01 febbraio 2009

Il Pd e Debenedetti


In prospettiva del passaggio della presidenza G8 all’Italia, è fondamentale che il dialogo tra maggioranza ed opposizione non sia lacerato e giunga invece a riconoscere la imprescindibilità della riorganizzazione fallimentare sistemica come primo passo per giungere ad una autentica Nuova Bretton Woods, di modo da impedire che la crisi finanziaria si propaghi ancor più all’economia reale. Ciò rappresenterà il fondamento di un nuovo sistema finanziario ed economico figlio della tradizione di Franklin Delano Roosevelt, oggi rappresentata in modo esemplare da Lyndon LaRouche. L’entità della bolla speculativa rispetto alla produzione reale globale, come spiegato a Parigi l’8 ed il 9 gennaio scorso dal ministro dell’economia italiano Giulio Tremonti, dal presidente francese Nicolas Sarkozy e dall’ex primo ministro francese, il socialista Michel Rocard, non consente altrimenti. I tre, a differenza di Trichet, di Blair e della Merkel comprendono sempre più a fondo il disegno che LaRouche propone oramai dal ‘94 per far ripartire l’economia reale globale e che avrebbe evitato l’attuale situazione finanziaria e di scontri geo-politici. Affinché l’Italia possa svolgere un ruolo centrale in questa crisi, è necessario che anche il Partito Democratico italiano si esponga in modo non equivoco intorno a questo punto e prenda le distanze dalle soluzioni filo-oligarchiche tipo quelle esternate recentemente dall’ex premier italiano Prodi. Questo dialogo è tuttavia minato già sul nascere. Infatti il PD si trova al centro di un tentativo di evitare proprio questo processo, e quanto sta verificandosi con lo scoppio a ripetizione di inchieste della Magistratura intorno ai suoi esponenti, non deve essere confuso per un attacco contro il PD. Ad essere oggetto di queste inchieste non sono genericamente gli esponenti del PD, quanto piuttosto gli esponenti della superstite ala costituzionalista ed antifascista, quella che ha deciso di non piegarsi ai voleri del suo principale sponsor finanziario. Se queste inchieste indeboliscono il PD inteso come organizzazione politica fatta di elettori e rappresentanti eletti, ognuno con un proprio grado di rappresentatività, allo stesso tempo queste inchieste lo rafforzano se lo intendiamo come una espressione centralizzata delle volontà del suo deus ex machina, l’ing. Carlo De Benedetti. Il Partito Democratico, infatti, lungi dall’essere un partito a partecipazione popolare – dove appunto la voce indipendente della sua base conti realmente qualcosa – è stato creato, cooptando ed emarginando l’autentica ala democratica, per raggiungere i fini che la sua proprietà ha deciso, e dove i dirigenti di turno sono equiparabili a dei promotori di interessi finanziari. Si tratta di quegli stessi interessi facenti capo alle più importanti famiglie bancarie del mondo (i Morgan, i Rothschild, ed altre) che con lo scoppio della crisi finanziaria, rischiano oggi come negli anni ‘30, di ritrovarsi tra i piedi un Franklin Roosevelt che tenga dritta la rotta della nave verso l’idea del Bene Comune, e che denunci il grande bluff che negli ultimi quarant’anni ha disastrato l’intero pianeta.

Fin dal processo costituente, il PD mostrò la sua vera natura

Nella primavera del 2007 il Movimento Internazionale per i diritti civili - Solidarietà distribuì durante i congressi dei DS a Firenze e della Margherita a Roma, un documento in cui si puntava ad offrire una via d’uscita autenticamente repubblicana e democratica, all’allora nascente Partito Democratico italiano. In quel documento si ammoniva dall’intraprendere la strada della costruzione di un partito oligarchico, come era nel disegno di De Benedetti. Il documento si intitolava Per un Partito Democratico antioligarchico, nella tradizione di Roosevelt, De Gasperi, Mattei e La Pira. Lo slogan, come scrivemmo nel rapporto pubblico di quelle azioni, oggi appare profetico, in quanto esso fu: “Che il nascendo Partito Democratico si orienti a Roosevelt e LaRouche piuttosto che Al Gore e altri ‘democratici per il fallimento’ “.

Invece la strada intrapresa dal PD è stata quella voluta da De Benedetti, ossia quella di un partito dalla marcata connotazione liberista, funzionale a quel silenzioso attentato alla Costituzione che progressivamente, nel corso dell’ultimo quarantennio, ha portato a fuoriuscire completamente dai suoi principi ispiratori: dalla centralità dell’azione di governo in economia, ad un’economia rimessa alla sola legge di mercato; dalla centralità del lavoratore e della produzione alla centralità del consumatore e del consumo. In breve, i pilastri fondanti di questo PD, di questo Partito De Benedetti, sono gli stessi che sono all’origine della crisi economica e finanziaria che ha investito il mondo.

Così, quanto sta verificandosi in Italia da un paio di mesi a questa parte, con lo stillicidio di inchieste della magistratura, va visto come un frammento di un film con una trama ben più complessa, rispetto al singolo spezzone.

La regia del tutto, parte dalla City di Londra, da quell’oligarchia finanziaria che riesce a far apparire dal nulla circa 2.000 miliardi di dollari per salvare il sistema bancario, ma non riesce a trovare 50 miliardi di dollari per i progetti di sviluppo nel Terzo Mondo[1]. Essa, con particolare riferimento al legame che lega la casata bancaria dei Rothschild allo speculatore George Soros, si muove in Italia con il proprio primario rappresentante, l’ing. Carlo De Benedetti, per completare quel disegno di finanziarizzazione dell’intera economia italiana avviato in Italia nel 1992. Funzionale a ciò è l’ideologia liberista, che viene fatta avanzare con la barzelletta delle liberalizzazioni, come democratica panacea ai mali d’Italia, le quali garantirebbero concorrenza, bassi prezzi e qualità.

L’oligarchia finanziaria ha un grosso problema: la bolla finanziaria è scoppiata e sta progressivamente entrando nella sua fase terminale; essa non accetta che questa deflagri, e si trova davanti uno scenario per sé stessa pericoloso: la rievocazione delle politiche del dirigismo rooseveltiano che passano per il suo massimo sostenitore ed esperto oggi vivente, Lyndon LaRouche[2] . Molti governi cominciano a dare ascolto a LaRouche – fermo oppositore da circa quarant’anni dei disegni dell’oligarchia finanziaria – e questo, per l’oligarchia finanziaria, vorrebbe dire perdere la posizione di vero governo mondiale che dal ‘71 ha riacquistato.

Invece, l’oligarchia finanziaria punta a salvare la bolla dei derivati e per farlo ha necessità di finanziarizzare ancor più l’economia mondiale. Così, essa punta a liberalizzare per privatizzare; a privatizzare per finanziarizzare.

Il problema di fondo è sostanziale e non nominale. Quali sono le idee a cui questa oligarchia si rifà? Finanziarizzazione, privatizzazione, liberalizzazione. Queste sono le idee che devono essere combattute, riscoprendo invece la più alta concezione dell’organizzazione politica ed economica che la nostra Costituzione ci offre. Gli articoli 1, 2, 3, 4, 36, 41, 42, 47, ci dicono molto e sono palesemente violati.

Il Partito Democratico deve respingere l’influenza di Soros e De Benedetti

Per comprendere cosa sia il PD, non possiamo trascurare la sua genesi e non possiamo trascurare l’anno 1992. Dobbiamo ricordare cosa abbia voluto dire per l’Italia quell’anno: gli omicidi di Falcone e Borsellino, lo scoppio del caso “Mani pulite” (che stravolse l’assetto politico italiano), l’attacco speculativo alla lira ed altre valute europee orchestrato dal megaspeculatore George Soros (oggi abitualmente presentato come un filantropo). Ma se questi sono eventi ben noti ai più, meno noto è un fatto passato molto in sordina sui media. Il 2 giugno 1992, sul panfilo della regina Elisabetta II, il Britannia, si svolgeva una riunione semi-cospirativa[3] tra i principali esponenti della City, il mondo finanziario londinese, alcuni manager pubblici italiani, rappresentanti del governo di allora e personaggi che poi sarebbero diventati ministri nel governo Amato. Oggetto di discussione: le privatizzazioni.

Queste ultime, lungi dall’essere uno strumento di “moderna” democrazia volto a rendere più efficiente l’economia nazionale, hanno rappresentato il passo preteso dall’oligarchia finanziaria per trasferire immense fette dell’impresa pubblica (industria, banche, infrastrutture) e dell’economia partecipata da piccolissimi imprenditori (il commercio) ad una ristretta oligarchia finanziaria decisa a finanziarizzare quanto più possibile l’economia mondiale per impedire lo scoppio della mega bolla speculativa che dal 1971, con l’abbattimento degli accordi di Bretton Woods, è andata crescendo in modo esponenziale, parassitando l’economia reale ed impedendone la ripresa reale. Questo processo di finanziarizzazione, oltre a coinvolgere l’impresa nazionale, ha coinvolto pure i risparmi degli italiani, trasferendoli durante gli anni ‘90 dai buoni del Tesoro al mercato azionario. Questi risparmi si volatilizzarono con lo scoppio della bolla della new economy, artatamente creata dal sistema bancario e dai media. Ma in questo processo rientra pure la progressiva distruzione del sistema di welfare, con sempre maggior attenzione al sistema previdenziale e pensionistico ed a quello sanitario.

Quando divenne chiaro alla cittadinanza il bluff che si celava dietro la campagna ideologica del “più impresa meno Stato”, il termine “privatizzazioni” fu sostituito con il termine “liberalizzazioni”; più concorrenza, più libertà di mercato, avrebbero migliorato produzioni e servizi e fatto scendere i prezzi. Ed invece, dal commercio alle utilities, in Italia come nel resto del mondo, dove è intervenuto un processo di liberalizzazione, si è assistito a risultati diametralmente opposti a quelli promessi, e perfettamente coincidenti con il risultato del progressivo trasferimento della ricchezza nelle mani dell’oligarchia finanziaria. Se la guerra culturale[4] fatta di menzogne ripetute all’infinito dai media, e più in generale dal complesso culturale, ha fatto metter radici all’idea per cui le liberalizzazioni siano un fenomeno positivo per la gente, la classe politica ha fatto sì che i frutti della pianta seminata finissero nelle mani dei finanziatori della propria carriera politica.

Circa George Soros, egli non è semplicemente uno speculatore, bensì ricopre nella politica mondiale un ruolo che sempre da più parti gli viene riconosciuto.

Tra Soros, De Benedetti ed il PD italiano vi è un rapporto molto stretto, come faceva comprendere il Corriere della Sera[5] già nel 2005, con un articolo di Francesco Verderami. E’ da questo stretto legame che si può evincere l’attuale natura oligarchica, invece che democratica e repubblicana, del Partito democratico italiano. Chi è uscito dall’incantesimo per cui i partiti funzionerebbero grazie alle sovvenzioni pubbliche, capisce bene che se un soggetto finanzia un partito, ha sullo stesso una certa influenza.

George Soros è famoso per il suo cinismo, per essere stato – per sua stessa ammissione – all’origine di varie spedizioni speculative (per esempio quella in Europa nel ‘92 e quella nel Sud-est asiatico nel ‘97-’98), ma anche famoso per avere finanziato le rivoluzioni “democratiche” a giro per il mondo, dall’Europa (come quelle in Ucraina, Georgia e Bielorussia), all’Asia e al Sud-America, nonché per il suo tentativo di legalizzare la droga a livello mondiale.

Il livello di moralità di questo sicario economico è ben referenziato da una sua affermazione, ripresa dal documento Lo sviluppo moderno dell’attività finanziaria alla luce dell’etica cristiana, preparato dalla Commissione pontificia Justitia et Pax; Soros testualmente dice:

‹‹Sono certo che le attività speculative hanno avuto delle conseguenze negative. Ma questo fatto non entra nel mio pensiero. Non può. Se io mi astenessi da determinate azioni a causa di dubbi morali, allora cesserei di essere un efficace speculatore. Non ho neanche l’ombra di un rimorso perché faccio un profitto dalla speculazione sulla lira sterlina. Io non ho speculato contro la sterlina per aiutare l’Inghilterra, né l’ho fatto per danneggiarla. L’ho fatto semplicemente per far soldi››.

Sia chiaro, si tratta di attività che si ammantano del crisma della legalità (anche se nel 2002 una corte francese lo condannò per insider trading), ma questo genere di legalità non è certo quello che consente di qualificare una persona come “filantropo”.

Dice Verderami sul Corriere:

«Quando Francesco Rutelli è entrato ieri al numero 888 della Settima Avenue per conoscere George Soros, le presentazioni erano di fatto già avvenute. Perché il leader della Margherita era stato preceduto da una lettera inviata giorni fa da Carlo De Benedetti. Poche righe in cui l’Ingegnere aveva tracciato al potente finanziere il profilo dell’ex sindaco di Roma, definito «un giovane brillante politico italiano”. I rivali di Rutelli diranno che si è fatto raccomandare, che per essere ricevuto si è valso di una lettera per accreditarsi. Ma la tesi stride con la genesi dell’incontro, se è vero che l’idea risale a due settimane fa, e che l’approccio è avvenuto via email. Con la posta elettronica Lapo Pistelli provò infatti a contattare il magnate americano. Il responsabile Esteri dei Dl si trovava insieme a Rutelli a Cipro per un incontro del Partito democratico europeo: studiando l’agenda del viaggio negli Stati Uniti, si accorsero che mancava qualcosa, “ci sono gli appuntamenti politici, però ne servirebbe uno con il mondo della finanza”. è una storia tipicamente americana quella capitata al capo della Margherita, visto che quando partì il messaggio nessuno pensava di ottenere risposta, “nessuno in Italia - commenta Pistelli - si sognerebbe di entrare in contatto così con un industriale o un banchiere”: “La storia del nostro incontro con Soros dimostra che in America, dall’altro capo del telefono o del computer, c’ è sempre qualcuno pronto a darti attenzione”.»

Non è la prima volta che Carlo De Benedetti funge da tramite tra politici italiani ed il megaspeculatore. La stessa cosa era già avvenuta anni prima con Antonio Di Pietro.

E’ doveroso però puntualizzare alcune cose che, se non conosciute, non fanno comprendere a fondo la portata di questo articolo del Corriere. Rutelli gode dell’ammirazione del salotto di De Benedetti, per il cinismo delle soluzioni politiche “innovative” adottate, e che presto si dimostreranno disastrose (si pensi alla privatizzazione-quotazione di Acea, l’utility di Roma attiva nell’acqua e nell’energia). Queste operazioni consentono la quotazione in borsa dei cespiti dell’economia reale, nonché la partecipazione dei gruppi finanziari al capitale sociale di queste aziende. Per l’oligarchia finanziaria non è tanto importante la partecipazione in sé stessa, quanto ciò che essa consente di fare nei mercati finanziari; essa rappresenta cioè il sottostante su cui creare strumenti finanziari derivati (principalmente over the counter, fuori mercato) che consentono di sostenere ed alimentare la bolla speculativa globale.

