11 ottobre 2008

Una democrazia senza parlamento

Titoli di giornali di ieri: “Berlusconi: imporrò i decreti” (la Repubblica). Più soft, una volta si diceva “più gesuitico”, il Corriere: “Berlusconi: farò più decreti”. Poiché non eravamo a Napoli, luogo del pronunciamento, non possiamo giurare su quale dei due verbi abbia usato il premier. Sta di fatto che, nel clima della legge Alfano, cui i costituzionalisti negano il titolo di “lodo” non essendo il ministro di giustizia un’autorità neutrale chiamata a mediare vertenze, un delirio di onnipotenza e di insofferenza per le istituzioni parlamentari e per la costituzione della repubblica sta dilagando nella destra. Mercoledì ne abbiamo avuto tre manifestazioni simultanee: quella appena ricordata del premier a Napoli, l’annuncio di Tremonti che l’indomani sarebbe andato in parlamento a riferire solo sulla legge finanziaria e non sulla crisi mondiale, come chiedevano i deputati; la teoria di Elio Vito, ministro dei rapporti col parlamento, illustrata nel question-time, che la decretazione è un modo di adeguare il processo legislativo al nuovo secolo, che mal sopporta tempi e modi della legiferazione parlamentare.

Ma dove hanno letto, costoro, che la nostra democrazia non è più quella codificata nella costituzione e che il governo può strafottersene delle regole scritte e dei rappresentanti del popolo? Il 4 luglio, Europa pubblicò l’appello di 110 docenti dell’Associazione costituzionalisti, presieduta da Alessandro Pace, al capo dello stato, al governo, alle camere, e naturalmente al “popolo sovrano” che la nostra costituzione, non mutata, riconosce appunto unico sovrano e tuttavia nega anche ad esso l’esercizio della sovranità fuori dei modi e dei limiti stabiliti dalla legge. A maggior ragione, fuori di quei limiti e modi non si possono porre i governanti, sulle cui spalle non c’è neanche la forfora della sovranità. Fare le leggi è dunque mestiere del parlamento. Il governo può fare decreti solo in caso di necessità e urgenza. Non ha necessità e urgenza la guerra ai graffiti che Berlusconi ha indicato da Napoli come uno dei prossimi oggetti del suo governare per decreti.

Ma oltre ai requisiti di necessità e urgenza, i decreti debbono essere “puntuali e omogenei”, cioè riguardare una singola materia, come impone la legge 400 del 1988 sui poteri della presidenza del consiglio. Invece non lo sono più da quando i loro testi sono diventati vere e proprie lenzuolate, nelle quali ci sono non una ma dieci, quindici materie: una , forse, con caratteri di necessità e urgenza, le altre come Dio vuole. Prassi fraudolenta, il capo dello stato talvolta obbietta, altre volte concede l’autorizzazione, che il cavaliere nella sua cultura brianzola chiama il “visto”. La frode si moltiplica quando la lenzuolata, autorizzata dal Quirinale per evitare la guerra perpetua col governo, viene inzeppata di emendamenti in parlamento e quindi diventa una cosa diversa da quella “vistata” cioè autorizata dal capo dello stato. E’ una vera e propria prassi di rapina nei confronti del presidente della repubblica e del parlamento. Il presidente della camera Fini ha formalmente protestato contro questa legiferazione per decreti. Dall’inizio del governo Berlusconi, deputati e senatori si sono limitari a convertire in leggi i decreti del governo. Per di più prendendosi lo sberleffo di Vito.

Il quale, per negare questa mortificante realtà, rinfacciava all’aula di Montecitorio che i parlamentari hanno votato anche la ratifica di non so quale trattato internazionale. Hai detto un prospero.
Siamo grati a Fini della protesta, altrettanto ci aspettiamo da Schifani, che sovrintende all’altro ramo del parlamento. E ci aspettiamo anche che dicano la cosa essenziale: poiché Berlusconi lamenta l’inadeguatezza dei suoi poteri di premier e la farraginosità dei regolamenti parlamentari – le due cause della lentezza del processo legislativo – camera e senato, dove la maggioranza ha numeri sovrabbondanti, procedano subito ad adeguare la legge 400 sui poteri del presidente del consiglio e a snellire radicalmente i regolamenti parlamentari. Il governo potrà così governare con la velocità della Tav, come piacerebbe a Berlusconi e non solo a lui.

Di più, la legge 400 sui poteri della presidenza del consiglio potrebbe essere trasformata da legge ordinaria a norma costituzionale: aggiungendo così ai requisiti di necessità e urgenza, già scritti in costituzione, quelli di puntualità e omogeneità, scritti nella legge e snobbati dalle lenzuolate. Sarebbe la strada semplice e corretta per restare nella democrazia parlamentare. Che altrimenti, anche senza evocare Putin o Videla, vedrebbe giorno dopo giorno le sue istituzioni (e la libertà dei cittadini) ridursi come le anime dantesche, “ombre vane fuor che nell’aspetto”.
di Federico Orlando

Una rivolta dei “consumatori” può scatenare una rivoluzione?



