27 settembre 2008

Un mondo di plastica



C’erano una volta le grandi battaglie ideologiche, le manifestazioni oceaniche, il ’68, le piazze indignate, i cortei contro la guerra del Vietnam: episodi che in buona parte non condividiamo e che comunque si sono resi responsabili di errori, spesso di veri e propri crimini. Per questo non li rimpiangiamo in sé, ma è certo che – insieme a migliaia di altri fenomeni analoghi più o meno noti – testimoniano un’epoca nella quale gli uomini avevano ancora la voglia di lottare per qualcosa in cui credevano, un “qualcosa” comunque di alto profilo, perlomeno nelle intenzioni: l’ideologia, la pace, la giustizia, la libertà.
Ieri mi trovano ad osservare i portoni lungo una via e notavo come pressoché tutti esponessero il cartello “Vietato immettere pubblicità nelle cassette”. Anche questo, di per sé, un episodio di scarsa rilevanza e che riflette pure un’esigenza legittima per il cittadino stanco di vedere la propria cassetta intasata di depliants pubblicitari. Lo stesso cittadino che non sopporta più di vedere i muri imbrattati, gli accattoni per le strade, le prostitute sui marciapiedi, il fumo del vicino, i drogati sulle panchine della stazione. Che migliaia di civili innocenti siano massacrati in Afghanistan e Iraq con l’appoggio o l’omertà del nostro esercito e del nostro governo non frega niente a nessuno. Ma che qualche scalmanato napoletano danneggi un treno è assolutamente intollerabile. Che Banca d’Italia e BCE siano organismi privati che attraverso il signoraggio ci depredano di infiniti milioni di euro è troppo difficile da capire e non indigna che pochi “esperti”. Ma se la banca presso la quale abbiamo depositato il nostro conto ci aumenta di un paio di euro le commissioni a nostro carico siamo pronti anche a prendere il direttore per i piedi.
Questa è diventata la nostra società: quello che conta veramente o è troppo distante o è troppo complicato o non ci interessa o siamo convinti non si possa modificare. Il tempo delle grandi lotte è passato. Eppure, siccome la propria natura si può comprimere ma non cancellare completamente, ciò genera solo frustrazioni, odi reconditi, volontà di dirigere la propria rabbia ed indignazione contro bersagli più facili e vicini. Fatemi pure vivere in un mondo dove si massacrano innocenti per un barile di petrolio, dove tutto passa sopra le nostre teste ignare e lobotomizzate, dove io non conto assolutamente nulla e neppure ho diritto a conoscere la verità. Anzi, ci rinuncio proprio a tentare di conoscerla. Però, almeno, fatemi vivere in città pulite, tenetemi lontani gli zingari, lasciatemi tranquillo e sicuro.
Nel celebre film Matrix uno dei personaggi accetta di vivere nel mondo finto predisposto dalle macchine pur sapendolo tale, a patto che gli siano garantiti tutti i relativi agi.
L’orribile sospetto è che sia questo che vogliono gli uomini di oggi. Non importa che la nostra sia una società di plastica, basta che sia commestibile, che non si stia troppo male. Il sostantivo che va più di moda di questi tempi, non a caso, è “sicurezza”. Giustizia e libertà sono passati di moda.


di Andrea Marcon

Precariato e crisi dei subprime





















Un articolo che non verrà spiegato dai media nazionali, un articolo che cerca di fare luce su un problema complesso. Una luce nella nebbia perenne dell'informazione controllata.

Vorrei dire una cosa che non leggerete mai sui giornali di confindustria. E cioe' vorrei spiegare il legame fortissimo che c'e' tra il precariato del lavoro e l'attuale crisi dei mutui subprime.

Punto primo: il mutuo subprime e' un mutuo a rischio dato ad un cosiddetto NINJA, che significa "No Income, No Job or Asset". Si tratta del lavoratore che in Italia viene chiamato "precario".

E' successo molto semplicemente che il mercato del lavoro di alcuni paesi sia stato dominato da queste figure, cioe' da cosiddetti "contractors" che avevano contratti di lavoro a 2,4,5 anni. Poiche' si trattava della stragrande maggioranza del mercato del lavoro, le banche sono state costrette a fornire mutui a questi lavoratori.

Il problema e' che un mutuo dato a questi lavoratori e' un mutuo a rischio, per forza di cose. Essendo un mutuo a rischio altissimo, per ammortizzare il rischio le banche li hanno cartolarizzati e venduti sotto forma di titoli.

Ma il problema rimane quello: poiche' la maggior parte dei lavoratori sono precari, le banche sono state costrette a dare mutui ai precari.

Questa e' stata l'origine della bolla speculativa dei subprime: il precariato del lavoro. Quello che si sta pagando non e' il prezzo di una speculazione finanziaria, ma il prezzo di una politica del lavoro.

Ed e' inutile pensare che leggi piu' rigide in campo finanziario possano cambiare le cose: se la maggior parte dei lavoratori rimane senza certezze sul futuro, le banche saranno costrette a trovare il modo di far loro un mutuo casa. Accollandosi il LORO rischio, cioe' accollandosi il precariato.

In questo modo, quindi, il precariato "infetta" anche le istituzioni finanziarie, che non possono ignorare milioni di clienti quando sono la maggior parte dei clienti.

Questo e' il motivo per il quale Confindustria sta esercitando una pressione fortissima contro i giornali perche' nessuno faccia analisi serie sull'origine del fenomeno subprime: di certo il sole 24 ore non vi verra' a dire che la flessibilita', orgoglio e richiesta di confindustria, sia alla base di un simile disastro finanziario.

