20 settembre 2008

Crack bancari: crisi del Sistema o fallimento controllato?


Quello che purtroppo (o per fortuna?) era stato previsto da anni si sta verificando.
Il Sistema Economico sta letteralmente crollando sotto il peso di debiti, speculazioni, investimenti forsennati e satanici, oppure è arrivato l’occasione e la possibilità di destare le nostre coscienze?
Importantissime banche come Citigroup, Bear Stearns, Lehman Brothers e Merrill Lynch, tanto per citare solo qualcuna, hanno fatto un triste epilogo. La Lehman è fallita e ha già chiesto l’amministrazione controllata (ex articolo 11), la Merrill Lynch è invece stata salvata, o per meglio dire, acquistata dalla Bank of Amerika.

Richard Fuld, il padre-padrone della Lehman (quarta banca d’affari statunitense) esce da questo crack in piedi: “dal 1993 fino al 2007 ha conseguito tra stipendi, bonus, stock options la meravigliosa cifra di 466 milioni di dollari”. Cifra questa di tutto rispetto, ma non completa, perché bisogna sommare la buona uscita di 22 milioni di dollari, maturata prima del fallimento bancario! Non male, vero?
Dall’altra parte Stanley O’Neal, ex numero uno di Merrill Lynch lascia il suo prestigioso ufficio con una pensione da 161 milioni di dollari, e questo dopo aver creato una voragine da 40 miliardi di dollari.
Il mega boss della Citigroup, Chuck Prince, si è intascato invece 68 milioni di dollari, e l’ex presidente di Bear Stearns, Jimmy Cayne soli 60 milioni di dollari.


La cosa interessante e che si ripete ogni qualvolta una azienda crolla e/o fallisce, i manager escono sempre a testa alta e con le tasche piene di denaro. Denaro dei contribuenti
Per esempio la Lehman ha creato un buco nero di oltre 639 miliardi di dollari, il maggiore crac della storia economica americana (oltre dieci volte il già gigantesco buco della Enron), e nonostante questo Richard Fuld esce con decine di milioni di dollari.
Questo dovrebbe farci riflettere…


Ecco l’elenco dei più grandi crac della storia moderna:
1) Lehman Brothers (639 miliardi)
2) Worldcom (103,9 miliardi)
3) Enron (63,4 miliardi)
4) Conseco (61,4 miliardi)
5) Texano (35,9 miliardi)
6) Financial Corp. of America (33,9 miliardi)
7) Refco (33,3 miliardi)
8) IndyMac Bancorp (32,7 miliardi)
9) Global Crossing (30,2 miliardi)
10) Calpine (27,2 miliardi).


La questione importante però è un’altra.
Le banche che chiudono i battenti sono il segnale che il Sistema sta crollando o invece anche queste rientrano in manovre occulte da parte di coloro che operano dietro le quinte?


Osservando gli azionisti di Lehman Brothers risultano delle cose molto interessanti:
AXA (9.46%);
FMR Corporation (5.69%);
Citigroup (4.5%);
Barclays Plc (3.92%);
State Street Corporation (3.1%);
Morgan Stanley (3.1%);
Mellon Financial (1.9%);
Vanguard Group (1.9%);
Deutsche Bank AG (1.4%), ecc.


Vediamo gli azionisti di Merrill Lynch:
FMR Corporation (4.8 %);
Barclays Plc (3.5%);
Janus Capital Corp. (2.9%);
Citigroup (2.6%);
AXA (2.40%);
State Street Corporation (0.12%), ecc.


Tutti questi azionisti si possono scremare ulteriormente perché per esempio State Street Corp. è controllata dal gruppo Barclays (quindi Rothschild) della City di Londra.
In pratica le due banche crollate (Lynch e Brothers ma anche tutte le altre) appartengono a quei due gruppi che controllano realmente l'economia planetaria: il ramo statunitense dei Rockefeller e quello europeo dei Rothschild: le due ali dello stesso avvoltoio (o aquila calva del Grande Sigillo statunitense).


Nomi di casate storiche ebraiche che si possono citate solo nei libri e/o articoli sul complottismo ma sono invece tabù nella carta stampata o in televisione. Chissà come mai…
Quindi il crollo di grosse banche potrebbe rientrare nel cosiddetto “fallimento controllato”.
Per quale motivo lascerebbero fallire delle proprie aziende?


Lo sfruttamento del Mercato avviene spesso attraverso le cosiddette “Branch” (rami, derivazioni), che vengono create ad hoc per raggiungere determinati obiettivi. Questo ovviamente fino all’esaurimento.
Quando il mercato è stato spolpato ed è divenuto sterile, si chiude la filiale, creata per tale scopo, e gli utili vengono spartiti tra di loro.
Il buco lasciato? Non ci sono problemi: paga Pantalone, cioè il cittadino suddito!


La Lehman Brothers ha dichiarato fallimento, come una qualsiasi azienda che non vuole pagare i suoi creditori. Più semplice di così: quasi 700 miliardi di dollari di debito che sarà rimpinguato dal Governo (con la tipografia ufficiale Federal Reserve) e quindi dai sudditi.
La Merrill Lynch, Fannie Mae e Freddie Mac (le due società con un portafoglio di circa 6000 miliardi di dollari in mutui ipotecari) e le altre idem.
Questo “fallimento controllato” però non riguarda i grossi Imperi che stanno dietro le quinte, ma le “Branch”, cioè i rami collegati, che come in botanica si possono potare quando diventano marci e inutili.