Il proletariato borghese – I ceti medi potrebbero trasformarsi in classe rivoluzionaria, prendendo il posto che Marx aveva immaginato del proletariato. La globalizzazione del mercato del lavoro e i ridotti livelli del supporto previdenziale nazionale e della occupazione potrebbero diminuire nella gente l'attaccamento a certe istituzioni. Il gap crescente tra loro e un piccolo numero di individui ultra-ricchi molto in vista potrebbe accendere la disillusione nei confronti della meritocrazia, mentre le sotto-classi urbane in aumento potrebbero rappresentare una crescente minaccia per l'ordine e la stabilità sociali, dato che il peso del debito acquisito e il fallimento del supporto pensionistico cominciano a bruciare. Di fronte a questa doppia sfida, i ceti medi di tutto il mondo, usando l'accesso al sapere, potrebbero unire risorse e abilità per dare forma a processi transnazionali nell'interesse della propria classe.” ― Rapporto del Ministero della Difesa Inglese: “Programma sugli Andamenti Globali Strategici 2007-2036 del Development, Concepts and Doctrine Centre (DCDC)” [Centro per lo Sviluppo di Concetti e Dottrine], (Terza Edizione) p.96, Marzo 2007.

Parole davvero profetiche, considerata la gravissima siutuazione del capitalismo per effetto della speculazione rampante e di un'economia basata sull'illusoria creazione di una fetta di benessere, quest'analisi del Ministero della Difesa ha qualche significato?

Il potere del grande capitale transnazionale ha trasformato non soltanto lo scenario economico ma anche la natura del modo in cui viviamo, dal cibo che mangiamo (e dove lo acquistiamo) fino alla struttura dei nostri spazi sociali, e a giudicare dal livello d'insoddisfazione della società capitalista contemporanea, ampie fasce di popolazione non sono fesse e contente.

Ma al contrario di epoche precedenti questa insoddisfazione, che non ha una voce politica coerente, sta trovando altre vie d'uscita e di espressione.

Con una popolazione incastrata nel debito che adesso si estende alla sua progenie, i “bei tempi” dei passati decenni sono finiti con un botto e, dato che l'unica “soluzione” alla crisi del capitalismo sembra essere negli effetti del cambiamento climatico, nel caos causato dalla “globalizzazione” (imperialismo rimodernato sotto altro nome) e nell'estesa destabilizzazione come la guerra senza fine, quali sono le possibilità di porre termine alla follia del capitalismo?

La sinistra, essa stessa prodotto di una società che di fatto non esiste più, ha fallito sia nel non riconoscere questa trasformazione, sia nel non produrre una struttura teorica che possa essere usata per apportare un cambiamento radicale.

Nel Regno Unito cinque gigantesche catene di supermarket dominano la fornitura alimentare al dettaglio, e a causa della loro solidità sul mercato impongono non solo il prezzo ma anche il tipo, la qualità e la provenienza di quello che vendono.

Eppure il 75% degli alimenti coltivati e prodotti nel Regno Unito proviene da piccoli produttori.

Sfortunatamente, per il piccolo agricoltore, questi non possono offrirlo al prezzo richiesto dai monopoli dei supermarket, e tanto meno farlo per tutto il corso dell'anno, mentre i generi alimentari provenienti dai paesi in via di sviluppo non solo costano meno ma sono anche disponibili su richiesta. La globalizzazione ha spezzato il legame biologico e storico fra la produzione agricola e il consumo.

Un terzo dei 20 miliardi di sterline spesi annualmente in abbigliamento e in casalinghi vengono spesi nelle otto settimane che precedono il Natale. Tuttavia, la tanto decantata economia dei consumi è in gran parte un'illusione dato che opera quasi completamente sul credito/debito. Il credito proviene dall'enorme eccedenza estratta dal settore bancario e finanziario attraverso il controllo e il possesso del circuito globale di capitale, che a sua volta presta ai consumatori addebitando loro gli interessi sul prestito.

Di contro, solo una piccola percentuale del prodotto interno lordo del Regno Unito proviene dalla manifattura, la nostra non è più un'economia produttiva in realtà, ma soltanto un'economia dei consumi. Il “benessere” di cui godiamo adesso ha due fonti: il credito o il debito per mezzo del settore finanziario che in cambio finanzia l'economia del credito (be', almeno così è stato fino a poco tempo fa). Ovviamente è un ciclo chiuso, poiché nessun benessere vero e proprio viene prodotto, in altre parole è un'economia parassita che dipende completamente dalla presa che il grande capitale ha sul circuito globale di capitale e dall'estrarre il sovrappiù da un terzo mondo disperato e sempre più povero. Perciò il capitalismo industriale è stato sostituito quasi completamente dal capitalismo dei consumi.

Quindi, cosa implica questa trasformazione e come dovremmo affrontarla?

Con la fine della classe lavoratrice organizzata, tramite la distruzione dei sindacati di categoria (a parte i sindacati del pubblico impiego, e in maniera rilevante, lo stato è il più grande datore di lavoro) e la distruzione totale delle comunità della classe operaia, dato che le attività produttive sono state tolte di mezzo, anche la tradizionale solidarietà che si creava nelle comunità e nei luoghi di lavoro è scomparsa.

Accanto a questo, con la scissione della società in una “middle-class” carica di debiti e in una “under-class” relegata in quartieri fatiscenti, lo stato delle aziende e dell'apparato di sicurezza sembra al sicuro. Esso ha a disposizione tutte le “leggi” per reprimere qualunque dissenso reale che sfidi il potere dello stato in maniera significativa.

Infatti, per fare un esempio, è riuscito a mettere una parte della classe operaia contro l'altra, demonizzandone e criminalizzandone la parte giovane, creando un'atmosfera di paura e di paranoia attraverso la complicità dei media (per es., “sensazione che il crimine stia dilagando”, “comportamento antisociale”, “abuso di alcolici”, “accoltellamenti”, “bande giovanili”), davvero un ritorno alla “classe criminale” dell'epoca vittoriana. In questo modo lo stato e/o i media hanno messo i lavoratori nelle condizioni di divorarsi l'un l'altro, piuttosto che fare luce sulla vera causa della frammentazione della società, il capitalismo.