Ma tant'e': o Confindustria indica alle banche come vivere in un mondo di precari senza risentire del loro precariato, o qualcuno spiega come gestire il credito al consumo verso un precario senza risentire del rischio che egli corre , o il dato di fatto rimane questo. Il fatto, cioe', che la situazione di precariato (intesa come rischio economico) e' destinata a "infettare" il resto dell'economia.

Se sono precario potrei non finire di pagare l'auto. Se sono precario potrei non finire di pagare la lavatrice. Finche' sono precario potrei non finire di pagare qualsiasi cosa. E cosi' questo rischio di propaga dal mondo del lavoro alla finanza.

Certo, la finanza potrebbe fare a meno dei precari: dove , come in Italia, sono la minoranza. Ma se si estendesse l'uso dei contratti flessibili, la maggior parte dei clienti sarebbero fatti da gente precaria. E le banche NON possono rinunciare alla maggior parte dei clienti.

Ma le stesse carte di credito (che saranno il prossimo disastro finanziario, ovvero il prossimo punto ove l'incendio si propaghera') , che finanziano gli acquisti del possessore, si accollerebbero i rischi che corre il precario di essere senza soldi.

Ecco, confindustria non ve lo dira' mai, ma lo ribadisco: dietro la crisi dei subprime c'e' il precariato del lavoro.

I giornali stanno dicendo che l' Italia risentira' di meno di questa crisi perche' "il mercato e' piu' primitivo". Ma non significa nulla, ed anzi il mercato finanziario italiano e' piu' antico e sofisticato rispetto a molte caverne massoniche degli anglosassoni.

Il vero motivo per il quale l'italia e' al riparo da questa crisi e' che i contratti atipici sono la minoranza, e le banche avevano appena iniziato con qualche esperimento di "diamo un mutuo ai precari". Esperimenti che fortunatamente non hanno avuto seguito.

Anche questa spiegazione, che vorrebbe l' Italia al sicuro perche' "all'antica" , e' una fesseria inventata per nascondere il succo del problema: se proseguiamo con la Legge Biagi e coi contratti atipici, se non aboliamo questa roba fino al pacchetto Treu (con buona pace di D'Alema che lo defini' "moderno ed al passo coi tempi"), prima o poi le banche si vedranno costrette a concedere mutui ai precari, che saranno parti sempre piu' consistenti del mercato.

E alla fine, pagheremo lo stesso prezzo.

Se c'e' una lezione che questa crisi sta insegnando e' che con il mercato del lavoro (e coi giovani che vi si presentano) non si scherza, perche' il loro precariato e' destinato a rendere precario il resto dell'economia, partendo dal mondo della finanza e , di conseguenza, anche al mondo dell'industria.

No, Confindustria non vi dira' mai che con le sue continue richieste di ulteriore flessibilita' sta preparando il terreno ad una crisi come quella USA.

Per questo lo scrivo io.

LA CURA C’E’

Mi dicono che il post sulle cause della crisi subprime, quello che vede la crisi venire dal mercato del lavoro, sia corretta ma inutile. Inutile perche' non fornisce alcun rimedio.

Beh, il rimedio e' evidente.

La lezione di questo crack e’ una sola: i subprime sono nati per dare credito ai lavoratori a termine. Sono nati perche’ la maggior parte dei lavoratori aveva contratti a termine. Ergo, i contratti a termine portano al disastro finanziario quando diventano un numero eccessivo. O si impara la lezione, o nessun governo USA potra’ fermare l’estendersi del crack alle nazioni che hanno molti lavoratori con contratti a termine e quindi, inevitabilmente, molti prestiti subprime. L’Italia, fortunatamente, era indietro su questo fronte.

Il rimedio e' altrettanto ovvio: la crisi si propaghera' laddove il mercato del lavoro rende instabili i posti di lavoro. Il problema e' che piu' la crisi si propaga, piu' posti diventano posti a rischio se il mercato del lavoro e' fluido.

Questo e' il momento buono per ingessare il mercato del lavoro in modo da fermare la crisi. Si prendano tutti i contratti in scadenza e li si congeli (almeno formalmente) per 10 anni. La meta' dei mutui ventennali sara' coperta, nel resto dei casi il tasso di rischio sara' abbassato.

Questo permettera' ai mutui concessi a queste persone di uscire dallo status di "subprime" , e di venire ricartolarizzati con tassi di rischio differenti.

A quel punto, ci sono dieci anni di tempo per tornare sui nostri passi ed eliminare i contratti lavorativi a termine dal grande mercato del lavoro, stabilizzando almeno i contratti con gli intermediari.

MAntenendo fluido il mercato del lavoro invece la crisi produrra' altro rischio di perdere il lavoro, altri mutui diverranno subprime o insolventi, e la crisi si autoalimentera'.

Per ora l'Italia e' poco esposta, ma se il PIL dovesse decrescere di due punti percentuali, la quantita' di insolventi al mutuo crescera' enormemente per via degli autonomi e dei commercianti. E allora ci saremo dentro anche noi.

E' il momento di ingessare il mercato del lavoro per stabilizzare i prestiti dati avendo come garanzia il lavoro stesso.

