06 settembre 2008

Afghanistan , la nuova palude



Una relazione dei servizi segreti francesi ritiene che in questo paese del Golfo, la NATO si è incamminata in una strada senza uscita. I talibán si sono riorganizzati ed hanno guadagnato efficacia grazie alla crisi nella quale è immerso il Pakistán. Dei due conflitti scatenati dalle amministrazioni di George W. Bush, in Afganistan nel 2001 e in Iraq nel 2003, la Casa Bianca perde quello che, a parere dell’opinione pubblica internazionale, è il più legittimo tra i due: quello in Afganistan. Questa guerra e l' occupazione successiva di questo paese con una forza internazionale discende direttamente dagli attentati dell’11 settembre. Quella è stato la purga con la quale la Casa Bianca ha punito chi aveva protetto Osama bin Laden ed aveva fatto crescere le basi di Al Qaida sul suo territorio. L'imboscata tesa martedì scorso da un commando talibán e nella quale sono morti 10 soldati francesi non soltanto costituisce l'attacco più grave sofferto dalla forza internazionale d'Assistenza alla Sicurezza (ISAF) dal suo spiegamento nel 2003, ma anche la prova che “gli studenti di teologia„ che furono amici degli Stati Uniti ma che Washington scalzò dal potere nel 2001 si sono riorganizzati e sono capaci di operare in regioni molto vicine alla capitale, Kaboul. Esperti, analisti e gli stessi protagonisti riconoscono che le opzioni sono lettere morta che conducono ad una stessa pista: la guerra senza fine. Il ministro francese della difesa, Hervé Morin, ha fatto allo stesso tempo un riassunto breve ed esemplificativo del contesto militare: “I combattimenti sono ogni volta più difficili perché i talibán sono capaci di mettere in pratica tattiche molto più agguerrite di prima„. Una relazione dei servizi segreti francesi ritiene che, in Afganistan, la NATO (alleanza atlantica) “è su una strada senza uscita, totale e duratura„. Tuttavia, il discorso ufficiale nelle capitali occidentali è uguale a quello che Bush emette da anni: la guerra contro il terrorismo, il compromesso con la democrazia in queste regioni del mondo, ecc. ma i 70 mila uomini della forza internazionale dispiegati in territorio afgano da molti anni non ha ottenuto, come in Iraq, né di fermare la guerra né di conformare le pratiche democratiche [di questo paese] alla maniera occidentale. Gli studenti di teologia sono tornati in primo piano ed il loro obiettivo è Kaboul. Habibullah Rafi uno storico ed un analista politico afgano, sostiene che la resurrezione dei talibán è dovuta in gran parte alla mancanza di abilità degli occupanti: “Quando i nordamericani hanno sostituito il regime, i talibán svanirono. Ma a seguito dei bombardamenti, che la maggior parte delle volte hanno causato perdite civili, i talibán hanno conquistato nuovamente la popolazione. La gente non dà aiuto, ma chiude gli occhi„. In un'intervista pubblicata da Liberation, Olivier Roy, uno degli esperti internazionali più solidi dell’Asia centrale ed autore di molti libri sull’Afganistan, ha descritto il muro dinanzi al quale si trovano gli occupanti, con gli Stati Uniti in testa: “non è possibile vincere militarmente questa guerra, ma neppure è possibile andarsene e lasciare l' Afganistan nel caos„. Gli Stati Uniti e gli alleati che integrano la forza internazionale d'Assistenza alla sicurezza affrontano problemi politici, militari, etnici e religiosi. Sull'argomento, Olivier Roy sottolinea che uno dei più grandi errori che ha commesso l' Amministrazione Bush è stata di rifiutare di negoziare con i settori più duri del movimento talibán. “L'Amministrazione Bush - spiega Oliver Roy - considera i talibán come un movimento esclusivamente terroristico. Si vede qui l'ostacolo creato dall'Amministrazione Bush con l’ideologizzazione della guerra contro il terrorismo. Tuttavia, questo negoziato con un settore dei talibán rappresenta la sola uscita.„ La NATO è a tal punto impantanata che, ancora una volta, sembra essere stata incapace di gestire con efficacia la risposta all’imboscata dove sono morti i 10 soldati francesi. I soldati francesi che sono sopravvissuti all’attacco hanno descritto scene degne di un brutto film: lunghe ore di combattimento senza appoggio, coordinamento erroneo, lentezza scandalosa del comando centrale per inviare i rinforzi adeguati. Uno dei feriti ha ammesso: “Noi non avevamo più altre munizioni„. La relazione ufficiale sull’imboscata contrasta fino all’assurdo con le testimonianze dei soldati che sono intervenuti nei combattimenti. Uno dei superstiti ha raccontato a Le Monde che l’alto numero di vittime si spiega perché i soldati sono stati bersaglio delle stesse forze NATO che dovevano salvarli. Nulla espone meglio la palude nella quale si trova la NATO come la descrizione tecnica dell’imboscata. Non si è preparato il terreno prima dell'arrivo del corpo dei soldati francesi, non si è attivata neppure una forza di reazione rapida per prevenire ogni problema, né si è realizzato, prima, un lavoro d'intelligence. I soldati sono caduti nella trappola dell’inefficienza e della mancanza di coordinamento. In modo compatto, gli analisti riconoscono che i talibán hanno guadagnato in efficacia grazie alla crisi nella quale è immerso il Pakistán, paese vicino dal quale operano con qualsiasi impunità protetti nelle zone tribali (FATA, Federally Administered Tribal Areas), dove vivono i pashtunes (la stessa etnia dei talibán). Il vuoto di potere in Pakistán derivato da anni di paralisi e tensioni politiche ha creato condizioni simili a quelle che esistevano prima della caduta del regime talibán: Il Pakistán è un territorio di transito e di addestramento. Sull'argomento, Ahmed Rashid, un saggista esauriente che è divenuto celebre con il libro “L'ombra del Talibán”, ha spiegato a Le Monde che “la strategia dei talibán consiste nel creare una crisi così grande nell'ambito della NATO affinchè qualche paese annunci il suo ritiro dalla coalizione militare presente in Afganistan„. Rashid rivela che ci sono “centinaia di combattenti che vengono dall'Iraq. Ci sono anche arabi e pakistani, islamisti che provengono dal Cashemire e dall'Asia centrale„. Ahmed Rashid avanza anche un'informazione che rivela il fallimento completo delle operazioni militari condotte fino ad ora: “Dal 2001, la riorganizzazione dei talibán porta la firma di Al Qaida„.


di Eduardo Febbro (*)


(*) Desde París.