Eppure, a dispetto della nostra esistenza depoliticizzata e alienata, questa è una società che si sta spaccando in una pletora di fratture, fratture che stanno trovando un'espressione ma non nel modo “tradizionale”, cioè attraverso la lotta di classe.

In compenso vediamo i cosiddetti gruppi di interesse, generalmente nel ceto medio, in cerca di “alternative” per costruire stili di vita “ecologici”, come ripartizioni dei generi alimentari, progetti di energia “sostenibile”, riciclaggio, nostalgici viaggi in un passato (“retaggio”) perlopiù fittizio, una ricerca di “britannicità”, molti dei quali ― non c'è da sorprendersi, dato che gli stessi lavorano nei media ― trovano espressione in una marea di programmi in TV e alla radio. Nell'insieme, sa di elitarismo, ma si può affermare che questi sono progetti di lusso, e allora cosa succede quando finiscono i soldi?

D'altra parte, non vi è dubbio che l'attrattiva del capitalismo consumistico stia svanendo ancor prima di finire fuori strada, e questo processo sta accelerando con la crisi del capitale che si mangia la casa, e il costo della vita alle stelle. Quindi si sta verificando un certo tipo di sintesi tra i bisogni reali e la realtà, ma manca di espressioni fattibili.

Potrebbe essere come dice il rapporto del Ministero della Difesa, “Di fronte a questa doppia sfida i ceti medi di tutto il mondo, usando l'accesso al sapere, potrebbero unire risorse e abilità per dare forma a processi transnazionali nell'interesse della propria classe”, e se così fosse, dov'è la sinistra in questo processo?

Se questa è di fatto una riflessione accurata dei processi attualmente in corso, come possono questi due settori del proletariato trovare un terreno comune senza una qualche espressione collettiva?

Attualmente, la sinistra esistente quasi ignora la cosiddetta “middle class”, i professionisti, manager, operatori dei media, intellettuali e accademici che in realtà fanno andare il capitalismo (a parte cioè quelli che ironicamente compongono la leadership della sinistra)?

Cruciali per questo processo sono gli impiegati del servizio pubblico, senza i quali lo stato non ha potere. Una qualche alleanza fra la restante classe operaia organizzata e il ceto medio professionista potrebbe portare ad un cambiamento rivoluzionario?

Io sostengo che molto dipende da come si metterà l'attuale crisi del capitale. Se, come potrebbe essere il caso, la classe capitalista internazionale è ben decisa a usare una serie infinita di guerre come soluzione alla crisi dell'accumulazione, allora si mette davvero male.

Perciò smascherare la “guerra al terrore”, in realtà la guerra al pianeta e alle sue genti insita nella natura del capitalismo, deve essere di certo il nostro obiettivo primario, altrimenti tutto è perduto.

di WILLIAM BOWLES
creative-i.info

700 miliardi per camuffare la storia



Durante la settimana finanziaria che va dal 15 al 19 settembre, la globalizzazione finanziaria aveva dimostrato di essere definitivamente morta. Ma prima che il crollo di Wall Street coinvolgesse Main Street (l’economia reale), il Governo americano ha preso una decisione senza precedenti: la costituzione di un ente federale con a disposizione 700 miliardi di dollari da destinare al riacquisto dei valori finanziari tossici che sono all’origine del perpetuarsi del crollo dei listini finanziari mondiali.

Secondo gli analisti il piano Paulson sarebbe quantitativamente dieci volte superiore al piano Marshall con cui si ricostruì l’Europa post-bellica e superiore al costo della guerra del Vietnam. Si consideri poi che la Cina, detenendo metà del debito estero Usa, detiene un importo di 500 miliardi di dollari in titoli statunitensi. L’immissione di 700 miliardi di dollari da parte del Tesoro, rappresenta di fatto una importante svalutazione del loro debito verso la Cina. Quanto potranno sopportare ancora la Cina, e gli altri detentori di titoli del debito Usa, un tal genere di furto? Il modello di fatto imperiale, spacciato col nome altisonante di globalizzazione, è in rianimazione ma con certezza di morte. Anzi, il piano Paulson non farà altro che prolungare l’agonia del malato. Questo perché quel credito di 700 miliardi non è strategicamente vincolato a risollevare l’ansimante economia reale, quanto piuttosto volto a riversare direttamente sui cittadini americani, ed indirettamente sulla popolazione mondiale, il disastro prodotto dall’immissione nel sistema della finanza di titoli puramente speculativi.

Ciò su cui non si può discutere, è invece il definitivo fallimento del modello liberista. Il blocco delle vendite allo scoperto ed il paracadute offerto ai mercati con i soldi dei cittadini, sono decisioni dirigistiche ed antimercatiste che dovrebbero segnare pure per gli irriducibili liberisti, il definitivo fallimento della deregulation , dell’idea per cui i mercati abbandonati a sé stessi raggiungerebbero l’equilibrio ottimale in favore della ricchezza. Se si fossero abbandonati i mercati ai loro destini, le famiglie più importanti del pianeta, dai Morgan ai Mellon ai Du Pont ai Rothschild, sarebbero probabilmente alle cronache come storico caso di "eccellente suicidio di massa", produzioni e commerci sarebbero fermi, intere nazioni sarebbero nel più completo caos.

