23 aprile 2009

Ripensare il mondo, per bio-regioni


Le città non devono sparire, ma cambiare, mettendosi al servizio delle loro bio-regioni. Così parlò Giuseppe Moretti, referente italiano dei bioregionalisti, intervistato da Daniel Tarozzi per Terranauta. Bioregionalismo? «E’ la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza sulla Terra, rispettando tutti gli esseri viventi». Da Francesco d’Assisi alla spirale della crisi planetaria: «La nostra non è un’ideologia, ma un’attitudine di buon senso e di umiltà». Meglio allora considerare la Terra come un insieme naturale di bio-regioni, regolate dal ciclo dell’acqua malgrado le devastazioni dell’homo tecnologicus: «Da quando l’uomo ha imparato a scheggiare le rocce per ricavarne punte di lancia, la tecnologia non ci ha mai lasciato. Ma la tecnologia, di per sé, è neutra: dipende dall’uso che ne se fa. E oggi, finalmente, possiamo scegliere».




Nata negli Usa negli anni ‘90 e i primi 250 gruppi e poi sviluppatasi in Messico, Canada, Sud America, Australia, Asia ed Europa, la corrente bioregionalista che vede tra i suoi terra-mondo1massimi interpreti l’inglese Etain Addey (autrice di “Una gioia silenziosa”) annovera tra i suoi antenati italiani i fondatori della rivista “AAM Terra Nuova”, aggregazione informale ora sfociata nella Rete Bioregionale Italiana, che ad ogni solstizio pubblica i “Quaderni di vita bioregionale” ed ogni equinozio il giornale “Lato selvatico”. «Appartengo alla cosiddetta generazione degli anni ’60, non ho mai smesso di scrutare le idee dei movimenti alternativi», racconta Moretti. «Conobbi l’idea bioregionale quando avevo già scelto di ritornare alla terra, dopo una parentesi di lavoro dipendente in città». Decisivi i contatti coi pionieri americani, come Peter Berg e Judy Golhaft.

Il bioregionalismo, spiega Moretti, considera il pianeta come un unico organismo vivente, suddiviso in bioregioni. «Sono le regioni naturali della terra, luoghi definiti per continuità di flora e di fauna o per interezza fluviale, grandi a sufficienza da sostenere un’ampia e complessa comunità di esseri viventi. L’uomo è parte integrante di tutto questo, non il suo signore e padrone: l’umiltà è saggezza, visto il divario tra la mente umana e quella della natura». Ri-abitare la terra con occhi nuovi, dunque. Percepire «l’importanza di vivere in un ambiente sano e diversificato» e comprendere che «dalla salute delle acque, dei boschi e del mondo animale dipende la nostra stessa salute», e che «dal diritto di libertà e giustizia sociale dei popoli dipende la nostra stessa libertà e giustizia».

«Ogni cosa è connessa l’una all’altra, su questa terra». Convizione che i buddisti fanno propria da migliaia di anni (i biologi da molto meno) e che ora i bioregionalisti ribadiscono, partendo dall’elemento più vitale: l’acqua. «Il ciclo dell’acqua – dice Moretti – fa della terra un unico grande bacino idrografico. E il bacino idrografico in cui ognuno etain-addey1di noi vive è il contesto della nostra pratica: un bacino idrografico è di fatto una bioregione, e viceversa. Prendersi cura del proprio bacino idrografico, della propria bioregione, significa quindi assumersi le proprie responsabilità, qui e ora, di fronte ai problemi che sono ormai su scala globale: ecco perché oggi è importante ri-abitare la terra in senso bioregionale».

Naturalmente, senza rifiutare scienza e tecnologia. «Oggi possiamo scegliere: di scaldare l’acqua con la legna o coi pannelli solari piuttosto che con l’energia fossile; possiamo scegliere di coltivarci parte del nostro cibo o acquistarlo da produttori ecologicamente consapevoli e liberi dagli ingranaggi speculativi globali, piuttosto che dalla grande distribuzione; possiamo scegliere di ignorare le mode e comprare solo le cose di cui abbiamo effettivamente bisogno, piuttosto che essere succubi di un sistema che fa del consumismo la propria ragione di essere. Dobbiamo ri-ascoltare la nostra natura selvatica: consumare senza sprecare, produrre senza distruggere, vivere e lasciar vivere».