Imperialisti di destra e imperialisti di sinistra

Dalla pubblicazione su Voltairenet.org di un articolo di Thierry Meyssan sul ruolo di Albert Einstein Institution nelle pseudo “rivoluzioni” colorate organizzate dalla CIA, quest'organismo ed i suoi rappresentanti sono stati esclusi dalle principali tribune anti-imperialiste. Negando, in totale cattiva fede le accuse a carico, degli intellettuali della sinistra statunitensi tentano di riabilitare quest'istituto così utile alla sovranità “soft” sul resto del mondo. Anziché essere un dibattito, è un momento di verità.
Inizialmente passato inosservato, l'articolo “Albert Einstein Institution: la non-violenza versione CIA”, pubblicato su Voltairenet.org il 4 gennaio 2005 (1), ha suscitato un dibattito internazionale quando il presidente Hugo Chavez Frias ne ha dato lettura pubblica il 3 giugno 2007 (2). Poco dopo, il fondatore di quest'istituto di ricerca, Gene Sharp ha scritto una lettera aperta al presidente Chavez per chiedergli di riconsiderare le sue opinioni ed una seconda alla mia attenzione per chiedermi di tornare alla resipiscenza (3).
Poiché queste missive non hanno convinto, numerosi autori hanno sviluppato la critica all’Albert Einstein Institution, in particolare la dott.ssa Eva Golinger in Venezuela (4). Per fermare la polemica, il professore Stephen Zunes, personalità in vista presso l’intelligencia progressista statunitense ha preso la difesa del suo amico Gene Sharp ed ha riunito firme prestigiose, tra cui quella di Noam Chomsky, attorno ad una petizione di sostegno (5).
La dott.ssa Eva Golinger ha già risposto a Stephen Zunes e mi asterrò da riprendere qui le sue argomentazioni che dividono tutti (6). Considerando che gli articoli del dossier sono chiarificanti per l’Albert Einstein Institution, non discuterei di nuovo la questione ormai ben conosciuta sul ruolo di quest'organismo nelle pretese “rivoluzioni” colorate. Mi concentrerò sul significato e le motivazioni della petizione iniziata dal professore Zunes.
In occasione dell'indipendenza dell'India, Mohandas K. Gandhi, presentava la lotta contro l’imperialismo britannico sotto un aspetto religioso e morale. Intendeva costruire un'India indipendente avente l’induismo per religione nazionale ed organizzata attorno al sistema delle caste. Contrariamente a ciò che si pensa spesso, non s’era opposto alla violenza in sé, ma considerava che doveva essere esclusiva della casta degli Kshatriya. Aveva dunque immaginato un modo di lotta anti-imperialista per le altre caste: la non-violenza.
Gandhi s’era rivoltato alla sovranità britannica. Ma era invece indifferente alla dominazione di alcune caste su altre, ed a esclusione dei pariah, non vi percepiva alcuna violenza. Gandhi diresse il movimento di liberazione nazionale in una difficile coabitazione con Jawaharlal Nehru. Quest'ultimo immaginava un'India indipendente laica e socialista, liberatasi dal sistema delle caste. La loro azione comune permise di cacciare l'occupante. Il progetto di società del Mahatma Gandhi non poté trionfare.
Per timore, i musulmani esigettero la creazione del Pakistan. La divisione del paese fece un mezzo milione di morti e dodici milioni di profughi in pochi giorni. Così, la non-violenza di Gandhi, messo al servizio del movimento di liberazione nazionale, ha in gran parte contribuito all'indipendenza dell'India. Lo stessa non-violenza, messa al servizio di un progetto confessionale e reazionario, ha suscitato un gigantesco dramma umano.
L'originalità di Gene Sharp è di avere ripreso la non-violenza di Gandhi, ma anche quella di Henry David Thoreau, di Martin Luther King e di altri ancora, e di inserirlo su un piano militare e politico. È giunto alla conclusione che la non-violenza è una tecnica di combattimento come un'altra, che può essere messa al servizio degli obiettivi più diversi. È sempre stato attento nel tenersi alla larga delle divergenze tra i politicanti, per sottolineare che la sua tecnica può essere adottata da qualsiasi corrente politica. Il suo lavoro ha interessato la NATO, nel progettare una resistenza civile di fronte ai sovietici e la NED/CIA per organizzare delle pseudo-rivoluzioni.
Per difendere l’Albert Einstein Institution, Stephen Zunes cancella via tutte le informazioni disponibili sul cursus dei suoi responsabili e le loro attività che sono state rivelate da Eva Golinger e da me stesso. Oppone allora la credibilità di Gene Sharp, guru di numerosi ecologi, femministe e sindicalisti, alla nostra. Mi qualifica, a torto, come “marxista”, per spaventare il borghese statunitense, afferma che i miei “errori” e quelli della dott.ssa Golinger sarebbero imputabili, allo stesso tempo, ad un effetto ottico ed al nostro pensiero “razzista”. Da un lato, perché l'amministrazione Bush raccomanda aggressivamente dei “cambiamenti di regime”, che i nostri spiriti deboli sospetterebbero dei militanti dei diritti dell'uomo, che desiderano sovvertire le dittature, di essere agenti dell’imperialismo USA. D'altra parte, è animato del razzismo e dell'arroganza occidentale, ché saremmo incapaci di riconoscere la capacità dei popoli del terzo mondo nel condurre azioni politiche e che immagineremmo una manipolazione dietro ogni evento. Non una possibilità!
Eva Golinger è certamente statunitense, ma vive a Caracas ed è bolivariana; io stesso sono certamente francese, ma vivo tra Damasco e Beyrouth e sono radicale. Il bolivarismo ed il radicalismo sono movimenti politici derivati dalla filosofia dei lumi, il primo si è sviluppato nelle Ande contro l’imperialismo spagnola e la schiavitù, il secondo in Francia contro la monarchia e il clericalismo. Nulla a vedere con il marxismo-leninismo, né l’occidento-centrismo. D'altra parte, non troviamo offensivo essere definiti “marxista”.
Stephen Zunes prosegue qualificandoci come “cospirazionisti”, termine peggiorativo, che designa nel gergo atlantista ogni dissidente, particolarmente coloro che non credono al crollo mimetico della Torre n°7 del World Trade Center ed alla smaterializzazione di un aereo nel Pentagono delle Bermude.
“È dunque inquietante che tante fonti d'informazione progressiste abbiano diffuso tali errori così ampiamente, e che tanta gente gli abbia creduto, particolarmente in base alla mancanza palese di elementi solidi per sostenere le loro accuse. Le minor parte di questi articoli (che criticano Sharp) che contengono citazioni utilizza semplicemente fonti screditate da tempo come Meyssan e Golinger”, concludono.
La petizione del professore Zunes si iscrive nel contesto della prossima elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti. Quest'ultimo avrà l'incarico pesante di cambiare l'immagine dell'impero statunitense per garantire la sua perennità. I principali strateghi US adottano un discorso pubblico di denunzia degli aspetti visibili che più colpiscono della politica attuale e chiamano ad una correzione del sistema per salvarlo. Così, l'ex segretario di Stato repubblicano James Baker o l'ex consigliere nazionale alla sicurezza, il democratico Zbigniew Brzezinski, denunciano le guerre di George W. Bush e l'occupazione israeliana dei territori palestinesi, o richiedono la chiusura del campo di Guantanamo. Queste posizioni non hanno dunque nulla di contestatario. Sono evidenti per tutti, fino al vertice dell’estabishment imperiale.
La Commissione bipartisan Armitage-Nye ha elaborato un accordo tra repubblicani e democratici affinché il prossimo presidente, qualunque esso sia, cioè più di un diplomatico-in-capo o di un comandante-in-capo, e che privilegia azioni esterne tipo “rivoluzioni colorate” ad interventi militari. Questo rinnovo della strategia statunitense, ormai basata “sul potere intelligente” (smart power) e neppure sulla forza brutale, corrisponde ad un'oscillazione identica nell'ambito del movimento sionista.
Il gruppo della rivista neo-conservatrice Commentary di John Podhoretz si cancella temporaneamente a profitto di quella della rivista progressista Tikkun del rabbino Michael Lerner. La nuova punta di diamante del sionismo si è data come obiettivo spiritualizzare la sinistra statunitense, come Commentary ha fatta con la destra. Tikkun fa campagna perché Barack Obama proponga un Piano Marshall globale, sul modello di ciò che fecero la CIA ed il dipartimento di Stato nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale per vassallizzare l'Europa occidentale. Milita per “la giustizia sociale per i palestinesi e la sicurezza di Israele” (e non l'inverso), nega la situazione di segregazione di cui sono vittime i cittadini israeliani musulmani e cristiani, come pure il diritto al ritorno dei deportati. Tikkun chiama i dirigenti palestinesi ad abbandonare il terrorismo per la non violenza. Afferma che l'occupazione israeliana non potrà avere fine finché gli Israeliani non avranno garanzie per la loro sicurezza e che “i palestinesi non avranno dato prova che riconoscono gli Israeliani come creati a immagine di dio”.
Il professore di scienze politiche all'università di San Francisco e specialista del Medio Oriente, Stephen Zunes è l'autore di Tinderbox : U.S. Foreign Policy and the Roots of Terrorism (la polveriera: la politica estera statunitense e le radici del terrorismo). Vi promuove l'idea che è il sostegno degli Stati Uniti ai regimi autorevoli del Medio Oriente che produce in reazione il terrorismo anti-USA. Gli Stati Uniti non sarebbero dunque odiati a causa dei loro valori, ma perché i loro dirigenti li ridicolizzano sostenendo cinicamente dei dittatori. Quest'argomento è caratteristico della propaganda di relifting dell'impero. Occulta il finanziamento comune dei principali gruppi “islamismi” da parte di Riad e Washington per rispondere ai movimenti rivoluzionari, laici o religiosi. Assolve, allo stesso tempo, i dirigenti statunitensi ed il loro popolo dai crimini commessi, poiché i primi avrebbero tradito gli ideali che i secondi non hanno mai messo in pratica. Simultaneamente, demonizza allo stesso tempo i dirigenti ed i popoli arabi, i primi come dittatori ed i secondi come terroristi.
Nei suoi lavori, Stephen Zunes – come il suo amico Noam Chomsky (7) – s’impegna a presentare Israele come vittima dei diktat US e come non responsabili della situazione in Palestina. La petizione di Stephen Zunes ci comunica una cosa: alcune figure intellettuali della sinistra statunitense si spacciano per anti-imperialiste, ma difendono il sistema quando lo sporco lavoro è fatto con discrezione. A questo proposito, non è indifferente che il sig. Zunes ed i suoi assistenti difendano i miti dell'impero, gli pseudo-“valori americani” e il fantasma del complotto islamico mondiale.

