida discesa della tensione richiesta per continuare la deformazione, con la tensione necessaria minore di quella di snervamento. Questa fase continua fino a quanto la deformazione verticale eguaglia la lunghezza originale. In altre parole la colonna è piegata in due.

Per deformare le colonne del piano, impattato per primo, del 3%, cosa sufficiente per completare la fase di snervamento, cioè una distanza di circa 0,111 metri, sarebbero necessari un minimo di 0,013 secondi, supponendo una velocità costante di 8,5 metri al secondo.

La velocità dell'onda di propagazione attraverso un un materiale generico è data dalla formula generale di propagazione d'onda:

Velocità = radice quadrata (modulo compressibilità/densità)

Che per l'acciaio strutturale è dell'ordine di 4500 metri al secondo. L'onda di propagazione della forza d'impatto avrebbe viaggiato quindi per 58,7 metri nel tempo di 0,013 secondi. Questo significa che durante il tempo impiegato dalle colonne impattate nella fase di snervamento, la stessa tensione sarebbe stata avvertita ad una distanza minima di 58,7 metri, o approssimativamente 16 piani, dall'impatto.

Questi piani, perciò, avrebbero subito una deformazione elastica in reazione, e proporzionale, alla tensione di snervamento applicata al piano impattato. Queste deformazioni avrebbero esse stesse richiesto del tempo ed avrebbero fatto sì che l'onda di propagazione si muovesse ulteriormente verso il basso coinvolgendo, di nuovo, un numero maggiore di piani.

Possiamo stimare la deformazione elastica delle colonne di questi 16 piani come compresa tra 0 e 7 mm. La massima deformazione elastica di una colonna di 3,7m, usando l'approssimazione, comunemente accettata dello 0,2% della lunghezza iniziale, è di 7,4 mm. Le colonne nei piani superiori avrebbero subito una deformazione quasi pari alla massima deformazione elastica perché la loro tensione di snervamento è simile, benché leggermente più grande, a quella del piano impattato inizialmente.

Le colonne dei piani più distanti dalla zona dell'impatto avrebbero avuto una sezione trasversale maggiore, richiedendo quindi tensioni maggiori per causare la massima deformazione elastica. Usare soltanto metà della massima deformazione elastica, 56mm /16*7/2) è, di nuovo, un'assunzione a favore della continuazione del crollo.

La deformazione elastica dei piani sottostanti avrebbe aumentato la distanza attraverso la quale la sezione in caduta avrebbe dovuto muoversi per caricare le colonne impattate e completare la deformazione del 3% della fase di snervamento. Il tempo impiegato, utilizzando di nuovo una velocità costante di 8,5 m/sec,verrebbe innalzato a circa 0,02 secondi, permettendo all'onda di propagazione di muoversi ed avere effetto su 8 piani ulteriori.

Poiché queste colonne subiscono una deformazione verticale, i piani a cui sono fissate si muovono verso il basso ed avrebbero quindi anche loro una velocità ed una quantità di moto.

Perdite di energia:

Una semplice equazione della conservazione della quantità di moto, ignorando questi movimenti, considererebbe 16 piani in caduta che si muovono ad 8,5 m/sec prima dell'impatto che diventano 17 piani che cadono a (8,5*(16/17)) = 8m/sec dopo l'impatto. Questo non tiene conto del fatto che un minimo di ulteriori 24 piani sarebbero stati fatti muovere verso il basso a velocità variabili.

Per stimare ed illustrare queste ulteriori variazioni della quantità di moto, possiamo assumere che il piano che è 25 piani al di sotto della zona d'impatto rimanga statico e che la velocità dei 24 piani sovrastanti vari in modo lineare dalla velocità di caduta della sezione in caduta, sino a zero.

Quantità di moto prima dell'impatto = 16 piani che si muovono a 8,5 m/sec

Quantità di moto dopo l'impatto = 17 piani che si muovono a V2 m/sec + 1 piano che si muove a 23/24*V2 m/sec + 1 piano che si muove a 22/24*V2m/sec+....+1 piano che si muove a 2/24*V2 m/sec + 1 piano che si muove a 1/24*V2 m/sec.

16*8,5 = V2 (17 +11,5)
V2 = 16 * 8,5 /28,5 = 4,8 metri al secondo.