Giuseppe Moretti e i bioregionalisti tifano per la Decrescita Felice, gli ecovillaggi, i seedsavers che custodiscono varietà antiche di semi; partecipano ai gruppi d’acquisto solidale e alla finanza etica, promuovono eco-tecnologie e prodotti a chilometri zero. «Le sorti del cambiamento non sono prerogativa di pochi, tutti possono incidere». Inutile aspettarsi miracoli dagli economisti: non hanno soluzioni, dice Moretti, a parte inventarsi «guazzabugli» grazie ai quali «a perderci sono sempre i più deboli». Non c’è da stare allegri: «Il mondo oggi è talmente imbevuto nel mito del potere, sia politico che economico o religioso, che difficilmente rinuncerà ai privilegi acquisiti».

Una rivoluzione culturale: a questo punta il bioregionalismo. «Non un cambiamento a livello di governi, ma un rivoltamento completo nel modo di intendere il nostro essere qui sulla terra». Illusioni da ex hippy? «Siamo una evoluzione di tutti quelli che con immaginazione, creatività e caparbietà hanno, nel corso del tempo, cercato di migliorare, sia spiritualmente che mentalmente, se stessi prima e la società poi, così da ridurre sia l’impronta umana sul pianeta che l’arroganza del potere e l’avidità di pochi sulla gente e sulla natura», constata Moretti. «Abbiamo fallito? Da quello che si vede sembra di sì, ma è vero anche che questo è un percorso lungo, che richiede tempo, pazienza e dedizione. L’importante è non smettere di ‘seminare’».

di Giuseppe Moretti

22 aprile 2009

Niels Harrit: «Altro che “pistola fumante”, c’è la “pistola carica” dell’11/9»



Harrit-Niels

Abbiamo visto di recente la
ricerca sulle polveri del WTC firmata tra gli altri dal professor Niels Harrit dell’Università di Copenaghen, un professore che ha la vocazione della nano-chimica, di cui è un esperto. Il clamore suscitato da questa ricerca ha portato il 6 aprile 2009 a una intervista di Harrit sul canale TV2 della tv pubblica danese, in seconda serata. Harrit è stato intervistato per 10 minuti durante il tg.
L’8 aprile, Harrit è stato di nuovo intervistato per sei minuti durante un programma del mattino di notizie e intrattenimento in diretta sulla stessa rete. In entrambe le occasioni Harrit ha potuto argomentare bene le proprie tesi con intervistatori aperti e corretti.

La prima intervista è stata sottotitolata in inglese e caricata su YouTube. Di seguito si può vedere l’intervista e la sua traduzione in italiano:

http://www.youtube.com/watch?v=8_tf25lx_3o





Intervista a Niels Harrit su TV2 News, Danimarca.


Alcuni ricercatori internazionali hanno trovato tracce di esplosivi in mezzo ai detriti del World Trade Center.
Un nuovo articolo scientifico conclude che gli impatti dei due aerei dirottati non causarono i crolli nel 2001.
Rivolgiamo la nostra attenzione all’11/9, il grande attacco su New York. Apparentemente i due impatti degli aeroplani non cagionarono il crollo delle torri, secondo quanto afferma un articolo scientifico da poco pubblicato.
I ricercatori hanno trovato dell’esplosivo detto nano-termite fra i resti, e non può provenire dagli aerei. Ritengono che svariate tonnellate di esplosivi siano state collocate negli edifici in precedenza.

Niels Harrit, lei e altri otto ricercatori stabilite in questo articolo che sia stata la nano-termite a far sì che questi edifici crollassero. Che cos’è la nano-termite?

«Abbiamo trovato nano-termite nei detriti. Non stiamo dicendo che sia stata usata soltanto nano-termite. La termite stessa risale al 1893. È una mistura di alluminio e polvere di ruggine, che reagisce fino a creare intenso calore. La reazione produce ferro, scaldato a 2500 °C. Questo può essere usato per fare saldature. Può essere anche usato per fondere altro ferro. Siccome le nanotecnologie rendono le cose più piccole, nella nano-termite, questa polvere del 1893 è ridotta in particelle minuscole, perfettamente mescolate. Quando queste reagiscono, l’intenso calore si sviluppa molto più velocemente. La nano-termite può essere mischiata con additivi per sprigionare un calore intenso, o fungere da efficacissimo esplosivo. Contiene più energia della dinamite, e può essere usata come combustibile per razzi.»