Note
[1] «L’Albert Einstein Institution: la non-violence version CIA - http://www.voltairenet.org/article15870.html», par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 4 jqnvier 2005.
[2] «Vidéo: Hugo Chávez recommande la lecture des enquêtes de Thierry Meyssan - http://www.voltairenet.org/article148776.html», Réseau Voltaire, 4 juin 2007.
[3] Voir «Responses to Attacks - http://www.aeinstein.org/organizations_attack_responses.html», sur le site de l’Albert Einstein Institution.
[4] Elle avait déjà publié Bush vs. Chavez. La guerra de Washington contra Venezuela, Monte Avila, 2006.
[5] Article argumentaire: «Sharp Attack Unwarranted - http://www.fpif.org/fpiftxt/5327», par Stephen Zunes, Foreign Policy in Focus, 28 juin 2008. Article repris par divers journaux comme le Hufinggton Post et de nombreux sites de gauche. Pétition: «Open Letter in Support of Gene Sharp and Strategic Nonviolent Action - http://www.stephenzunes.org/petition/».
[6] «Making Excuses for Empire : Reply to Defenders of the AEI - http://www.venezuelanalysis.com/analysis/3690», par George Ciccariello-Maher et Eva Golinger, Venezuela Analysis, 4 août 2008.
[7] «Le contrôle des dégâts: Noam Chomsky et le conflit israélo-israélien - http://www.voltairenet.org/article142491.html», «Contrairement aux théories de Chomsky, les États-Unis n’ont aucun intérêt à soutenir Israël - http://www.voltairenet.org/article143143.html» et «Comment Chomsky a occulté l’influence du lobby pro-israélien sur la politique des États-Unis - http://www.voltairenet.org/article143147.html», par Jeff Blankfort, Réseau Voltaire, août 2006


di Thierry Meyssan

Doctor Pil


Nemmeno questo, l’Australia, voglio dire, è il paese ideale, degno di quel “migliore dei mondi possibili” che forniva a Voltaire argomento di che beffarsi nei riguardi di Leibniz: un caso di corruzione politica è saltato fuori anche qui - roba piccina, trascurabile per noi che la sappiamo lunga, ma corruzione resta – e l’altro ieri, dopo tante lacrime versate dai bambini, gli Aussies, come i locali chiamano loro stessi, hanno fatto fuori un cucciolo di balena, peraltro sanissimo, che scienziati e tecnologi del XXI secolo non sono riusciti a nutrire perché il latte dei cetacei è fuori portata. Però bisogna accontentarsi e noi italiani, addestrati come siamo, ci accontentiamo facilmente.