In pratica bruciano i soldi nostri per poi ributtarsi nella mischia come lupi assatanati alla ricerca di nuovi mercati da sbranare.
Dall’altra parte, grazie a questi crash controllati, possono far legiferare ai loro camerieri (politici) leggi che stringono ulteriormente le libertà individuali di tutti noi, e che non sarebbero mai passate altrimenti.
Certamente faranno saltare altre banche d’affari, d’investimento, assicurazioni, società mutualistiche (la prossima sarà AIG, American Internationale Group, la più grande società di assicurazioni del mondo, anche se verrà salvata in extremis dal governo): 1929 docet.
Di una cosa però in tutto questo scenario i Burattinai non hanno tenuto conto: tale crisi sistemica dei mercati e delle finanze, pur se controllata, avrà sempre la funzione pedagogica di far prendere coscienza a molte persone di tutto questo Sistema e anche delle possibili soluzioni.


Coscienza che il Sistema è in metastasi e che non potrà quindi avere una vita lunga con le cure allopatiche odierne: iniezioni di liquidità, stampa di moneta, chirurgia bancaria, ecc.
Coscienza che il denaro è un mezzo e non un fine, e che possiamo acquistare (merci e prodotti) SOLO perché NOI lo accettiamo (il denaro).
Un pezzo di carta, un foglietto, uno “Sconto che cammina”, uno Scec, per fare solo dei piccoli esempi, hanno lo stesso valore del denaro: basta accettarli!
La vera guarigione avverrà nel momento in cui si passerà da un Sistema luciferico centrato nel dio denaro e nel potere dell’uomo sull’uomo, ad un Sistema dove invece è l’Uomo al centro e il collante l’Unione e la Solidarietà.



I Grandi Manipolatori possono far crollare decine di banche, piazzare l’esercito nelle città, installare videocamere e microfoni ovunque (cose che stanno realizzando), mettere in ginocchio milioni di persone, far esplodere la bolla immobiliare, ma non possono proprio far nulla a livello di Coscienza Individuale.
Su questo terreno i Rothschild, Rockefeller e tutti gli altri possono solo stare a guardare…(e con invidia).


Marcello Pamio

Il buco nero delle assicurazioni



È un colosso delle assicurazioni il nuovo epicentro della crisi finanziaria mondiale. Si chiama American International Group (Aig) il "buco nero" che nella sua implosione può risucchiare nuove perdite e fallimenti a catena, con ripercussioni nel mondo intero.

La bancarotta di Lehman Brothers appare già un capitolo di storia lontano, mentre incombono preoccupazioni più gravi. La compagnia assicurativa Aig non è solo una delle più grandi del pianeta, con centomila dipendenti. Occupa un posto speciale nel mezzo di una complessa ragnatela di rapporti finanziari con centinaia di banche. Perciò la notizia del declassamento di Aig da parte delle agenzie di rating Standard&Poor e Moody’s ha aperto un nuovo fronte di pericolo. Il peggioramento della sua solvibilità finanziaria può essere l’anticamera del fallimento. Ieri mattina David Paterson, il governatore dello Stato di New York (da cui dipende per legge la vigilanza sulla compagnia assicurativa) è stato lapidario: «In queste condizioni Aig ha un giorno di vita». L’ultima speranza è una cordata d’investitori che sarebbe pronta a rilevare l’Aig. La guida, ironia della sorte, il fondatore Maurice Greenberg che fu defenestrato dai vertici della compagnia per irregolarità contabili.

Il crollo del colosso assicurativo è un evento di cui nessuno riesce a prevedere l’impatto, se non che sarà disastroso. La compagnia infatti non esercita soltanto attività assicurative tradizionali. Ha sviluppato, con un’importante divisione a Londra, un intero business speculativo sui titoli derivati, compresi i titoli "infami" che sono il frutto della cartolarizzazione dei mutui. E c’è di più. Aig si è lanciata da tempo in un altro business finanziario, i "credit default swaps" (Cds).All’origine si tratta proprio di contratti assicurativi. Il rischio contro cui essi proteggono riguarda l’insolvenza di molteplici soggetti economici. In una fase come questa dove i fallimenti si susseguono a valanga, questo business è diventato una palla al piede per Aig. Inoltre i "credit default swaps" con il tempo hanno assunto vita propria, sono diventati a loro volta degli strumenti altamente speculativi. Con una perversione della loro vocazione originaria, i Cds sono diventati un modo per scommettere sui fallimenti (dei titolari di mutui, delle aziende, delle banche) e guadagnarci sopra. Se per una parte del mondo della finanza essi continuano a essere una indispensabile copertura del rischio-clienti, per un’altra parte sono uno strumento di speculazione ribassista. E il business dei Cds è sfuggito ad ogni controllo. La lievitazione di questi strumenti è impressionante. Nell’insieme il volume delle esposizioni su questo mercato supera i 60.000 miliardi di dollari, il quadruplo del Pil americano. L’Aig è un protagonista centrale di questo settore. Travolto dall’impossibilità di onorare tutti quei contratti anti-fallimento, a sua volta con il suo crac può affondare l’intero sistema. Un esempio delle diramazioni internazionali: ieri la banca svizzera Ubs ha perso il 24% in Borsa, nonostante abbia garantito di avere chiuso tutti i rapporti con Aig dopo una perdita di 300 milioni di dollari.