Questa strumentalità alla grande finanza, dimostrò di averla anche Walter Veltroni, quando nel 2007, si rese protagonista dello scontro con il settore taxi, considerato dall’establishment un vero e proprio tavolo di prova che avrebbe consentito di procedere più spediti sul fronte della privatizzazione di tutti i servizi pubblici e para-pubblici. Veltroni, poi, dimostrando di aver compreso la lezione liberista dei Chicago boys, parlò più volte di “terapia shock” come metodo per l’attuazione dell’agenda economica. Lapo Pistelli, oggi candidato alle primarie del PD per le elezioni amministrative fiorentine, con assoluta nonchalance, parla dell’appuntamento con Soros, come di un fatto accidentale, come a dire: «Prima la politica, e poi la finanza, sia chiaro!», poi, da navigato sofista della politica, sottolinea che quel contatto via e-mail indica che nella terra di zio Tom vi sarebbe sempre qualche buon samaritano.

Con il soi disant filantropo, ha storiche relazioni pure Romano Prodi. Quest’ultimo racconta di aver collaborato con lui, dopo che lasciò la presidenza dell’Iri (addirittura partecipando alla cerimonia per laurea honoris causa conferita a Soros dalla facoltà di economia dell’Università di Bologna, e presentando l’edizione italiana del suo libro autobiografico).

Carlo De Benedetti, invece, oltre che essere famoso per avere contribuito alla distruzione di importanti industrie italiane (Olivetti e Fiat) è famoso per il suo ruolo di alter ego a Silvio Berlusconi sul fronte dei media (Repubblica, L’Espresso, vari giornali locali, Radio Deejay, Radio Capital, ecc.).

Se negli Stati Uniti è Soros che prova ad influenzare costantemente il Partito Democratico americano, in Italia è De Benedetti che prova a compiere la medesima operazione. Ma che visione ha De Benedetti sul come debba funzionare la Repubblica e quale sia la sua Costituzione? Da un’intervista del dicembre 2005 rilasciata al Corriere della Sera[6] , se ne rileva un quadro piuttosto chiaro. A parte il fatto di avere previsto che Prodi avrebbe avuto vita breve nel centro-sinistra – “amministratore straordinario” profetizzò – (probabilmente non l’ha imposto, ma grazie ai media ed ai soldi, si riescono ad attuare nei politici più deboli, meccanismi di vera e propria sudditanza psicologica) e che Veltroni e Rutelli sarebbero stati i leader del partito – non si può spiegare in termini propriamente democratici la candidatura di quest’ultimo a sindaco di Roma, quando con il progetto Margherita aveva conseguito risultati fallimentari ad ogni elezione, ed era responsabile dello scandalo delle tessere di partito intestate a deceduti … la meritocrazia … – , ci sono una serie di passaggi in quell’intervista, che fanno luce in merito a quelli che sono stati alcuni momenti decisivi della recente storia politica italiana, e quelli che dovranno essere gli obiettivi della sua creatura politica.

De Benedetti per esempio considera troppo poco liberiste le riforme fatte nel diritto del lavoro negli ultimi anni. Così, individuando anche le reali responsabilità storiche del processo di arretramento delle tutele lavorative, egli afferma: «Sul mercato del lavoro c’è un’elasticità insufficiente. Treu ha iniziato, la legge Biagi ha incrementato ma bisogna fare di più, molto di più». E su chi debba essere il pilastro del sistema politico ed economico, egli fuoriesce completamente dal dettato costituzionale che fin dai suoi primi quattro articoli impernia tutta la sua visione sociale intorno a lavoro e lavoratore. Egli infatti afferma: «Il referente del Partito democratico deve essere il consumatore».

Recentemente, invece, dopo essere stato beneficiato da alcuni provvedimenti presi in Sardegna da Renato Soru, avrebbe individuato in quest’ultimo, il futuro leader del PD. Si tratterebbe di un’ulteriore involuzione del PD, vista la mentalità finanziarista e decrescitista dell’ex patron Tiscali.

La Magistratura: contro il PD o contro una parte del PD? Cui prodest?

Dall’intervista rilasciata al Corriere si evince facilmente che a De Benedetti i dirigenti ex DS, non piacciono proprio. Afferma infatti: «Senza la Margherita i Ds oggi sarebbero più conservatori», e poi rincara la dose dicendo: «Alcuni esponenti della sinistra continuano a coltivare verità non dette, cadono in affermazioni che non corrispondono ai comportamenti. Metta le liberalizzazioni. Per un Bersani che ne è sinceramente convinto ci sono dieci assessori regionali che ostacolano la deregulation nel commercio e nell’elettricità. In Italia chi comanda negli enti locali? Per lo più il centrosinistra e vedo nascere tante piccole Iri».

Ma a non piacergli sono pure gli ex democristiani della corrente morotea. Si ricordi infatti che quando il Partito Popolare italiano fu fuso con le altre esperienze centriste per creare la Margherita, politici come Giovanni Bianchi (ultimo vero presidente del Ppi) e Gerardo Bianco (ultimo vero segretario del Ppi) furono emarginati per essere sostituiti da nuovi rampolli, tipo Francesco Rutelli. Se si considera questo elemento, risulta essere fallace la lettura che alcuni politici come Graziano Cioni a Firenze, o alcuni noti osservatori come Giulietto Chiesa, stanno facendo parlando dell’attuale guerra intestina al PD come di una guerra tra ex democristiani ed ex comunisti. Se si vogliono individuare due correnti, invece, la corretta lettura è quella per cui da una parte vi sarebbero gli ex morotei ed i dalemiani (diciamo gli eredi del Comitato di Liberazione Nazionale) che concepiscono la politica come un qualcosa di radicato nel territorio e si identificano fortemente nell’art. 3, 2° comma della Costituzione della Repubblica, dall’altra parte invece vi sarebbero coloro che si sono supinamente asserviti ai diktat provenienti dal complesso finanziario e mediatico di matrice liberista e finanziarista.

A proposito di liberalizzazioni, non è un caso che proprio queste abbiano rappresentato l’elemento catalizzatore di battaglie ideologiche – si pensi a quella di Veltroni a Roma con i taxi – e di alleanze politiche. In merito a queste ultime, infatti, l’unico elemento di comunanza che il PD ha con i Radicali (anch’essi finanziati da Soros) e l’Italia dei Valori, è sul fronte delle liberalizzazioni. Allo stesso modo, è proprio questo il motivo per cui non si è giunti ad un’alleanza con la sinistra c.d. radicale.

Massimo D’Alema comprende da anni quale sia lo scenario politico che si celava prima dietro l’Ulivo e poi dietro l’Unione per arrivare infine al PD. Nel 1999, quando era ancora Presidente del Consiglio, D’Alema affermava:

« … ci mettiamo un po’ di ambientalismo, perché va di moda, poi siamo un po’ di sinistra, ma come Blair perché è sufficientemente lontano [dalla tradizione comunista], poi siamo anche un po’ eredi della tradizione del cattolicesimo democratico, poi ci mettiamo un po’ di giustizialismo che va di moda e abbiamo fatto un nuovo partito, lo chiamiamo in un modo che non dispiace a nessuno perché “Verdi” è duro, “Sinistra” suona male, “Democratici” siamo tutti ed è fatta! E chi può essere contro, diciamo, un prodotto così straordinariamente perfetto … c’è tutto dentro! Auguri, però io non ci credo!»[7]

Negli ultimi mesi, si andava delineando, soprattutto con colloqui al nord, l’ipotesi di creare delle federazioni macro-regionali del PD, di modo da dotarsi di una certa autonomia rispetto a Roma e radicarsi maggiormente sul territorio. A questo, con lo stesso intento, si aggiungeva la creazione di vari eventi come il movimento politico Red. In molti dirigenti locali del partito vi era e vi è il malcontento per una gestione troppo centralizzata nella figura del segretario Veltroni delle dinamiche interne (il caso Firenze, con l’intervento di “commissario straordinario” di Vannino Chiti, mandato da Roma, ribadisce ciò), nonché per gli abusi contro lo statuto e per la sostanziale inoperosità dell’Assemblea costituente del PD. Se tutto ciò poteva portare al trionfo elettorale, si era disposti ad accettarlo, ma ora che è evidente il fallimento di questa strada, i dirigenti vogliono tornare a poter dire la loro.

In sostanza i dirigenti storici stavano disallineandosi dai diktat provenienti da Roma. E tutto ciò ai “capi d’azienda” non piace proprio. Se i leader della Prima Repubblica furono fatti fuori perché si potesse procedere allo smantellamento dell’industria nazionale, quelli di oggi vengono fatti saltare perché non sono abbastanza ubbidienti ed efficaci in merito all’attuazione della “fase 2″ dell’Operazione Britannia: quella relativa alle ultime liberalizzazioni mancanti. I politici che danno prova d’indipendenza politica ed intellettuale, non sono funzionali a questo disegno.

Se andiamo ad osservare chi è stato oggetto degli attacchi della Magistratura, verifichiamo che le inchieste hanno riguardato i dirigenti locali, i dirigenti pre-PD, gente che si era guadagnata il consenso popolare da sé, gente che in effetti aveva la facoltà di poter dire di no ad un diktat proveniente da Roma (dalemiani ed ex morotei). Le inchieste, infatti, più che toccare il PD, toccano una sua corrente. Queste inchieste, di fatto, hanno colpito chi era oggetto della critica di De Benedetti. Ed infatti D’Alema, che ha ben capito il gioco, ha voluto precisare che il problema non sta tanto sul fatto di essere vecchi o nuovi dirigenti, quanto nell’essere onesti o disonesti.

Il caso fiorentino e Licio Gelli

A Firenze, gli osservatori più attenti, quando seppero della discesa in campo per le primarie del PD per la corsa a sindaco di Lapo Pistelli, deputato alla Camera e responsabile relazioni internazionali del partito, compresero subito che la candidatura di Graziano Cioni sarebbe saltata attraverso metodi anomali.

Il ragionamento che quegl’osservatori facevano era il seguente: Pistelli sicuramente conosce il forte svantaggio che gli danno i sondaggi rispetto a Cioni; se ha deciso di partecipare alle primarie del suo partito, avrà sicuramente ricevuto garanzie circa l’esito delle stesse; ci saremmo altrimenti trovati di fronte ad un insolito caso di suicidio politico che chi vive di sola politica non può permettersi di correre. Di fatto, gli eventi hanno preso un corso tale da suffragare in pieno quella che ai conformisti appariva una lettura dietrologica. Ma se si analizzano i capi di accusa piombati sulla testa di Graziano Cioni a pochi mesi dalle primarie fiorentine, ci si convince ancor più che l’inchiesta contro di lui sia stata una bomba ad orologeria scoppiata in seguito alla mancata ricezione da parte dello stesso Cioni del messaggio che in più modi gli veniva fatto arrivare: a queste primarie non s’ha da partecipar!

Il sondaggio Ipsos del luglio scorso ordinava in questo modo i consensi all’interno dei candidati PD a sindaco (a quel tempo ipotetici): 1) Graziano Cioni (32%), 2) Matteo Renzi (25% e coinvolto immotivatamente dai media di De Benedetti nell’inchiesta scoppiata a Firenze), 3) Lapo Pistelli (23%), 4) Daniela Lastri (21%) . Dopo l’inchiesta della Magistratura per il caso Castello/Fondiaria-Sai, e gli echi offerti dai media alla faccenda, l’ordine del sondaggi è completamente mutato: 1) Lapo Pistelli (12,2%), 2) Daniela Lastri (11,6%) [8], 3) Matteo Renzi (9,9%) [9]. Graziano Cioni è invece stato costretto a ritirarsi dalla corsa.

Che si voglia riconoscere o meno allo scoppio dell’inchiesta un premeditato intento politico, il fatto resta che essa, per il timing avuto e per le notizie fuoriuscite sui media, ha avuto degli indubbi risvolti politico-elettorali.

Gli ultimi sviluppi del caso Firenze, vanno sempre nella medesima direzione. A fronte di un PD locale che delibera per delle primarie di partito senza ballottaggio (opzione con cui Cioni sarebbe rientrato in gara), una fantomatica “interpretazione autentica” proveniente da Roma – a cui il PD fiorentino si era opposto fino all’arrivo del “commissario straordinario”, Vannino Chiti – determina invece che le primarie debbano essere di coalizione e con ballottaggio. Con questa ipotesi, il candidato sicuramente perdente nell’altra ipotesi, Lapo Pistelli, diventa invece blindato, poiché anche in caso di secondo posto ottenuto al primo turno, rientra in corsa per la vittoria finale grazie al ballottaggio.

Ma c’è anche un’altra tessera che si aggiunge a questo mosaico, e che è stata sottolineata dallo stesso Cioni. Si tratta di un’intervista rilasciata da Licio Gelli a La Stampa il 15 dicembre, in cui l’ex venerabile afferma che dietro le inchieste contro i dirigenti locali del PD vi sarebbe la massoneria fiorentina, a causa della guerra fatta dallo stesso Cioni contro le associazioni segrete.

Questa intervista, rischia di essere fuorviante se non si intende la massoneria a cui fa riferimento Gelli, più propriamente come oligarchia finanziaria. Questa oligarchia, è da ripetere, ha in scopo un preciso progetto liberista per finanziarizzare ancor più l’economia reale, a fronte di una bolla speculativa globale che necessita che ogni “illuminato locale” faccia la sua parte, perché la bolla è scoppiata e rischia di perdere quell’elemento “fiducia” da parte della comunità mondiale, di cui necessita per sopravvivere. Se invece si va ad intendere la massoneria di cui parla Gelli, come composta da semplici potenti ben organizzati, si identifica solo l’ombra del nemico, ma non la sua sostanziale figura ed il fine dei suoi colpi; detto in altri termini, non si identificano le contro azioni che devono essere intraprese affinché il suo disegno non si adempia.

Al disegno di questa oligarchia, rischierebbe di piegarsi pure il centro-destra laddove procedesse verso quella liberalizzazione delle utilities spacciata come benefica.

Perché sia ripresa la strada tracciata dalla nostra Costituzione

Massimo D’Alema ha dimostrato di avere molte delle qualità necessarie per essere un leader. In particolare, si è sempre caratterizzato tra i colleghi politici per una non frequente indipendenza intellettuale, libero dalle mode del momento. Proprio per questo, sotto l’influenza di De Benedetti, non può essere un dirigente del PD. Tuttavia, D’Alema ha mancato in questi anni del coraggio di immettersi sulla sempre proficua strada della verità e di lottare per essa. Un esempio su tutti: D’Alema[10], nonostante segua e conosca il ruolo di LaRouche, esita però ad appoggiarne pubblicamente l’azione e le idee, come invece ha fatto Giulio Tremonti. Poi, pur comprendendo il fenomeno ed i retroscena di “Mani pulite”, non ha mai avuto il coraggio di denunciare la strategia del Britannia a cui quella sommossa giudiziaria era funzionale.

Purtroppo D’Alema è ancora adesso vittima di quell’esistenzialismo che ha caratterizzato la politica dell’ultimo quarantennio, e che impedisce di avere visione strategica, prevedere gli scenari futuri e cercare di assecondarli se positivi, di deviarli se negativi. Così egli ha preferito seguire i processi controrivoluzionari, illudendosi di poterli cavalcare sempre da vincente. Questa è la trappola più frequente in cui cadono molti politici di oggi.