La velocità della sezione impattante verrebbe quindi ridotta, per la collisione, da 8,5 m/sec ad una velocità minore di 4,8 m/sec invece che gli 8m/sec derivati dall'equazione della quantità di moto che non include questo fattore. E' da notare anche che la riduzione della velocità darebbe ancora più tempo all'onda di propagazione per viaggiare verso il basso attraverso le colonne della torre, permettendo che altri, ulteriori, piani ne subiscano l'effetto..

L'energia cinetica della sezione in caduta sarebbe influenzata in modo simile ma, poiché essa dipende dal quadrato della velocità, la riduzione in energia cinetica sarebbe più pronunciata.

E.C. Della sezione in caduta prima dell'impatto =
16 piani che si muovono a (8,5 m/sec)^2
E.C. Della sezione in caduta dopo l'impatto =
17 piano che si muovono a (4,8 m/sec)^2
Perdita percentuale di E.C. = 1- (17 * 4.82) / (16 *8.52) * 100% = 66%

Questa è una stima per difetto della perdita energetica, poiché la decelerazione avrebbe concesso più tempo perché l'onda di propagazione viaggiasse ed avesse affetto su più piani, ma, anche così, si mostra un assorbimento di circa il 66% dell'energia cinetica totale della sezione in caduta.

Bilancio Energetico:

Poiché vi erano circa 2,1 GJ a disposizione al momento del primo urto, una perdita del 66% ridurrebbe questa stima a 714 MJ. L'energia cinetica verrebbe però incrementata dell'energia potenziale rilasciata dall'ulteriore movimento verso il basso della massa in caduta e, se assumiamo che la caduta sia avvenuta per l'intersa lunghezza del 3% assunto per la fase di snervamento del piano impattato e della deformazione elastica dei piani sottostanti, allora l'energia potenziale addizionale è

58*106 * g * (0.111 + .056) = + 95MJ.

L'energia di deformazione consumata dalle colonne del piano impattato, durante la fase elastica e quella di snervamento, può essere calcolata utilizzando la tensione di snervamento. Quella usata in questa analisi è derivata utilizzando la massa al di sopra della zona d'impatto, 58000 tonnellate, ed un fattore di sicurezza 4. L'esame della geometria della colonna con riferimento alle equazioni di Eulero mostra che questa è una sottostima sia della tensione di snervamento che della deformazione da compiere prima della rottura, e questa è una grossa assunzione a favore della continuazione del crollo. Un fattore di 0,029 è stato incluso per modellare il profilo della tensione durante la fase di snervamento (del 3%)

Il profilo della tensione mostra una crescita lineare da zero sino alla tensione di snervamento allo 0,2% della lunghezza, seguita da una tensione costante per il restante 2,8% della lunghezza.

Energia di deformazione plastica:

58 * 106kg * 4 * g * 3.7m * 0.029 = - 244 MJ.

Un valore simile ma lievemente inferiore a questo sarebbe necessario per il primo piano del blocco superiore che colpisce i piani sottostanti. Dato che questo piano portava un carico inferiore, 15 piani, rispetto al piano colpito, 17 piani, le sue capacità di progetto sarebbero state proporzionalmente inferiori. Forti di questa conoscenza è possibile stimare che l’energia consumata da questo piano sarebbe stata
(244 MJ * 15 / 17) = - 215 MJ.

La risposta elastica entro la capacità delle colonne del piano sottostante avrebbe richiesto ulteriore energia, assorbita sotto forma di energia di deformazione. Questa può essere stimata usando un coefficiente di sicurezza pari a 4, una massa di 58000 tonnellate, una distanza di 0.056 metri e un fattore pari a 0.5 per riflettere il profilo di tensione

58 * 106kg * 4 * g * 0.056m * 0.5 = - 64 MJ.

Il movimento verso il basso di questi piani in risposta all’impatto rilascerà altra energia potenziale dovuta alla loro compressione; usando le stesse deformazioni usate in precedenza e un valore di massa proporzionale al numero di piani, questa sarà

58 * 106kg * 24/16 * g * 0.056m / 2 = + 24 MJ.