In tutta questa storia c’è anche un altro dato interessante che emerge e che è bene che i politici tengano presente già nell’immediato futuro, visti i sacrifici che esso è costato alle popolazioni da loro amministrate. Gli illuminati osservatori economici del Fondo monetario internazionale, della Banca Mondiale, dell’Ocse, e delle agenzie di rating private (S & P, Moody’s, Fitch) che finora hanno giudicato sulla bontà delle scelte economiche fatte da stati sovrani ed aziende, da oggi, che genere di mestiere potranno fare? La risposta è che l’economia mondiale, nella sua facciata reale, necessita di braccia per la ricostruzione e l’arricchimento tecnologico delle sue infrastrutture e delle sue produzioni, di modo che i popoli del pianeta, dopo un quarantennio di politiche liberiste a cui sono stati via via sottoposti, possano tornare a vedere il sereno offerto da un’economia che migliori i loro tenori di vita piuttosto che distruggerli.

Ora, dovrebbe essere ovvio anche a Paulson – forse non a Bush – che quel credito di 700 miliardi, corrisponde ad una nuova immissione di liquidità nel sistema, che al pari dei circa 2-3 miliardi che ogni giorno dal luglio-agosto 2007 fino alla scorsa settimana, le banche centrali avevano cominciato ad iniettare nel mercato per sorreggere la maturanda crisi, rifluirà sui prodotti finanziari speculativi che abbiano come sottostante oro, petrolio, materie prime, generi alimentari. Ciò comporterà a breve una nuova ondata iperinflazionistica sui beni di prima necessità. In sostanza, quei 700 miliardi non serviranno altro che ad alimentare la fase d’iperinflazione globale, con un botto ancor più violento sui mercati finanziari e impensabili ripercussioni nell’economia reale. Chi cerca di dare una giustificazione "razionale" alla decisione del Tesoro, cerca di far passare come meritorio il salvataggio poiché "in fondo dietro ai titoli tossici detenuti dal sistema finanziario, vi sarebbero degli immobili" (come a dire che così tossici non sarebbero). Ma questa considerazione, oltre a non essere avvalorata dai mercati (tanta è la crisi di fiducia creatasi tra gli operatori) non è avvalorata neanche dalla ragione. La garanzia offerta ai valori finanziari da parte del relativo sottostante reale immobiliare, infatti, può garantire un equivalente valore finanziario, non una piramide di carta molte volte superiore al valore degli immobili stessi.

Ma perché Paulson, ha proceduto in un salvataggio che evidentemente non farà altro che procrastinare il crollo dei mercati piuttosto che evitarlo?

In sostanza Paulson-Bush stanno solo prendendo tempo. Ma per quale motivo? Tempo per cosa? Riflettiamo sul primo crollo finanziario del nuovo millennio, quello che va dal marzo 2000 all’ottobre 2002. Nell’immaginario collettivo il primo crollo dei mercati del nuovo millennio avvenne in seguito alla distruzione delle Twin Towers nel settembre del 2001. Esso cominciò invece nel marzo del 2000 e fino al 10 settembre 2001 le borse mondiali avevano perso circa il 30% del loro valore. Dall’11 settembre fino ai minimi dell’ottobre 2002 gli indici persero un ulteriore 30%.

Dunque il primo crack dei mercati nel nuovo millennio avvenne ben prima dell’11 settembre e corrispose sostanzialmente allo scoppio della bolla dei titoli della new economy (telecom, media and tech), ma per la popolazione mondiale esso avvenne a causa di Osama Bin Laden. In seguito i mercati mondiali si ripresero sostituendo la mega bolla new economy con una nuova bolla speculativa, quella del settore immobiliare.

Mentre scrivo le agenzie di stampa rendono conto dell’ultimo discorso di G. W. Bush alle Nazioni Unite, in cui afferma che "Siria ed Iran continuano a sponsorizzare il terrorismo" (mentre in Iraq ci dovevano essere armi di distruzione di massa!). Per l’opinione pubblica occidentale, che nella maggioranza dei casi non ha mai letto alcun discorso di Ahmadinejad, quell’iraniano è colui che vuole sterminare Israele, visto che così i media hanno riferito (sic).

Nel corso dell’ultima settimana si sono verificati vari attentati di presunta matrice terroristica da Islamabad a Gerusalemme allo Yemen ai Paesi Baschi (tralasciando quelli del casertano). In breve, mentre la globalizzazione, grazie al piano Paulson, rimanda la sua dichiarazione di decesso, varie "operazioni caos" si scatenano con ritmo accelerato a giro per il pianeta.

Se scoppiasse una nuova importante guerra, la storia ufficiale di questi giorni diverrebbe: «La guerra contro il terrorismo fece crollare i mercati finanziari e l’economia mondiale.»

A cospetto di un sistema fallito, l’unico modo per salvare i creditori privilegiati, ossia la popolazione mondiale unitariamente intesa, è seguire il "piano LaRouche": organizzare il fallimento del sistema e non attendere che esso si verifichi per forza d’inerzia, distinguere tra quelli che sono crediti esigibili (stipendi, pensioni, liquidità per il funzionamento dello stato e del welfare) e quelli che non sono esigibili perché frutto di mere speculazioni. Ricreare un nuovo sistema monetario e finanziario internazionale sul modello rooseveltiano di Bretton Woods. Da qui lanciare linee di credito a livello globale con cui finanziare nuovi progetti infrastrutturali e le imprese private.

Per fare ciò è necessario che alla disponibilità di Russia, Cina e India si aggiunga quella degli Stati Uniti. Gli altri si allineerebbero di conseguenza.