Qui le notizie dall’Italia arrivano con il contagocce e io non le cerco. L’Italia è dall’altra parte del globo in tutti i sensi e l’immagine stereotipa della terra multicolore degli spaghetti e dei mandolini prevale. Un’immagine del tutto innocente, perfino affettuosa e certo senza traccia di disprezzo che non sospetta nemmeno da lontano il degrado in cui quel bizzarro stivale sta affondando, ma quella è: spaghetti e mandolini.

A Sydney, città in cui ci troviamo ancora una volta, io sto scrivendo un libro e mia moglie insegna all’UTS, una delle università di quaggiù, dove ti guardano come se tu avessi voglia di scherzare se tenti di raccontare che da noi c’è chi sostiene - ovviamente senza aver mai osservato il fenomeno, ma questo da noi non conta - che le nanopolveri passino indifferenti per l’organismo e che, addirittura, quelle che abbiamo fotografato noi nel corpo umano (almeno un migliaio di casi), leghe metalliche che vanno dai vari acciai fino a composizioni inorganiche mai viste prima perché del tutto casuali, siano sciolte dallo stomaco e svaniscano discretamente nel nulla. Mi accorgo subito di aver sbagliato strada e lascio perdere l’argomento. Per quanto io non sia particolarmente orgoglioso della mia italianità (e di questo ringrazio i politicanti, gli accademici e i faccendieri che razziano uno dei paesi più belli del mondo,) non mi va che ci considerino dei

ciarlatani.

E, a proposito di questo, della ciarlataneria, mi auguro che sia passato del tutto inosservato un articolo pubblicato da Repubblica il cui testo mi è stato mandato da un paio d’amici sempre più disperati.

Nel grottesco teatro della commedia dell’arte italiota su cui transitano maschere altrove improponibili, avanzano sempre meno di rado fino alla ribalta personaggi che, se non ne fosse tristemente nota la realtà, parrebbero partoriti dalla fantasia amara di qualche scrittore. Dei politicanti nostrani è inutile dire: TV e giornali ce li propinano, crudeli e insistenti, contrabbandandoceli con nascosta ironia, un po’ alla Swift, come autorevoli reggitori delle sorti dello stato; addirittura c’è chi tra loro veste gli abiti di scena dell’indignato paladino della legalità per poi, in verità in modo del tutto solare menando per il naso i propri vocianti tifosi, farsi gli affari suoi, affari che comportano, tra l’altro, la sistematica e costosissima devastazione dell’ambiente.

Per i nostri uomini d’affari è altrettanto inutile spendere più di tante parole: gli affari li fanno ormai per indiscussa tradizione a spese del popol bue, dove con il termine spese non s’intende solo il poco denaro che resta ma l’ambiente, la salute e la prole, per intascare quattrini quando ne arrivano e comunque arrivino, e rifiutare di vedere il conto quando ci sarebbe da pagare.

L’accademia ruspante nostrana? Scorriamo velocemente le classifiche mondiali, facciamo due chiacchiere con qualcuno dei laureati recenti (“incenerendo i rifiuti si trasforma la materia in energia,” afferma, appunti alla mano, un neo-ingegnere ambientale) ed allontaniamoci con la rapidità che le gambe ci consentono.

Ma torniamo all’articolo di Repubblica. Per motivi di mercato, con l’accordo di tutta la combriccola che conta, un medico italiano, fortunatamente qui del tutto ignoto, è stato issato ai vertici della scienza. Mica quella vera, s’intende: quella della finzione scenica iperreale. Il personaggio, venerando per età eppure ancora faustianamente prestante, si è distinto spesso per certe esternazioni degne della penna di Molière, al cui proposito resta l’imbarazzo della scelta: da un basilico giovane mortifero ad una polenta che ti fa venire il cancro se non è OGM; da una consulenza tragicomica sull’incenerimento dei rifiuti estesa per volontà dello statista Cuffaro ad uno sproloquio televisivo, breve e folgorante, su quella tecnica, con pollice ed indice uniti in cerchio ad avvalorare con la forza di un post-aristotelico principium autoritatis la dimostrazione che bruciare porcherie è pratica del tutto salubre. Poi ci sarebbe da dire del carbone “pulito” ENEL, del nucleare di regime e via discorrendo. Ciò che affermano le varie federazioni dei medici, le indagini epidemiologiche, i fatti nudi e crudi, il buon senso, la legge stessa? Che importa? La verità ricevuta dal popol bue, quello che fa numero e che corre a mettere i soldini, è quanto esce dal tubo catodico con tanto di curriculum fatto di cremoni scioglipancia e sali anti-malocchio, di gioielli raffazzonati con i fondi di bottiglia e di tele incrostate in serie, di servizi sulle mirabolanti prestazioni del “termoutilizzatore” bresciano e di notizie accuratamente taciute per risparmiare imbarazzi.

Orbene, lo scienziato di casta gode di uno stuolo di sponsor multimilionari che vanno accontentati. Do ut des. Già è stato il turno di chi costruisce inceneritori, di chi fa centrali elettriche, di chi gestisce i rifiuti… Ora tocca ai miliardari (in Euro) che fabbricano farmaci, qualunque significato si voglia attribuire ad una collezione di sostanze la cui efficacia resta non troppo raramente confinata ad articoli “scientifici” commissionati a scienziati a noleggio e la cui nocività (i farmaci sono tutti veleni e vanno usati solo in caso di comprovata necessità, come m’insegnarono alla prima lezione universitaria nel 1968) viene archiviata nel silenzio non di tomba ma delle tombe. Quando, poi, non si scova nemmeno una malattia adatta per un prodotto nuovo, quasi sempre costato milioni, la malattia s’inventa. E, se proprio la fantasia non può soccorrere altrimenti, si escogita una forma di prevenzione per una patologia qualunque, rara, improbabile o del tutto inesistente che questa sia. Che importa? Business is business e le imprese industriali e commerciali mica hanno come mission la beneficenza. “Sì, quello che mi fa vedere è interessante – mi dicono gl’industriali – ma, se faccio quello che mi dice lei, come lo giustifico con gli azionisti?” Giusto: come lo giustifica con chi preferisce un pacco di biglietti di banca a qualsiasi altra cosa, salute non affatto esclusa?

Così, ecco l’oracolo di Repubblica: il cancro si previene con un’alimentazione corretta (polveri, diossine, benzene, IPA, PCB…: Tutta salute!) e, soprattutto (strizzatina d’occhio), sottoponendosi ad una bella dieta preventiva a base di farmaci. Tanti. Costosi. Quelli che dice lui. Per tutta la vita, finché la morte non ci separi.