Tuttavia l’attuale situazione, in cui molti potenziali leader del centro-sinistra rischiano di essere sostanzialmente messi all’angolo della politica italiana, può rappresentare per la loro stessa dignità di uomini, la forza contingente che può “costringerli” a tirare fuori quel coraggio necessario per passare dall’esistenzialismo alle idee, dalla statistica alla scienza, dal comodo al vero.

Affinché si giunga alla esistenziale riforma del sistema finanziario ed economico internazionale, secondo le concezioni rooseveltian-larouchiane, bisogna che i leader del PD italiano escano dalla cappa di asservimento morale e culturale a cui vengono obbligati dallo sponsor finanziario, e piuttosto decidano di alzarsi e camminare nella direzione della verità delle cose.

C’è bisogno di quel coraggio che per esempio D’Alema riesce talvolta a tirar fuori, come nel caso israeliano-palestinese, dove la tanaglia della gabbia culturale è sempre pronta a scattare accusando di antisemitismo tutti quelli che si provano a criticare l’operato delle dirigenze israeliane.

Non possono esservi timori in merito ad eventuali contraddizioni rispetto a ciò che in passato si è sostenuto e ciò che adesso bisogna sostenere. Alla gente non fa specie chi cambia opinione se il nuovo proposito è migliore del vecchio; non è vero il contrario invece. Dice Machiavelli ricordando Cicerone: «E li popoli, come dice Tullio, benché siano ignoranti sono capaci della verità, e facilmente cedano quando da uomo degno di fede è detto loro il vero.»

Finchè Giulio Tremonti mantiene un ruolo di primo piano nell’attuale Governo, la corrente costituzionalista, antiliberista ed antifascista del centro-sinistra, può tornare ad essere decisiva nella politica italiana e mondiale. Se Tremonti attaccando banchieri e petrolieri, ha deciso di dare un taglio forte alla tradizione oligarchica che il PD stava incarnando sia con i vaneggiamenti di Giavazzi ed Alesina, sia con la politica demagogica di Bersani imperniata a bastonare i piccoli imprenditori, la corrente autenticamente democratica del PD può fare la stessa cosa rifacendosi alla tradizione di Franklin Roosevelt e pigiando forte sulla necessità di una riforma del sistema monetario e finanziario internazionale che rimetta nella sovranità politica il controllo della situazione, invece che lasciarlo nelle mani di chi può essere inteso solo come player (banche e comunità finanziaria). Il Paese necessita di dotarsi della indipendenza energetica che Mattei comprese essere necessaria perché l’Italia potesse contare qualcosa sulla scena politica mondiale, e per farlo è imprescindibile il passaggio al nucleare. Parlare di fonti a basso flusso di densità energetica, vuol dire di fatto mantenere l’Italia su un livello di sovranità condizionata. E’ ovvio che per fare tutto ciò deve essere messa all’indice l’ideologia liberista. Se il PD finora è stato un bluff, funzionale soltanto a spostare verso istanze reazionarie, contro il lavoratore e dunque contro l’impalcatura costituzionale, la nave della politica italiana, si possono ringraziare anche ideologi come Giavazzi ed Alesina. Il PD necessita di ridarsi una visione politico-economica che abbia a che fare con la scienza dell’economia e con gli economisti; il liberismo, Giavazzi ed Alesina si occupano di altro, non è chiaro di cosa, ma si occupano di altro.

Claudio Giudici

Bernard Madoff: l'imbroglione di Wall Street

US-FINANCE-FRAUD-MADOFF

Il broker di Wall Street Bernard Madoff (“Bernie”) Madoff, già presidente del NASDAQ, un investitore rispettato e riverito, ha confessato di aver attuato la più grande frode della storia, una truffa da 50 miliardi di dollari. Bernie era conosciuto per la sua generosa filantropia, specialmente per le cause sioniste, ebree e israeliane. Negli anni 60 per qualche tempo bagnino a Long Island, Bernie ha lanciato la sua carriera finanziaria raccogliendo fondi da alcuni colleghi, amici e vicini tra gli Ebrei più ricchi nei settori di Long Island, Palm Beach, in Florida e a Manhattan, promettendo un ritorno a fronte di modesto investimento, costante e sicuro, dal 10 al 12%, coprendo ogni ritiro attraverso il sistema Ponzi*: utilizzo dei fondi di nuovi investitori che pregavano decisamente Bernie affinché li spennasse. Madoff da solo ha gestito almeno 17 miliardi di dollari. Nel corso di circa quattro decenni si è costruito una clientela, che comprendeva anche alcune delle più importanti banche e istituti d’investimento di Scozia, Spagna, Inghilterra e Francia, come pure i principali fondi speculativi negli USA. Madoff ricavava la maggior parte dei fondi da una rete di ricchi clienti privati acquisiti attraverso broker che lavoravano su commissione.


Tra i clienti di Bernie un gran numero erano milionari e miliardari della Svizzera, di Israele e altrove, come i più importanti fondi speculativi USA (RMF Division di Man Group e Tremont). Gran parte dei clienti straricchi truffati imploravano Madoff di accettare il loro denaro, imponendo egli stesso delle rigide condizioni ai suoi clienti potenziali: egli insisteva perché essi avessero delle raccomandazioni da investitori esistenti, depositassero una somma conseguente, e garantissero la propria solvibilità. I più si consideravano fortunati di avere i fondi accettati a Wall Street da un così rispettato ed altolocato… imbroglione. Il messaggio standard di Madoff era che il fondo era chiuso… ma poiché essi venivano dallo stesso mondo (membri di consigli d’amministrazione di organizzazioni di beneficienza ebraiche, organizzazioni pro Israele per la raccolta di fondi, o i “buoni” country club) o visto che erano legati a un amico, un collega, o precedenti clienti, lui avrebbe preso il loro denaro.

Madoff ha creato degli organismi di consulenza comprendenti dei membri distinti, ha fatto importanti donazioni a musei, ospedali e a stimate organizzazioni culturali. Era un membro celebre di Country Club esclusivi a Palm Beach e Long Island. La sua reputazione era elevata dal fatto che i suoi fondi erano noti per non aver subìto alcuna perdita quale che fosse l’annata – un argomento chiave di vendita per attirare investitori milionari. Madoff condivideva coi suoi clienti ultra ricchi (ebrei e non ebrei) uno stile di vita d’elite, e una mescolanza di filantropia culturale e di profitto finanziario modesto. Madoff s’imponeva ai suoi colleghi per il parlare dolce basato su un’apparenza “di esperienza” che fa autorità, coperto da una vernice di collegialità elitaria, un impegno profondo verso il Sionismo e le amicizie di lunga data.


[Bernard Madoff]


Il mega-fondo di Bernie aveva in comune parecchie caratteristiche con delle recenti truffe di alto livello: le elevate e costanti rendite su investimento, non uguagliate nel mondo del broking; un’assenza di controllo da parte di terzi; una società contabile retrostante fisicamente incapace di fare delle revisioni contabili su operazioni implicanti miliardi di dollari; un’operazione di broking operante direttamente sotto il suo controllo e un completo black-out su ciò in cui egli realmente investisse. Le evidenti similitudini delle caratteristiche con altri truffatori sono state trascurate dai ricchi e celebri, dagli investitori sofisticati e da consulenti lautamente pagati, quelli di Harvard con Master in Business Administration e dall’intera armata dei regolatori del SEC (Security and Exchange Commissions) perché costoro erano completamente implicati nella cultura corrotta del “prendi i soldi e scappa” e “se lei riesce là dentro non faccia domande”. La reputazione di saggezza superiore di un Wall Streeter Ebreo di successo nutriva le illusioni dei ricchi e gli stereotipi dei milionari non ebrei.

La Grande Truffa

Il fondo d’investimento di Madoff non si occupava che di una clientela ristretta di pluri-milionari e miliardari che conservavano i loro capitali in investimenti a lungo termine; gli occasionali ritiri erano di quantità limitata ed erano facilmente coperti raccogliendo nuovi fondi dai nuovi investitori che si battevano per avere accesso alla gestione del denaro da parte di Madoff. I grandi investitori a lungo termie prevedevano di trasmettere le loro economie ai propri eredi o di utilizzarle eventualmente per la pensione. Delle personalità della comunità e altre persone che potevano aver bisogno di ritirare una parte del loro denaro per un’occasione festiva come un matrimonio o un bar mitzah con invitati celebri, potevano ritirare una parte dei propri risparmi poiché Madoff non aveva alcun problema a coprire i ritiri attirando i fondi di ricchi direttori d’atelier tessili che sfruttano gli impiegati e di fabbriche di imballaggi nocivi per carne, e di ricchi proprietari di slums. Madoff non era Robin Hood, i suoi contributi filantropici ad opere caritatevoli lo aiutavano ad avere accesso ai ricchi che facevano parte dei consigli d’amministrazione delle istituzioni beneficiarie delle sue prodigalità, e a provare che lui era “uno di loro”, una sorta di “intimo” dei super ricchi appartenente alla stessa classe d’elite. Lo choc, la paura e gli attacchi cardiaci che hanno seguito la confessione di Madoff che egli “dirigeva un affare alla Ponzi” ha provocato collera a causa del denaro perso e il crollo della classe ricca, nonché l’imbarazzo di sapere che i più grandi sfruttatori mondiali e i più abili imbroglioni di Wall Street si sono totalmente “fatti fregare” da uno dei loro. Non soltanto hanno perso molti soldi, ma l’immagine che essi avevano di se stessi, ricchi, così distinti e appartenenti a “un gruppo superiore”, è stata seriamente scossa. Si sono trovati a subire la stessa sorte di tutti i miserabili che loro stessi avevano precedentemente truffato, sfruttati e spodestati nella loro ascensione alla cima. Non c’è niente di peggio per l’ego di un truffatore rispettabile che il farsi fregare da un altro truffatore. Il risultato è che un certo numero dei più grandi perdenti ha fino ad oggi rifiutato di dare il proprio nome o l’ammontare delle somme perse, agendo invece tramite avvocati per attaccare altri perdenti.

Il Lato Positivo della Super Truffa di Madoff (La Giustizia si Manifesta Inavvertitamente)

Mentre è possibile comprendere come i ricchi e super ricchi che hanno perso gran parte della pensione e dei fondi d’investimento siano unanimi nella loro condanna e nel loro grido di tradimento e come gli editoriali di tutti i giornali e settimanali prestigiosi si siano uniti al coro dei critici moralizzatori, ci si può felicitare delle Buone Azioni di Madoff, anche se in seno alla sua condotta fraudolenta ciò non era intenzionale.

Perciò vale la pena di fare la lista delle conseguenze positive della super truffa di Madoff. Per prima cosa l’intera truffa da più di 50 miliardi di dollari può seriamente minare il finanziamento sionista USA alle colonie israeliane illegali nei territori occupati, diminuire i finanziamenti che permettono all’AIPAC di acquisire influenza al Congresso e di finanziare campagne di propaganda a favore di un attacco militare USA preventivo contro l’Iran. La maggior parte degli investitori dovrà diminuire o smettere l’acquisto di buoni del tesoro israeliani, i quali sovvenzionano il budget militare di questo stato.

In secondo luogo, la truffa ha gettato ancor più discredito sui fondi altamente speculativi che male accusano il colpo di fronte ai ritiri massicci causati dalle enormi perdite. I fondi di Madoff facevano parte di una delle ultime restanti operazioni “rispettate” che continuassero ad attirare investitori, ma con le ultime rivelazioni questo potrà accelerare la loro scomparsa. I loro promotori congedati dovranno forse fornire una giornata lavorativa onesta e produttiva.

In terzo luogo, la frode di Madoff su larga scala e durante un lungo periodo non è stata riconosciuta dalla SEC nonostante almeno due inchieste. Come risultato, c’è una totale perdita di credibilità di tale organismo. Più in generale, lo scacco della SEC dimostra l’incapacità delle agenzie di controllo del governo capitalista di smascherare le grandi truffe. Questo scacco solleva la questione di sapere se delle alternative agli investimenti a Wall Street siano preferibili allo scopo di proteggere il risparmio e i fondi pensione.

Quarto, l’associazione a lungo termine di Madoff con NASDAQ, ivi compreso il fatto che egli ne sia stato presidente proprio mentre derubava i suoi clienti di miliardi di dollari, mette in evidenza che i membri e dirigenti di questa borsa di scambio sono incapaci di riconoscere un truffatore, e sono inclini a sottovalutare la condotta traditrice di “uno di loro”. In altri termini, il pubblico che investe non può più rimettersi a coloro che occupano funzioni elevate in seno al NASDAQ come se costoro fossero persone probe. Dopo Madoff, occorre forse pensare di tornare allo spesso materasso sotto cui conservare in tutta sicurezza ciò che resta dei risparmi familiari.

Il quinto punto è che i consulenti d’investimento delle grandi banche europee, asiatiche e americane, i quali amministrano miliardi di risparmi non hanno effettuato alcun controllo, invece necessario, sulle operazioni di Madoff. Lasciando da parte le gravi perdite delle banche, decine di migliaia di ricchi e super ricchi influenti hanno perduto tutte le loro ricchezze accumulate. Risultato, una perdita totale di fiducia nelle banche di punta, e negli strumenti finanziari nonché un discredito generale in ciò che concerne “il sapere dell’esperto”. Il risultato è un indebolimento del dominio finanziario sulla maniera d’investire, e la scomparsa di una parte importante della classe dei “réntiers” parassiti, che si arricchivano senza produrre beni utili o fornire servizi necessari.

Il sesto punto è che siccome la maggior parte del denaro rubato da Madoff veniva dalle classi superiori del mondo intero, la sua condotta ha ridotto le ineguaglianze – egli è quindi il più grande livellatore dall’introduzione della tassa progressiva sul profitto. Rovinando i miliardari e mandano in fallimento i milionari, Madoff ha diminuito la loro capacità di utilizzare le proprie ricchezze per influenzare a proprio favore i politici – aumentando così il potenziale d’influenza politica di settori della società delle classi meno influenti… ed ha rinforzato inavvertitamente la democrazia a detrimento delle oligarchie della finanza.

Il settimo punto è che truffando amici di vecchia data, investitori etno-religiosi che si son fatti da soli, membri di Country Club funzionanti su una base etnica ristretta, e membri imparentati, Madoff mostra che la finanza capitalista non ha alcun rispetto per le pietà del quotidiano: piccoli e grandi, santi e profani, tutti sono subordinati alla dominazione del capitale.

Ottavo punto, tra i numerosi investitori rovinati a New York e in Nuova Inghilterra, si trovano proprietari di atelier sfruttatori (abbigliamento di marca e fabbricanti di giocattoli) e qualcuno che non pagava neanche il salario minimo alle donne e ai lavoratori immigrati, altri che sfrattavano gli affittuari poveri e altri ancora che privavano della pensione i lavoratori prima di trasferire gli affari in Cina. In altri termini, la truffa di Madoff è una sorta di punizione secolare “divina” per i crimini passati e presenti contro i lavoratori e i poveri. Inutile dire che questo “inconsapevole Robin Hood” non ridistribuiva il denaro rubato dagli sfruttatori agli sfruttati, ma ne reinvestiva una parte nelle sue organizzazioni caritatevoli per migliorare la sua immagine di filantropo e ricompensare i suoi investitori iniziali i quali avevano sostenuto questa truffa di tipo Ponzi.