Ho cercato con Google “nano-termite”, e non è che si sia scritto molto su di essa. Si tratta di una sostanza scientifica ampiamente conosciuta? O è così nuova che gli altri scienziati la conoscono a malapena?

«È un nome collettivo per una classe di sostanze con alti livelli di energia. Se dei ricercatori civili (come lo sono io) non la conoscono abbastanza, è probabilmente perché non lavorano granché con gli esplosivi, come invece fanno gli scienziati militari. Dovrebbe chiedere a loro. Io non so quanta familiarità abbiano con le nanotecnologie.»

Quindi lei ha trovato questa sostanza nel WTC, perché pensa che abbia causato i crolli?

«Be’, è un esplosivo. Per cos’altro sarebbe dovuto essere lì?»

Lei ritiene che l’intenso calore abbia fuso la struttura di sostegno in acciaio dell’edificio, e abbia causato che gli edifici collassassero come un castello di carte?

«Non posso dire di preciso, visto che questa sostanza serve a entrambi gli scopi. Può esplodere e frantumare le cose, e può fonderle. Entrambi gli effetti furono probabilmente utilizzati, per come ho visto. Del metallo fuso si riversa fuori dalla Torre Sud diversi minuti prima del crollo. Questo indica che l’intera struttura era stata indebolita in precedenza. Poi i normali esplosivi entrarono in gioco. L’effettiva sequenza del crollo doveva essere sincronizzata alla perfezione, fin giù.»

Di quali quantità stiamo parlando?

«Grandi quantità. C’erano solo due aerei, ma tre grattacieli sono crollati. Sappiamo grosso modo quanta polvere fu generata. Le foto mostrano enormi quantità: tranne l’acciaio tutto fu polverizzato. E sappiamo grosso modo quanta termite incombusta abbiamo trovato. Questa è la “pistola carica”, un materiale che non si è acceso per qualche ragione. Stiamo parlando di tonnellate. Oltre 10 tonnellate, può darsi 100 tonnellate.»

Dieci tonnellate, può darsi cento tonnellate, in tre edifici? E queste sostanze non si trovano normalmente in simili edifici?

«No, no. Questi materiali sono estremamente avanzati.»

Come si fa a collocare un tale materiale in un grattacielo, su tutti i piani?

«Cioè come si fa a portarlo dentro?»

Sì.

«Con i pallet. Se dovessi trasportarlo i quelle quantità userei i pallet. Prenderei un carrello e li movimenterei su pallet.»

Perché questo non è stato scoperto prima?

«Da chi?»

Dai portieri, per esempio. Se sta facendo passare da 10 a 100 tonnellate di nano-termite, e la sta piazzando su tutti i piani, sono solo sorpreso che nessuno l’abbia notata.

«Da giornalista, dovrebbe indirizzare tale domanda alla società responsabile della sicurezza al WTC.»

Dunque lei non ha alcun dubbio che il materiale era presente?

«Non si può contraffare questo tipo di scienza. L’abbiamo trovata. Termite non ancora soggetta a reazioni.»

Quale accoglienza ha ricevuto il suo articolo nel mondo? Per me si tratta di conoscenza del tutto nuova.

«È stato pubblicato appena venerdì scorso. Perciò è troppo presto per dirlo. Ma l’articolo potrebbe non essere così inedito e singolare come le sembra. Centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo sanno da molto che i tre edifici sono stati demoliti. Questo era lampante. La nostra ricerca è solo l’ultimo chiodo sulla bara. Questa non è la “pistola fumante”, è la “pistola carica”. Ogni giorno, migliaia di persone comprendono che il WTC fu demolito. Questo è qualcosa che non si può fermare.»

Perché nessuno ha scoperto da prima che c’era nano-termite negli edifici? Son passati quasi dieci anni.

«Lei intende nella polvere?»