E io che, decenni fa, ho perso tempo all’università a studiare che cosa mai fosse la prevenzione: primaria, secondaria, terziaria.


di Stefano Montanari

06 settembre 2008

Afghanistan , la nuova palude



Una relazione dei servizi segreti francesi ritiene che in questo paese del Golfo, la NATO si è incamminata in una strada senza uscita. I talibán si sono riorganizzati ed hanno guadagnato efficacia grazie alla crisi nella quale è immerso il Pakistán. Dei due conflitti scatenati dalle amministrazioni di George W. Bush, in Afganistan nel 2001 e in Iraq nel 2003, la Casa Bianca perde quello che, a parere dell’opinione pubblica internazionale, è il più legittimo tra i due: quello in Afganistan. Questa guerra e l' occupazione successiva di questo paese con una forza internazionale discende direttamente dagli attentati dell’11 settembre. Quella è stato la purga con la quale la Casa Bianca ha punito chi aveva protetto Osama bin Laden ed aveva fatto crescere le basi di Al Qaida sul suo territorio. L'imboscata tesa martedì scorso da un commando talibán e nella quale sono morti 10 soldati francesi non soltanto costituisce l'attacco più grave sofferto dalla forza internazionale d'Assistenza alla Sicurezza (ISAF) dal suo spiegamento nel 2003, ma anche la prova che “gli studenti di teologia„ che furono amici degli Stati Uniti ma che Washington scalzò dal potere nel 2001 si sono riorganizzati e sono capaci di operare in regioni molto vicine alla capitale, Kaboul. Esperti, analisti e gli stessi protagonisti riconoscono che le opzioni sono lettere morta che conducono ad una stessa pista: la guerra senza fine. Il ministro francese della difesa, Hervé Morin, ha fatto allo stesso tempo un riassunto breve ed esemplificativo del contesto militare: “I combattimenti sono ogni volta più difficili perché i talibán sono capaci di mettere in pratica tattiche molto più agguerrite di prima„. Una relazione dei servizi segreti francesi ritiene che, in Afganistan, la NATO (alleanza atlantica) “è su una strada senza uscita, totale e duratura„. Tuttavia, il discorso ufficiale nelle capitali occidentali è uguale a quello che Bush emette da anni: la guerra contro il terrorismo, il compromesso con la democrazia in queste regioni del mondo, ecc. ma i 70 mila uomini della forza internazionale dispiegati in territorio afgano da molti anni non ha ottenuto, come in Iraq, né di fermare la guerra né di conformare le pratiche democratiche [di questo paese] alla maniera occidentale. Gli studenti di teologia sono tornati in primo piano ed il loro obiettivo è Kaboul. Habibullah Rafi uno storico ed un analista politico afgano, sostiene che la resurrezione dei talibán è dovuta in gran parte alla mancanza di abilità degli occupanti: “Quando i nordamericani hanno sostituito il regime, i talibán svanirono. Ma a seguito dei bombardamenti, che la maggior parte delle volte hanno causato perdite civili, i talibán hanno conquistato nuovamente la popolazione. La gente non dà aiuto, ma chiude gli occhi„. In un'intervista pubblicata da Liberation, Olivier Roy, uno degli esperti internazionali più solidi dell’Asia centrale ed autore di molti libri sull’Afganistan, ha descritto il muro dinanzi al quale si trovano gli occupanti, con gli Stati Uniti in testa: “non è possibile vincere militarmente questa guerra, ma neppure è possibile andarsene e lasciare l' Afganistan nel caos„. Gli Stati Uniti e gli alleati che integrano la forza internazionale d'Assistenza alla sicurezza affrontano problemi politici, militari, etnici e religiosi. Sull'argomento, Olivier Roy sottolinea che uno dei più grandi errori che ha commesso l' Amministrazione Bush è stata di rifiutare di negoziare con i settori più duri del movimento talibán. “L'Amministrazione Bush - spiega Oliver Roy - considera i talibán come un movimento esclusivamente terroristico. Si vede qui l'ostacolo creato dall'Amministrazione Bush con l’ideologizzazione della guerra contro il terrorismo. Tuttavia, questo negoziato con un settore dei talibán rappresenta la sola uscita.„ La NATO è a tal punto impantanata che, ancora una volta, sembra essere stata incapace di gestire con efficacia la risposta all’imboscata dove sono morti i 10 soldati francesi. I soldati francesi che sono sopravvissuti all’attacco hanno descritto scene degne di un brutto film: lunghe ore di combattimento senza appoggio, coordinamento erroneo, lentezza scandalosa del comando centrale per inviare i rinforzi adeguati. Uno dei feriti ha ammesso: “Noi non avevamo più altre munizioni„. La relazione ufficiale sull’imboscata contrasta fino all’assurdo con le testimonianze dei soldati che sono intervenuti nei combattimenti. Uno dei superstiti ha raccontato a Le Monde che l’alto numero di vittime si spiega perché i soldati sono stati bersaglio delle stesse forze NATO che dovevano salvarli. Nulla espone meglio la palude nella quale si trova la NATO come la descrizione tecnica dell’imboscata. Non si è preparato il terreno prima dell'arrivo del corpo dei soldati francesi, non si è attivata neppure una forza di reazione rapida per prevenire ogni problema, né si è realizzato, prima, un lavoro d'intelligence. I soldati sono caduti nella trappola dell’inefficienza e della mancanza di coordinamento. In modo compatto, gli analisti riconoscono che i talibán hanno guadagnato in efficacia grazie alla crisi nella quale è immerso il Pakistán, paese vicino dal quale operano con qualsiasi impunità protetti nelle zone tribali (FATA, Federally Administered Tribal Areas), dove vivono i pashtunes (la stessa etnia dei talibán). Il vuoto di potere in Pakistán derivato da anni di paralisi e tensioni politiche ha creato condizioni simili a quelle che esistevano prima della caduta del regime talibán: Il Pakistán è un territorio di transito e di addestramento. Sull'argomento, Ahmed Rashid, un saggista esauriente che è divenuto celebre con il libro “L'ombra del Talibán”, ha spiegato a Le Monde che “la strategia dei talibán consiste nel creare una crisi così grande nell'ambito della NATO affinchè qualche paese annunci il suo ritiro dalla coalizione militare presente in Afganistan„. Rashid rivela che ci sono “centinaia di combattenti che vengono dall'Iraq. Ci sono anche arabi e pakistani, islamisti che provengono dal Cashemire e dall'Asia centrale„. Ahmed Rashid avanza anche un'informazione che rivela il fallimento completo delle operazioni militari condotte fino ad ora: “Dal 2001, la riorganizzazione dei talibán porta la firma di Al Qaida„.


di Eduardo Febbro (*)


(*) Desde París.