O cosi', o l'infezione si propaghera'.

di Uriel

Alitalia. Quel pasticciaccio “cucinato” da Berlusconi

Alitalia-Anno zero. Quel pasticciaccio brutto “cucinato” da BerlusconiSiamo ormai all’Anno zero per la nostra disastrata compagnia di bandiera! Rotte le trattative su un’ipotesi di soluzione pasticciata, ricattatoria, ultimativa e senza prospettive industriali e finanziarie, ora si passa alla recriminazioni e ai venti di speranze, per uscire da una crisi decennale, che ha tanti padri (dai governi di centrosinistra a quelli, più colpevoli di centrodestra, al management, agli stessi sindacati interni).

Sono più che eclatanti i sondaggi pubblicati on-line da due quotidiani autorevoli, come Il Sole 24 ore e La Repubblica (addirittura 245 mila partecipanti!), che però nessun giornale stampato né tantomeno TV e Radio si sono finora premurati di rendere pubblici ( da qui giusta la critica denunciata da Articolo 21 sul “pensiero unico” andato in onda in questi giorni per additare le responsabilità solo alla CGIL, piloti e Partito Democratico!).

Rispetto ai roboanti atti di accusa degli esponenti del governo e dei sindacati allineati al nuovo “regime mediatico” (CISL di Bonanni, UIL di Angeletti e UGL della Polverini), si evince come almeno 300 mila persone abbiano decretato che la crisi del fallimento delle trattative e della crisi sarebbe dovuto per il 54% al governo in carica (Rep) e per il 35% sempre a Berlusconi (24 ore), le responsabilità del governo Prodi sarebbero invece minime (1% per il Sole, 2% per Rep). Più divergenti tra loro le imputazioni di responsabilità della crisi tra i votanti del Sole per quanto riguarda il ruolo negativo tenuto dai sindacati: 40%secondo il quotidiano confindustriale, 18% per Rep. Per quanto riguarda, invece, le responsabilità del management passato vengono additate per il 6% dal Sole e per il 19% da Rep.

Ci domandiamo, allora, il perché dell’aggressività e la monocultura antisindacale che promanano dai direttori di alcuni giornali invitati nei “salotti televisivi” di queste sere, che hanno fatto a gara per scaricare tutte le colpe su CGIL, piloti, opposizione di centrosinistra e governo Prodi. E’ chiaro che è in atto un allineamento culturale e politico dei grandi media (con alcune rarissime eccezioni) per creare un “nemico interno”, a favore della “politica dalle mani libere” del governo Berlusconi, che per la sua azione fatta di proclami duri, ultimatum e populismo neo-fascista riceve da alcuni sondaggi apprezzamenti strabilianti, spiazzando i partiti della destra storica, come Alleanza nazionale, e diventando sempre più il punto di riferimento dei sentimenti più retrivi ed allarmanti dell’elettorato di estrema destra.

Berlusconi in realtà si sta mangiando i suoi alleati, mentre il centrosinistra, l’opposizione tutta, stentano a trovare una linea d’azione unitaria e una visione nuova, moderna, realmente alternativa per proporre un progetto che salvi il nostro paese dalla deriva neo-conservatrice, fascistizzante.

L’allineamento dei grandi media precede e segue anche il rimescolamento di carte che negli ultimi mesi sta avvenendo nel mondo della grande finanza. Da tempo, anche durante la crisi di queste settimane dell’Alitalia, abbiamo scritto dei nuovi “padroni” di Mediobanca, il cosiddetto “salotto buono” della nostra finanza e dell’ingresso della famiglia Berlusconi nel tempio di Piazzetta Cuccia.

Ora i giochi si sono conclusi: la figlia del “lider maximo”, Marina Berlusconi, è entrata nel CDA di Mediobanca, il suo fido alleato Tronchetti Provera è diventato vicepresidente ed il “braccio di ferro” tra il big dei banchieri Profumo (unico supermanager ancora contrario alla politica economica del Cavaliere di Arcore) si è risolto con un “no contest” con l’altro uomo di potere Geronzi, presidente della società.

Questo significherà che le Assicurazioni Generali, la cassaforte di Mediobanca, continuerà a controllare con i suoi alleati Telecom (in crisi industriale e finanziaria, dovuta alla gestione Tronchetti Provera, che in pratica l’ha portata nelle braccia della spagnola Telefonica), RCS- Corriere della sera, ovvero il più grande gruppo editoriale italiano. Soprattutto, Mediobanca con i suoi soci del Patto di sindacato rappresenterà per i prossimi anni la nuova fisionomia dell’economia italiana, con un misto di conflitti di interessi e una ragnatela di incroci azionari che in pratica la portano ad essere il vero controllore dei destini imprenditoriali finanziari ed industriali nostrani.

Lo stato si affiancherà sempre più a questo salotto finanziario per tentare di risolvere le tante crisi dell’imprenditoria privata, con una miscela esplosiva di neo-interventismo statalista, aggravando le casse pubbliche facendo ricadere il peso dei “salvataggi2 sui contribuenti, come nel caso appunto di Alitalia.

Assisteremo anche ad un nuovo “risiko” di poteri forti sulle compagini azionarie dei grandi quotidiani e gruppi editoriali, tendenti ad uniformare i messaggi comunicativi per comprimere gli orientamenti dell’opinione pubblica a favore del “lider maximo”.

Era dunque facile prevedere un ruolo di Mediobanca anche nel tentativo di risolvere l’intrica crisi di Alitalia. Sarà quindi proprio Piazzetta Cuccia l’ultimo “cavaliere bianco” che correrà in soccorso di un Berlusconi in crisi di identità e di risorse, dopo che per mesi e mesi aveva fatto di tutto per osteggiare il governo Prodi nel tentativo per niente decisionista di trovare una soluzione (prima l’asta e poi l’opzione Air France-KLM), propagandando un progetto risolutivo (pari al fumo di un arrosto mal cotto) messo in piedi dal collaboratore storico del Cavaliere, quel Bruno Ermolli che è da sempre la vera mente affaristica di tutte le sue operazioni italiane ed estere.