Sì.

«È stato per caso che qualcuno ha osservato la polvere al microscopio. Si tratta di minuscoli frammenti rossi. I più grandi misurano 1 mm, e possono essere visti a occhio nudo. Ma occorre il microscopio per vedere la maggior parte. È stato per caso che qualcuno li ha scoperti due anni fa. Ci sono voluti 18 mesi per preparare l’articolo scientifico cui lei si riferisce. È un articolo davvero completo basato su una ricerca minuziosa.»

Lei ha lavorato su questo per diversi anni, perché la cosa non le tornava?

«Sì, oltre due anni in effetti. Tutto è cominciato quando ho visto il crollo dell’Edificio 7, il terzo grattacielo. È crollato sette ore dopo le torri gemelle. E c’erano solo due aeroplani. Quando vedi un edificio di 47 piani, alto 186 metri, crollare in 6,5 secondi, e sei uno scienziato, pensi “cosa?”. Ho dovuto guardarlo ancora, e ancora. Ho toccato il tasto dieci volte, e la mia mandibola scendeva sempre più giù. Per prima cosa, non avevo mai sentito prima di quell’edificio. E non c’era nessuna ragione visibile per cui dovesse crollare in quel modo, direttamente giù, in 6,5 secondi. Non mi son dato pace da quel giorno.»

Sin dall’11/9 ci sono state speculazioni, e teorie del complotto. Cosa ha da dire ai telespettatori che sentono della sua ricerca e dicono “questa l’abbiamo già sentita, ci sono tante teorie del complotto”. Cosa direbbe per convincerli che questa è diversa?

«Penso che ci sia una sola teoria del complotto di cui valga la pena parlare, quella che riguarda i 19 dirottatori. Ritengo che i telespettatori debbano domandarsi quali prove abbiano visto a sostegno della teoria del complotto ufficiale. Se qualcuno ha visto delle prove, mi piacerebbe sentirlo in merito. Nessuno è stato formalmente incriminato. Nessuno è “wanted”. Il nostro lavoro dovrebbe portare a richiedere un’appropriata inchiesta criminale sugli attacchi terroristici dell’11/9, perché finora non c’è stata. La stiamo ancora aspettando. Noi speriamo che i nostri risultati saranno usati come una prova tecnica quando quel giorno verrà».

Niels Harrit, avvincente, grazie per essere intervenuto.

«È stato un piacere.»


di Pino Cabras

21 aprile 2009

Scoperto Echelon Italia

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Prove generali di stretto controllo telematico nei tribunali e Procure di tutta Italia. Genchi lo aveva capito: un grande orecchio e' in ascolto e con il nuovo Registro Generale Web l'operazione sara' completata. A realizzare gli apparati per conto di Via Arenula sono alcune big finite nelle inchieste Why Not e Poseidone. Ecco in esclusiva la storia vera dei protagonisti di questo inedito Echelon a Palazzo di Giustizia. Vicende che ci riportano lontano. Fino a misteri di Stato come la strage di Ustica ed il massacro di via D'Amelio.

C'erano una volta i rendez vous segreti nelle suite super riservate dei grandi alberghi. A Roma era l'Excelsior, a Napoli una fra le quattro-cinque perle del lungomare. Nella capitale ricevevano gli uomini di Licio Gelli - quando non direttamente il Venerabile in persona - per impartire quelle direttive stabilite in luoghi ancora piu' elevati che poi i diversi referenti, tutti d'altissimo rango (compresi capi dei governi e della magistratura)... dovevano portare avanti per orientare il corso della storia. Cos'altro era, per esempio, il summit che si tenne al largo di Civitavecchia sul panfilo Britannia della regina Elisabetta il 2 giugno del 1992, quando fu decisa quella colonizzazione selvaggia dell'Italia - attuata a suon di privatizzazioni senza soluzioni di continuita' prima da Prodi e poi da Berlusconi - di cui ancora oggi scontiamo gli effetti? E cos'altro fu a Napoli, dentro il prive' a un passo dal cielo con vista sul golfo, quella sorta di “tribunale preventivo” nel quale, al primo scoppio serio di Tangentopoli, nel 1993 vennero convocati i proconsoli democristiani e socialisti per imporre loro di accettare un lauto vitalizio dopo essersi accollati le malefatte giudiziarie dei rispettivi leader politici?