Altre perdite di energia sono evidenti in un’analisi della compressione dei piani all’interno del blocco superiore in caduta. Questi piani, costruiti con colonne dotate di sezione inferiore rispetto a quelle colpite, sarebbero incapaci di sostenere il carico critico presente sul fronte di impatto e subirebbero deformazioni plastiche oltre il loro limite elastico, ma per semplicità assumiamo che subiscano solo la loro completa deformazione elastica. Questa è un’altra supposizione largamente favorevole al proseguimento del crollo.
La deformazione totale sarebbe pari a 15 piani moltiplicati per la curvatura elastica di 7.4mm, e l’energia di deformazione consumata può essere stimata come

15 * 7.4 * 10-3 * 4 * 58 * 106 * g / 2 = - 126 MJ.

Il movimento dei piani nel blocco superiore rilascerà ulteriore energia potenziale dovuta alla loro compressione e al conseguente movimento. E’ verosimile che questa energia si manifesti sotto forma di cedimenti all’interno della sezione superiore, ciononostante è stata aggiunta come energia disponibile per il proseguimento del crollo. Il piano più in alto si muoverà verso il basso di 15 volte la deformazione elastica mentre quello più in basso resterà statico, entrambi rispetto al punto di impatto, fornendo ulteriore energia potenziale

15 * 0.0074 * 58 * 106 * g / 2 = + 32 MJ.

Una considerevole quantità di energia sarebbe necessaria per polverizzare il calcestruzzo nella fine polvere che si può notare nelle fotografie e da altre fonti. Per quantificare questa energia è necessario usare il valore di energia di frattura, ma questo è variabile in funzione, tra gli altri fattori, della dimensione del pezzo di calcestruzzo e della sua composizione, in particolare della granulometria degli inerti. Non c’è un valore tipico. Per stimare l’energia consumata mi riferirò al lavoro del Dr. Frank Greening [2].

Bisogna notare che Greening, come Bazant, non ha al momento sostenuto che il crollo della torre sia stato provocato da altro che dal danno dovuto all’impatto dell’aereo con successivi e conseguenti incendi. La torre, usando i valori di Greening, conteneva approssimativamente 50000 tonnellate di calcestruzzo, e si suppone che solo il 10% di questo sia stato polverizzato ad una dimensione di 60 micrometri. Un kg di calcestruzzo con questa granulometria avrà una superficie di 67 m2. Possiamo ora usare il valore di Greening per l’energia di frattura del calcestruzzo, pari a 100 J/m2 per mostrare che l’energia richiesta per un piano sarebbe

50 * 106kg / 110piani * 67m2 * 100J/m2 * 10% = - 304 MJ.

Potrebbe essere considerato inverosimile che un impatto a bassa velocità possa impiegare grandi quantità di energia nella polverizzazione dei materiali, questo è più verosimile negli stadi successivi del crollo. Tuttavia, le vaste espulsioni di polvere sono state visivamente evidenti fin dall’inizio del crollo.

Riassunto dell’energia:

Il bilancio energetico può essere riassunto come

Energia disponibile;
Energia cinetica 2105 MJ
Energia potenziale Ulteriore movimento verso il basso 95 MJ
Compressione della sezione impattante 32 MJ
Compressione della sezione impattata 24 MJ
Energia disponibile totale 2256 MJ
Energia richiesta;
Perdite di quantità di moto 1389 MJ
Energia di deformazione plastica nel piano inferiore impattato 244 MJ
Energia di deformazione plastica nel piano superiore impattato 215 MJ
Energia di deformazione elastica nei piani inferiori 64 MJ
Energia di deformazione elastica nei piani superiori 126 MJ
Polverizzazione del calcestruzzo sul piano impattante 304 MJ
Polverizzazione del calcestruzzo sul piano impattato 304 MJ
Energia totale richiesta 2646 MJ
Deficit minimo di energia -390 MJ

Conclusioni:

Un meccanismo d’attivazione che coinvolga una perdita totale ed istantanea di tutta la capacità portante su un piano, sufficiente a causare una caduta di 3.7m in piena accelerazione gravitazionale, seguito da un impatto “pulito” non è realistico. Questo lavoro è presentato per mostrare le quantità relative delle energie coinvolte. Questa analisi sottostima le richieste energetiche utilizzando un valore costante di velocità, pari alla velocità all’impatto, di 8.5 m/s.

Questa è un’ipotesi in favore della continuazione del crollo.