Imperialisti di destra e imperialisti di sinistra

Dalla pubblicazione su Voltairenet.org di un articolo di Thierry Meyssan sul ruolo di Albert Einstein Institution nelle pseudo “rivoluzioni” colorate organizzate dalla CIA, quest'organismo ed i suoi rappresentanti sono stati esclusi dalle principali tribune anti-imperialiste. Negando, in totale cattiva fede le accuse a carico, degli intellettuali della sinistra statunitensi tentano di riabilitare quest'istituto così utile alla sovranità “soft” sul resto del mondo. Anziché essere un dibattito, è un momento di verità.
Inizialmente passato inosservato, l'articolo “Albert Einstein Institution: la non-violenza versione CIA”, pubblicato su Voltairenet.org il 4 gennaio 2005 (1), ha suscitato un dibattito internazionale quando il presidente Hugo Chavez Frias ne ha dato lettura pubblica il 3 giugno 2007 (2). Poco dopo, il fondatore di quest'istituto di ricerca, Gene Sharp ha scritto una lettera aperta al presidente Chavez per chiedergli di riconsiderare le sue opinioni ed una seconda alla mia attenzione per chiedermi di tornare alla resipiscenza (3).
Poiché queste missive non hanno convinto, numerosi autori hanno sviluppato la critica all’Albert Einstein Institution, in particolare la dott.ssa Eva Golinger in Venezuela (4). Per fermare la polemica, il professore Stephen Zunes, personalità in vista presso l’intelligencia progressista statunitense ha preso la difesa del suo amico Gene Sharp ed ha riunito firme prestigiose, tra cui quella di Noam Chomsky, attorno ad una petizione di sostegno (5).
La dott.ssa Eva Golinger ha già risposto a Stephen Zunes e mi asterrò da riprendere qui le sue argomentazioni che dividono tutti (6). Considerando che gli articoli del dossier sono chiarificanti per l’Albert Einstein Institution, non discuterei di nuovo la questione ormai ben conosciuta sul ruolo di quest'organismo nelle pretese “rivoluzioni” colorate. Mi concentrerò sul significato e le motivazioni della petizione iniziata dal professore Zunes.
In occasione dell'indipendenza dell'India, Mohandas K. Gandhi, presentava la lotta contro l’imperialismo britannico sotto un aspetto religioso e morale. Intendeva costruire un'India indipendente avente l’induismo per religione nazionale ed organizzata attorno al sistema delle caste. Contrariamente a ciò che si pensa spesso, non s’era opposto alla violenza in sé, ma considerava che doveva essere esclusiva della casta degli Kshatriya. Aveva dunque immaginato un modo di lotta anti-imperialista per le altre caste: la non-violenza.
Gandhi s’era rivoltato alla sovranità britannica. Ma era invece indifferente alla dominazione di alcune caste su altre, ed a esclusione dei pariah, non vi percepiva alcuna violenza. Gandhi diresse il movimento di liberazione nazionale in una difficile coabitazione con Jawaharlal Nehru. Quest'ultimo immaginava un'India indipendente laica e socialista, liberatasi dal sistema delle caste. La loro azione comune permise di cacciare l'occupante. Il progetto di società del Mahatma Gandhi non poté trionfare.
Per timore, i musulmani esigettero la creazione del Pakistan. La divisione del paese fece un mezzo milione di morti e dodici milioni di profughi in pochi giorni. Così, la non-violenza di Gandhi, messo al servizio del movimento di liberazione nazionale, ha in gran parte contribuito all'indipendenza dell'India. Lo stessa non-violenza, messa al servizio di un progetto confessionale e reazionario, ha suscitato un gigantesco dramma umano.
L'originalità di Gene Sharp è di avere ripreso la non-violenza di Gandhi, ma anche quella di Henry David Thoreau, di Martin Luther King e di altri ancora, e di inserirlo su un piano militare e politico. È giunto alla conclusione che la non-violenza è una tecnica di combattimento come un'altra, che può essere messa al servizio degli obiettivi più diversi. È sempre stato attento nel tenersi alla larga delle divergenze tra i politicanti, per sottolineare che la sua tecnica può essere adottata da qualsiasi corrente politica. Il suo lavoro ha interessato la NATO, nel progettare una resistenza civile di fronte ai sovietici e la NED/CIA per organizzare delle pseudo-rivoluzioni.
Per difendere l’Albert Einstein Institution, Stephen Zunes cancella via tutte le informazioni disponibili sul cursus dei suoi responsabili e le loro attività che sono state rivelate da Eva Golinger e da me stesso. Oppone allora la credibilità di Gene Sharp, guru di numerosi ecologi, femministe e sindicalisti, alla nostra. Mi qualifica, a torto, come “marxista”, per spaventare il borghese statunitense, afferma che i miei “errori” e quelli della dott.ssa Golinger sarebbero imputabili, allo stesso tempo, ad un effetto ottico ed al nostro pensiero “razzista”. Da un lato, perché l'amministrazione Bush raccomanda aggressivamente dei “cambiamenti di regime”, che i nostri spiriti deboli sospetterebbero dei militanti dei diritti dell'uomo, che desiderano sovvertire le dittature, di essere agenti dell’imperialismo USA. D'altra parte, è animato del razzismo e dell'arroganza occidentale, ché saremmo incapaci di riconoscere la capacità dei popoli del terzo mondo nel condurre azioni politiche e che immagineremmo una manipolazione dietro ogni evento. Non una possibilità!
Eva Golinger è certamente statunitense, ma vive a Caracas ed è bolivariana; io stesso sono certamente francese, ma vivo tra Damasco e Beyrouth e sono radicale. Il bolivarismo ed il radicalismo sono movimenti politici derivati dalla filosofia dei lumi, il primo si è sviluppato nelle Ande contro l’imperialismo spagnola e la schiavitù, il secondo in Francia contro la monarchia e il clericalismo. Nulla a vedere con il marxismo-leninismo, né l’occidento-centrismo. D'altra parte, non troviamo offensivo essere definiti “marxista”.
Stephen Zunes prosegue qualificandoci come “cospirazionisti”, termine peggiorativo, che designa nel gergo atlantista ogni dissidente, particolarmente coloro che non credono al crollo mimetico della Torre n°7 del World Trade Center ed alla smaterializzazione di un aereo nel Pentagono delle Bermude.
“È dunque inquietante che tante fonti d'informazione progressiste abbiano diffuso tali errori così ampiamente, e che tanta gente gli abbia creduto, particolarmente in base alla mancanza palese di elementi solidi per sostenere le loro accuse. Le minor parte di questi articoli (che criticano Sharp) che contengono citazioni utilizza semplicemente fonti screditate da tempo come Meyssan e Golinger”, concludono.
La petizione del professore Zunes si iscrive nel contesto della prossima elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti. Quest'ultimo avrà l'incarico pesante di cambiare l'immagine dell'impero statunitense per garantire la sua perennità. I principali strateghi US adottano un discorso pubblico di denunzia degli aspetti visibili che più colpiscono della politica attuale e chiamano ad una correzione del sistema per salvarlo. Così, l'ex segretario di Stato repubblicano James Baker o l'ex consigliere nazionale alla sicurezza, il democratico Zbigniew Brzezinski, denunciano le guerre di George W. Bush e l'occupazione israeliana dei territori palestinesi, o richiedono la chiusura del campo di Guantanamo. Queste posizioni non hanno dunque nulla di contestatario. Sono evidenti per tutti, fino al vertice dell’estabishment imperiale.
La Commissione bipartisan Armitage-Nye ha elaborato un accordo tra repubblicani e democratici affinché il prossimo presidente, qualunque esso sia, cioè più di un diplomatico-in-capo o di un comandante-in-capo, e che privilegia azioni esterne tipo “rivoluzioni colorate” ad interventi militari. Questo rinnovo della strategia statunitense, ormai basata “sul potere intelligente” (smart power) e neppure sulla forza brutale, corrisponde ad un'oscillazione identica nell'ambito del movimento sionista.
Il gruppo della rivista neo-conservatrice Commentary di John Podhoretz si cancella temporaneamente a profitto di quella della rivista progressista Tikkun del rabbino Michael Lerner. La nuova punta di diamante del sionismo si è data come obiettivo spiritualizzare la sinistra statunitense, come Commentary ha fatta con la destra. Tikkun fa campagna perché Barack Obama proponga un Piano Marshall globale, sul modello di ciò che fecero la CIA ed il dipartimento di Stato nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale per vassallizzare l'Europa occidentale. Milita per “la giustizia sociale per i palestinesi e la sicurezza di Israele” (e non l'inverso), nega la situazione di segregazione di cui sono vittime i cittadini israeliani musulmani e cristiani, come pure il diritto al ritorno dei deportati. Tikkun chiama i dirigenti palestinesi ad abbandonare il terrorismo per la non violenza. Afferma che l'occupazione israeliana non potrà avere fine finché gli Israeliani non avranno garanzie per la loro sicurezza e che “i palestinesi non avranno dato prova che riconoscono gli Israeliani come creati a immagine di dio”.
Il professore di scienze politiche all'università di San Francisco e specialista del Medio Oriente, Stephen Zunes è l'autore di Tinderbox : U.S. Foreign Policy and the Roots of Terrorism (la polveriera: la politica estera statunitense e le radici del terrorismo). Vi promuove l'idea che è il sostegno degli Stati Uniti ai regimi autorevoli del Medio Oriente che produce in reazione il terrorismo anti-USA. Gli Stati Uniti non sarebbero dunque odiati a causa dei loro valori, ma perché i loro dirigenti li ridicolizzano sostenendo cinicamente dei dittatori. Quest'argomento è caratteristico della propaganda di relifting dell'impero. Occulta il finanziamento comune dei principali gruppi “islamismi” da parte di Riad e Washington per rispondere ai movimenti rivoluzionari, laici o religiosi. Assolve, allo stesso tempo, i dirigenti statunitensi ed il loro popolo dai crimini commessi, poiché i primi avrebbero tradito gli ideali che i secondi non hanno mai messo in pratica. Simultaneamente, demonizza allo stesso tempo i dirigenti ed i popoli arabi, i primi come dittatori ed i secondi come terroristi.
Nei suoi lavori, Stephen Zunes – come il suo amico Noam Chomsky (7) – s’impegna a presentare Israele come vittima dei diktat US e come non responsabili della situazione in Palestina. La petizione di Stephen Zunes ci comunica una cosa: alcune figure intellettuali della sinistra statunitense si spacciano per anti-imperialiste, ma difendono il sistema quando lo sporco lavoro è fatto con discrezione. A questo proposito, non è indifferente che il sig. Zunes ed i suoi assistenti difendano i miti dell'impero, gli pseudo-“valori americani” e il fantasma del complotto islamico mondiale.