L’importanza dell’American International Group spiega la frenesia con cui le autorità Usa si affannavano ieri attorno al suo capezzale. Lo Stato di New York, facendo una trasgressione clamorosa alle sue stesse leggi che regolano i comportamenti prudenziali delle assicurazioni, ha autorizzato Aig a farsi prestare 20 miliardi di dollari dalle sue filiali. Praticamente l’azienda ha avuto un nulla osta inaudito per infilare le mani nella cassa del ramo-vita e del ramo-rischi, con buona pace dei suoi clienti. Non è bastato. A riprova che l’intera stabilità del credito è in gioco, sul caso Aig è intervenuta la Federal Reserve, "sconfinando" nel settore assicurativo che esula dalle sue competenze. La Fed ha intimato a JP Morgan Chase e Goldman Sachs di mettere assieme un prestito-ponte di 75 miliardi di dollari: la bombola d’ossigeno per mantenere in vita il gigante assicurativo. Uno degli effetti del declassamento del rating, infatti, è che automaticamente molti creditori devono richiedere il rimborso di titoli derivati. Un’emorragia di liquidità che Aig non è in grado di fronteggiare. Mal’ipotesi di un nuovo salvataggio pubblico è stata attaccata da John McCain, candidato repubblicano alle presidenziali. "Lasciamo che Aig fallisca", è stato il suo commento. Dopo i costi sopportati dalle finanze pubbliche per il crac di Bear Stearns (30 miliardi di garanzie dalla Fed all’acquirente JPMorgan) el’onere incalcolabile della nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac (200 miliardi la stima più ottimista), i repubblicani non vogliono affrontare le presidenziali con un deficit pubblico allo sbando. Se regge la linea del rigore applicata alla Lehman - o se JP Morgan e Goldman Sachs non trovano i "prestatori" volonterosi per 75 miliardi di dollari - il destino dell’Aig è segnato: un’altra bancarotta. A meno che intervenga il "cavaliere bianco" Greenberg con la sua cordata di investitori privati.

Dall’inizio di questa crisi di dimensioni storiche, le perdite totali per il sistema bancario - che il Fondo monetario internazionale stimava a 950 miliardi di dollari salgono verso i 1.500 miliardi. Le voci di difficoltà lambiscono le due ultime merchant bank sopravvissute, Morgan Stanley e Goldman Sachs (i cui risultati sono crollati del 70%). La più grande cassa di risparmio americana, Washington Mutuai, anch’essa vicina al fallimento, potrebbe essere "ingoiata" da JP Morgan. Come nell’acquisizione di Merrill Lynch da parte di Bank of America, queste operazioni decise nel nome della stabilità sistemica e dell’interesse nazionale avranno costi pesanti: ristrutturazioni e licenziamenti di massa.

L’ondata di sfiducia è inarrestabile e lo si è visto nell’impennata del costo del denaro. In una sola notte sul mercato interbancario americano è raddoppiato il costo per ottenere prestiti: il tasso Libor è schizzato da 3,20% a 6,44%, ritrovando i massimi dell’ 11 settembre 2001. La paralisi del credito e il dilagare della paura provocano scosse sismiche anche nella valutazione del rischio-sovrano. E’ sintomatico il balzo che ha subito il rischio-Italia. Il differenziale tra i rendimenti dei nostri Btp decennali e gli equivalenti Bund tedeschi è salito di 74 punti raggiungendo un massimo storico: il record dalla nascita della moneta unica nel gennaio 1999.

di Federico Rampini


Le banche centrali hanno il compito di effettuare la politica monetaria, di regolamentare e controllare il sistema bancario, di gestire al meglio gli strumenti a loro disposizione per conto degli Stati. Guardiamo un po’ le carte

Gestione delle risorse.
Sul web tutte le banche centrali pubblicano, fra le altre cose, le loro relazioni annuali dalle quali si evincono moltissimi dati. Nella tabella che segue ne sono estratti alcuni relativi agli ultimi dieci anni.

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Nella prima colonna sono riportate le banconote in circolazione; nella seconda gli interessi attivi relativi alle riserve connesse al circolante; nella terza quanto è fatto pervenire allo Stato sia sotto forma di imposte, sia sotto forma di “suddivisione” degli utili. La seconda colonna rappresenta quindi il signoraggio denominato “costo opportunità” ripetutamente menzionato, semplicemente come “signoraggio”, nella nota integrativa della relazione annuale alla voce “banconote in circolazione (il “signoraggio monetario” invece è connesso alle monete senza riserva, come le monete metalliche ed i biglietti di Stato, ad esempio le monete di carta da 500 lire emesse in Italia dal 1966 al 1979 direttamente dallo Stato in sostituzione di quelle d’argento con le tre caravelle).
Ovviamente vanno considerate le spese per la struttura, i compensi alle banche per le riserve obbligatorie, gli investimenti diversi da quelli relativi alle riserve al circolante, ecc.; la relazione annuale è ricca di dettagli, nonché esaustiva.
I tre parametri sottolineati, circolante, interessi attivi e somma da dare allo Stato, sono comunque assai significativi.
Il circolante, ovvero le banconote in circolazione, è la prima voce del passivo dello Stato Patrimoniale e si configura come un debito non fruttifero.
Gli interressi attivi, ovvero il costo opportunità, sono la prima voce del Conto Economico.
L’ammontare da dare allo Stato è la somma delle imposte e della suddivisione degli utili, collocate di solito fra le ultime voci ed alla fine dello stesso Conto Economico.
In definitiva bankitalia negli ultimi 10 anni ha incassato oltre 33 miliardi di € di “costo opportunità” ed allo Stato non è arrivato nulla, a causa degli anni “terribili” 2002, 2003 e 2004.
Vediamo cosa è successo alle banche centrali degli altri Paesi più importanti nello stesso periodo.

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Tutte le altre banche centrali hanno gestito in maniera più proficua gli strumenti a loro disposizione. Eccellente quella spagnola, che in 10 anni ha dato allo Stato quasi 33 miliardi di € pari al 61% della media delle banconote in circolazione, ma ottime anche la canadese, l’inglese, la statunitense e la tedesca (se bankitalia avesse operato come quella spagnola, considerando gli interessi composti, ci saremmo abbondantemente evitati la finanziaria ’06 da 35 miliardi del governo Prodi/Padoa-Schioppa, che è costata parecchio alla sinistra italiana in termini di consensi).
Sottolineo che la banca centrale statunitense è privata come la nostra, ma non ha avuto risultati così modesti, come la nostra.
Gli anni “terribili” le altre banche centrali li hanno sofferti in maniera assai minore, e comunque non sono coincisi temporalmente; ad esempio il peggior anno della BdE è stato il 2004 mentre il peggiore di BdI è stato il 2002.
Potremmo dire che bankitalia è stata “sfortunata”.