Il “sogno azzurro” di Ermolli si è dissolto come la neve di primavera ai primi raggi del sole. Ma certo ora Mediobanca non potrà tirarsi indietro. Altrimenti Berlusconi perderà la faccia e i consensi.

“Il re è nudo”! Il monarca di Arcore ha spostato la “mondezza” di Napoli dal centro della città ai siti inquinati delle campagne circostanti, senza risolvere realmente la questione dello smaltimento dei rifiuti, ma con Alitalia siamo alla prova concreta di cosa intende questa maggioranza neo-conservativa quando cerca di mettere mano alle tante crisi dell’economia italiana.

“Siamo alla recessione!”, decreta con colpevole ritardo Confindustria; in realtà, siamo alla temutissima “Stagflazione”, ovvero a quella miscela esplosiva che unisce la recessione economica industriale, aggravata dai crack finanziari americani e non solo, con la crescita dell’inflazione (ormai il nostro paese, secondo gli istituti internazionali è in cima alla classifica europea!), la drastica contrazione dei consumi, la riduzione dei prezzi, il fallimento del sistema commerciale al consumo, i bassi salari e il ritorno della disoccupazione.

Si tratta di una bomba a tempo, che “il pasticciaccio brutto” sull’Alitalia sta alimentando come un detonatore e che rischia di far saltare qualsiasi equilibrio sociale nell’autunno incipiente. La crisi Alitalia, così, può diventare per Berlusconi e soci (alleati politici, amici in affari, media compiacenti) il personale “Vietnam” politico, anche se non si intravedono chi siano i “vietcong”, i coraggiosi militanti guidati negli anni Settanta dal presidente Ho Chi Minh e dal generale Vo Nguyem Giap, che riuscirono a sconfiggere gli aggressori americani.

Quando la crisi dei mutui verso novembre-dicembre arriverà al culmine anche in Italia, con le famiglie sempre più indebitate e raggirate dal decreto Tremonti di prolungare le rate con le banche (misure del tutto inefficienti e controproducenti per i consumatori, rispetto invece alla “portabilità” di mutui e conti correnti messe in atto dall’ex-ministro Bersani), sarà difficile gestire socialmente il malcontento, aggravato anche dal calo del potere di acquisto (i salari italiani sono del 30% in meno della media europea, dietro a Grecia e Spagna), dalle alte tasse e dalle incertezze occupazionali.

Chi saprà indicare strade alternative all’anarchia politica probabile? Il Partito Democratico di Veltroni è avvinghiato in un “solipsismo”, nel guardarsi l’ombelico organizzativo e programmatico, l’Italia dei valori di Di Pietro cerca di montare il ribellismo senza una visione strategica, la “sinistra radicale” ormai residuale e in cerca di sé stessa, il sindacato confederale si scopre più diviso, anche se la CGIL sta riprendendo un ruolo egemonico e riformista in molti settori lavorativi.

Comunque si risolva il caso Alitalia, e a questo punto si fa più realistico l’intervento insieme a Mediobanca di un compratore estero europeo che potrà usufruire di migliori condizioni legislative e finanziarie, è la crisi intera dell’economia italiana a preoccupare. Crisi aggravata dalla “liquefazione sociale”, dalla “barbarie culturale” (basta pensare al rifiuto dell’antifascismo come pietra miliare e unificante del paese, ribadito di nuovo dallo stresso Berlusconi!), e dall’assenza di strategie innovative e aderenti all’evoluzione del calderone sociale italiano da parte della sinistra democratica-riformista.

“Il capitalismo è morto” strillava qualche giorno fa in prima pagina il quotidiano “futurista” della destra berlusconia “Libero”, mutuando slogan sessantottini. Sta in realtà scomparendo tra le macerie il “protocapitalismo” neoliberista, quello portato in auge dalla scuola monetarista di Chicago di Milton Friedman, che fu adottata prima dal dittatore golpista Pinochet nel Cile del dopo-Allende e poi rivista e ammodernata da Reagan, Bush padre e figlio negli Stati Uniti, dalla conservatrice Tathcher e dal neo-laburista Blair in Gran Bretagna.

Molti vedono con grandi speranze l’evolversi delle elezioni americane di Novembre, nell’attesa che se vincesse Obama potrebbe ritornare una politica economica e sociale di stampo neo-keynesiana, una revisione aggiornata del welfarestate socialdemocratico. Ma se vincerà il neo-conservatore, repubblicano McCain?

E poi siamo davvero sicuri che ancora una volta può venire un esempio innovativo dal decadente impero statunitense? Le ricette si preparano e si sperimentano in casa propria, sulla base dell’esperienze locali e degli stimoli provenienti dalla globalizzazione. Forse il “laboratorio europeo”, nonostante tutto è ancora il più stimolante per uscire fuori dalla profonda crisi attuale.

E anche l’Alitalia potrà trovare la luce fuori dalle dense nebbie grazie a partnership europee, alla trasparenza dei rapporti sindacali, al rigetto della politica fatta solo di “ultimatum”, di “prendere o lasciare”, al rispetto delle regole e delle leggi.