Piccoli squarci di luce sotto un velame oscuro che si e' fatto nel tempo sempre piu' plumbeo, ma anche piu' sofisticato grazie all'uso ardito e sapiente di tecnologie solo vent'anni fa impensabili. Cosi' a fine anni ottanta, mentre gli americani sperimentavano il controllo a tappeto dei miliardi di abitanti del pianeta collaudando la piu' straordinaria rete spionistica telematica che fosse mai stata immaginata - Echelon - prima solo in ambito militare, poi estesa anche ad usi civili, in Italia per decidere le sorti della giustizia ed incanalare il destino dei processi era ancora necessario ricorrere ad incontri vis a vis, sfruttando canali di mediazione come le agape massoniche o i pizzini orali, passati di bocca in bocca tra colletti bianchi e intermediari mafiosi.
Da tempo non e' piu' cosi'. Almeno da quando, una decina di anni fa, il controllo telematico dei palazzi di giustizia italiani ha cominciato a diventare una rete che avviluppa, scruta e controlla tutto, dai piani alti della Cassazione alla scrivania dell'ultimo cancelliere, dalle Alpi alla Sicilia. Dopo il monitoraggio minuto per minuto delle operazioni finanziarie - che avvengono ormai esclusivamente on line da un capo all'altro del mondo - ora qualcuno sta cercando di tracciare ed orientare definitivamente anche le sorti dell'intero sistema giudiziario nel Belpaese. Al punto che, a distanza di appena quattro-cinque anni dagli spionaggi alla Pio Pompa o alla Tavaroli, il quadro e' un altro: oggi non serve piu' spiare, basta entrare nella rete dalla porta giusta, mettersi in ascolto. E poi decidere.


Ne e' passata insomma di acqua sotto i ponti da quel quel luglio del 1992, quando per coprire errori ed omissioni nel massacro di Capaci si rese “necessario” far saltare in aria anche Paolo Borsellino con tutta la sua scorta, lasciandoci dietro, ancora una volta, tutta una serie di tracce insanguinate, piccoli e grandi particolari cartacei fatti sparire troppo in fretta, come l'agenda rossa, portata via clamorosamente sotto gli occhi di tutti dal colonnello Arcangioli solo pochi minuti dopo l'eccidio. Un sistema, del resto, quello della “pulizia totale”, che compare come un macabro rituale anche in omicidi di quel tempo, quale quello del giornalista antimafia Beppe Alfano, nel 1993, la cui figlia Sonia racconta di quegli autentici plotoni di polizia e carabinieri entrati per ore a devastare armadi e cassetti di una famiglia ammutolita da un dolore lancinante ed improvviso, alla ricerca di carte, documenti, fascicoli, «quasi che il criminale fosse mio padre - racconta oggi Sonia - ancora a terra in una pozza di sangue, e non coloro che lo avevano atteso per ammmazzarlo».
Quella volta pero', quel 19 luglio 1992, era gia' in azione un vicequestore siciliano che nell'uso delle tecnologie informatiche era piu' avanti delle stesse barbe finte nostrane, ancora costrette a perquisizioni, pulizie, furti per occultare le prove dei crimini di Stato. Quel vicequestore si chiamava Gioacchino Genchi. E la sua storia, i violenti tentativi di zittirlo e delegittimarlo fino all'annientamento (come la repentina sospensione dal corpo di Polizia, che ha fatto sollevare l'opinione pubblica in tutta Italia), ci fa ripiombare di colpo dentro l'Italia di oggi, in un Paese dove per uccidere uno o due magistrati non e' piu' necessario spargere sangue. Perche' a tutto pensa il grande Echelon del sistema giudiziario italiano, Che ha - come vedremo - nomi, volti e terminali ben precisi.