Regolamentazione e controllo del sistema bancario.
Qui bankitalia soffre la “distrazione” dei privatizzatori (1 e 2): si sono dimenticati di stralciare la proprietà di bankitalia al momento della svendita delle banche proprietarie della medesima, coi seguenti risultati:
- il nostro oro, le nostre riserve, ecc. sono formalmente dei partecipanti (3), ma non nella sostanza, perché l’utile (si fa per dire) viene comunque quasi tutto dato allo Stato;
- i controllati sono proprietari dei controllori.
Insomma un bel pasticcio.
Insistere su questo punto è come sparare sulla Croce Rossa. Solo la FED è nella medesima condizione. Quando Tremonti parla di topi e formaggio non fa che sottolineare l’ovvio.
Non c’è da stupirsi se Mario Draghi, presidente del Financial Stability Forum di Basilea, parla spesso di incentivi alle banche.

Politica monetaria.
Da qualche anno bankitalia non è più titolare della nostra politica monetaria. Non so se è un bene o un male. Da quando Andreatta ha avuto la brillante idea di togliere la PM alla politica (4) il nostro debito pubblico è passato dal 60% ad oltre il 124% del PIL mediante l’imposizione di tassi enormemente superiori all’inflazione (5) sul modello argentino alla Friedman (6). Se fossimo rimasti con la politica monetaria della nostra banca centrale, fissata con i tassi elavati “voluti dal mercato”, ora avremmo, fatte le dovute proiezioni, il debito pubblico ad oltre il 200% del PIL. Il mantenimento del TUS così elevato per così lungo tempo ha prodotto, oltre all’esplosione del debito pubblico, due importanti risultati:
- le imprese trovavano più giovamento ad investire in titoli del debito pubblico che in ricerca, innovazione, ecc.;
- la beffa del premio agli evasori che da un lato omettevano di pagare le imposte, dall’altro venivano omaggiati sull’evaso con i tassi elevati.
Infatti, appena i tassi sono calati per l’avvento della moneta unica, anche la nostra inflazione si è allineata a quella degli altri Paesi. Per anni abbiamo pazientemente ascoltato il governatore di turno lagnarsi della nostra inflazione elevata procurata proprio dalla sua folle PM. Siamo proprio un paese di “santi”. Sarei curioso di vedere cosa sarebbe successo alle economie francese e tedesca se si fossero trovate con una PM alla Friedman, sconfessata da lui stesso prima di lasciarci.
Ambienti vicini a D’Alema hanno auspicato per il PD un nuovo leader ed è venuto fuori il nome di Filippo Andreatta (7), figlio di Nino. Si vede che D’Alema aspira per il nostro Paese ad un rapporto debito PIL di tipo giapponese (nel Paese del sol levante quel rapporto è quasi al 200%).

Condoni.
Da L’ESPRESSO del 19 dicembre 1982.
“… troppa premura è stata mostrata dalla Banca d’Italia nel sollecitare il condono fiscale, per sé e per tutte le altre banche. L’impressione che ne è scaturita è che l’intero sistema creditizio avesse più di un peccato da farsi perdonare dal fisco. Anche a costo di pagare un prezzo salato, di decine e decine di miliardi. Impressione che non ha certo giovato al prestigio della Banca d’Italia, la quale, in qualche modo, è apparsa come la capofila d’una istanza corporativa del sistema bancario italiano.”
Sarebbe bello sapere se anche la altre banche centrali hanno dovuto ricorrere a siffatti strumenti non proprio “ortodossi”.

Banana Central Bank
Un tocco “esotico” non guasta. Forse non tutti sanno che:
- nella seconda edizione di “Euroschiavi” di Marco Della Luna ed Antonio Miclavez, Arianna editore c’è scritto: “alle isole Cayman sono stati trovati i seguenti conti: 700 26891 A01 N BANCA D'ITALIA UFFICIO RISCONTRO VIA NAZIONALE, 91 I-00184 ROMA ITALIA; 709 27154 A01 N BANCA D'ITALIA SERVIZIO RAPPORTI CON L'ESTERO, UFFICIO RISCONTRO 2484 VIA NAZIONALE, 91 I-00184 ROMA ITALIA”;
- sul web (8): “La Banca d'Italia nel 1994, tramite l'Ufficio italiano cambi (Uic), è entrata - con 100 milioni di dollari - in una società controllata dall'Hedge Fund Ltcm e costituita nel paradiso fiscale delle CAYMAN ISLAND dai soci promotori dello stesso Ltcm !!!”
- su Corsera del 26-10-95: il Financial Time ha scritto che per questo investimento la Banca d'Italia ha perso la sua "credibilità morale";
- su Il Sole 24 Ore dell’ 8-10-98: "E' assurdo utilizzare riserve nazionali per investire su un fondo come Ltcm, che era chiaramente speculativo", dichiara Edward Thorp, "padre" degli Hedge Fund americani;
- nel libro “Il Potere del denaro svuota le democrazie” di Giano Accame, ed. Settimo Sigillo, c’è un esplicito riferimento alla presenza della Banca d’Italia alle isole Cayman.
Non sarebbe auspicabile una smentita ufficiale da parte della nostra banca centrale?
Chissà se anche le altre banche centrali hanno queste “zone d’ombra”?

Mi pare che nessuna banca centrale sia in grado di competere con la nostra per l’attribuzione dell’ambito premio BCB. A meno che il suo potentissimo ufficio studi non individui qualche banca centrale esotica con prestazioni peggiori e minor amor proprio. Suggerisco di monitorare quella dell’Argentina, che ha preso troppo per buoni i vaneggiamenti di Milton Friedman.