Punto nove, Madoff ha inflitto un serio colpo agli antisemiti che affermano che ci sia una “cospirazione ebrea famigliare per derubare i non ebrei” sotterrando per sempre queste voci. Tra le principali vittime di Madoff si trovano i suoi amici e colleghi ebrei più vicini, gente che condivideva il pasto del Seder (Pasqua ebraica, ndt) e frequentava le stesse sinagoghe d’alto borgo di Long Island e Palm Beach.

La discriminazione praticata da Bernie nella scelta dei suoi clienti si faceva sulla base della loro ricchezza e non sull’origine nazionale, razziale, religiosa o sull’orientamento sessuale. Egli è una personalità ecumenica e un ardente difensore della mondializzazione. Non v’è niente di etnocentrico in Madoff: egli ha truffato la banca anglo-cinese HSBC di 1 miliardo di dollari e di parecchi milioni il ramo olandese della banca belga Fortis, di 1,4 miliardi la Royal Bank of England, la banca francese BNP Paribas, la banca spagnola Banco Santader, la banca giapponese Nomura, senza menzionare i fondi speculativi a Londra e negli Stati Uniti, che hanno ammesso di aver fatto investimenti presso Investment Sécuritées di Bernard Madoff. In effetti, Madoff è il simbolo del moderno, alla moda, politicamente corretto, multiculturale, internazionale…. imbroglione. La facilità con cui ha estorto il loro denaro ai super ricchi d’Europa ha provocato il seguente commento di un consulente d’affari di base a Madrid: “individuare e abbattere i più ricchi di Spagna era come accoppare delle foche…” (Financial Times, 18 dicembre 2008, p. 16).

Il decimo punto è che la truffa di Madoff andrà probabilmente a rinforzare l’autocritica e indurre un’attitudine di maggiore diffidenza nei confronti di altre persone suscettibili di attirare la fiducia presentandosi come fini conoscitori finanziari. Tra gli ebrei autocritici, alcuni saranno meno inclini a fare affidamento nei broker semplicemente perché essi sono dei supporter zelanti d’Israele e dei generosi donatori a fondi destinati ai Sionisti. Questo non è più una garanzia adeguata di condotta etica né un certificato di buona condotta. In effetti, tutto ciò può sollevare dei sospetti verso quei broker che sostengono a oltranza Israele e promettono un ritorno sugli investimenti elevato e costante a coloro i quali difendono localmente la causa sionista – chiedendosi se questo business del “ciò che è buono per…” non sia in realtà una copertura per una nuova truffa.

L’undicesimo punto, il conclusivo, è che la scomparsa dell’impresa di Madoff e delle sue ricche vittime ebree liberali sta per avere ripercussioni negative sulle donazioni fatte alle 53 principali organizzazioni ebree americane, a numerose fondazioni di Boston, Los Angeles, New York e altrove ancora, nonché al ramo militarista del partito democratico legato a Clinton/Schumer (Madoff li finanziava entrambi come anche altri supporter incondizionati d’Israele al Congresso). Ciò potrebbe aprire il Congresso a un dibattito sulla politica in Medio Oriente senza dar luogo ai virulenti attacchi abituali.

Conclusioni

La truffa di Madoff e la sua condotta fraudolenta non sono il risultato di uno scacco morale personale. Esse sono il prodotto di un imperativo sistemico e d’una cultura economica, che plasmano i circoli più elevati del nostro sistema di classi. L’economia su carta, i fondi speculativi e tutti gli “strumenti finanziari sofisticati” sono tutti dei “sistemi Ponzi” – non sono fondati sulla produzione e la vendita di beni e servizi. Essi sono delle scommesse finanziarie sulla crescita finanziaria su carta basata sui sicuri investitori futuri i quali retribuiscono i precedenti investitori.

Lo scacco della SEC era totalmente prevedibile e sistemico. I regolatori sono selezionati tra i regolati, da essi dipendono e si riferiscono ai loro giudizi, alle loro affermazioni e alle loro revisioni contabili. Essi sono strutturati in modo da mancare i “segni” e da impedire “troppa regolazione” dei loro superiori finanziari. Madoff ha agito nell’ambiente di Wall Street laddove tutto passa, dove l’impunità per degli ultra-sovvenzionamenti o per delle super-truffe è la norma. In quanto truffatore individuale egli ha truffato alcuni dei suoi più importanti avversari istituzionali a Wall Street. La totalità del sistema di ricompensa e di prestigio beneficia coloro i quali sono i migliori a manomettere i libri contabili, a coprire le tracce scritte delle frodi, e che hanno delle vittime che costantemente li supplicano di farsi abbindolare. Che Mensch, questo Madoff!

Nell’arco di qualche giorno, un individuo, Bernard Madoff, ha inferto un colpo più grosso al capitalismo della finanza mondiale, a Wall Street e alla lobby statunitense Sionista/ Agenda Israël in testa, di quello inferto da tutta la sinistra USA ed europea messe assieme nel corso dell’ultimo secolo! È riuscito meglio lui a ridurre le ampie disparità a New York che tutti i governatori riformisti e tradizionalisti, democratici e repubblicani, i sindaci, bianchi, neri, cristiani, ebrei, negli ultimi due secoli.

Alcuni teorici della cospirazione di estrema destra affermano che Bernie è un agente segreto islamo-palestinese (di Hamas) che ha deliberatamente agito per minare la base finanziaria dello stato d’Israele e delle sue fondazioni e dei suoi sostenitori più generosi, potenti, e influenti negli USA. Altri affermano che egli è un Marxista in ombra, che truffa con molta prudenza allo scopo di discreditare Wall Street e di far passare miliardi di dollari ad organizzazioni clandestine radicali – dopo tutto… chi sa che fine hanno fatto i miliardi perduti? Contrariamente agli esperti di estrema sinistra, blogger e contestatori manifestanti, le cui ferventi attività non hanno effetto alcuno sui ricchi e i potenti, Madoff ha piazzato i suoi colpi là dove fa più male: i loro enormi conti in banca, la loro fiducia nel sistema capitalista, la loro stima di sé e, sì, addirittura il loro benessere cardiaco.

Questo vorrebbe dire che noi a sinistra dovremmo formare un Comitato di Difesa Bernie Madoff, e invocare un finanziamento identico a quello che Paulson istituì per i suoi compagni della Citibank? Dovremmo proclamare: “eguaglianza di sovvenzionamento per uguali truffatori”? Dovremmo sostenere la sua partenza (o il suo diritto al ritorno) in Israele per evitare di esser giudicato? Suggerire una pensione israeliana per Bernie rischia di essere mal visto da molte delle sue vittime ebree.

Non c’è alcuna ragione di innalzare delle barricate per Bernard Madoff. Basta riconoscere che egli ha reso un servizio storico alla giustizia popolare per sbaglio, minando certi pilastri finanziari di un sistema di classi profondamente ingiusto.

Postscriptum

Sarà per pura ammirazione o a causa dei legami clandestini con Madoff che il nostro attuale guardasigilli, Michael Mukasey, si ritira dall’inchiesta? Altre persone tutte altrettanto importanti e influenti sono quasi certamente legate all’affare Madoff, e non soltanto delle “vittime”. Si fa fronte ad un grave caso di “Affare di Stato”… Nessuno riesce a credere che un'unica persona abbia potuto da sola montare questa truffa di tale ampiezza e durata. Così come nessun inquirente serio può credere che i 50 miliardi di dollari siano semplicemente “scomparsi” o siano stati messi da parte su dei conti personali.

James Petras

Un’altra crisi immobiliare è in arrivo

crisi-immobiliarePer avere un quadro della vera crisi immobiliare americana, immaginate New Orleans colpita dall’uragano Katrina e, addirittura prima ancora che l’acqua cominci a defluire, un secondo Katrina colpisce. I 1.200.000 posti di lavoro persi negli Stati Uniti nel 2008 sono un segnale che un secondo stadio della rovina immobiliare sta per colpire l’economia. Stavolta colpirà gli immobili commerciali – centri commerciali, negozi, magazzini e uffici.

Con la chiusura delle aziende e il calo degli affitti, scompare la capacità di onorare i mutui sugli immobili commerciali costruiti in sovrabbondanza. La costruzione di immobili in sovrabbondanza è stata favorita dai tassi d’interesse irresponsabilmente bassi, ma il maggior impulso è venuto dalla scivolata del tasso di risparmio americano a zero e dall’aumento dell’indebitamento delle famiglie. La contrazione dei risparmi e l’aumento del debito ha fatto aumentare la spesa dei consumatori al 72% del PIL. La proliferazione dei centri commerciali e dei magazzini che li forniscono riflettono l’aumento della spesa dei consumatori in quanto quota del PIL.

Allo stesso modo del governo federale, i consumatori hanno speso più di quanto hanno guadagnato e preso denaro a prestito per coprire la differenza. E’ chiaro che ciò non sarebbe potuto continuare per sempre, e il debito dei consumatori ha raggiunto il suo limite. I centri commerciali stanno perdendo i punti vendita più importanti e grandi catene stanno chiudendo negozi e addirittura fallendo completamente.

Gli speculatori edilizi che hanno avuto prestiti per finanziare queste imprese commerciali sono ora nei guai poiché sono i titolari dei mutui, dei derivati e dell’altra spazzatura finanziaria collegata ai prestiti. La fonte principale della crisi economica è il convincimento infantile dei politici degli Stati Uniti che un’economia potesse basarsi sull’espansione del debito. Poiché la delocalizzazione ha trasferito i posti di lavoro, i redditi e il PIL fuori dal paese, il debito si è espanso per sostituire il mancato introito. Quando i beni e servizi prodotti all’estero sono stati riportati per essere venduti agli americani, il deficit commerciale è aumentato, aggiungendo un altro livello di finanziamento ad un’economia che consuma più di quanto produce. La crescita del debito ha superato la crescita del prodotto reale.

Tuttavia la soluzione offerta dal team economico di Obama è di espandere ulteriormente il debito. Ciò non è affatto sorprendente in quanto il team economico di Obama è formato dalle stesse persone che hanno causato la crisi del debito. Ora si accingono a peggiorare la situazione. La domanda che non è stata posta è la seguente: chi finanzierà la prossima ondata di debito? Il deficit del bilancio americano per l’anno fiscale 2009 sembra già avviarsi verso i $2 bilioni, e questo ancora prima dell’attuazione del programma di incentivi di Obama.

Quello a cui stiamo assistendo è un deficit di bilancio di $3 bilioni se il programma di Obama sarà attuato in tempo per incidere sull’economia di quest’anno. I peasi esteri possono finanziare un deficit di bilancio americano di $500 miliardi dai loro surplus nei confronti degli USA. Ma gli stranieri non hanno i fondi per finanziare un deficit di bilancio americano nell’ordine dei bilioni di dollari, e non finanzierebbero un tale deficit nemmeno se avessero i fondi. Gli stranieri sono oberati di titoli in dollari e preferiscono alleggerire tali titoli piuttosto che aggiungerne altri. Le prospettive economiche dell’America sono appannate/buie come lo sono le prospettive del dollaro come moneta di riserva.

Un deficit di bilancio annuale nell’ordine dei bilioni di dollari rende le prospettive del dollaro ancora più buie. La probabile soluzione del problema del debito da parte del governo federale sarà quella di monetizzare il debito, cioè il governo finanzierà il suo debito stampando moneta. Il debito verrà gonfiato via. Ma per quegli americani senza lavoro o il cui reddito non aumenta con l’inflazione, la vita sarà molto dura. La vita è già dura per gli americani che vivono con i risparmi della pensione. Non solo il fallimento del mercato azionario ha ridotto della metà la loro ricchezza, ma le loro rimanenti disponibilità finanziarie non producono reddito.

I tassi di interesse sono così bassi che gli strumenti di debito non producono reddito e i guadagni nel mercato azionario sono scarsi. I pensionati vivono consumando il loro capitale. La politica economica americana dei bassi tassi d’interesse e dell’espansione del debito promette male per tutti coloro che vivono dei loro risparmi. Le loro prospettive future sono addirittura peggiori poiché l’inflazione distruggerà il valore dei loro risparmi, specialmente se sono in contanti o in strumenti di debito, inclusi i buoni del tesoro USA “sicuri”. Esistono modi più intelligenti per cercare di sfuggire all’attuale crisi economica. Tuttavia i gangster finanziari e i loro compari, che Obama ha messo a capo della politica economica, pensano solo ai loro propri interessi.

Quello che succede agli americani non è un problema. Un governo sensibile gestirebbe la crisi in questo modo: I bilioni di dollari di ‘credit defaulf swaps’ (CDS) dovrebbero essere dichiarati nulli e non validi. Questi “swaps” sono semplicemente scommesse che gli strumenti e le imprese finanziarie perderanno, la maggior parte delle scommesse sono fatte da gente e istituzioni che non possiedono strumenti finanziari o azioni nelle imprese. L’ideologia secondo cui i mercati finanziari si auto-regolano ha lasciato briglia sciolta alla speculazione illegale. Non c’è nessuna ragione plausibile sotto la luce del sole per cui i contribuenti debbano salvare i giocatori d’azzardo.

I soldi del salvataggio, invece di essere dati alle privilegiate istituzioni finanziarie per finanziare le acquisizioni di altre istituzioni, dovrebbero essere usati per rifinanziare i mutui inadempienti. Ciò rallenterebbe, se non riuscisse a fermare, il crescente numero di proprietà ipotecate che sta abbassando i prezzi degli immobili. La regola del prezzo di mercato dovrebbe essere sospesa finchè i veri valori delle proprietà e strumenti in difficoltà possono essere determinati. La sospensione della regola eviterebbe il fallimento di istituzioni sane e diminuirebbe la necessità di salvataggio. I tassi di interesse devono essere alzati in modo da incoraggiare il risparmio e fornire rendita ai pensionati. Per conservare lo status del dollaro come moneta di riserva, una politica credibile di riduzione del deficit del bilancio del commercio deve essere annunciata.

In tempi brevi il deficit del bilancio può essere ridotto di $500 miliardi con il ritiro dall’Iraq e dall’Afghanistan e tagliando il bilancio gonfiato della difesa che rappresenta ora l’obiettivo irraggiungibile dell’egemonia mondiale degli USA. Il deficit commerciale può essere notevolmente ridotto riportando in America i posti di lavoro che adesso sono all’estero. Un modo per fare ciò è tassare le società in base al valore aggiunto dei beni che producono negli USA. Le società che producono all’estero i loro beni per i mercati americani pagherebbero tasse più alte; quelle che producono in casa avrebbero tasse più basse. Questo approccio alla crisi economica si colloca in netto contrasto con quello dei gangster che gestiscono la politica economica americana.

I gangster stanno sfruttando la crisi come un’opportunità per derubare i contribuenti e finanziare i loro misfatti e le loro paghe esorbitanti attraverso i prestiti della Federal Reserve. I loro compari tra gli economisti e la stampa finanziaria dicono alla gente che la soluzione sta nell’ingrassare le banche di fondi così poi queste riprenderanno a prestare un pubblico super-indebitato che ritornerà così nei centri commerciali.

Questo approccio non realistico ad una grave crisi indica una crisi politica sopra/oltre a una crisi economica.