IL PADRE DI ECHELON

E partiamo da un uomo che Echelon ha confessato di averlo realizzato per davvero. O, almeno, ha ammesso di aver collaborato alla messa a punto del Grande Orecchio americano. Quest'uomo si chiama Maurizio Poerio, e' un imprenditore nei sistemi informatici ad altissima specializzazione e su di lui si soffermano a lungo i pubblici ministeri salernitani che indagavano sui loro colleghi della procura di Catanzaro, messi sotto accusa con una mole impressionante di rilevanze investigative raccolte dall'allora pm Luigi De Magistris grazie anche alla consulenza prestata da Gioacchino Genchi.
Un nome, Poerio, una scatola nera che racchiude mille misteri. Ma cominciamo dall'oggi. E cominciamo dalle tante verbalizzazioni nelle quali De Magistris a Salerno dichiara apertamente che potrebbe essere stato spiato, che tutta la sua attivita' investigativa era stata probabilmente - o quasi certamente - monitorata fin dall'inizio. Non attraverso gli 007 dei Servizi, ma in maniera semplice e naturale, vale a dire attraverso la societa' privata che gestisce i sistemi informatici dell'intero pianeta giustizia in Italia. Questa societa' e' la la CM Sistemi. Appunto. Con una potentissima e storica diramazione - la CM Sistemi Sud - proprio in Calabria, regione dalla quale la attuale corporate aveva avuto origine negli anni ottanta. Ma anche la regione dove questa societa' si aggiudica da sempre l'appalto per la “cura” degli uffici giudiziari. E in cui risiede il suo amministratore delegato: quella stessa Enza Bruno Bossio, moglie del plenipotenziario Ds Nicola Adamo ma, soprattutto, pesantemente indagata prima nell'inchiesta Poseidone (il bubbone avocato a De Magistris in circostanze ancora tutte da chiarire sul piano della legittimita') e poi in Why Not. Perche' del colosso CM Sistemi Maurizio Poerio e' una colonna portante, capace di tessere ed orientare i rapporti con la pubblica amministrazione - leggi in particolare Via Arenula - come e' scritto, fra l'altro, nell'indicazione specifica delle sue mansioni: “consigliere delegato ai rapporti istituzionali”.


Ma Poerio non e' solo un manager dell'ICT (Information and Communication Technology) prestato alla CM. Il suo ruolo, come dimostra la perquisizione di De Magistris presso i suoi uffici romani, va ben oltre. L'11 settembre del 2006, interrogato nell'ambito di Poseidone, l'imprenditore calabrese prova a prendere le distanze da quella societa', che appare gia' dentro fino al collo nell'inchiesta giudiziaria. «Conosco molto bene - affermava rispondendo ad una precisa domanda - Marcello Pacifico, presidente della CM Sistemi, societa' per la quale ho collaborato attraverso un contratto di consulenza professionale». Un tentativo estremo di prendere il largo: da buon commercialista (e' iscritto all'ordine di Catanzaro) Poerio sapeva bene che sarebbe bastata una semplice visura camerale a smentirlo. Della romana CM Sistemi spa, infatti, oltre un milione e mezzo di capitale nel motore, il manager calabrese e' a tutti gli effetti consigliere d'amministrazione, all'interno di un organigramma che risulta quasi identico a quello della sua costola meridionale, la stessa CM Sistemi Sud capitanata dalla Bruno Bossio. Perche' allora parlare di semplici “consulenze”? Il fatto e' che la faccenda si stava facendo complicata. Dal momento che per la prima volta quel grande orecchio invisibile capace di scrutare dentro tutti gli uffici giudiziari italiani stava dando segnali concreti della sua esistenza. E in gioco - cominciava a capire De Magistris, ma ne era ben consapevole da tempo lo stesso Poerio - non c'era solo la storia degli appalti pilotati a Procure e tribunali della Calabria (gara “regolarmente” aggiudicata per l'ennesima voltra alla CM Sistemi Sud), ma la credibilita' dell'intero pianeta giustizia nel nostro Paese, se non addirittura i destini del sistema Italia. E questo, soprattutto per due principali motivi.