La presente analisi presume inoltre che ogni piano avesse la medesima massa. L’effetto di questa ipotesi è quello di sottostimare le perdite energetiche all’impatto. Non si è tenuto conto della massa che cade al di fuori del perimetro della torre, né soprattutto dell’espulsione di grandi quantità di polvere all’inizio del crollo o dell’energia richiesta per provocare lo spostamento di queste masse oltre il perimetro.

Questa analisi non considera l’energia consumata per danneggiare le travi di collegamento o altri elementi strutturali, per sconnettere i pavimenti dai supporti sulle colonne, per distruggere il contenuto dei piani o altro. Non si tiene conto di alcun dispendio di energia di deformazione durante la caduta iniziale per tutta l’altezza di un piano, nonostante questa sarebbe una porzione sostanziale dell’input energetico iniziale.

Il bilancio energetico del crollo diventa deficitario durante la fase di compressione plastica delle prime colonne colpite, mostrando che non ci sarebbe sufficiente energia disponibile, a partire dall’energia potenziale rilasciata dalla sezione superiore, per soddisfare tutte le richieste energetiche dell’impatto.

L’analisi mostra che, nonostante le ipotesi fatte in favore della continuazione del crollo, il movimento verticale della sezione in caduta sarebbe stato arrestato prima del completamento della fase di compressione del 3% delle colonne colpite, ed entro circa 0.02 secondi dall’impatto. Senza le molteplici ipotesi fatte in favore della continuazione del crollo, il deficit energetico sarebbe molto più alto del valore ottenuto di -390 MJ.

Un crollo dovuto alla sola forza di gravità non sarebbe continuato oltre quel punto.

Bisogna comprendere che le perdite di energia alle quali ci si è riferiti come perdite di quantità di moto non possono essere riutilizzate come energia di deformazione o nell’energia richiesta per polverizzare i piani, riducendo pertanto la richiesta totale di energia. Questi trasferimenti di energia esisterebbero indipendentemente dallo stato di integrità dei piani dopo l’impatto e si manifesterebbero come calore nei materiali colpiti.

L’energia cinetica considerata è quella della massa impattante della sezione in caduta. C’è energia cinetica nei piani sottostanti che iniziano a muoversi, ma questa è stata persa dalla massa impattante. L’unica sorgente di energia disponibile per la massa in caduta è l’energia potenziale e, a meno che questa energia sia rilasciata tramite il crollo di ulteriori colonne, la massa in caduta si arresterebbe. Mentre l’onda di propagazione scende lungo la torre caricando altre colonne, l’energia si diffonderà attraverso i piani sottostanti come energia di deformazione elastica, che è riutilizzabile, al contrario di quella di deformazione plastica.

Al decelerare della sezione superiore, la forza che essa è in grado di esercitare si ridurrà, e la curvatura elastica si ridurrà in risposta. Mentre questa si riduce, l’energia di deformazione elastica precedentemente assorbita dai piani inferiori si riconvertirà in energia potenziale. In altri termini si scaricherà, o verrà restituita. Le torri potevano essere ben descritte come una serie di molle e smorzatori, colpita da una grande ma relativamente lenta e meno sostanziale altra serie di molle e smorzatori.

In questa analisi il danno, a parte il piano rimosso per iniziare il crollo, è limitato al danno subìto dai due piani che si sono scontrati, e perfino questa semplificazione non è sufficiente a portare le colonne colpite attraverso la fase di snervamento fino alla fase di deformazione plastica che è caratterizzata ed accompagnata dall’insorgenza di punti di imbozzamento. Bisogna notare che questo concentra l’energia dell’impatto. In realtà molti dei piani più vicini al punto di impatto e specialmente quelli dotati di colonne con sezione minore nel blocco superiore in caduta avrebbero subìto una parte del danno ciascuno. Questo dissiperebbe ulteriormente l’energia in punti lontani dal fronte del crollo.

Scoperta del DNA e sua manipolazione

Come già accennato precedentemente il concetto di selezione genetica ha sempre accompagnato la storia dell’uomo utilizzando, però metodiche empiriche basate sull’accoppiamento dei soggetti morfologicamente più idonei per specifici compiti collegati all’attività dell’uomo stesso. Ma dopo la fine del secondo conflitto mondiale, curiosamente, c’è stato un netto salto in avanti: con il DNA, venne scoperta la struttura fisica più intima che consente la trasmissione dell’ereditarietà, riuscendo anche a decifrare i meccanismi e le leggi che regolano l’affascinante mondo biologico che porta la vita.