By Paul Craig Roberts

01 febbraio 2009

Il Pd e Debenedetti


In prospettiva del passaggio della presidenza G8 all’Italia, è fondamentale che il dialogo tra maggioranza ed opposizione non sia lacerato e giunga invece a riconoscere la imprescindibilità della riorganizzazione fallimentare sistemica come primo passo per giungere ad una autentica Nuova Bretton Woods, di modo da impedire che la crisi finanziaria si propaghi ancor più all’economia reale. Ciò rappresenterà il fondamento di un nuovo sistema finanziario ed economico figlio della tradizione di Franklin Delano Roosevelt, oggi rappresentata in modo esemplare da Lyndon LaRouche. L’entità della bolla speculativa rispetto alla produzione reale globale, come spiegato a Parigi l’8 ed il 9 gennaio scorso dal ministro dell’economia italiano Giulio Tremonti, dal presidente francese Nicolas Sarkozy e dall’ex primo ministro francese, il socialista Michel Rocard, non consente altrimenti. I tre, a differenza di Trichet, di Blair e della Merkel comprendono sempre più a fondo il disegno che LaRouche propone oramai dal ‘94 per far ripartire l’economia reale globale e che avrebbe evitato l’attuale situazione finanziaria e di scontri geo-politici. Affinché l’Italia possa svolgere un ruolo centrale in questa crisi, è necessario che anche il Partito Democratico italiano si esponga in modo non equivoco intorno a questo punto e prenda le distanze dalle soluzioni filo-oligarchiche tipo quelle esternate recentemente dall’ex premier italiano Prodi. Questo dialogo è tuttavia minato già sul nascere. Infatti il PD si trova al centro di un tentativo di evitare proprio questo processo, e quanto sta verificandosi con lo scoppio a ripetizione di inchieste della Magistratura intorno ai suoi esponenti, non deve essere confuso per un attacco contro il PD. Ad essere oggetto di queste inchieste non sono genericamente gli esponenti del PD, quanto piuttosto gli esponenti della superstite ala costituzionalista ed antifascista, quella che ha deciso di non piegarsi ai voleri del suo principale sponsor finanziario. Se queste inchieste indeboliscono il PD inteso come organizzazione politica fatta di elettori e rappresentanti eletti, ognuno con un proprio grado di rappresentatività, allo stesso tempo queste inchieste lo rafforzano se lo intendiamo come una espressione centralizzata delle volontà del suo deus ex machina, l’ing. Carlo De Benedetti. Il Partito Democratico, infatti, lungi dall’essere un partito a partecipazione popolare – dove appunto la voce indipendente della sua base conti realmente qualcosa – è stato creato, cooptando ed emarginando l’autentica ala democratica, per raggiungere i fini che la sua proprietà ha deciso, e dove i dirigenti di turno sono equiparabili a dei promotori di interessi finanziari. Si tratta di quegli stessi interessi facenti capo alle più importanti famiglie bancarie del mondo (i Morgan, i Rothschild, ed altre) che con lo scoppio della crisi finanziaria, rischiano oggi come negli anni ‘30, di ritrovarsi tra i piedi un Franklin Roosevelt che tenga dritta la rotta della nave verso l’idea del Bene Comune, e che denunci il grande bluff che negli ultimi quarant’anni ha disastrato l’intero pianeta.

Fin dal processo costituente, il PD mostrò la sua vera natura

Nella primavera del 2007 il Movimento Internazionale per i diritti civili - Solidarietà distribuì durante i congressi dei DS a Firenze e della Margherita a Roma, un documento in cui si puntava ad offrire una via d’uscita autenticamente repubblicana e democratica, all’allora nascente Partito Democratico italiano. In quel documento si ammoniva dall’intraprendere la strada della costruzione di un partito oligarchico, come era nel disegno di De Benedetti. Il documento si intitolava Per un Partito Democratico antioligarchico, nella tradizione di Roosevelt, De Gasperi, Mattei e La Pira. Lo slogan, come scrivemmo nel rapporto pubblico di quelle azioni, oggi appare profetico, in quanto esso fu: “Che il nascendo Partito Democratico si orienti a Roosevelt e LaRouche piuttosto che Al Gore e altri ‘democratici per il fallimento’ “.

Invece la strada intrapresa dal PD è stata quella voluta da De Benedetti, ossia quella di un partito dalla marcata connotazione liberista, funzionale a quel silenzioso attentato alla Costituzione che progressivamente, nel corso dell’ultimo quarantennio, ha portato a fuoriuscire completamente dai suoi principi ispiratori: dalla centralità dell’azione di governo in economia, ad un’economia rimessa alla sola legge di mercato; dalla centralità del lavoratore e della produzione alla centralità del consumatore e del consumo. In breve, i pilastri fondanti di questo PD, di questo Partito De Benedetti, sono gli stessi che sono all’origine della crisi economica e finanziaria che ha investito il mondo.

Così, quanto sta verificandosi in Italia da un paio di mesi a questa parte, con lo stillicidio di inchieste della magistratura, va visto come un frammento di un film con una trama ben più complessa, rispetto al singolo spezzone.

La regia del tutto, parte dalla City di Londra, da quell’oligarchia finanziaria che riesce a far apparire dal nulla circa 2.000 miliardi di dollari per salvare il sistema bancario, ma non riesce a trovare 50 miliardi di dollari per i progetti di sviluppo nel Terzo Mondo[1]. Essa, con particolare riferimento al legame che lega la casata bancaria dei Rothschild allo speculatore George Soros, si muove in Italia con il proprio primario rappresentante, l’ing. Carlo De Benedetti, per completare quel disegno di finanziarizzazione dell’intera economia italiana avviato in Italia nel 1992. Funzionale a ciò è l’ideologia liberista, che viene fatta avanzare con la barzelletta delle liberalizzazioni, come democratica panacea ai mali d’Italia, le quali garantirebbero concorrenza, bassi prezzi e qualità.

L’oligarchia finanziaria ha un grosso problema: la bolla finanziaria è scoppiata e sta progressivamente entrando nella sua fase terminale; essa non accetta che questa deflagri, e si trova davanti uno scenario per sé stessa pericoloso: la rievocazione delle politiche del dirigismo rooseveltiano che passano per il suo massimo sostenitore ed esperto oggi vivente, Lyndon LaRouche[2] . Molti governi cominciano a dare ascolto a LaRouche – fermo oppositore da circa quarant’anni dei disegni dell’oligarchia finanziaria – e questo, per l’oligarchia finanziaria, vorrebbe dire perdere la posizione di vero governo mondiale che dal ‘71 ha riacquistato.

Invece, l’oligarchia finanziaria punta a salvare la bolla dei derivati e per farlo ha necessità di finanziarizzare ancor più l’economia mondiale. Così, essa punta a liberalizzare per privatizzare; a privatizzare per finanziarizzare.

Il problema di fondo è sostanziale e non nominale. Quali sono le idee a cui questa oligarchia si rifà? Finanziarizzazione, privatizzazione, liberalizzazione. Queste sono le idee che devono essere combattute, riscoprendo invece la più alta concezione dell’organizzazione politica ed economica che la nostra Costituzione ci offre. Gli articoli 1, 2, 3, 4, 36, 41, 42, 47, ci dicono molto e sono palesemente violati.

Il Partito Democratico deve respingere l’influenza di Soros e De Benedetti

Per comprendere cosa sia il PD, non possiamo trascurare la sua genesi e non possiamo trascurare l’anno 1992. Dobbiamo ricordare cosa abbia voluto dire per l’Italia quell’anno: gli omicidi di Falcone e Borsellino, lo scoppio del caso “Mani pulite” (che stravolse l’assetto politico italiano), l’attacco speculativo alla lira ed altre valute europee orchestrato dal megaspeculatore George Soros (oggi abitualmente presentato come un filantropo). Ma se questi sono eventi ben noti ai più, meno noto è un fatto passato molto in sordina sui media. Il 2 giugno 1992, sul panfilo della regina Elisabetta II, il Britannia, si svolgeva una riunione semi-cospirativa[3] tra i principali esponenti della City, il mondo finanziario londinese, alcuni manager pubblici italiani, rappresentanti del governo di allora e personaggi che poi sarebbero diventati ministri nel governo Amato. Oggetto di discussione: le privatizzazioni.

Queste ultime, lungi dall’essere uno strumento di “moderna” democrazia volto a rendere più efficiente l’economia nazionale, hanno rappresentato il passo preteso dall’oligarchia finanziaria per trasferire immense fette dell’impresa pubblica (industria, banche, infrastrutture) e dell’economia partecipata da piccolissimi imprenditori (il commercio) ad una ristretta oligarchia finanziaria decisa a finanziarizzare quanto più possibile l’economia mondiale per impedire lo scoppio della mega bolla speculativa che dal 1971, con l’abbattimento degli accordi di Bretton Woods, è andata crescendo in modo esponenziale, parassitando l’economia reale ed impedendone la ripresa reale. Questo processo di finanziarizzazione, oltre a coinvolgere l’impresa nazionale, ha coinvolto pure i risparmi degli italiani, trasferendoli durante gli anni ‘90 dai buoni del Tesoro al mercato azionario. Questi risparmi si volatilizzarono con lo scoppio della bolla della new economy, artatamente creata dal sistema bancario e dai media. Ma in questo processo rientra pure la progressiva distruzione del sistema di welfare, con sempre maggior attenzione al sistema previdenziale e pensionistico ed a quello sanitario.

Quando divenne chiaro alla cittadinanza il bluff che si celava dietro la campagna ideologica del “più impresa meno Stato”, il termine “privatizzazioni” fu sostituito con il termine “liberalizzazioni”; più concorrenza, più libertà di mercato, avrebbero migliorato produzioni e servizi e fatto scendere i prezzi. Ed invece, dal commercio alle utilities, in Italia come nel resto del mondo, dove è intervenuto un processo di liberalizzazione, si è assistito a risultati diametralmente opposti a quelli promessi, e perfettamente coincidenti con il risultato del progressivo trasferimento della ricchezza nelle mani dell’oligarchia finanziaria. Se la guerra culturale[4] fatta di menzogne ripetute all’infinito dai media, e più in generale dal complesso culturale, ha fatto metter radici all’idea per cui le liberalizzazioni siano un fenomeno positivo per la gente, la classe politica ha fatto sì che i frutti della pianta seminata finissero nelle mani dei finanziatori della propria carriera politica.

Circa George Soros, egli non è semplicemente uno speculatore, bensì ricopre nella politica mondiale un ruolo che sempre da più parti gli viene riconosciuto.

Tra Soros, De Benedetti ed il PD italiano vi è un rapporto molto stretto, come faceva comprendere il Corriere della Sera[5] già nel 2005, con un articolo di Francesco Verderami. E’ da questo stretto legame che si può evincere l’attuale natura oligarchica, invece che democratica e repubblicana, del Partito democratico italiano. Chi è uscito dall’incantesimo per cui i partiti funzionerebbero grazie alle sovvenzioni pubbliche, capisce bene che se un soggetto finanzia un partito, ha sullo stesso una certa influenza.

George Soros è famoso per il suo cinismo, per essere stato – per sua stessa ammissione – all’origine di varie spedizioni speculative (per esempio quella in Europa nel ‘92 e quella nel Sud-est asiatico nel ‘97-’98), ma anche famoso per avere finanziato le rivoluzioni “democratiche” a giro per il mondo, dall’Europa (come quelle in Ucraina, Georgia e Bielorussia), all’Asia e al Sud-America, nonché per il suo tentativo di legalizzare la droga a livello mondiale.

Il livello di moralità di questo sicario economico è ben referenziato da una sua affermazione, ripresa dal documento Lo sviluppo moderno dell’attività finanziaria alla luce dell’etica cristiana, preparato dalla Commissione pontificia Justitia et Pax; Soros testualmente dice:

‹‹Sono certo che le attività speculative hanno avuto delle conseguenze negative. Ma questo fatto non entra nel mio pensiero. Non può. Se io mi astenessi da determinate azioni a causa di dubbi morali, allora cesserei di essere un efficace speculatore. Non ho neanche l’ombra di un rimorso perché faccio un profitto dalla speculazione sulla lira sterlina. Io non ho speculato contro la sterlina per aiutare l’Inghilterra, né l’ho fatto per danneggiarla. L’ho fatto semplicemente per far soldi››.

Sia chiaro, si tratta di attività che si ammantano del crisma della legalità (anche se nel 2002 una corte francese lo condannò per insider trading), ma questo genere di legalità non è certo quello che consente di qualificare una persona come “filantropo”.

Dice Verderami sul Corriere:

«Quando Francesco Rutelli è entrato ieri al numero 888 della Settima Avenue per conoscere George Soros, le presentazioni erano di fatto già avvenute. Perché il leader della Margherita era stato preceduto da una lettera inviata giorni fa da Carlo De Benedetti. Poche righe in cui l’Ingegnere aveva tracciato al potente finanziere il profilo dell’ex sindaco di Roma, definito «un giovane brillante politico italiano”. I rivali di Rutelli diranno che si è fatto raccomandare, che per essere ricevuto si è valso di una lettera per accreditarsi. Ma la tesi stride con la genesi dell’incontro, se è vero che l’idea risale a due settimane fa, e che l’approccio è avvenuto via email. Con la posta elettronica Lapo Pistelli provò infatti a contattare il magnate americano. Il responsabile Esteri dei Dl si trovava insieme a Rutelli a Cipro per un incontro del Partito democratico europeo: studiando l’agenda del viaggio negli Stati Uniti, si accorsero che mancava qualcosa, “ci sono gli appuntamenti politici, però ne servirebbe uno con il mondo della finanza”. è una storia tipicamente americana quella capitata al capo della Margherita, visto che quando partì il messaggio nessuno pensava di ottenere risposta, “nessuno in Italia - commenta Pistelli - si sognerebbe di entrare in contatto così con un industriale o un banchiere”: “La storia del nostro incontro con Soros dimostra che in America, dall’altro capo del telefono o del computer, c’ è sempre qualcuno pronto a darti attenzione”.»

Non è la prima volta che Carlo De Benedetti funge da tramite tra politici italiani ed il megaspeculatore. La stessa cosa era già avvenuta anni prima con Antonio Di Pietro.

E’ doveroso però puntualizzare alcune cose che, se non conosciute, non fanno comprendere a fondo la portata di questo articolo del Corriere. Rutelli gode dell’ammirazione del salotto di De Benedetti, per il cinismo delle soluzioni politiche “innovative” adottate, e che presto si dimostreranno disastrose (si pensi alla privatizzazione-quotazione di Acea, l’utility di Roma attiva nell’acqua e nell’energia). Queste operazioni consentono la quotazione in borsa dei cespiti dell’economia reale, nonché la partecipazione dei gruppi finanziari al capitale sociale di queste aziende. Per l’oligarchia finanziaria non è tanto importante la partecipazione in sé stessa, quanto ciò che essa consente di fare nei mercati finanziari; essa rappresenta cioè il sottostante su cui creare strumenti finanziari derivati (principalmente over the counter, fuori mercato) che consentono di sostenere ed alimentare la bolla speculativa globale.