Tornare a volare Alitalia, quindi, per tornare a volare con la speranza in un futuro senza populismi e imbarbarimenti.

di Gianni Rossi

27 settembre 2008

Un mondo di plastica



C’erano una volta le grandi battaglie ideologiche, le manifestazioni oceaniche, il ’68, le piazze indignate, i cortei contro la guerra del Vietnam: episodi che in buona parte non condividiamo e che comunque si sono resi responsabili di errori, spesso di veri e propri crimini. Per questo non li rimpiangiamo in sé, ma è certo che – insieme a migliaia di altri fenomeni analoghi più o meno noti – testimoniano un’epoca nella quale gli uomini avevano ancora la voglia di lottare per qualcosa in cui credevano, un “qualcosa” comunque di alto profilo, perlomeno nelle intenzioni: l’ideologia, la pace, la giustizia, la libertà.
Ieri mi trovano ad osservare i portoni lungo una via e notavo come pressoché tutti esponessero il cartello “Vietato immettere pubblicità nelle cassette”. Anche questo, di per sé, un episodio di scarsa rilevanza e che riflette pure un’esigenza legittima per il cittadino stanco di vedere la propria cassetta intasata di depliants pubblicitari. Lo stesso cittadino che non sopporta più di vedere i muri imbrattati, gli accattoni per le strade, le prostitute sui marciapiedi, il fumo del vicino, i drogati sulle panchine della stazione. Che migliaia di civili innocenti siano massacrati in Afghanistan e Iraq con l’appoggio o l’omertà del nostro esercito e del nostro governo non frega niente a nessuno. Ma che qualche scalmanato napoletano danneggi un treno è assolutamente intollerabile. Che Banca d’Italia e BCE siano organismi privati che attraverso il signoraggio ci depredano di infiniti milioni di euro è troppo difficile da capire e non indigna che pochi “esperti”. Ma se la banca presso la quale abbiamo depositato il nostro conto ci aumenta di un paio di euro le commissioni a nostro carico siamo pronti anche a prendere il direttore per i piedi.
Questa è diventata la nostra società: quello che conta veramente o è troppo distante o è troppo complicato o non ci interessa o siamo convinti non si possa modificare. Il tempo delle grandi lotte è passato. Eppure, siccome la propria natura si può comprimere ma non cancellare completamente, ciò genera solo frustrazioni, odi reconditi, volontà di dirigere la propria rabbia ed indignazione contro bersagli più facili e vicini. Fatemi pure vivere in un mondo dove si massacrano innocenti per un barile di petrolio, dove tutto passa sopra le nostre teste ignare e lobotomizzate, dove io non conto assolutamente nulla e neppure ho diritto a conoscere la verità. Anzi, ci rinuncio proprio a tentare di conoscerla. Però, almeno, fatemi vivere in città pulite, tenetemi lontani gli zingari, lasciatemi tranquillo e sicuro.
Nel celebre film Matrix uno dei personaggi accetta di vivere nel mondo finto predisposto dalle macchine pur sapendolo tale, a patto che gli siano garantiti tutti i relativi agi.
L’orribile sospetto è che sia questo che vogliono gli uomini di oggi. Non importa che la nostra sia una società di plastica, basta che sia commestibile, che non si stia troppo male. Il sostantivo che va più di moda di questi tempi, non a caso, è “sicurezza”. Giustizia e libertà sono passati di moda.


di Andrea Marcon

Precariato e crisi dei subprime





















Un articolo che non verrà spiegato dai media nazionali, un articolo che cerca di fare luce su un problema complesso. Una luce nella nebbia perenne dell'informazione controllata.

Vorrei dire una cosa che non leggerete mai sui giornali di confindustria. E cioe' vorrei spiegare il legame fortissimo che c'e' tra il precariato del lavoro e l'attuale crisi dei mutui subprime.

Punto primo: il mutuo subprime e' un mutuo a rischio dato ad un cosiddetto NINJA, che significa "No Income, No Job or Asset". Si tratta del lavoratore che in Italia viene chiamato "precario".

E' successo molto semplicemente che il mercato del lavoro di alcuni paesi sia stato dominato da queste figure, cioe' da cosiddetti "contractors" che avevano contratti di lavoro a 2,4,5 anni. Poiche' si trattava della stragrande maggioranza del mercato del lavoro, le banche sono state costrette a fornire mutui a questi lavoratori.

Il problema e' che un mutuo dato a questi lavoratori e' un mutuo a rischio, per forza di cose. Essendo un mutuo a rischio altissimo, per ammortizzare il rischio le banche li hanno cartolarizzati e venduti sotto forma di titoli.

Ma il problema rimane quello: poiche' la maggior parte dei lavoratori sono precari, le banche sono state costrette a dare mutui ai precari.

Questa e' stata l'origine della bolla speculativa dei subprime: il precariato del lavoro. Quello che si sta pagando non e' il prezzo di una speculazione finanziaria, ma il prezzo di una politica del lavoro.

Ed e' inutile pensare che leggi piu' rigide in campo finanziario possano cambiare le cose: se la maggior parte dei lavoratori rimane senza certezze sul futuro, le banche saranno costrette a trovare il modo di far loro un mutuo casa. Accollandosi il LORO rischio, cioe' accollandosi il precariato.

In questo modo, quindi, il precariato "infetta" anche le istituzioni finanziarie, che non possono ignorare milioni di clienti quando sono la maggior parte dei clienti.

Questo e' il motivo per il quale Confindustria sta esercitando una pressione fortissima contro i giornali perche' nessuno faccia analisi serie sull'origine del fenomeno subprime: di certo il sole 24 ore non vi verra' a dire che la flessibilita', orgoglio e richiesta di confindustria, sia alla base di un simile disastro finanziario.