Note
[1] «L’Albert Einstein Institution: la non-violence version CIA - http://www.voltairenet.org/article15870.html», par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 4 jqnvier 2005.
[2] «Vidéo: Hugo Chávez recommande la lecture des enquêtes de Thierry Meyssan - http://www.voltairenet.org/article148776.html», Réseau Voltaire, 4 juin 2007.
[3] Voir «Responses to Attacks - http://www.aeinstein.org/organizations_attack_responses.html», sur le site de l’Albert Einstein Institution.
[4] Elle avait déjà publié Bush vs. Chavez. La guerra de Washington contra Venezuela, Monte Avila, 2006.
[5] Article argumentaire: «Sharp Attack Unwarranted - http://www.fpif.org/fpiftxt/5327», par Stephen Zunes, Foreign Policy in Focus, 28 juin 2008. Article repris par divers journaux comme le Hufinggton Post et de nombreux sites de gauche. Pétition: «Open Letter in Support of Gene Sharp and Strategic Nonviolent Action - http://www.stephenzunes.org/petition/».
[6] «Making Excuses for Empire : Reply to Defenders of the AEI - http://www.venezuelanalysis.com/analysis/3690», par George Ciccariello-Maher et Eva Golinger, Venezuela Analysis, 4 août 2008.
[7] «Le contrôle des dégâts: Noam Chomsky et le conflit israélo-israélien - http://www.voltairenet.org/article142491.html», «Contrairement aux théories de Chomsky, les États-Unis n’ont aucun intérêt à soutenir Israël - http://www.voltairenet.org/article143143.html» et «Comment Chomsky a occulté l’influence du lobby pro-israélien sur la politique des États-Unis - http://www.voltairenet.org/article143147.html», par Jeff Blankfort, Réseau Voltaire, août 2006


di Thierry Meyssan

Doctor Pil


Nemmeno questo, l’Australia, voglio dire, è il paese ideale, degno di quel “migliore dei mondi possibili” che forniva a Voltaire argomento di che beffarsi nei riguardi di Leibniz: un caso di corruzione politica è saltato fuori anche qui - roba piccina, trascurabile per noi che la sappiamo lunga, ma corruzione resta – e l’altro ieri, dopo tante lacrime versate dai bambini, gli Aussies, come i locali chiamano loro stessi, hanno fatto fuori un cucciolo di balena, peraltro sanissimo, che scienziati e tecnologi del XXI secolo non sono riusciti a nutrire perché il latte dei cetacei è fuori portata. Però bisogna accontentarsi e noi italiani, addestrati come siamo, ci accontentiamo facilmente.