Esattamente il sogno degli eugenetisti dei primi del ‘900: già, perché era evidente che tutta la loro visione del futuro dell’uomo aveva come scopo la scoperta ed il controllo stretto della conoscenza biologica per mettere le mani sui meccanismi fisici che regolano, da sempre, la vita sulla terra. In questo senso tutta la politica di selezione razziale del nazismo è stata nei fatti, al di là delle intenzioni di cui non avremo mai conoscenza precisa, un fondamentale laboratorio anche se di orrori sociali! Nulla dei risultati ottenuti nei campi di sterminio è stato lasciato inutilizzato. Nemmeno i ricercatori dei lager, molto probabilmente sono rimasti disoccupati. Già, che fine fecero tutti coloro che, a vario titolo, ebbero ruoli di prima linea nelle mostruose sperimentazioni? Tutti assicurati alla giustizia? Processati a Norimberga? Nulla di tutto questo…e allora? Sospettare che possano essere stati reimpiegati in USA, Inghilterra ed in Unione Sovietica, cioè nei paesi vincitori, come molti altri scienziati nazisti è ipotesi troppo azzardata? O pensiamo che dalla Germania si sia preso solo vonBraun il padre del programma Apollo? E’ ovvio che i vincitori si sono accaparrati i cervelli in settori d’importanza strategica come il campo delle nuove armi aero-navali, chimiche e batteriologiche. Così è facilmente comprensibile come non possa essere stato ignorato il campo della ricerca biologica-ereditaria con dati ottenuti con l’utilizzo di cavie umane dei lager: quale migliore occasione per ottenere dati e conoscenze direttamente con un abominevole sacrificio umano?


Arriviamo, così, al fatidico ’53, anno in cui viene scoperta la struttura del DNA: momento storico davvero! Dopo soli 8 anni dalla fine della 2° Guerra mondiale si è riusciti nel sogno inseguito da decenni: solo una coincidenza? Agli scopritori, anzi agli Scienziati Watson & Crick onore e gloria: è del 2 aprile del ’53 la famosa lettera con cui i nostri eroi annunciavano alla rivista “Nature” il fatidico evento.


Cominciava così: “Desideriamo proporre una struttura per il sale dell’acido desossiribonucleico”, a cui seguiva un comunicato breve e stringato che spiegava la struttura semplice e nello stesso tempo splendida, del DNA, costituito da una molecola di desossiribosio (zucchero) alternata a gruppi fosfati disposti spazialmente in lungo filamento. La struttura a doppia elica si forma perché a questi filamenti, posti uno di fronte all’altro si legano le basi nucleotidiche cioè Adenina, Guanina, Citosina e Timina che si dispongono nello spazio come i pioli di una scala ideale attorcigliata su se stessa. Una fantastica spirale della vita che, guarda caso, è rappresentata da migliaia di anni come simbolo positivo in tutte le culture di ogni epoca a livello planetario. In questa magica scala è fondamentale l’ordine in cui si susseguono le quattro basi citate. Sono loro che danno la chiave o il codice che comanda una certa sintesi proteica. Il gene non è altro che un pezzo di DNA che è in grado di comandare la produzione o sintesi di una proteina. In realtà un gene non è mai da solo quando sintetizza una proteina ma collabora con un dialogo fatto di migliaia e migliaia d’impulsi chimici con altri geni posti in settori anche molto distanti del DNA. Ricordate questo passaggio perché sarà di basilare importanza quando parleremo di transgenesi!



Quindi potremmo definire Watson & Crick un’accoppiata vincente, come si direbbe oggi, immersi come siamo nello spirito competitivo della nostra epoca. In effetti mai termine è più appropriato di questo per sintetizzare la storia della scoperta del DNA.
Watson era statunitense e zoologo mentre Crick era inglese e fisico: davvero una strana coppia.
James Dewey Watson laureato in zoologia era poi passato alla genetica sotto la guida del nobel italiano Salvador Luria. Quest’ultimo gli aveva consigliato un periodo di studio in Europa e così Watson passò per Copenaghen e Napoli, dove, come ricorda egli stesso, passò la maggior parte del tempo “a camminare per le strade e visitare templi e castelli”, ma fece anche una importante conoscenza: Maurice Wilkins, cristallografo del King’s college di Londra che si stava occupando della struttura del DNA.
Che combinazione!