Lino Rossi

20 settembre 2008

Crack bancari: crisi del Sistema o fallimento controllato?


Quello che purtroppo (o per fortuna?) era stato previsto da anni si sta verificando.
Il Sistema Economico sta letteralmente crollando sotto il peso di debiti, speculazioni, investimenti forsennati e satanici, oppure è arrivato l’occasione e la possibilità di destare le nostre coscienze?
Importantissime banche come Citigroup, Bear Stearns, Lehman Brothers e Merrill Lynch, tanto per citare solo qualcuna, hanno fatto un triste epilogo. La Lehman è fallita e ha già chiesto l’amministrazione controllata (ex articolo 11), la Merrill Lynch è invece stata salvata, o per meglio dire, acquistata dalla Bank of Amerika.

Richard Fuld, il padre-padrone della Lehman (quarta banca d’affari statunitense) esce da questo crack in piedi: “dal 1993 fino al 2007 ha conseguito tra stipendi, bonus, stock options la meravigliosa cifra di 466 milioni di dollari”. Cifra questa di tutto rispetto, ma non completa, perché bisogna sommare la buona uscita di 22 milioni di dollari, maturata prima del fallimento bancario! Non male, vero?
Dall’altra parte Stanley O’Neal, ex numero uno di Merrill Lynch lascia il suo prestigioso ufficio con una pensione da 161 milioni di dollari, e questo dopo aver creato una voragine da 40 miliardi di dollari.
Il mega boss della Citigroup, Chuck Prince, si è intascato invece 68 milioni di dollari, e l’ex presidente di Bear Stearns, Jimmy Cayne soli 60 milioni di dollari.


La cosa interessante e che si ripete ogni qualvolta una azienda crolla e/o fallisce, i manager escono sempre a testa alta e con le tasche piene di denaro. Denaro dei contribuenti
Per esempio la Lehman ha creato un buco nero di oltre 639 miliardi di dollari, il maggiore crac della storia economica americana (oltre dieci volte il già gigantesco buco della Enron), e nonostante questo Richard Fuld esce con decine di milioni di dollari.
Questo dovrebbe farci riflettere…


Ecco l’elenco dei più grandi crac della storia moderna:
1) Lehman Brothers (639 miliardi)
2) Worldcom (103,9 miliardi)
3) Enron (63,4 miliardi)
4) Conseco (61,4 miliardi)
5) Texano (35,9 miliardi)
6) Financial Corp. of America (33,9 miliardi)
7) Refco (33,3 miliardi)
8) IndyMac Bancorp (32,7 miliardi)
9) Global Crossing (30,2 miliardi)
10) Calpine (27,2 miliardi).


La questione importante però è un’altra.
Le banche che chiudono i battenti sono il segnale che il Sistema sta crollando o invece anche queste rientrano in manovre occulte da parte di coloro che operano dietro le quinte?


Osservando gli azionisti di Lehman Brothers risultano delle cose molto interessanti:
AXA (9.46%);
FMR Corporation (5.69%);
Citigroup (4.5%);
Barclays Plc (3.92%);
State Street Corporation (3.1%);
Morgan Stanley (3.1%);
Mellon Financial (1.9%);
Vanguard Group (1.9%);
Deutsche Bank AG (1.4%), ecc.


Vediamo gli azionisti di Merrill Lynch:
FMR Corporation (4.8 %);
Barclays Plc (3.5%);
Janus Capital Corp. (2.9%);
Citigroup (2.6%);
AXA (2.40%);
State Street Corporation (0.12%), ecc.


Tutti questi azionisti si possono scremare ulteriormente perché per esempio State Street Corp. è controllata dal gruppo Barclays (quindi Rothschild) della City di Londra.
In pratica le due banche crollate (Lynch e Brothers ma anche tutte le altre) appartengono a quei due gruppi che controllano realmente l'economia planetaria: il ramo statunitense dei Rockefeller e quello europeo dei Rothschild: le due ali dello stesso avvoltoio (o aquila calva del Grande Sigillo statunitense).


Nomi di casate storiche ebraiche che si possono citate solo nei libri e/o articoli sul complottismo ma sono invece tabù nella carta stampata o in televisione. Chissà come mai…
Quindi il crollo di grosse banche potrebbe rientrare nel cosiddetto “fallimento controllato”.
Per quale motivo lascerebbero fallire delle proprie aziende?


Lo sfruttamento del Mercato avviene spesso attraverso le cosiddette “Branch” (rami, derivazioni), che vengono create ad hoc per raggiungere determinati obiettivi. Questo ovviamente fino all’esaurimento.
Quando il mercato è stato spolpato ed è divenuto sterile, si chiude la filiale, creata per tale scopo, e gli utili vengono spartiti tra di loro.
Il buco lasciato? Non ci sono problemi: paga Pantalone, cioè il cittadino suddito!


La Lehman Brothers ha dichiarato fallimento, come una qualsiasi azienda che non vuole pagare i suoi creditori. Più semplice di così: quasi 700 miliardi di dollari di debito che sarà rimpinguato dal Governo (con la tipografia ufficiale Federal Reserve) e quindi dai sudditi.
La Merrill Lynch, Fannie Mae e Freddie Mac (le due società con un portafoglio di circa 6000 miliardi di dollari in mutui ipotecari) e le altre idem.
Questo “fallimento controllato” però non riguarda i grossi Imperi che stanno dietro le quinte, ma le “Branch”, cioè i rami collegati, che come in botanica si possono potare quando diventano marci e inutili.