Questa strumentalità alla grande finanza, dimostrò di averla anche Walter Veltroni, quando nel 2007, si rese protagonista dello scontro con il settore taxi, considerato dall’establishment un vero e proprio tavolo di prova che avrebbe consentito di procedere più spediti sul fronte della privatizzazione di tutti i servizi pubblici e para-pubblici. Veltroni, poi, dimostrando di aver compreso la lezione liberista dei Chicago boys, parlò più volte di “terapia shock” come metodo per l’attuazione dell’agenda economica. Lapo Pistelli, oggi candidato alle primarie del PD per le elezioni amministrative fiorentine, con assoluta nonchalance, parla dell’appuntamento con Soros, come di un fatto accidentale, come a dire: «Prima la politica, e poi la finanza, sia chiaro!», poi, da navigato sofista della politica, sottolinea che quel contatto via e-mail indica che nella terra di zio Tom vi sarebbe sempre qualche buon samaritano.

Con il soi disant filantropo, ha storiche relazioni pure Romano Prodi. Quest’ultimo racconta di aver collaborato con lui, dopo che lasciò la presidenza dell’Iri (addirittura partecipando alla cerimonia per laurea honoris causa conferita a Soros dalla facoltà di economia dell’Università di Bologna, e presentando l’edizione italiana del suo libro autobiografico).

Carlo De Benedetti, invece, oltre che essere famoso per avere contribuito alla distruzione di importanti industrie italiane (Olivetti e Fiat) è famoso per il suo ruolo di alter ego a Silvio Berlusconi sul fronte dei media (Repubblica, L’Espresso, vari giornali locali, Radio Deejay, Radio Capital, ecc.).

Se negli Stati Uniti è Soros che prova ad influenzare costantemente il Partito Democratico americano, in Italia è De Benedetti che prova a compiere la medesima operazione. Ma che visione ha De Benedetti sul come debba funzionare la Repubblica e quale sia la sua Costituzione? Da un’intervista del dicembre 2005 rilasciata al Corriere della Sera[6] , se ne rileva un quadro piuttosto chiaro. A parte il fatto di avere previsto che Prodi avrebbe avuto vita breve nel centro-sinistra – “amministratore straordinario” profetizzò – (probabilmente non l’ha imposto, ma grazie ai media ed ai soldi, si riescono ad attuare nei politici più deboli, meccanismi di vera e propria sudditanza psicologica) e che Veltroni e Rutelli sarebbero stati i leader del partito – non si può spiegare in termini propriamente democratici la candidatura di quest’ultimo a sindaco di Roma, quando con il progetto Margherita aveva conseguito risultati fallimentari ad ogni elezione, ed era responsabile dello scandalo delle tessere di partito intestate a deceduti … la meritocrazia … – , ci sono una serie di passaggi in quell’intervista, che fanno luce in merito a quelli che sono stati alcuni momenti decisivi della recente storia politica italiana, e quelli che dovranno essere gli obiettivi della sua creatura politica.

De Benedetti per esempio considera troppo poco liberiste le riforme fatte nel diritto del lavoro negli ultimi anni. Così, individuando anche le reali responsabilità storiche del processo di arretramento delle tutele lavorative, egli afferma: «Sul mercato del lavoro c’è un’elasticità insufficiente. Treu ha iniziato, la legge Biagi ha incrementato ma bisogna fare di più, molto di più». E su chi debba essere il pilastro del sistema politico ed economico, egli fuoriesce completamente dal dettato costituzionale che fin dai suoi primi quattro articoli impernia tutta la sua visione sociale intorno a lavoro e lavoratore. Egli infatti afferma: «Il referente del Partito democratico deve essere il consumatore».

Recentemente, invece, dopo essere stato beneficiato da alcuni provvedimenti presi in Sardegna da Renato Soru, avrebbe individuato in quest’ultimo, il futuro leader del PD. Si tratterebbe di un’ulteriore involuzione del PD, vista la mentalità finanziarista e decrescitista dell’ex patron Tiscali.

La Magistratura: contro il PD o contro una parte del PD? Cui prodest?

Dall’intervista rilasciata al Corriere si evince facilmente che a De Benedetti i dirigenti ex DS, non piacciono proprio. Afferma infatti: «Senza la Margherita i Ds oggi sarebbero più conservatori», e poi rincara la dose dicendo: «Alcuni esponenti della sinistra continuano a coltivare verità non dette, cadono in affermazioni che non corrispondono ai comportamenti. Metta le liberalizzazioni. Per un Bersani che ne è sinceramente convinto ci sono dieci assessori regionali che ostacolano la deregulation nel commercio e nell’elettricità. In Italia chi comanda negli enti locali? Per lo più il centrosinistra e vedo nascere tante piccole Iri».

Ma a non piacergli sono pure gli ex democristiani della corrente morotea. Si ricordi infatti che quando il Partito Popolare italiano fu fuso con le altre esperienze centriste per creare la Margherita, politici come Giovanni Bianchi (ultimo vero presidente del Ppi) e Gerardo Bianco (ultimo vero segretario del Ppi) furono emarginati per essere sostituiti da nuovi rampolli, tipo Francesco Rutelli. Se si considera questo elemento, risulta essere fallace la lettura che alcuni politici come Graziano Cioni a Firenze, o alcuni noti osservatori come Giulietto Chiesa, stanno facendo parlando dell’attuale guerra intestina al PD come di una guerra tra ex democristiani ed ex comunisti. Se si vogliono individuare due correnti, invece, la corretta lettura è quella per cui da una parte vi sarebbero gli ex morotei ed i dalemiani (diciamo gli eredi del Comitato di Liberazione Nazionale) che concepiscono la politica come un qualcosa di radicato nel territorio e si identificano fortemente nell’art. 3, 2° comma della Costituzione della Repubblica, dall’altra parte invece vi sarebbero coloro che si sono supinamente asserviti ai diktat provenienti dal complesso finanziario e mediatico di matrice liberista e finanziarista.

A proposito di liberalizzazioni, non è un caso che proprio queste abbiano rappresentato l’elemento catalizzatore di battaglie ideologiche – si pensi a quella di Veltroni a Roma con i taxi – e di alleanze politiche. In merito a queste ultime, infatti, l’unico elemento di comunanza che il PD ha con i Radicali (anch’essi finanziati da Soros) e l’Italia dei Valori, è sul fronte delle liberalizzazioni. Allo stesso modo, è proprio questo il motivo per cui non si è giunti ad un’alleanza con la sinistra c.d. radicale.

Massimo D’Alema comprende da anni quale sia lo scenario politico che si celava prima dietro l’Ulivo e poi dietro l’Unione per arrivare infine al PD. Nel 1999, quando era ancora Presidente del Consiglio, D’Alema affermava:

« … ci mettiamo un po’ di ambientalismo, perché va di moda, poi siamo un po’ di sinistra, ma come Blair perché è sufficientemente lontano [dalla tradizione comunista], poi siamo anche un po’ eredi della tradizione del cattolicesimo democratico, poi ci mettiamo un po’ di giustizialismo che va di moda e abbiamo fatto un nuovo partito, lo chiamiamo in un modo che non dispiace a nessuno perché “Verdi” è duro, “Sinistra” suona male, “Democratici” siamo tutti ed è fatta! E chi può essere contro, diciamo, un prodotto così straordinariamente perfetto … c’è tutto dentro! Auguri, però io non ci credo!»[7]

Negli ultimi mesi, si andava delineando, soprattutto con colloqui al nord, l’ipotesi di creare delle federazioni macro-regionali del PD, di modo da dotarsi di una certa autonomia rispetto a Roma e radicarsi maggiormente sul territorio. A questo, con lo stesso intento, si aggiungeva la creazione di vari eventi come il movimento politico Red. In molti dirigenti locali del partito vi era e vi è il malcontento per una gestione troppo centralizzata nella figura del segretario Veltroni delle dinamiche interne (il caso Firenze, con l’intervento di “commissario straordinario” di Vannino Chiti, mandato da Roma, ribadisce ciò), nonché per gli abusi contro lo statuto e per la sostanziale inoperosità dell’Assemblea costituente del PD. Se tutto ciò poteva portare al trionfo elettorale, si era disposti ad accettarlo, ma ora che è evidente il fallimento di questa strada, i dirigenti vogliono tornare a poter dire la loro.

In sostanza i dirigenti storici stavano disallineandosi dai diktat provenienti da Roma. E tutto ciò ai “capi d’azienda” non piace proprio. Se i leader della Prima Repubblica furono fatti fuori perché si potesse procedere allo smantellamento dell’industria nazionale, quelli di oggi vengono fatti saltare perché non sono abbastanza ubbidienti ed efficaci in merito all’attuazione della “fase 2″ dell’Operazione Britannia: quella relativa alle ultime liberalizzazioni mancanti. I politici che danno prova d’indipendenza politica ed intellettuale, non sono funzionali a questo disegno.

Se andiamo ad osservare chi è stato oggetto degli attacchi della Magistratura, verifichiamo che le inchieste hanno riguardato i dirigenti locali, i dirigenti pre-PD, gente che si era guadagnata il consenso popolare da sé, gente che in effetti aveva la facoltà di poter dire di no ad un diktat proveniente da Roma (dalemiani ed ex morotei). Le inchieste, infatti, più che toccare il PD, toccano una sua corrente. Queste inchieste, di fatto, hanno colpito chi era oggetto della critica di De Benedetti. Ed infatti D’Alema, che ha ben capito il gioco, ha voluto precisare che il problema non sta tanto sul fatto di essere vecchi o nuovi dirigenti, quanto nell’essere onesti o disonesti.

Il caso fiorentino e Licio Gelli

A Firenze, gli osservatori più attenti, quando seppero della discesa in campo per le primarie del PD per la corsa a sindaco di Lapo Pistelli, deputato alla Camera e responsabile relazioni internazionali del partito, compresero subito che la candidatura di Graziano Cioni sarebbe saltata attraverso metodi anomali.

Il ragionamento che quegl’osservatori facevano era il seguente: Pistelli sicuramente conosce il forte svantaggio che gli danno i sondaggi rispetto a Cioni; se ha deciso di partecipare alle primarie del suo partito, avrà sicuramente ricevuto garanzie circa l’esito delle stesse; ci saremmo altrimenti trovati di fronte ad un insolito caso di suicidio politico che chi vive di sola politica non può permettersi di correre. Di fatto, gli eventi hanno preso un corso tale da suffragare in pieno quella che ai conformisti appariva una lettura dietrologica. Ma se si analizzano i capi di accusa piombati sulla testa di Graziano Cioni a pochi mesi dalle primarie fiorentine, ci si convince ancor più che l’inchiesta contro di lui sia stata una bomba ad orologeria scoppiata in seguito alla mancata ricezione da parte dello stesso Cioni del messaggio che in più modi gli veniva fatto arrivare: a queste primarie non s’ha da partecipar!

Il sondaggio Ipsos del luglio scorso ordinava in questo modo i consensi all’interno dei candidati PD a sindaco (a quel tempo ipotetici): 1) Graziano Cioni (32%), 2) Matteo Renzi (25% e coinvolto immotivatamente dai media di De Benedetti nell’inchiesta scoppiata a Firenze), 3) Lapo Pistelli (23%), 4) Daniela Lastri (21%) . Dopo l’inchiesta della Magistratura per il caso Castello/Fondiaria-Sai, e gli echi offerti dai media alla faccenda, l’ordine del sondaggi è completamente mutato: 1) Lapo Pistelli (12,2%), 2) Daniela Lastri (11,6%) [8], 3) Matteo Renzi (9,9%) [9]. Graziano Cioni è invece stato costretto a ritirarsi dalla corsa.

Che si voglia riconoscere o meno allo scoppio dell’inchiesta un premeditato intento politico, il fatto resta che essa, per il timing avuto e per le notizie fuoriuscite sui media, ha avuto degli indubbi risvolti politico-elettorali.

Gli ultimi sviluppi del caso Firenze, vanno sempre nella medesima direzione. A fronte di un PD locale che delibera per delle primarie di partito senza ballottaggio (opzione con cui Cioni sarebbe rientrato in gara), una fantomatica “interpretazione autentica” proveniente da Roma – a cui il PD fiorentino si era opposto fino all’arrivo del “commissario straordinario”, Vannino Chiti – determina invece che le primarie debbano essere di coalizione e con ballottaggio. Con questa ipotesi, il candidato sicuramente perdente nell’altra ipotesi, Lapo Pistelli, diventa invece blindato, poiché anche in caso di secondo posto ottenuto al primo turno, rientra in corsa per la vittoria finale grazie al ballottaggio.

Ma c’è anche un’altra tessera che si aggiunge a questo mosaico, e che è stata sottolineata dallo stesso Cioni. Si tratta di un’intervista rilasciata da Licio Gelli a La Stampa il 15 dicembre, in cui l’ex venerabile afferma che dietro le inchieste contro i dirigenti locali del PD vi sarebbe la massoneria fiorentina, a causa della guerra fatta dallo stesso Cioni contro le associazioni segrete.

Questa intervista, rischia di essere fuorviante se non si intende la massoneria a cui fa riferimento Gelli, più propriamente come oligarchia finanziaria. Questa oligarchia, è da ripetere, ha in scopo un preciso progetto liberista per finanziarizzare ancor più l’economia reale, a fronte di una bolla speculativa globale che necessita che ogni “illuminato locale” faccia la sua parte, perché la bolla è scoppiata e rischia di perdere quell’elemento “fiducia” da parte della comunità mondiale, di cui necessita per sopravvivere. Se invece si va ad intendere la massoneria di cui parla Gelli, come composta da semplici potenti ben organizzati, si identifica solo l’ombra del nemico, ma non la sua sostanziale figura ed il fine dei suoi colpi; detto in altri termini, non si identificano le contro azioni che devono essere intraprese affinché il suo disegno non si adempia.

Al disegno di questa oligarchia, rischierebbe di piegarsi pure il centro-destra laddove procedesse verso quella liberalizzazione delle utilities spacciata come benefica.

Perché sia ripresa la strada tracciata dalla nostra Costituzione

Massimo D’Alema ha dimostrato di avere molte delle qualità necessarie per essere un leader. In particolare, si è sempre caratterizzato tra i colleghi politici per una non frequente indipendenza intellettuale, libero dalle mode del momento. Proprio per questo, sotto l’influenza di De Benedetti, non può essere un dirigente del PD. Tuttavia, D’Alema ha mancato in questi anni del coraggio di immettersi sulla sempre proficua strada della verità e di lottare per essa. Un esempio su tutti: D’Alema[10], nonostante segua e conosca il ruolo di LaRouche, esita però ad appoggiarne pubblicamente l’azione e le idee, come invece ha fatto Giulio Tremonti. Poi, pur comprendendo il fenomeno ed i retroscena di “Mani pulite”, non ha mai avuto il coraggio di denunciare la strategia del Britannia a cui quella sommossa giudiziaria era funzionale.

Purtroppo D’Alema è ancora adesso vittima di quell’esistenzialismo che ha caratterizzato la politica dell’ultimo quarantennio, e che impedisce di avere visione strategica, prevedere gli scenari futuri e cercare di assecondarli se positivi, di deviarli se negativi. Così egli ha preferito seguire i processi controrivoluzionari, illudendosi di poterli cavalcare sempre da vincente. Questa è la trappola più frequente in cui cadono molti politici di oggi.