Claudio Giudici

11 ottobre 2008

Una democrazia senza parlamento

Titoli di giornali di ieri: “Berlusconi: imporrò i decreti” (la Repubblica). Più soft, una volta si diceva “più gesuitico”, il Corriere: “Berlusconi: farò più decreti”. Poiché non eravamo a Napoli, luogo del pronunciamento, non possiamo giurare su quale dei due verbi abbia usato il premier. Sta di fatto che, nel clima della legge Alfano, cui i costituzionalisti negano il titolo di “lodo” non essendo il ministro di giustizia un’autorità neutrale chiamata a mediare vertenze, un delirio di onnipotenza e di insofferenza per le istituzioni parlamentari e per la costituzione della repubblica sta dilagando nella destra. Mercoledì ne abbiamo avuto tre manifestazioni simultanee: quella appena ricordata del premier a Napoli, l’annuncio di Tremonti che l’indomani sarebbe andato in parlamento a riferire solo sulla legge finanziaria e non sulla crisi mondiale, come chiedevano i deputati; la teoria di Elio Vito, ministro dei rapporti col parlamento, illustrata nel question-time, che la decretazione è un modo di adeguare il processo legislativo al nuovo secolo, che mal sopporta tempi e modi della legiferazione parlamentare.

Ma dove hanno letto, costoro, che la nostra democrazia non è più quella codificata nella costituzione e che il governo può strafottersene delle regole scritte e dei rappresentanti del popolo? Il 4 luglio, Europa pubblicò l’appello di 110 docenti dell’Associazione costituzionalisti, presieduta da Alessandro Pace, al capo dello stato, al governo, alle camere, e naturalmente al “popolo sovrano” che la nostra costituzione, non mutata, riconosce appunto unico sovrano e tuttavia nega anche ad esso l’esercizio della sovranità fuori dei modi e dei limiti stabiliti dalla legge. A maggior ragione, fuori di quei limiti e modi non si possono porre i governanti, sulle cui spalle non c’è neanche la forfora della sovranità. Fare le leggi è dunque mestiere del parlamento. Il governo può fare decreti solo in caso di necessità e urgenza. Non ha necessità e urgenza la guerra ai graffiti che Berlusconi ha indicato da Napoli come uno dei prossimi oggetti del suo governare per decreti.

Ma oltre ai requisiti di necessità e urgenza, i decreti debbono essere “puntuali e omogenei”, cioè riguardare una singola materia, come impone la legge 400 del 1988 sui poteri della presidenza del consiglio. Invece non lo sono più da quando i loro testi sono diventati vere e proprie lenzuolate, nelle quali ci sono non una ma dieci, quindici materie: una , forse, con caratteri di necessità e urgenza, le altre come Dio vuole. Prassi fraudolenta, il capo dello stato talvolta obbietta, altre volte concede l’autorizzazione, che il cavaliere nella sua cultura brianzola chiama il “visto”. La frode si moltiplica quando la lenzuolata, autorizzata dal Quirinale per evitare la guerra perpetua col governo, viene inzeppata di emendamenti in parlamento e quindi diventa una cosa diversa da quella “vistata” cioè autorizata dal capo dello stato. E’ una vera e propria prassi di rapina nei confronti del presidente della repubblica e del parlamento. Il presidente della camera Fini ha formalmente protestato contro questa legiferazione per decreti. Dall’inizio del governo Berlusconi, deputati e senatori si sono limitari a convertire in leggi i decreti del governo. Per di più prendendosi lo sberleffo di Vito.

Il quale, per negare questa mortificante realtà, rinfacciava all’aula di Montecitorio che i parlamentari hanno votato anche la ratifica di non so quale trattato internazionale. Hai detto un prospero.
Siamo grati a Fini della protesta, altrettanto ci aspettiamo da Schifani, che sovrintende all’altro ramo del parlamento. E ci aspettiamo anche che dicano la cosa essenziale: poiché Berlusconi lamenta l’inadeguatezza dei suoi poteri di premier e la farraginosità dei regolamenti parlamentari – le due cause della lentezza del processo legislativo – camera e senato, dove la maggioranza ha numeri sovrabbondanti, procedano subito ad adeguare la legge 400 sui poteri del presidente del consiglio e a snellire radicalmente i regolamenti parlamentari. Il governo potrà così governare con la velocità della Tav, come piacerebbe a Berlusconi e non solo a lui.

Di più, la legge 400 sui poteri della presidenza del consiglio potrebbe essere trasformata da legge ordinaria a norma costituzionale: aggiungendo così ai requisiti di necessità e urgenza, già scritti in costituzione, quelli di puntualità e omogeneità, scritti nella legge e snobbati dalle lenzuolate. Sarebbe la strada semplice e corretta per restare nella democrazia parlamentare. Che altrimenti, anche senza evocare Putin o Videla, vedrebbe giorno dopo giorno le sue istituzioni (e la libertà dei cittadini) ridursi come le anime dantesche, “ombre vane fuor che nell’aspetto”.
di Federico Orlando

Una rivolta dei “consumatori” può scatenare una rivoluzione?