Ma tant'e': o Confindustria indica alle banche come vivere in un mondo di precari senza risentire del loro precariato, o qualcuno spiega come gestire il credito al consumo verso un precario senza risentire del rischio che egli corre , o il dato di fatto rimane questo. Il fatto, cioe', che la situazione di precariato (intesa come rischio economico) e' destinata a "infettare" il resto dell'economia.

Se sono precario potrei non finire di pagare l'auto. Se sono precario potrei non finire di pagare la lavatrice. Finche' sono precario potrei non finire di pagare qualsiasi cosa. E cosi' questo rischio di propaga dal mondo del lavoro alla finanza.

Certo, la finanza potrebbe fare a meno dei precari: dove , come in Italia, sono la minoranza. Ma se si estendesse l'uso dei contratti flessibili, la maggior parte dei clienti sarebbero fatti da gente precaria. E le banche NON possono rinunciare alla maggior parte dei clienti.

Ma le stesse carte di credito (che saranno il prossimo disastro finanziario, ovvero il prossimo punto ove l'incendio si propaghera') , che finanziano gli acquisti del possessore, si accollerebbero i rischi che corre il precario di essere senza soldi.

Ecco, confindustria non ve lo dira' mai, ma lo ribadisco: dietro la crisi dei subprime c'e' il precariato del lavoro.

I giornali stanno dicendo che l' Italia risentira' di meno di questa crisi perche' "il mercato e' piu' primitivo". Ma non significa nulla, ed anzi il mercato finanziario italiano e' piu' antico e sofisticato rispetto a molte caverne massoniche degli anglosassoni.

Il vero motivo per il quale l'italia e' al riparo da questa crisi e' che i contratti atipici sono la minoranza, e le banche avevano appena iniziato con qualche esperimento di "diamo un mutuo ai precari". Esperimenti che fortunatamente non hanno avuto seguito.

Anche questa spiegazione, che vorrebbe l' Italia al sicuro perche' "all'antica" , e' una fesseria inventata per nascondere il succo del problema: se proseguiamo con la Legge Biagi e coi contratti atipici, se non aboliamo questa roba fino al pacchetto Treu (con buona pace di D'Alema che lo defini' "moderno ed al passo coi tempi"), prima o poi le banche si vedranno costrette a concedere mutui ai precari, che saranno parti sempre piu' consistenti del mercato.

E alla fine, pagheremo lo stesso prezzo.

Se c'e' una lezione che questa crisi sta insegnando e' che con il mercato del lavoro (e coi giovani che vi si presentano) non si scherza, perche' il loro precariato e' destinato a rendere precario il resto dell'economia, partendo dal mondo della finanza e , di conseguenza, anche al mondo dell'industria.

No, Confindustria non vi dira' mai che con le sue continue richieste di ulteriore flessibilita' sta preparando il terreno ad una crisi come quella USA.

Per questo lo scrivo io.

LA CURA C’E’

Mi dicono che il post sulle cause della crisi subprime, quello che vede la crisi venire dal mercato del lavoro, sia corretta ma inutile. Inutile perche' non fornisce alcun rimedio.

Beh, il rimedio e' evidente.

La lezione di questo crack e’ una sola: i subprime sono nati per dare credito ai lavoratori a termine. Sono nati perche’ la maggior parte dei lavoratori aveva contratti a termine. Ergo, i contratti a termine portano al disastro finanziario quando diventano un numero eccessivo. O si impara la lezione, o nessun governo USA potra’ fermare l’estendersi del crack alle nazioni che hanno molti lavoratori con contratti a termine e quindi, inevitabilmente, molti prestiti subprime. L’Italia, fortunatamente, era indietro su questo fronte.

Il rimedio e' altrettanto ovvio: la crisi si propaghera' laddove il mercato del lavoro rende instabili i posti di lavoro. Il problema e' che piu' la crisi si propaga, piu' posti diventano posti a rischio se il mercato del lavoro e' fluido.

Questo e' il momento buono per ingessare il mercato del lavoro in modo da fermare la crisi. Si prendano tutti i contratti in scadenza e li si congeli (almeno formalmente) per 10 anni. La meta' dei mutui ventennali sara' coperta, nel resto dei casi il tasso di rischio sara' abbassato.

Questo permettera' ai mutui concessi a queste persone di uscire dallo status di "subprime" , e di venire ricartolarizzati con tassi di rischio differenti.

A quel punto, ci sono dieci anni di tempo per tornare sui nostri passi ed eliminare i contratti lavorativi a termine dal grande mercato del lavoro, stabilizzando almeno i contratti con gli intermediari.

MAntenendo fluido il mercato del lavoro invece la crisi produrra' altro rischio di perdere il lavoro, altri mutui diverranno subprime o insolventi, e la crisi si autoalimentera'.

Per ora l'Italia e' poco esposta, ma se il PIL dovesse decrescere di due punti percentuali, la quantita' di insolventi al mutuo crescera' enormemente per via degli autonomi e dei commercianti. E allora ci saremo dentro anche noi.

E' il momento di ingessare il mercato del lavoro per stabilizzare i prestiti dati avendo come garanzia il lavoro stesso.