In pratica bruciano i soldi nostri per poi ributtarsi nella mischia come lupi assatanati alla ricerca di nuovi mercati da sbranare.
Dall’altra parte, grazie a questi crash controllati, possono far legiferare ai loro camerieri (politici) leggi che stringono ulteriormente le libertà individuali di tutti noi, e che non sarebbero mai passate altrimenti.
Certamente faranno saltare altre banche d’affari, d’investimento, assicurazioni, società mutualistiche (la prossima sarà AIG, American Internationale Group, la più grande società di assicurazioni del mondo, anche se verrà salvata in extremis dal governo): 1929 docet.
Di una cosa però in tutto questo scenario i Burattinai non hanno tenuto conto: tale crisi sistemica dei mercati e delle finanze, pur se controllata, avrà sempre la funzione pedagogica di far prendere coscienza a molte persone di tutto questo Sistema e anche delle possibili soluzioni.


Coscienza che il Sistema è in metastasi e che non potrà quindi avere una vita lunga con le cure allopatiche odierne: iniezioni di liquidità, stampa di moneta, chirurgia bancaria, ecc.
Coscienza che il denaro è un mezzo e non un fine, e che possiamo acquistare (merci e prodotti) SOLO perché NOI lo accettiamo (il denaro).
Un pezzo di carta, un foglietto, uno “Sconto che cammina”, uno Scec, per fare solo dei piccoli esempi, hanno lo stesso valore del denaro: basta accettarli!
La vera guarigione avverrà nel momento in cui si passerà da un Sistema luciferico centrato nel dio denaro e nel potere dell’uomo sull’uomo, ad un Sistema dove invece è l’Uomo al centro e il collante l’Unione e la Solidarietà.



I Grandi Manipolatori possono far crollare decine di banche, piazzare l’esercito nelle città, installare videocamere e microfoni ovunque (cose che stanno realizzando), mettere in ginocchio milioni di persone, far esplodere la bolla immobiliare, ma non possono proprio far nulla a livello di Coscienza Individuale.
Su questo terreno i Rothschild, Rockefeller e tutti gli altri possono solo stare a guardare…(e con invidia).


Marcello Pamio

Il buco nero delle assicurazioni



È un colosso delle assicurazioni il nuovo epicentro della crisi finanziaria mondiale. Si chiama American International Group (Aig) il "buco nero" che nella sua implosione può risucchiare nuove perdite e fallimenti a catena, con ripercussioni nel mondo intero.

La bancarotta di Lehman Brothers appare già un capitolo di storia lontano, mentre incombono preoccupazioni più gravi. La compagnia assicurativa Aig non è solo una delle più grandi del pianeta, con centomila dipendenti. Occupa un posto speciale nel mezzo di una complessa ragnatela di rapporti finanziari con centinaia di banche. Perciò la notizia del declassamento di Aig da parte delle agenzie di rating Standard&Poor e Moody’s ha aperto un nuovo fronte di pericolo. Il peggioramento della sua solvibilità finanziaria può essere l’anticamera del fallimento. Ieri mattina David Paterson, il governatore dello Stato di New York (da cui dipende per legge la vigilanza sulla compagnia assicurativa) è stato lapidario: «In queste condizioni Aig ha un giorno di vita». L’ultima speranza è una cordata d’investitori che sarebbe pronta a rilevare l’Aig. La guida, ironia della sorte, il fondatore Maurice Greenberg che fu defenestrato dai vertici della compagnia per irregolarità contabili.

Il crollo del colosso assicurativo è un evento di cui nessuno riesce a prevedere l’impatto, se non che sarà disastroso. La compagnia infatti non esercita soltanto attività assicurative tradizionali. Ha sviluppato, con un’importante divisione a Londra, un intero business speculativo sui titoli derivati, compresi i titoli "infami" che sono il frutto della cartolarizzazione dei mutui. E c’è di più. Aig si è lanciata da tempo in un altro business finanziario, i "credit default swaps" (Cds).All’origine si tratta proprio di contratti assicurativi. Il rischio contro cui essi proteggono riguarda l’insolvenza di molteplici soggetti economici. In una fase come questa dove i fallimenti si susseguono a valanga, questo business è diventato una palla al piede per Aig. Inoltre i "credit default swaps" con il tempo hanno assunto vita propria, sono diventati a loro volta degli strumenti altamente speculativi. Con una perversione della loro vocazione originaria, i Cds sono diventati un modo per scommettere sui fallimenti (dei titolari di mutui, delle aziende, delle banche) e guadagnarci sopra. Se per una parte del mondo della finanza essi continuano a essere una indispensabile copertura del rischio-clienti, per un’altra parte sono uno strumento di speculazione ribassista. E il business dei Cds è sfuggito ad ogni controllo. La lievitazione di questi strumenti è impressionante. Nell’insieme il volume delle esposizioni su questo mercato supera i 60.000 miliardi di dollari, il quadruplo del Pil americano. L’Aig è un protagonista centrale di questo settore. Travolto dall’impossibilità di onorare tutti quei contratti anti-fallimento, a sua volta con il suo crac può affondare l’intero sistema. Un esempio delle diramazioni internazionali: ieri la banca svizzera Ubs ha perso il 24% in Borsa, nonostante abbia garantito di avere chiuso tutti i rapporti con Aig dopo una perdita di 300 milioni di dollari.