Il proletariato borghese – I ceti medi potrebbero trasformarsi in classe rivoluzionaria, prendendo il posto che Marx aveva immaginato del proletariato. La globalizzazione del mercato del lavoro e i ridotti livelli del supporto previdenziale nazionale e della occupazione potrebbero diminuire nella gente l'attaccamento a certe istituzioni. Il gap crescente tra loro e un piccolo numero di individui ultra-ricchi molto in vista potrebbe accendere la disillusione nei confronti della meritocrazia, mentre le sotto-classi urbane in aumento potrebbero rappresentare una crescente minaccia per l'ordine e la stabilità sociali, dato che il peso del debito acquisito e il fallimento del supporto pensionistico cominciano a bruciare. Di fronte a questa doppia sfida, i ceti medi di tutto il mondo, usando l'accesso al sapere, potrebbero unire risorse e abilità per dare forma a processi transnazionali nell'interesse della propria classe.” ― Rapporto del Ministero della Difesa Inglese: “Programma sugli Andamenti Globali Strategici 2007-2036 del Development, Concepts and Doctrine Centre (DCDC)” [Centro per lo Sviluppo di Concetti e Dottrine], (Terza Edizione) p.96, Marzo 2007.

Parole davvero profetiche, considerata la gravissima siutuazione del capitalismo per effetto della speculazione rampante e di un'economia basata sull'illusoria creazione di una fetta di benessere, quest'analisi del Ministero della Difesa ha qualche significato?

Il potere del grande capitale transnazionale ha trasformato non soltanto lo scenario economico ma anche la natura del modo in cui viviamo, dal cibo che mangiamo (e dove lo acquistiamo) fino alla struttura dei nostri spazi sociali, e a giudicare dal livello d'insoddisfazione della società capitalista contemporanea, ampie fasce di popolazione non sono fesse e contente.

Ma al contrario di epoche precedenti questa insoddisfazione, che non ha una voce politica coerente, sta trovando altre vie d'uscita e di espressione.

Con una popolazione incastrata nel debito che adesso si estende alla sua progenie, i “bei tempi” dei passati decenni sono finiti con un botto e, dato che l'unica “soluzione” alla crisi del capitalismo sembra essere negli effetti del cambiamento climatico, nel caos causato dalla “globalizzazione” (imperialismo rimodernato sotto altro nome) e nell'estesa destabilizzazione come la guerra senza fine, quali sono le possibilità di porre termine alla follia del capitalismo?

La sinistra, essa stessa prodotto di una società che di fatto non esiste più, ha fallito sia nel non riconoscere questa trasformazione, sia nel non produrre una struttura teorica che possa essere usata per apportare un cambiamento radicale.

Nel Regno Unito cinque gigantesche catene di supermarket dominano la fornitura alimentare al dettaglio, e a causa della loro solidità sul mercato impongono non solo il prezzo ma anche il tipo, la qualità e la provenienza di quello che vendono.

Eppure il 75% degli alimenti coltivati e prodotti nel Regno Unito proviene da piccoli produttori.

Sfortunatamente, per il piccolo agricoltore, questi non possono offrirlo al prezzo richiesto dai monopoli dei supermarket, e tanto meno farlo per tutto il corso dell'anno, mentre i generi alimentari provenienti dai paesi in via di sviluppo non solo costano meno ma sono anche disponibili su richiesta. La globalizzazione ha spezzato il legame biologico e storico fra la produzione agricola e il consumo.

Un terzo dei 20 miliardi di sterline spesi annualmente in abbigliamento e in casalinghi vengono spesi nelle otto settimane che precedono il Natale. Tuttavia, la tanto decantata economia dei consumi è in gran parte un'illusione dato che opera quasi completamente sul credito/debito. Il credito proviene dall'enorme eccedenza estratta dal settore bancario e finanziario attraverso il controllo e il possesso del circuito globale di capitale, che a sua volta presta ai consumatori addebitando loro gli interessi sul prestito.

Di contro, solo una piccola percentuale del prodotto interno lordo del Regno Unito proviene dalla manifattura, la nostra non è più un'economia produttiva in realtà, ma soltanto un'economia dei consumi. Il “benessere” di cui godiamo adesso ha due fonti: il credito o il debito per mezzo del settore finanziario che in cambio finanzia l'economia del credito (be', almeno così è stato fino a poco tempo fa). Ovviamente è un ciclo chiuso, poiché nessun benessere vero e proprio viene prodotto, in altre parole è un'economia parassita che dipende completamente dalla presa che il grande capitale ha sul circuito globale di capitale e dall'estrarre il sovrappiù da un terzo mondo disperato e sempre più povero. Perciò il capitalismo industriale è stato sostituito quasi completamente dal capitalismo dei consumi.

Quindi, cosa implica questa trasformazione e come dovremmo affrontarla?

Con la fine della classe lavoratrice organizzata, tramite la distruzione dei sindacati di categoria (a parte i sindacati del pubblico impiego, e in maniera rilevante, lo stato è il più grande datore di lavoro) e la distruzione totale delle comunità della classe operaia, dato che le attività produttive sono state tolte di mezzo, anche la tradizionale solidarietà che si creava nelle comunità e nei luoghi di lavoro è scomparsa.

Accanto a questo, con la scissione della società in una “middle-class” carica di debiti e in una “under-class” relegata in quartieri fatiscenti, lo stato delle aziende e dell'apparato di sicurezza sembra al sicuro. Esso ha a disposizione tutte le “leggi” per reprimere qualunque dissenso reale che sfidi il potere dello stato in maniera significativa.

Infatti, per fare un esempio, è riuscito a mettere una parte della classe operaia contro l'altra, demonizzandone e criminalizzandone la parte giovane, creando un'atmosfera di paura e di paranoia attraverso la complicità dei media (per es., “sensazione che il crimine stia dilagando”, “comportamento antisociale”, “abuso di alcolici”, “accoltellamenti”, “bande giovanili”), davvero un ritorno alla “classe criminale” dell'epoca vittoriana. In questo modo lo stato e/o i media hanno messo i lavoratori nelle condizioni di divorarsi l'un l'altro, piuttosto che fare luce sulla vera causa della frammentazione della società, il capitalismo.