Qui le notizie dall’Italia arrivano con il contagocce e io non le cerco. L’Italia è dall’altra parte del globo in tutti i sensi e l’immagine stereotipa della terra multicolore degli spaghetti e dei mandolini prevale. Un’immagine del tutto innocente, perfino affettuosa e certo senza traccia di disprezzo che non sospetta nemmeno da lontano il degrado in cui quel bizzarro stivale sta affondando, ma quella è: spaghetti e mandolini.

A Sydney, città in cui ci troviamo ancora una volta, io sto scrivendo un libro e mia moglie insegna all’UTS, una delle università di quaggiù, dove ti guardano come se tu avessi voglia di scherzare se tenti di raccontare che da noi c’è chi sostiene - ovviamente senza aver mai osservato il fenomeno, ma questo da noi non conta - che le nanopolveri passino indifferenti per l’organismo e che, addirittura, quelle che abbiamo fotografato noi nel corpo umano (almeno un migliaio di casi), leghe metalliche che vanno dai vari acciai fino a composizioni inorganiche mai viste prima perché del tutto casuali, siano sciolte dallo stomaco e svaniscano discretamente nel nulla. Mi accorgo subito di aver sbagliato strada e lascio perdere l’argomento. Per quanto io non sia particolarmente orgoglioso della mia italianità (e di questo ringrazio i politicanti, gli accademici e i faccendieri che razziano uno dei paesi più belli del mondo,) non mi va che ci considerino dei

ciarlatani.

E, a proposito di questo, della ciarlataneria, mi auguro che sia passato del tutto inosservato un articolo pubblicato da Repubblica il cui testo mi è stato mandato da un paio d’amici sempre più disperati.

Nel grottesco teatro della commedia dell’arte italiota su cui transitano maschere altrove improponibili, avanzano sempre meno di rado fino alla ribalta personaggi che, se non ne fosse tristemente nota la realtà, parrebbero partoriti dalla fantasia amara di qualche scrittore. Dei politicanti nostrani è inutile dire: TV e giornali ce li propinano, crudeli e insistenti, contrabbandandoceli con nascosta ironia, un po’ alla Swift, come autorevoli reggitori delle sorti dello stato; addirittura c’è chi tra loro veste gli abiti di scena dell’indignato paladino della legalità per poi, in verità in modo del tutto solare menando per il naso i propri vocianti tifosi, farsi gli affari suoi, affari che comportano, tra l’altro, la sistematica e costosissima devastazione dell’ambiente.

Per i nostri uomini d’affari è altrettanto inutile spendere più di tante parole: gli affari li fanno ormai per indiscussa tradizione a spese del popol bue, dove con il termine spese non s’intende solo il poco denaro che resta ma l’ambiente, la salute e la prole, per intascare quattrini quando ne arrivano e comunque arrivino, e rifiutare di vedere il conto quando ci sarebbe da pagare.

L’accademia ruspante nostrana? Scorriamo velocemente le classifiche mondiali, facciamo due chiacchiere con qualcuno dei laureati recenti (“incenerendo i rifiuti si trasforma la materia in energia,” afferma, appunti alla mano, un neo-ingegnere ambientale) ed allontaniamoci con la rapidità che le gambe ci consentono.

Ma torniamo all’articolo di Repubblica. Per motivi di mercato, con l’accordo di tutta la combriccola che conta, un medico italiano, fortunatamente qui del tutto ignoto, è stato issato ai vertici della scienza. Mica quella vera, s’intende: quella della finzione scenica iperreale. Il personaggio, venerando per età eppure ancora faustianamente prestante, si è distinto spesso per certe esternazioni degne della penna di Molière, al cui proposito resta l’imbarazzo della scelta: da un basilico giovane mortifero ad una polenta che ti fa venire il cancro se non è OGM; da una consulenza tragicomica sull’incenerimento dei rifiuti estesa per volontà dello statista Cuffaro ad uno sproloquio televisivo, breve e folgorante, su quella tecnica, con pollice ed indice uniti in cerchio ad avvalorare con la forza di un post-aristotelico principium autoritatis la dimostrazione che bruciare porcherie è pratica del tutto salubre. Poi ci sarebbe da dire del carbone “pulito” ENEL, del nucleare di regime e via discorrendo. Ciò che affermano le varie federazioni dei medici, le indagini epidemiologiche, i fatti nudi e crudi, il buon senso, la legge stessa? Che importa? La verità ricevuta dal popol bue, quello che fa numero e che corre a mettere i soldini, è quanto esce dal tubo catodico con tanto di curriculum fatto di cremoni scioglipancia e sali anti-malocchio, di gioielli raffazzonati con i fondi di bottiglia e di tele incrostate in serie, di servizi sulle mirabolanti prestazioni del “termoutilizzatore” bresciano e di notizie accuratamente taciute per risparmiare imbarazzi.

Orbene, lo scienziato di casta gode di uno stuolo di sponsor multimilionari che vanno accontentati. Do ut des. Già è stato il turno di chi costruisce inceneritori, di chi fa centrali elettriche, di chi gestisce i rifiuti… Ora tocca ai miliardari (in Euro) che fabbricano farmaci, qualunque significato si voglia attribuire ad una collezione di sostanze la cui efficacia resta non troppo raramente confinata ad articoli “scientifici” commissionati a scienziati a noleggio e la cui nocività (i farmaci sono tutti veleni e vanno usati solo in caso di comprovata necessità, come m’insegnarono alla prima lezione universitaria nel 1968) viene archiviata nel silenzio non di tomba ma delle tombe. Quando, poi, non si scova nemmeno una malattia adatta per un prodotto nuovo, quasi sempre costato milioni, la malattia s’inventa. E, se proprio la fantasia non può soccorrere altrimenti, si escogita una forma di prevenzione per una patologia qualunque, rara, improbabile o del tutto inesistente che questa sia. Che importa? Business is business e le imprese industriali e commerciali mica hanno come mission la beneficenza. “Sì, quello che mi fa vedere è interessante – mi dicono gl’industriali – ma, se faccio quello che mi dice lei, come lo giustifico con gli azionisti?” Giusto: come lo giustifica con chi preferisce un pacco di biglietti di banca a qualsiasi altra cosa, salute non affatto esclusa?

Così, ecco l’oracolo di Repubblica: il cancro si previene con un’alimentazione corretta (polveri, diossine, benzene, IPA, PCB…: Tutta salute!) e, soprattutto (strizzatina d’occhio), sottoponendosi ad una bella dieta preventiva a base di farmaci. Tanti. Costosi. Quelli che dice lui. Per tutta la vita, finché la morte non ci separi.

E io che, decenni fa, ho perso tempo all’università a studiare che cosa mai fosse la prevenzione: primaria, secondaria, terziaria.


di Stefano Montanari