L’importanza dell’American International Group spiega la frenesia con cui le autorità Usa si affannavano ieri attorno al suo capezzale. Lo Stato di New York, facendo una trasgressione clamorosa alle sue stesse leggi che regolano i comportamenti prudenziali delle assicurazioni, ha autorizzato Aig a farsi prestare 20 miliardi di dollari dalle sue filiali. Praticamente l’azienda ha avuto un nulla osta inaudito per infilare le mani nella cassa del ramo-vita e del ramo-rischi, con buona pace dei suoi clienti. Non è bastato. A riprova che l’intera stabilità del credito è in gioco, sul caso Aig è intervenuta la Federal Reserve, "sconfinando" nel settore assicurativo che esula dalle sue competenze. La Fed ha intimato a JP Morgan Chase e Goldman Sachs di mettere assieme un prestito-ponte di 75 miliardi di dollari: la bombola d’ossigeno per mantenere in vita il gigante assicurativo. Uno degli effetti del declassamento del rating, infatti, è che automaticamente molti creditori devono richiedere il rimborso di titoli derivati. Un’emorragia di liquidità che Aig non è in grado di fronteggiare. Mal’ipotesi di un nuovo salvataggio pubblico è stata attaccata da John McCain, candidato repubblicano alle presidenziali. "Lasciamo che Aig fallisca", è stato il suo commento. Dopo i costi sopportati dalle finanze pubbliche per il crac di Bear Stearns (30 miliardi di garanzie dalla Fed all’acquirente JPMorgan) el’onere incalcolabile della nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac (200 miliardi la stima più ottimista), i repubblicani non vogliono affrontare le presidenziali con un deficit pubblico allo sbando. Se regge la linea del rigore applicata alla Lehman - o se JP Morgan e Goldman Sachs non trovano i "prestatori" volonterosi per 75 miliardi di dollari - il destino dell’Aig è segnato: un’altra bancarotta. A meno che intervenga il "cavaliere bianco" Greenberg con la sua cordata di investitori privati.

Dall’inizio di questa crisi di dimensioni storiche, le perdite totali per il sistema bancario - che il Fondo monetario internazionale stimava a 950 miliardi di dollari salgono verso i 1.500 miliardi. Le voci di difficoltà lambiscono le due ultime merchant bank sopravvissute, Morgan Stanley e Goldman Sachs (i cui risultati sono crollati del 70%). La più grande cassa di risparmio americana, Washington Mutuai, anch’essa vicina al fallimento, potrebbe essere "ingoiata" da JP Morgan. Come nell’acquisizione di Merrill Lynch da parte di Bank of America, queste operazioni decise nel nome della stabilità sistemica e dell’interesse nazionale avranno costi pesanti: ristrutturazioni e licenziamenti di massa.

L’ondata di sfiducia è inarrestabile e lo si è visto nell’impennata del costo del denaro. In una sola notte sul mercato interbancario americano è raddoppiato il costo per ottenere prestiti: il tasso Libor è schizzato da 3,20% a 6,44%, ritrovando i massimi dell’ 11 settembre 2001. La paralisi del credito e il dilagare della paura provocano scosse sismiche anche nella valutazione del rischio-sovrano. E’ sintomatico il balzo che ha subito il rischio-Italia. Il differenziale tra i rendimenti dei nostri Btp decennali e gli equivalenti Bund tedeschi è salito di 74 punti raggiungendo un massimo storico: il record dalla nascita della moneta unica nel gennaio 1999.

di Federico Rampini


Le banche centrali hanno il compito di effettuare la politica monetaria, di regolamentare e controllare il sistema bancario, di gestire al meglio gli strumenti a loro disposizione per conto degli Stati. Guardiamo un po’ le carte

Gestione delle risorse.
Sul web tutte le banche centrali pubblicano, fra le altre cose, le loro relazioni annuali dalle quali si evincono moltissimi dati. Nella tabella che segue ne sono estratti alcuni relativi agli ultimi dieci anni.

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Nella prima colonna sono riportate le banconote in circolazione; nella seconda gli interessi attivi relativi alle riserve connesse al circolante; nella terza quanto è fatto pervenire allo Stato sia sotto forma di imposte, sia sotto forma di “suddivisione” degli utili. La seconda colonna rappresenta quindi il signoraggio denominato “costo opportunità” ripetutamente menzionato, semplicemente come “signoraggio”, nella nota integrativa della relazione annuale alla voce “banconote in circolazione (il “signoraggio monetario” invece è connesso alle monete senza riserva, come le monete metalliche ed i biglietti di Stato, ad esempio le monete di carta da 500 lire emesse in Italia dal 1966 al 1979 direttamente dallo Stato in sostituzione di quelle d’argento con le tre caravelle).
Ovviamente vanno considerate le spese per la struttura, i compensi alle banche per le riserve obbligatorie, gli investimenti diversi da quelli relativi alle riserve al circolante, ecc.; la relazione annuale è ricca di dettagli, nonché esaustiva.
I tre parametri sottolineati, circolante, interessi attivi e somma da dare allo Stato, sono comunque assai significativi.
Il circolante, ovvero le banconote in circolazione, è la prima voce del passivo dello Stato Patrimoniale e si configura come un debito non fruttifero.
Gli interressi attivi, ovvero il costo opportunità, sono la prima voce del Conto Economico.
L’ammontare da dare allo Stato è la somma delle imposte e della suddivisione degli utili, collocate di solito fra le ultime voci ed alla fine dello stesso Conto Economico.
In definitiva bankitalia negli ultimi 10 anni ha incassato oltre 33 miliardi di € di “costo opportunità” ed allo Stato non è arrivato nulla, a causa degli anni “terribili” 2002, 2003 e 2004.
Vediamo cosa è successo alle banche centrali degli altri Paesi più importanti nello stesso periodo.

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Tutte le altre banche centrali hanno gestito in maniera più proficua gli strumenti a loro disposizione. Eccellente quella spagnola, che in 10 anni ha dato allo Stato quasi 33 miliardi di € pari al 61% della media delle banconote in circolazione, ma ottime anche la canadese, l’inglese, la statunitense e la tedesca (se bankitalia avesse operato come quella spagnola, considerando gli interessi composti, ci saremmo abbondantemente evitati la finanziaria ’06 da 35 miliardi del governo Prodi/Padoa-Schioppa, che è costata parecchio alla sinistra italiana in termini di consensi).
Sottolineo che la banca centrale statunitense è privata come la nostra, ma non ha avuto risultati così modesti, come la nostra.
Gli anni “terribili” le altre banche centrali li hanno sofferti in maniera assai minore, e comunque non sono coincisi temporalmente; ad esempio il peggior anno della BdE è stato il 2004 mentre il peggiore di BdI è stato il 2002.
Potremmo dire che bankitalia è stata “sfortunata”.