Eppure, a dispetto della nostra esistenza depoliticizzata e alienata, questa è una società che si sta spaccando in una pletora di fratture, fratture che stanno trovando un'espressione ma non nel modo “tradizionale”, cioè attraverso la lotta di classe.

In compenso vediamo i cosiddetti gruppi di interesse, generalmente nel ceto medio, in cerca di “alternative” per costruire stili di vita “ecologici”, come ripartizioni dei generi alimentari, progetti di energia “sostenibile”, riciclaggio, nostalgici viaggi in un passato (“retaggio”) perlopiù fittizio, una ricerca di “britannicità”, molti dei quali ― non c'è da sorprendersi, dato che gli stessi lavorano nei media ― trovano espressione in una marea di programmi in TV e alla radio. Nell'insieme, sa di elitarismo, ma si può affermare che questi sono progetti di lusso, e allora cosa succede quando finiscono i soldi?

D'altra parte, non vi è dubbio che l'attrattiva del capitalismo consumistico stia svanendo ancor prima di finire fuori strada, e questo processo sta accelerando con la crisi del capitale che si mangia la casa, e il costo della vita alle stelle. Quindi si sta verificando un certo tipo di sintesi tra i bisogni reali e la realtà, ma manca di espressioni fattibili.

Potrebbe essere come dice il rapporto del Ministero della Difesa, “Di fronte a questa doppia sfida i ceti medi di tutto il mondo, usando l'accesso al sapere, potrebbero unire risorse e abilità per dare forma a processi transnazionali nell'interesse della propria classe”, e se così fosse, dov'è la sinistra in questo processo?

Se questa è di fatto una riflessione accurata dei processi attualmente in corso, come possono questi due settori del proletariato trovare un terreno comune senza una qualche espressione collettiva?

Attualmente, la sinistra esistente quasi ignora la cosiddetta “middle class”, i professionisti, manager, operatori dei media, intellettuali e accademici che in realtà fanno andare il capitalismo (a parte cioè quelli che ironicamente compongono la leadership della sinistra)?

Cruciali per questo processo sono gli impiegati del servizio pubblico, senza i quali lo stato non ha potere. Una qualche alleanza fra la restante classe operaia organizzata e il ceto medio professionista potrebbe portare ad un cambiamento rivoluzionario?

Io sostengo che molto dipende da come si metterà l'attuale crisi del capitale. Se, come potrebbe essere il caso, la classe capitalista internazionale è ben decisa a usare una serie infinita di guerre come soluzione alla crisi dell'accumulazione, allora si mette davvero male.

Perciò smascherare la “guerra al terrore”, in realtà la guerra al pianeta e alle sue genti insita nella natura del capitalismo, deve essere di certo il nostro obiettivo primario, altrimenti tutto è perduto.

di WILLIAM BOWLES
creative-i.info

700 miliardi per camuffare la storia



Durante la settimana finanziaria che va dal 15 al 19 settembre, la globalizzazione finanziaria aveva dimostrato di essere definitivamente morta. Ma prima che il crollo di Wall Street coinvolgesse Main Street (l’economia reale), il Governo americano ha preso una decisione senza precedenti: la costituzione di un ente federale con a disposizione 700 miliardi di dollari da destinare al riacquisto dei valori finanziari tossici che sono all’origine del perpetuarsi del crollo dei listini finanziari mondiali.

Secondo gli analisti il piano Paulson sarebbe quantitativamente dieci volte superiore al piano Marshall con cui si ricostruì l’Europa post-bellica e superiore al costo della guerra del Vietnam. Si consideri poi che la Cina, detenendo metà del debito estero Usa, detiene un importo di 500 miliardi di dollari in titoli statunitensi. L’immissione di 700 miliardi di dollari da parte del Tesoro, rappresenta di fatto una importante svalutazione del loro debito verso la Cina. Quanto potranno sopportare ancora la Cina, e gli altri detentori di titoli del debito Usa, un tal genere di furto? Il modello di fatto imperiale, spacciato col nome altisonante di globalizzazione, è in rianimazione ma con certezza di morte. Anzi, il piano Paulson non farà altro che prolungare l’agonia del malato. Questo perché quel credito di 700 miliardi non è strategicamente vincolato a risollevare l’ansimante economia reale, quanto piuttosto volto a riversare direttamente sui cittadini americani, ed indirettamente sulla popolazione mondiale, il disastro prodotto dall’immissione nel sistema della finanza di titoli puramente speculativi.

Ciò su cui non si può discutere, è invece il definitivo fallimento del modello liberista. Il blocco delle vendite allo scoperto ed il paracadute offerto ai mercati con i soldi dei cittadini, sono decisioni dirigistiche ed antimercatiste che dovrebbero segnare pure per gli irriducibili liberisti, il definitivo fallimento della deregulation , dell’idea per cui i mercati abbandonati a sé stessi raggiungerebbero l’equilibrio ottimale in favore della ricchezza. Se si fossero abbandonati i mercati ai loro destini, le famiglie più importanti del pianeta, dai Morgan ai Mellon ai Du Pont ai Rothschild, sarebbero probabilmente alle cronache come storico caso di "eccellente suicidio di massa", produzioni e commerci sarebbero fermi, intere nazioni sarebbero nel più completo caos.