Tuttavia l’attuale situazione, in cui molti potenziali leader del centro-sinistra rischiano di essere sostanzialmente messi all’angolo della politica italiana, può rappresentare per la loro stessa dignità di uomini, la forza contingente che può “costringerli” a tirare fuori quel coraggio necessario per passare dall’esistenzialismo alle idee, dalla statistica alla scienza, dal comodo al vero.

Affinché si giunga alla esistenziale riforma del sistema finanziario ed economico internazionale, secondo le concezioni rooseveltian-larouchiane, bisogna che i leader del PD italiano escano dalla cappa di asservimento morale e culturale a cui vengono obbligati dallo sponsor finanziario, e piuttosto decidano di alzarsi e camminare nella direzione della verità delle cose.

C’è bisogno di quel coraggio che per esempio D’Alema riesce talvolta a tirar fuori, come nel caso israeliano-palestinese, dove la tanaglia della gabbia culturale è sempre pronta a scattare accusando di antisemitismo tutti quelli che si provano a criticare l’operato delle dirigenze israeliane.

Non possono esservi timori in merito ad eventuali contraddizioni rispetto a ciò che in passato si è sostenuto e ciò che adesso bisogna sostenere. Alla gente non fa specie chi cambia opinione se il nuovo proposito è migliore del vecchio; non è vero il contrario invece. Dice Machiavelli ricordando Cicerone: «E li popoli, come dice Tullio, benché siano ignoranti sono capaci della verità, e facilmente cedano quando da uomo degno di fede è detto loro il vero.»

Finchè Giulio Tremonti mantiene un ruolo di primo piano nell’attuale Governo, la corrente costituzionalista, antiliberista ed antifascista del centro-sinistra, può tornare ad essere decisiva nella politica italiana e mondiale. Se Tremonti attaccando banchieri e petrolieri, ha deciso di dare un taglio forte alla tradizione oligarchica che il PD stava incarnando sia con i vaneggiamenti di Giavazzi ed Alesina, sia con la politica demagogica di Bersani imperniata a bastonare i piccoli imprenditori, la corrente autenticamente democratica del PD può fare la stessa cosa rifacendosi alla tradizione di Franklin Roosevelt e pigiando forte sulla necessità di una riforma del sistema monetario e finanziario internazionale che rimetta nella sovranità politica il controllo della situazione, invece che lasciarlo nelle mani di chi può essere inteso solo come player (banche e comunità finanziaria). Il Paese necessita di dotarsi della indipendenza energetica che Mattei comprese essere necessaria perché l’Italia potesse contare qualcosa sulla scena politica mondiale, e per farlo è imprescindibile il passaggio al nucleare. Parlare di fonti a basso flusso di densità energetica, vuol dire di fatto mantenere l’Italia su un livello di sovranità condizionata. E’ ovvio che per fare tutto ciò deve essere messa all’indice l’ideologia liberista. Se il PD finora è stato un bluff, funzionale soltanto a spostare verso istanze reazionarie, contro il lavoratore e dunque contro l’impalcatura costituzionale, la nave della politica italiana, si possono ringraziare anche ideologi come Giavazzi ed Alesina. Il PD necessita di ridarsi una visione politico-economica che abbia a che fare con la scienza dell’economia e con gli economisti; il liberismo, Giavazzi ed Alesina si occupano di altro, non è chiaro di cosa, ma si occupano di altro.

Claudio Giudici

Bernard Madoff: l'imbroglione di Wall Street

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Il broker di Wall Street Bernard Madoff (“Bernie”) Madoff, già presidente del NASDAQ, un investitore rispettato e riverito, ha confessato di aver attuato la più grande frode della storia, una truffa da 50 miliardi di dollari. Bernie era conosciuto per la sua generosa filantropia, specialmente per le cause sioniste, ebree e israeliane. Negli anni 60 per qualche tempo bagnino a Long Island, Bernie ha lanciato la sua carriera finanziaria raccogliendo fondi da alcuni colleghi, amici e vicini tra gli Ebrei più ricchi nei settori di Long Island, Palm Beach, in Florida e a Manhattan, promettendo un ritorno a fronte di modesto investimento, costante e sicuro, dal 10 al 12%, coprendo ogni ritiro attraverso il sistema Ponzi*: utilizzo dei fondi di nuovi investitori che pregavano decisamente Bernie affinché li spennasse. Madoff da solo ha gestito almeno 17 miliardi di dollari. Nel corso di circa quattro decenni si è costruito una clientela, che comprendeva anche alcune delle più importanti banche e istituti d’investimento di Scozia, Spagna, Inghilterra e Francia, come pure i principali fondi speculativi negli USA. Madoff ricavava la maggior parte dei fondi da una rete di ricchi clienti privati acquisiti attraverso broker che lavoravano su commissione.


Tra i clienti di Bernie un gran numero erano milionari e miliardari della Svizzera, di Israele e altrove, come i più importanti fondi speculativi USA (RMF Division di Man Group e Tremont). Gran parte dei clienti straricchi truffati imploravano Madoff di accettare il loro denaro, imponendo egli stesso delle rigide condizioni ai suoi clienti potenziali: egli insisteva perché essi avessero delle raccomandazioni da investitori esistenti, depositassero una somma conseguente, e garantissero la propria solvibilità. I più si consideravano fortunati di avere i fondi accettati a Wall Street da un così rispettato ed altolocato… imbroglione. Il messaggio standard di Madoff era che il fondo era chiuso… ma poiché essi venivano dallo stesso mondo (membri di consigli d’amministrazione di organizzazioni di beneficienza ebraiche, organizzazioni pro Israele per la raccolta di fondi, o i “buoni” country club) o visto che erano legati a un amico, un collega, o precedenti clienti, lui avrebbe preso il loro denaro.

Madoff ha creato degli organismi di consulenza comprendenti dei membri distinti, ha fatto importanti donazioni a musei, ospedali e a stimate organizzazioni culturali. Era un membro celebre di Country Club esclusivi a Palm Beach e Long Island. La sua reputazione era elevata dal fatto che i suoi fondi erano noti per non aver subìto alcuna perdita quale che fosse l’annata – un argomento chiave di vendita per attirare investitori milionari. Madoff condivideva coi suoi clienti ultra ricchi (ebrei e non ebrei) uno stile di vita d’elite, e una mescolanza di filantropia culturale e di profitto finanziario modesto. Madoff s’imponeva ai suoi colleghi per il parlare dolce basato su un’apparenza “di esperienza” che fa autorità, coperto da una vernice di collegialità elitaria, un impegno profondo verso il Sionismo e le amicizie di lunga data.


[Bernard Madoff]


Il mega-fondo di Bernie aveva in comune parecchie caratteristiche con delle recenti truffe di alto livello: le elevate e costanti rendite su investimento, non uguagliate nel mondo del broking; un’assenza di controllo da parte di terzi; una società contabile retrostante fisicamente incapace di fare delle revisioni contabili su operazioni implicanti miliardi di dollari; un’operazione di broking operante direttamente sotto il suo controllo e un completo black-out su ciò in cui egli realmente investisse. Le evidenti similitudini delle caratteristiche con altri truffatori sono state trascurate dai ricchi e celebri, dagli investitori sofisticati e da consulenti lautamente pagati, quelli di Harvard con Master in Business Administration e dall’intera armata dei regolatori del SEC (Security and Exchange Commissions) perché costoro erano completamente implicati nella cultura corrotta del “prendi i soldi e scappa” e “se lei riesce là dentro non faccia domande”. La reputazione di saggezza superiore di un Wall Streeter Ebreo di successo nutriva le illusioni dei ricchi e gli stereotipi dei milionari non ebrei.

La Grande Truffa

Il fondo d’investimento di Madoff non si occupava che di una clientela ristretta di pluri-milionari e miliardari che conservavano i loro capitali in investimenti a lungo termine; gli occasionali ritiri erano di quantità limitata ed erano facilmente coperti raccogliendo nuovi fondi dai nuovi investitori che si battevano per avere accesso alla gestione del denaro da parte di Madoff. I grandi investitori a lungo termie prevedevano di trasmettere le loro economie ai propri eredi o di utilizzarle eventualmente per la pensione. Delle personalità della comunità e altre persone che potevano aver bisogno di ritirare una parte del loro denaro per un’occasione festiva come un matrimonio o un bar mitzah con invitati celebri, potevano ritirare una parte dei propri risparmi poiché Madoff non aveva alcun problema a coprire i ritiri attirando i fondi di ricchi direttori d’atelier tessili che sfruttano gli impiegati e di fabbriche di imballaggi nocivi per carne, e di ricchi proprietari di slums. Madoff non era Robin Hood, i suoi contributi filantropici ad opere caritatevoli lo aiutavano ad avere accesso ai ricchi che facevano parte dei consigli d’amministrazione delle istituzioni beneficiarie delle sue prodigalità, e a provare che lui era “uno di loro”, una sorta di “intimo” dei super ricchi appartenente alla stessa classe d’elite. Lo choc, la paura e gli attacchi cardiaci che hanno seguito la confessione di Madoff che egli “dirigeva un affare alla Ponzi” ha provocato collera a causa del denaro perso e il crollo della classe ricca, nonché l’imbarazzo di sapere che i più grandi sfruttatori mondiali e i più abili imbroglioni di Wall Street si sono totalmente “fatti fregare” da uno dei loro. Non soltanto hanno perso molti soldi, ma l’immagine che essi avevano di se stessi, ricchi, così distinti e appartenenti a “un gruppo superiore”, è stata seriamente scossa. Si sono trovati a subire la stessa sorte di tutti i miserabili che loro stessi avevano precedentemente truffato, sfruttati e spodestati nella loro ascensione alla cima. Non c’è niente di peggio per l’ego di un truffatore rispettabile che il farsi fregare da un altro truffatore. Il risultato è che un certo numero dei più grandi perdenti ha fino ad oggi rifiutato di dare il proprio nome o l’ammontare delle somme perse, agendo invece tramite avvocati per attaccare altri perdenti.

Il Lato Positivo della Super Truffa di Madoff (La Giustizia si Manifesta Inavvertitamente)

Mentre è possibile comprendere come i ricchi e super ricchi che hanno perso gran parte della pensione e dei fondi d’investimento siano unanimi nella loro condanna e nel loro grido di tradimento e come gli editoriali di tutti i giornali e settimanali prestigiosi si siano uniti al coro dei critici moralizzatori, ci si può felicitare delle Buone Azioni di Madoff, anche se in seno alla sua condotta fraudolenta ciò non era intenzionale.

Perciò vale la pena di fare la lista delle conseguenze positive della super truffa di Madoff. Per prima cosa l’intera truffa da più di 50 miliardi di dollari può seriamente minare il finanziamento sionista USA alle colonie israeliane illegali nei territori occupati, diminuire i finanziamenti che permettono all’AIPAC di acquisire influenza al Congresso e di finanziare campagne di propaganda a favore di un attacco militare USA preventivo contro l’Iran. La maggior parte degli investitori dovrà diminuire o smettere l’acquisto di buoni del tesoro israeliani, i quali sovvenzionano il budget militare di questo stato.

In secondo luogo, la truffa ha gettato ancor più discredito sui fondi altamente speculativi che male accusano il colpo di fronte ai ritiri massicci causati dalle enormi perdite. I fondi di Madoff facevano parte di una delle ultime restanti operazioni “rispettate” che continuassero ad attirare investitori, ma con le ultime rivelazioni questo potrà accelerare la loro scomparsa. I loro promotori congedati dovranno forse fornire una giornata lavorativa onesta e produttiva.

In terzo luogo, la frode di Madoff su larga scala e durante un lungo periodo non è stata riconosciuta dalla SEC nonostante almeno due inchieste. Come risultato, c’è una totale perdita di credibilità di tale organismo. Più in generale, lo scacco della SEC dimostra l’incapacità delle agenzie di controllo del governo capitalista di smascherare le grandi truffe. Questo scacco solleva la questione di sapere se delle alternative agli investimenti a Wall Street siano preferibili allo scopo di proteggere il risparmio e i fondi pensione.

Quarto, l’associazione a lungo termine di Madoff con NASDAQ, ivi compreso il fatto che egli ne sia stato presidente proprio mentre derubava i suoi clienti di miliardi di dollari, mette in evidenza che i membri e dirigenti di questa borsa di scambio sono incapaci di riconoscere un truffatore, e sono inclini a sottovalutare la condotta traditrice di “uno di loro”. In altri termini, il pubblico che investe non può più rimettersi a coloro che occupano funzioni elevate in seno al NASDAQ come se costoro fossero persone probe. Dopo Madoff, occorre forse pensare di tornare allo spesso materasso sotto cui conservare in tutta sicurezza ciò che resta dei risparmi familiari.

Il quinto punto è che i consulenti d’investimento delle grandi banche europee, asiatiche e americane, i quali amministrano miliardi di risparmi non hanno effettuato alcun controllo, invece necessario, sulle operazioni di Madoff. Lasciando da parte le gravi perdite delle banche, decine di migliaia di ricchi e super ricchi influenti hanno perduto tutte le loro ricchezze accumulate. Risultato, una perdita totale di fiducia nelle banche di punta, e negli strumenti finanziari nonché un discredito generale in ciò che concerne “il sapere dell’esperto”. Il risultato è un indebolimento del dominio finanziario sulla maniera d’investire, e la scomparsa di una parte importante della classe dei “réntiers” parassiti, che si arricchivano senza produrre beni utili o fornire servizi necessari.

Il sesto punto è che siccome la maggior parte del denaro rubato da Madoff veniva dalle classi superiori del mondo intero, la sua condotta ha ridotto le ineguaglianze – egli è quindi il più grande livellatore dall’introduzione della tassa progressiva sul profitto. Rovinando i miliardari e mandano in fallimento i milionari, Madoff ha diminuito la loro capacità di utilizzare le proprie ricchezze per influenzare a proprio favore i politici – aumentando così il potenziale d’influenza politica di settori della società delle classi meno influenti… ed ha rinforzato inavvertitamente la democrazia a detrimento delle oligarchie della finanza.

Il settimo punto è che truffando amici di vecchia data, investitori etno-religiosi che si son fatti da soli, membri di Country Club funzionanti su una base etnica ristretta, e membri imparentati, Madoff mostra che la finanza capitalista non ha alcun rispetto per le pietà del quotidiano: piccoli e grandi, santi e profani, tutti sono subordinati alla dominazione del capitale.

Ottavo punto, tra i numerosi investitori rovinati a New York e in Nuova Inghilterra, si trovano proprietari di atelier sfruttatori (abbigliamento di marca e fabbricanti di giocattoli) e qualcuno che non pagava neanche il salario minimo alle donne e ai lavoratori immigrati, altri che sfrattavano gli affittuari poveri e altri ancora che privavano della pensione i lavoratori prima di trasferire gli affari in Cina. In altri termini, la truffa di Madoff è una sorta di punizione secolare “divina” per i crimini passati e presenti contro i lavoratori e i poveri. Inutile dire che questo “inconsapevole Robin Hood” non ridistribuiva il denaro rubato dagli sfruttatori agli sfruttati, ma ne reinvestiva una parte nelle sue organizzazioni caritatevoli per migliorare la sua immagine di filantropo e ricompensare i suoi investitori iniziali i quali avevano sostenuto questa truffa di tipo Ponzi.