O cosi', o l'infezione si propaghera'.

di Uriel

Alitalia. Quel pasticciaccio “cucinato” da Berlusconi

Alitalia-Anno zero. Quel pasticciaccio brutto “cucinato” da BerlusconiSiamo ormai all’Anno zero per la nostra disastrata compagnia di bandiera! Rotte le trattative su un’ipotesi di soluzione pasticciata, ricattatoria, ultimativa e senza prospettive industriali e finanziarie, ora si passa alla recriminazioni e ai venti di speranze, per uscire da una crisi decennale, che ha tanti padri (dai governi di centrosinistra a quelli, più colpevoli di centrodestra, al management, agli stessi sindacati interni).

Sono più che eclatanti i sondaggi pubblicati on-line da due quotidiani autorevoli, come Il Sole 24 ore e La Repubblica (addirittura 245 mila partecipanti!), che però nessun giornale stampato né tantomeno TV e Radio si sono finora premurati di rendere pubblici ( da qui giusta la critica denunciata da Articolo 21 sul “pensiero unico” andato in onda in questi giorni per additare le responsabilità solo alla CGIL, piloti e Partito Democratico!).

Rispetto ai roboanti atti di accusa degli esponenti del governo e dei sindacati allineati al nuovo “regime mediatico” (CISL di Bonanni, UIL di Angeletti e UGL della Polverini), si evince come almeno 300 mila persone abbiano decretato che la crisi del fallimento delle trattative e della crisi sarebbe dovuto per il 54% al governo in carica (Rep) e per il 35% sempre a Berlusconi (24 ore), le responsabilità del governo Prodi sarebbero invece minime (1% per il Sole, 2% per Rep). Più divergenti tra loro le imputazioni di responsabilità della crisi tra i votanti del Sole per quanto riguarda il ruolo negativo tenuto dai sindacati: 40%secondo il quotidiano confindustriale, 18% per Rep. Per quanto riguarda, invece, le responsabilità del management passato vengono additate per il 6% dal Sole e per il 19% da Rep.

Ci domandiamo, allora, il perché dell’aggressività e la monocultura antisindacale che promanano dai direttori di alcuni giornali invitati nei “salotti televisivi” di queste sere, che hanno fatto a gara per scaricare tutte le colpe su CGIL, piloti, opposizione di centrosinistra e governo Prodi. E’ chiaro che è in atto un allineamento culturale e politico dei grandi media (con alcune rarissime eccezioni) per creare un “nemico interno”, a favore della “politica dalle mani libere” del governo Berlusconi, che per la sua azione fatta di proclami duri, ultimatum e populismo neo-fascista riceve da alcuni sondaggi apprezzamenti strabilianti, spiazzando i partiti della destra storica, come Alleanza nazionale, e diventando sempre più il punto di riferimento dei sentimenti più retrivi ed allarmanti dell’elettorato di estrema destra.

Berlusconi in realtà si sta mangiando i suoi alleati, mentre il centrosinistra, l’opposizione tutta, stentano a trovare una linea d’azione unitaria e una visione nuova, moderna, realmente alternativa per proporre un progetto che salvi il nostro paese dalla deriva neo-conservatrice, fascistizzante.

L’allineamento dei grandi media precede e segue anche il rimescolamento di carte che negli ultimi mesi sta avvenendo nel mondo della grande finanza. Da tempo, anche durante la crisi di queste settimane dell’Alitalia, abbiamo scritto dei nuovi “padroni” di Mediobanca, il cosiddetto “salotto buono” della nostra finanza e dell’ingresso della famiglia Berlusconi nel tempio di Piazzetta Cuccia.

Ora i giochi si sono conclusi: la figlia del “lider maximo”, Marina Berlusconi, è entrata nel CDA di Mediobanca, il suo fido alleato Tronchetti Provera è diventato vicepresidente ed il “braccio di ferro” tra il big dei banchieri Profumo (unico supermanager ancora contrario alla politica economica del Cavaliere di Arcore) si è risolto con un “no contest” con l’altro uomo di potere Geronzi, presidente della società.

Questo significherà che le Assicurazioni Generali, la cassaforte di Mediobanca, continuerà a controllare con i suoi alleati Telecom (in crisi industriale e finanziaria, dovuta alla gestione Tronchetti Provera, che in pratica l’ha portata nelle braccia della spagnola Telefonica), RCS- Corriere della sera, ovvero il più grande gruppo editoriale italiano. Soprattutto, Mediobanca con i suoi soci del Patto di sindacato rappresenterà per i prossimi anni la nuova fisionomia dell’economia italiana, con un misto di conflitti di interessi e una ragnatela di incroci azionari che in pratica la portano ad essere il vero controllore dei destini imprenditoriali finanziari ed industriali nostrani.

Lo stato si affiancherà sempre più a questo salotto finanziario per tentare di risolvere le tante crisi dell’imprenditoria privata, con una miscela esplosiva di neo-interventismo statalista, aggravando le casse pubbliche facendo ricadere il peso dei “salvataggi2 sui contribuenti, come nel caso appunto di Alitalia.

Assisteremo anche ad un nuovo “risiko” di poteri forti sulle compagini azionarie dei grandi quotidiani e gruppi editoriali, tendenti ad uniformare i messaggi comunicativi per comprimere gli orientamenti dell’opinione pubblica a favore del “lider maximo”.

Era dunque facile prevedere un ruolo di Mediobanca anche nel tentativo di risolvere l’intrica crisi di Alitalia. Sarà quindi proprio Piazzetta Cuccia l’ultimo “cavaliere bianco” che correrà in soccorso di un Berlusconi in crisi di identità e di risorse, dopo che per mesi e mesi aveva fatto di tutto per osteggiare il governo Prodi nel tentativo per niente decisionista di trovare una soluzione (prima l’asta e poi l’opzione Air France-KLM), propagandando un progetto risolutivo (pari al fumo di un arrosto mal cotto) messo in piedi dal collaboratore storico del Cavaliere, quel Bruno Ermolli che è da sempre la vera mente affaristica di tutte le sue operazioni italiane ed estere.