In tutta questa storia c’è anche un altro dato interessante che emerge e che è bene che i politici tengano presente già nell’immediato futuro, visti i sacrifici che esso è costato alle popolazioni da loro amministrate. Gli illuminati osservatori economici del Fondo monetario internazionale, della Banca Mondiale, dell’Ocse, e delle agenzie di rating private (S & P, Moody’s, Fitch) che finora hanno giudicato sulla bontà delle scelte economiche fatte da stati sovrani ed aziende, da oggi, che genere di mestiere potranno fare? La risposta è che l’economia mondiale, nella sua facciata reale, necessita di braccia per la ricostruzione e l’arricchimento tecnologico delle sue infrastrutture e delle sue produzioni, di modo che i popoli del pianeta, dopo un quarantennio di politiche liberiste a cui sono stati via via sottoposti, possano tornare a vedere il sereno offerto da un’economia che migliori i loro tenori di vita piuttosto che distruggerli.

Ora, dovrebbe essere ovvio anche a Paulson – forse non a Bush – che quel credito di 700 miliardi, corrisponde ad una nuova immissione di liquidità nel sistema, che al pari dei circa 2-3 miliardi che ogni giorno dal luglio-agosto 2007 fino alla scorsa settimana, le banche centrali avevano cominciato ad iniettare nel mercato per sorreggere la maturanda crisi, rifluirà sui prodotti finanziari speculativi che abbiano come sottostante oro, petrolio, materie prime, generi alimentari. Ciò comporterà a breve una nuova ondata iperinflazionistica sui beni di prima necessità. In sostanza, quei 700 miliardi non serviranno altro che ad alimentare la fase d’iperinflazione globale, con un botto ancor più violento sui mercati finanziari e impensabili ripercussioni nell’economia reale. Chi cerca di dare una giustificazione "razionale" alla decisione del Tesoro, cerca di far passare come meritorio il salvataggio poiché "in fondo dietro ai titoli tossici detenuti dal sistema finanziario, vi sarebbero degli immobili" (come a dire che così tossici non sarebbero). Ma questa considerazione, oltre a non essere avvalorata dai mercati (tanta è la crisi di fiducia creatasi tra gli operatori) non è avvalorata neanche dalla ragione. La garanzia offerta ai valori finanziari da parte del relativo sottostante reale immobiliare, infatti, può garantire un equivalente valore finanziario, non una piramide di carta molte volte superiore al valore degli immobili stessi.

Ma perché Paulson, ha proceduto in un salvataggio che evidentemente non farà altro che procrastinare il crollo dei mercati piuttosto che evitarlo?

In sostanza Paulson-Bush stanno solo prendendo tempo. Ma per quale motivo? Tempo per cosa? Riflettiamo sul primo crollo finanziario del nuovo millennio, quello che va dal marzo 2000 all’ottobre 2002. Nell’immaginario collettivo il primo crollo dei mercati del nuovo millennio avvenne in seguito alla distruzione delle Twin Towers nel settembre del 2001. Esso cominciò invece nel marzo del 2000 e fino al 10 settembre 2001 le borse mondiali avevano perso circa il 30% del loro valore. Dall’11 settembre fino ai minimi dell’ottobre 2002 gli indici persero un ulteriore 30%.

Dunque il primo crack dei mercati nel nuovo millennio avvenne ben prima dell’11 settembre e corrispose sostanzialmente allo scoppio della bolla dei titoli della new economy (telecom, media and tech), ma per la popolazione mondiale esso avvenne a causa di Osama Bin Laden. In seguito i mercati mondiali si ripresero sostituendo la mega bolla new economy con una nuova bolla speculativa, quella del settore immobiliare.

Mentre scrivo le agenzie di stampa rendono conto dell’ultimo discorso di G. W. Bush alle Nazioni Unite, in cui afferma che "Siria ed Iran continuano a sponsorizzare il terrorismo" (mentre in Iraq ci dovevano essere armi di distruzione di massa!). Per l’opinione pubblica occidentale, che nella maggioranza dei casi non ha mai letto alcun discorso di Ahmadinejad, quell’iraniano è colui che vuole sterminare Israele, visto che così i media hanno riferito (sic).

Nel corso dell’ultima settimana si sono verificati vari attentati di presunta matrice terroristica da Islamabad a Gerusalemme allo Yemen ai Paesi Baschi (tralasciando quelli del casertano). In breve, mentre la globalizzazione, grazie al piano Paulson, rimanda la sua dichiarazione di decesso, varie "operazioni caos" si scatenano con ritmo accelerato a giro per il pianeta.

Se scoppiasse una nuova importante guerra, la storia ufficiale di questi giorni diverrebbe: «La guerra contro il terrorismo fece crollare i mercati finanziari e l’economia mondiale.»

A cospetto di un sistema fallito, l’unico modo per salvare i creditori privilegiati, ossia la popolazione mondiale unitariamente intesa, è seguire il "piano LaRouche": organizzare il fallimento del sistema e non attendere che esso si verifichi per forza d’inerzia, distinguere tra quelli che sono crediti esigibili (stipendi, pensioni, liquidità per il funzionamento dello stato e del welfare) e quelli che non sono esigibili perché frutto di mere speculazioni. Ricreare un nuovo sistema monetario e finanziario internazionale sul modello rooseveltiano di Bretton Woods. Da qui lanciare linee di credito a livello globale con cui finanziare nuovi progetti infrastrutturali e le imprese private.

Per fare ciò è necessario che alla disponibilità di Russia, Cina e India si aggiunga quella degli Stati Uniti. Gli altri si allineerebbero di conseguenza.

Claudio Giudici