Dopo avere ascoltato una sua conferenza decise che il suo futuro sarebbe stato sulla ricerca genetica e sempre sotto i buoni uffici di Luria si fece trasferire a Cambridge. Qui avvenne il fatidico incontro con l’altro protagonista: Francis Harry Compton Crick, inglese di Northampton. Era un fisico che durante la guerra si era specializzato in uno dei settori top secret della ricerca militare e cioè lo sviluppo delle ricerche sul radar. Particolare interessante, vero? Infatti è piuttosto insolito che un pur meritevole ricercatore di sistemi elettro-magnetici top-secret venga quasi catapultato ad occuparsi di genetica, aspetto curioso che meriterebbe ampi approfondimenti fedeli al motto: “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei!”


I due, menti acute, erano complementari e il loro lavoro procedette molto spedito in quegli anni, poi i diversi caratteri li portarono ad una profonda inimicizia e le loro strade si separarono per sempre. L’unione di questi due cervelli eccezionali portò a molti importanti risultati quasi esclusivamente sulla base di un esercizio di pura logica e speculazione mentale, ottenendo velocemente ciò che altri colleghi trovavano dopo duro e noioso lavoro di verifiche sperimentali in laboratorio. Anche questo modo di procedere poco scientifico, francamente poco ortodosso, è singolare e meriterebbe maggiori ricerche e chiarimenti!


In realtà la premessa basilare alla scoperta della molecola fu attuata nel ’44 da un ricercatore americano, un certo Avery, che rivelò al mondo che i geni, ovvero quelle perle componenti i cromosomi erano costituiti da molecole di acido desossiribonucleico (il DNA appunto). Non era stato per niente facile arrivarci ma questa scoperta non portò alcun riconoscimento al suo scopritore: chissà perché? A questo punto mancava ancora la comprensione di come fosse strutturato nello spazio il DNA e chi l’avesse scoperto avrebbe aperto la strada alla sua possibile manipolazione o modificazione: il potere sulla vita, per l’appunto! Almeno questo era quello che si sperava di ottenere in certi ambienti e avrebbe coronato decenni di finanziamenti enormi, profusi con larghezza e generosità a qualsiasi centro di ricerche senza alcuna distinzione di razza o paese o cultura o religione. La posta in gioco era evidentemente troppo importante per rischiare di ritardarne l’acquisizione con sciocche remore etiche: in fondo il fine giustifica il mezzo, non è così?



Ecco allora che la gara era aperta e diversi laboratori nel mondo stavano puntando tutte le energie al medesimo obbiettivo, anche perché tutti erano finanziati generosamente per lo stesso scopo. Ora, senza togliere nulla a Watson & Crick, va detto che non sarebbero arrivati per primi se qualcuno non li avesse passato dati fondamentali provenienti da ricerche fatte da altri! Proprio così, le loro ricerche erano a buon punto ma mancava ancora la spintarella giusta. Essa si concretizzò, quando il Wilkins, sì, quello conosciuto a Napoli da Watson, direttore del King’s College di Londra, passò loro il brillante lavoro di Rosalind Franklin all’insaputa dell’interessata. In realtà esisteva già una collaborazione ufficiale tra la coppia Watson & Crick e l’istituto con a capo il Wilkins, ma tra Rosalind Franklin e il trio non correva buon sangue. Particolarmente duri erano i rapporti tra la ricercatrice ed il suo capo Wilkins che si ostinava a non riconoscerle il valore professionale ed umano di cui era invece abbondantemente dotata. Fu proprio Wilkins a copiare, di nascosto, le immagini del DNA ottenute con la diffrazione a raggi X fatte dalla Franklin e passarle a Watson & Crick. La cosa fu basilare per consentire al duo di bruciare tutti sul filo di lana. Watson, nelle sue memorie ricorda: “Come vidi le fotografie, rimasi a bocca aperta ed il cuore prese a battermi forte”. Fu così che poche settimane dopo elaborarono la famosa e bellissima struttura del DNA a doppia elica che srotolandosi ed aprendosi consentiva il passaggio della informazione genetica: il tutto in 200 milionesimi di millimetro!

Tratto dal libro di Paolo Girotto, "DNA ed Eugenetica: chi vuole il potere sulla vita?"