Regolamentazione e controllo del sistema bancario.
Qui bankitalia soffre la “distrazione” dei privatizzatori (1 e 2): si sono dimenticati di stralciare la proprietà di bankitalia al momento della svendita delle banche proprietarie della medesima, coi seguenti risultati:
- il nostro oro, le nostre riserve, ecc. sono formalmente dei partecipanti (3), ma non nella sostanza, perché l’utile (si fa per dire) viene comunque quasi tutto dato allo Stato;
- i controllati sono proprietari dei controllori.
Insomma un bel pasticcio.
Insistere su questo punto è come sparare sulla Croce Rossa. Solo la FED è nella medesima condizione. Quando Tremonti parla di topi e formaggio non fa che sottolineare l’ovvio.
Non c’è da stupirsi se Mario Draghi, presidente del Financial Stability Forum di Basilea, parla spesso di incentivi alle banche.

Politica monetaria.
Da qualche anno bankitalia non è più titolare della nostra politica monetaria. Non so se è un bene o un male. Da quando Andreatta ha avuto la brillante idea di togliere la PM alla politica (4) il nostro debito pubblico è passato dal 60% ad oltre il 124% del PIL mediante l’imposizione di tassi enormemente superiori all’inflazione (5) sul modello argentino alla Friedman (6). Se fossimo rimasti con la politica monetaria della nostra banca centrale, fissata con i tassi elavati “voluti dal mercato”, ora avremmo, fatte le dovute proiezioni, il debito pubblico ad oltre il 200% del PIL. Il mantenimento del TUS così elevato per così lungo tempo ha prodotto, oltre all’esplosione del debito pubblico, due importanti risultati:
- le imprese trovavano più giovamento ad investire in titoli del debito pubblico che in ricerca, innovazione, ecc.;
- la beffa del premio agli evasori che da un lato omettevano di pagare le imposte, dall’altro venivano omaggiati sull’evaso con i tassi elevati.
Infatti, appena i tassi sono calati per l’avvento della moneta unica, anche la nostra inflazione si è allineata a quella degli altri Paesi. Per anni abbiamo pazientemente ascoltato il governatore di turno lagnarsi della nostra inflazione elevata procurata proprio dalla sua folle PM. Siamo proprio un paese di “santi”. Sarei curioso di vedere cosa sarebbe successo alle economie francese e tedesca se si fossero trovate con una PM alla Friedman, sconfessata da lui stesso prima di lasciarci.
Ambienti vicini a D’Alema hanno auspicato per il PD un nuovo leader ed è venuto fuori il nome di Filippo Andreatta (7), figlio di Nino. Si vede che D’Alema aspira per il nostro Paese ad un rapporto debito PIL di tipo giapponese (nel Paese del sol levante quel rapporto è quasi al 200%).

Condoni.
Da L’ESPRESSO del 19 dicembre 1982.
“… troppa premura è stata mostrata dalla Banca d’Italia nel sollecitare il condono fiscale, per sé e per tutte le altre banche. L’impressione che ne è scaturita è che l’intero sistema creditizio avesse più di un peccato da farsi perdonare dal fisco. Anche a costo di pagare un prezzo salato, di decine e decine di miliardi. Impressione che non ha certo giovato al prestigio della Banca d’Italia, la quale, in qualche modo, è apparsa come la capofila d’una istanza corporativa del sistema bancario italiano.”
Sarebbe bello sapere se anche la altre banche centrali hanno dovuto ricorrere a siffatti strumenti non proprio “ortodossi”.

Banana Central Bank
Un tocco “esotico” non guasta. Forse non tutti sanno che:
- nella seconda edizione di “Euroschiavi” di Marco Della Luna ed Antonio Miclavez, Arianna editore c’è scritto: “alle isole Cayman sono stati trovati i seguenti conti: 700 26891 A01 N BANCA D'ITALIA UFFICIO RISCONTRO VIA NAZIONALE, 91 I-00184 ROMA ITALIA; 709 27154 A01 N BANCA D'ITALIA SERVIZIO RAPPORTI CON L'ESTERO, UFFICIO RISCONTRO 2484 VIA NAZIONALE, 91 I-00184 ROMA ITALIA”;
- sul web (8): “La Banca d'Italia nel 1994, tramite l'Ufficio italiano cambi (Uic), è entrata - con 100 milioni di dollari - in una società controllata dall'Hedge Fund Ltcm e costituita nel paradiso fiscale delle CAYMAN ISLAND dai soci promotori dello stesso Ltcm !!!”
- su Corsera del 26-10-95: il Financial Time ha scritto che per questo investimento la Banca d'Italia ha perso la sua "credibilità morale";
- su Il Sole 24 Ore dell’ 8-10-98: "E' assurdo utilizzare riserve nazionali per investire su un fondo come Ltcm, che era chiaramente speculativo", dichiara Edward Thorp, "padre" degli Hedge Fund americani;
- nel libro “Il Potere del denaro svuota le democrazie” di Giano Accame, ed. Settimo Sigillo, c’è un esplicito riferimento alla presenza della Banca d’Italia alle isole Cayman.
Non sarebbe auspicabile una smentita ufficiale da parte della nostra banca centrale?
Chissà se anche le altre banche centrali hanno queste “zone d’ombra”?

Mi pare che nessuna banca centrale sia in grado di competere con la nostra per l’attribuzione dell’ambito premio BCB. A meno che il suo potentissimo ufficio studi non individui qualche banca centrale esotica con prestazioni peggiori e minor amor proprio. Suggerisco di monitorare quella dell’Argentina, che ha preso troppo per buoni i vaneggiamenti di Milton Friedman.

Lino Rossi