Punto nove, Madoff ha inflitto un serio colpo agli antisemiti che affermano che ci sia una “cospirazione ebrea famigliare per derubare i non ebrei” sotterrando per sempre queste voci. Tra le principali vittime di Madoff si trovano i suoi amici e colleghi ebrei più vicini, gente che condivideva il pasto del Seder (Pasqua ebraica, ndt) e frequentava le stesse sinagoghe d’alto borgo di Long Island e Palm Beach.

La discriminazione praticata da Bernie nella scelta dei suoi clienti si faceva sulla base della loro ricchezza e non sull’origine nazionale, razziale, religiosa o sull’orientamento sessuale. Egli è una personalità ecumenica e un ardente difensore della mondializzazione. Non v’è niente di etnocentrico in Madoff: egli ha truffato la banca anglo-cinese HSBC di 1 miliardo di dollari e di parecchi milioni il ramo olandese della banca belga Fortis, di 1,4 miliardi la Royal Bank of England, la banca francese BNP Paribas, la banca spagnola Banco Santader, la banca giapponese Nomura, senza menzionare i fondi speculativi a Londra e negli Stati Uniti, che hanno ammesso di aver fatto investimenti presso Investment Sécuritées di Bernard Madoff. In effetti, Madoff è il simbolo del moderno, alla moda, politicamente corretto, multiculturale, internazionale…. imbroglione. La facilità con cui ha estorto il loro denaro ai super ricchi d’Europa ha provocato il seguente commento di un consulente d’affari di base a Madrid: “individuare e abbattere i più ricchi di Spagna era come accoppare delle foche…” (Financial Times, 18 dicembre 2008, p. 16).

Il decimo punto è che la truffa di Madoff andrà probabilmente a rinforzare l’autocritica e indurre un’attitudine di maggiore diffidenza nei confronti di altre persone suscettibili di attirare la fiducia presentandosi come fini conoscitori finanziari. Tra gli ebrei autocritici, alcuni saranno meno inclini a fare affidamento nei broker semplicemente perché essi sono dei supporter zelanti d’Israele e dei generosi donatori a fondi destinati ai Sionisti. Questo non è più una garanzia adeguata di condotta etica né un certificato di buona condotta. In effetti, tutto ciò può sollevare dei sospetti verso quei broker che sostengono a oltranza Israele e promettono un ritorno sugli investimenti elevato e costante a coloro i quali difendono localmente la causa sionista – chiedendosi se questo business del “ciò che è buono per…” non sia in realtà una copertura per una nuova truffa.

L’undicesimo punto, il conclusivo, è che la scomparsa dell’impresa di Madoff e delle sue ricche vittime ebree liberali sta per avere ripercussioni negative sulle donazioni fatte alle 53 principali organizzazioni ebree americane, a numerose fondazioni di Boston, Los Angeles, New York e altrove ancora, nonché al ramo militarista del partito democratico legato a Clinton/Schumer (Madoff li finanziava entrambi come anche altri supporter incondizionati d’Israele al Congresso). Ciò potrebbe aprire il Congresso a un dibattito sulla politica in Medio Oriente senza dar luogo ai virulenti attacchi abituali.

Conclusioni

La truffa di Madoff e la sua condotta fraudolenta non sono il risultato di uno scacco morale personale. Esse sono il prodotto di un imperativo sistemico e d’una cultura economica, che plasmano i circoli più elevati del nostro sistema di classi. L’economia su carta, i fondi speculativi e tutti gli “strumenti finanziari sofisticati” sono tutti dei “sistemi Ponzi” – non sono fondati sulla produzione e la vendita di beni e servizi. Essi sono delle scommesse finanziarie sulla crescita finanziaria su carta basata sui sicuri investitori futuri i quali retribuiscono i precedenti investitori.

Lo scacco della SEC era totalmente prevedibile e sistemico. I regolatori sono selezionati tra i regolati, da essi dipendono e si riferiscono ai loro giudizi, alle loro affermazioni e alle loro revisioni contabili. Essi sono strutturati in modo da mancare i “segni” e da impedire “troppa regolazione” dei loro superiori finanziari. Madoff ha agito nell’ambiente di Wall Street laddove tutto passa, dove l’impunità per degli ultra-sovvenzionamenti o per delle super-truffe è la norma. In quanto truffatore individuale egli ha truffato alcuni dei suoi più importanti avversari istituzionali a Wall Street. La totalità del sistema di ricompensa e di prestigio beneficia coloro i quali sono i migliori a manomettere i libri contabili, a coprire le tracce scritte delle frodi, e che hanno delle vittime che costantemente li supplicano di farsi abbindolare. Che Mensch, questo Madoff!

Nell’arco di qualche giorno, un individuo, Bernard Madoff, ha inferto un colpo più grosso al capitalismo della finanza mondiale, a Wall Street e alla lobby statunitense Sionista/ Agenda Israël in testa, di quello inferto da tutta la sinistra USA ed europea messe assieme nel corso dell’ultimo secolo! È riuscito meglio lui a ridurre le ampie disparità a New York che tutti i governatori riformisti e tradizionalisti, democratici e repubblicani, i sindaci, bianchi, neri, cristiani, ebrei, negli ultimi due secoli.

Alcuni teorici della cospirazione di estrema destra affermano che Bernie è un agente segreto islamo-palestinese (di Hamas) che ha deliberatamente agito per minare la base finanziaria dello stato d’Israele e delle sue fondazioni e dei suoi sostenitori più generosi, potenti, e influenti negli USA. Altri affermano che egli è un Marxista in ombra, che truffa con molta prudenza allo scopo di discreditare Wall Street e di far passare miliardi di dollari ad organizzazioni clandestine radicali – dopo tutto… chi sa che fine hanno fatto i miliardi perduti? Contrariamente agli esperti di estrema sinistra, blogger e contestatori manifestanti, le cui ferventi attività non hanno effetto alcuno sui ricchi e i potenti, Madoff ha piazzato i suoi colpi là dove fa più male: i loro enormi conti in banca, la loro fiducia nel sistema capitalista, la loro stima di sé e, sì, addirittura il loro benessere cardiaco.

Questo vorrebbe dire che noi a sinistra dovremmo formare un Comitato di Difesa Bernie Madoff, e invocare un finanziamento identico a quello che Paulson istituì per i suoi compagni della Citibank? Dovremmo proclamare: “eguaglianza di sovvenzionamento per uguali truffatori”? Dovremmo sostenere la sua partenza (o il suo diritto al ritorno) in Israele per evitare di esser giudicato? Suggerire una pensione israeliana per Bernie rischia di essere mal visto da molte delle sue vittime ebree.

Non c’è alcuna ragione di innalzare delle barricate per Bernard Madoff. Basta riconoscere che egli ha reso un servizio storico alla giustizia popolare per sbaglio, minando certi pilastri finanziari di un sistema di classi profondamente ingiusto.

Postscriptum

Sarà per pura ammirazione o a causa dei legami clandestini con Madoff che il nostro attuale guardasigilli, Michael Mukasey, si ritira dall’inchiesta? Altre persone tutte altrettanto importanti e influenti sono quasi certamente legate all’affare Madoff, e non soltanto delle “vittime”. Si fa fronte ad un grave caso di “Affare di Stato”… Nessuno riesce a credere che un'unica persona abbia potuto da sola montare questa truffa di tale ampiezza e durata. Così come nessun inquirente serio può credere che i 50 miliardi di dollari siano semplicemente “scomparsi” o siano stati messi da parte su dei conti personali.

James Petras

Un’altra crisi immobiliare è in arrivo

crisi-immobiliarePer avere un quadro della vera crisi immobiliare americana, immaginate New Orleans colpita dall’uragano Katrina e, addirittura prima ancora che l’acqua cominci a defluire, un secondo Katrina colpisce. I 1.200.000 posti di lavoro persi negli Stati Uniti nel 2008 sono un segnale che un secondo stadio della rovina immobiliare sta per colpire l’economia. Stavolta colpirà gli immobili commerciali – centri commerciali, negozi, magazzini e uffici.

Con la chiusura delle aziende e il calo degli affitti, scompare la capacità di onorare i mutui sugli immobili commerciali costruiti in sovrabbondanza. La costruzione di immobili in sovrabbondanza è stata favorita dai tassi d’interesse irresponsabilmente bassi, ma il maggior impulso è venuto dalla scivolata del tasso di risparmio americano a zero e dall’aumento dell’indebitamento delle famiglie. La contrazione dei risparmi e l’aumento del debito ha fatto aumentare la spesa dei consumatori al 72% del PIL. La proliferazione dei centri commerciali e dei magazzini che li forniscono riflettono l’aumento della spesa dei consumatori in quanto quota del PIL.

Allo stesso modo del governo federale, i consumatori hanno speso più di quanto hanno guadagnato e preso denaro a prestito per coprire la differenza. E’ chiaro che ciò non sarebbe potuto continuare per sempre, e il debito dei consumatori ha raggiunto il suo limite. I centri commerciali stanno perdendo i punti vendita più importanti e grandi catene stanno chiudendo negozi e addirittura fallendo completamente.

Gli speculatori edilizi che hanno avuto prestiti per finanziare queste imprese commerciali sono ora nei guai poiché sono i titolari dei mutui, dei derivati e dell’altra spazzatura finanziaria collegata ai prestiti. La fonte principale della crisi economica è il convincimento infantile dei politici degli Stati Uniti che un’economia potesse basarsi sull’espansione del debito. Poiché la delocalizzazione ha trasferito i posti di lavoro, i redditi e il PIL fuori dal paese, il debito si è espanso per sostituire il mancato introito. Quando i beni e servizi prodotti all’estero sono stati riportati per essere venduti agli americani, il deficit commerciale è aumentato, aggiungendo un altro livello di finanziamento ad un’economia che consuma più di quanto produce. La crescita del debito ha superato la crescita del prodotto reale.

Tuttavia la soluzione offerta dal team economico di Obama è di espandere ulteriormente il debito. Ciò non è affatto sorprendente in quanto il team economico di Obama è formato dalle stesse persone che hanno causato la crisi del debito. Ora si accingono a peggiorare la situazione. La domanda che non è stata posta è la seguente: chi finanzierà la prossima ondata di debito? Il deficit del bilancio americano per l’anno fiscale 2009 sembra già avviarsi verso i $2 bilioni, e questo ancora prima dell’attuazione del programma di incentivi di Obama.

Quello a cui stiamo assistendo è un deficit di bilancio di $3 bilioni se il programma di Obama sarà attuato in tempo per incidere sull’economia di quest’anno. I peasi esteri possono finanziare un deficit di bilancio americano di $500 miliardi dai loro surplus nei confronti degli USA. Ma gli stranieri non hanno i fondi per finanziare un deficit di bilancio americano nell’ordine dei bilioni di dollari, e non finanzierebbero un tale deficit nemmeno se avessero i fondi. Gli stranieri sono oberati di titoli in dollari e preferiscono alleggerire tali titoli piuttosto che aggiungerne altri. Le prospettive economiche dell’America sono appannate/buie come lo sono le prospettive del dollaro come moneta di riserva.

Un deficit di bilancio annuale nell’ordine dei bilioni di dollari rende le prospettive del dollaro ancora più buie. La probabile soluzione del problema del debito da parte del governo federale sarà quella di monetizzare il debito, cioè il governo finanzierà il suo debito stampando moneta. Il debito verrà gonfiato via. Ma per quegli americani senza lavoro o il cui reddito non aumenta con l’inflazione, la vita sarà molto dura. La vita è già dura per gli americani che vivono con i risparmi della pensione. Non solo il fallimento del mercato azionario ha ridotto della metà la loro ricchezza, ma le loro rimanenti disponibilità finanziarie non producono reddito.

I tassi di interesse sono così bassi che gli strumenti di debito non producono reddito e i guadagni nel mercato azionario sono scarsi. I pensionati vivono consumando il loro capitale. La politica economica americana dei bassi tassi d’interesse e dell’espansione del debito promette male per tutti coloro che vivono dei loro risparmi. Le loro prospettive future sono addirittura peggiori poiché l’inflazione distruggerà il valore dei loro risparmi, specialmente se sono in contanti o in strumenti di debito, inclusi i buoni del tesoro USA “sicuri”. Esistono modi più intelligenti per cercare di sfuggire all’attuale crisi economica. Tuttavia i gangster finanziari e i loro compari, che Obama ha messo a capo della politica economica, pensano solo ai loro propri interessi.

Quello che succede agli americani non è un problema. Un governo sensibile gestirebbe la crisi in questo modo: I bilioni di dollari di ‘credit defaulf swaps’ (CDS) dovrebbero essere dichiarati nulli e non validi. Questi “swaps” sono semplicemente scommesse che gli strumenti e le imprese finanziarie perderanno, la maggior parte delle scommesse sono fatte da gente e istituzioni che non possiedono strumenti finanziari o azioni nelle imprese. L’ideologia secondo cui i mercati finanziari si auto-regolano ha lasciato briglia sciolta alla speculazione illegale. Non c’è nessuna ragione plausibile sotto la luce del sole per cui i contribuenti debbano salvare i giocatori d’azzardo.

I soldi del salvataggio, invece di essere dati alle privilegiate istituzioni finanziarie per finanziare le acquisizioni di altre istituzioni, dovrebbero essere usati per rifinanziare i mutui inadempienti. Ciò rallenterebbe, se non riuscisse a fermare, il crescente numero di proprietà ipotecate che sta abbassando i prezzi degli immobili. La regola del prezzo di mercato dovrebbe essere sospesa finchè i veri valori delle proprietà e strumenti in difficoltà possono essere determinati. La sospensione della regola eviterebbe il fallimento di istituzioni sane e diminuirebbe la necessità di salvataggio. I tassi di interesse devono essere alzati in modo da incoraggiare il risparmio e fornire rendita ai pensionati. Per conservare lo status del dollaro come moneta di riserva, una politica credibile di riduzione del deficit del bilancio del commercio deve essere annunciata.

In tempi brevi il deficit del bilancio può essere ridotto di $500 miliardi con il ritiro dall’Iraq e dall’Afghanistan e tagliando il bilancio gonfiato della difesa che rappresenta ora l’obiettivo irraggiungibile dell’egemonia mondiale degli USA. Il deficit commerciale può essere notevolmente ridotto riportando in America i posti di lavoro che adesso sono all’estero. Un modo per fare ciò è tassare le società in base al valore aggiunto dei beni che producono negli USA. Le società che producono all’estero i loro beni per i mercati americani pagherebbero tasse più alte; quelle che producono in casa avrebbero tasse più basse. Questo approccio alla crisi economica si colloca in netto contrasto con quello dei gangster che gestiscono la politica economica americana.

I gangster stanno sfruttando la crisi come un’opportunità per derubare i contribuenti e finanziare i loro misfatti e le loro paghe esorbitanti attraverso i prestiti della Federal Reserve. I loro compari tra gli economisti e la stampa finanziaria dicono alla gente che la soluzione sta nell’ingrassare le banche di fondi così poi queste riprenderanno a prestare un pubblico super-indebitato che ritornerà così nei centri commerciali.

Questo approccio non realistico ad una grave crisi indica una crisi politica sopra/oltre a una crisi economica.

By Paul Craig Roberts