Il “sogno azzurro” di Ermolli si è dissolto come la neve di primavera ai primi raggi del sole. Ma certo ora Mediobanca non potrà tirarsi indietro. Altrimenti Berlusconi perderà la faccia e i consensi.

“Il re è nudo”! Il monarca di Arcore ha spostato la “mondezza” di Napoli dal centro della città ai siti inquinati delle campagne circostanti, senza risolvere realmente la questione dello smaltimento dei rifiuti, ma con Alitalia siamo alla prova concreta di cosa intende questa maggioranza neo-conservativa quando cerca di mettere mano alle tante crisi dell’economia italiana.

“Siamo alla recessione!”, decreta con colpevole ritardo Confindustria; in realtà, siamo alla temutissima “Stagflazione”, ovvero a quella miscela esplosiva che unisce la recessione economica industriale, aggravata dai crack finanziari americani e non solo, con la crescita dell’inflazione (ormai il nostro paese, secondo gli istituti internazionali è in cima alla classifica europea!), la drastica contrazione dei consumi, la riduzione dei prezzi, il fallimento del sistema commerciale al consumo, i bassi salari e il ritorno della disoccupazione.

Si tratta di una bomba a tempo, che “il pasticciaccio brutto” sull’Alitalia sta alimentando come un detonatore e che rischia di far saltare qualsiasi equilibrio sociale nell’autunno incipiente. La crisi Alitalia, così, può diventare per Berlusconi e soci (alleati politici, amici in affari, media compiacenti) il personale “Vietnam” politico, anche se non si intravedono chi siano i “vietcong”, i coraggiosi militanti guidati negli anni Settanta dal presidente Ho Chi Minh e dal generale Vo Nguyem Giap, che riuscirono a sconfiggere gli aggressori americani.

Quando la crisi dei mutui verso novembre-dicembre arriverà al culmine anche in Italia, con le famiglie sempre più indebitate e raggirate dal decreto Tremonti di prolungare le rate con le banche (misure del tutto inefficienti e controproducenti per i consumatori, rispetto invece alla “portabilità” di mutui e conti correnti messe in atto dall’ex-ministro Bersani), sarà difficile gestire socialmente il malcontento, aggravato anche dal calo del potere di acquisto (i salari italiani sono del 30% in meno della media europea, dietro a Grecia e Spagna), dalle alte tasse e dalle incertezze occupazionali.

Chi saprà indicare strade alternative all’anarchia politica probabile? Il Partito Democratico di Veltroni è avvinghiato in un “solipsismo”, nel guardarsi l’ombelico organizzativo e programmatico, l’Italia dei valori di Di Pietro cerca di montare il ribellismo senza una visione strategica, la “sinistra radicale” ormai residuale e in cerca di sé stessa, il sindacato confederale si scopre più diviso, anche se la CGIL sta riprendendo un ruolo egemonico e riformista in molti settori lavorativi.

Comunque si risolva il caso Alitalia, e a questo punto si fa più realistico l’intervento insieme a Mediobanca di un compratore estero europeo che potrà usufruire di migliori condizioni legislative e finanziarie, è la crisi intera dell’economia italiana a preoccupare. Crisi aggravata dalla “liquefazione sociale”, dalla “barbarie culturale” (basta pensare al rifiuto dell’antifascismo come pietra miliare e unificante del paese, ribadito di nuovo dallo stresso Berlusconi!), e dall’assenza di strategie innovative e aderenti all’evoluzione del calderone sociale italiano da parte della sinistra democratica-riformista.

“Il capitalismo è morto” strillava qualche giorno fa in prima pagina il quotidiano “futurista” della destra berlusconia “Libero”, mutuando slogan sessantottini. Sta in realtà scomparendo tra le macerie il “protocapitalismo” neoliberista, quello portato in auge dalla scuola monetarista di Chicago di Milton Friedman, che fu adottata prima dal dittatore golpista Pinochet nel Cile del dopo-Allende e poi rivista e ammodernata da Reagan, Bush padre e figlio negli Stati Uniti, dalla conservatrice Tathcher e dal neo-laburista Blair in Gran Bretagna.

Molti vedono con grandi speranze l’evolversi delle elezioni americane di Novembre, nell’attesa che se vincesse Obama potrebbe ritornare una politica economica e sociale di stampo neo-keynesiana, una revisione aggiornata del welfarestate socialdemocratico. Ma se vincerà il neo-conservatore, repubblicano McCain?

E poi siamo davvero sicuri che ancora una volta può venire un esempio innovativo dal decadente impero statunitense? Le ricette si preparano e si sperimentano in casa propria, sulla base dell’esperienze locali e degli stimoli provenienti dalla globalizzazione. Forse il “laboratorio europeo”, nonostante tutto è ancora il più stimolante per uscire fuori dalla profonda crisi attuale.

E anche l’Alitalia potrà trovare la luce fuori dalle dense nebbie grazie a partnership europee, alla trasparenza dei rapporti sindacali, al rigetto della politica fatta solo di “ultimatum”, di “prendere o lasciare”, al rispetto delle regole e delle leggi.

Tornare a volare Alitalia, quindi, per tornare a volare con la speranza in un futuro senza populismi e imbarbarimenti.

di Gianni Rossi