E' il consulente del pubblico ministero De Magistris, Pietro Sagona, ad illuminare i pm salernitani su alcune circostanze a dir poco imbarazzanti che riguardano la CM Sistemi (siamo al 7 aprile 2008, ma Sagona riferisce particolari che evidentemente erano gia' ben noti a Poerio e company): «Nell'ambito degli accertamenti da me espletati e' emersa la rilevanza del consorzio Tecnesud, destinatario di un finanziamento pubblico gia' in fase di stipula della convezione con il Ministero delle Attivita' Produttive, non stipulato soltanto a causa della mancanza di uno dei cinque certificati antimafia richiesti e pervenuti relativo alla societa' Forest srl titolare di un'iniziativa consorziata ed agevolata. Il finanziamento era di sessanta milioni di euro complessivi, otto dei quali a carico della Regione Calabria, il residuo a carico dello Stato». Del consorzio faceva parte anche la CM Sistemi. Ma perche' alla socia Forest non era stato rilasciato il certificato antimafia? Risponde Sagona: «Presidente della Forest era tale avvocato Giuseppe Luppino, nato a Gioia Tauro il 5 marzo 1959, nipote di Sorridente Emilio, classe 1927, ritenuto organicamente inserito nella consorteria mafiosa dei Piromalli-Mole'». E non e' finita: «il predetto Luppino risultava esser stato denunciato per gravi reati quali turbata liberta' degli incanti, favoreggiamento personale, falsita' ideologica ed associazione per delinquere di stampo mafioso» e sottoposto a procedimento penale a Palmi.


Ricapitolando: la CM Sistemi, talmente affidabile da vincere la gara d'appalto per l'informatizzazione di tutti gli uffici giudiziari nella regione Calabria, sedeva nel consorzio Tecnesud accanto ad una sigla, la Forest, riconducibile ad una fra le piu' pericolose cosche della ‘ndrangheta.
Una circostanza allarmante. Ma non l'unica. In quello stesso, fatidico interrogatorio dell'11 settembre 2006 Poerio, per accrescere la propria credibilita' di manager in rapporti transnazionali, non manco' di aggiungere: «Mi sono occupato per conto della I.T.S. di una serie di progetti per l'utilizzo di tecnologie per le informazioni satellitari per uso civile, quale ad esempio il progetto Echelon negli Stati Uniti d'America e GIS in Italia». Di sicuro, insomma, Poerio era un personaggio che in fatto di “controllo a distanza” poteva considerarsi fra i massimi esperti mondiali.


I FRATELLI DEL RE.GE.

Fu probabilmente proprio allora che la sensazione di essere spiato divento' per De Magistris qualcosa di piu' d'una semplice impressione. Con elementi che nel tempo andavano ad incastrarsi come tessere di un mosaico per confermare quella ipotesi. Sara' lo stesso ex pm a raccontarlo piu' volte ai colleghi salernitani, come si legge in alcune pagine delle sue lunghe verbalizzazioni riportate per esteso nell'ordinanza di perquisizione e sequestro emessa a carico della Procura di Catanzaro.
Il 24 settembre del 2008 De Magistris contestualizza innanzitutto tempi e personaggi di quel “sistema” che aveva il suo terminale dentro il ministero della Giustizia, retto nel 2007 dall'indagato di Why Not Clemente Mastella. Ed arriva al collegamento fra quest'ultimo e la CM Sistemi. Ci arriva attraverso un altro carrozzone politico destinatario di enormi provvidenze pubbliche in Calabria, il consorzio TESI, del quale faceva parte la societa' della Bruno Bossio (e quindi di Poerio): sempre lei, la regina CM. «Personaggio che ritenevo centrale quale anello di collegamento tra il Mastella ed ambienti politici ed istituzionali, oltre che professionali, in Calabria ed anche a Roma - dichiara De Magistris - era l'avvocato Fabrizio Criscuolo, il cui nominativo emergeva anche nelle agende e rubriche rinvenute durante le perquisizioni effettuate nei confronti del Saladino (il principale inquisito di Why Not Antonio Saladino, ndr). Nello studio associato Criscuolo presta servizio quale avvocato anche Pellegrino Mastella, figlio dell'ex-ministro». Ma non basta. «Il predetto Criscuolo risulta aver coperto la carica di consigliere d'amministrazione della Aeroporto Sant'Anna spa, con sede in Isola Capo Rizzuto, il cui presidente era il professor Giorgio Sganga, coinvolto nelle indagini Poseidone e Why Not in quanto compariva nell'ambito della compagine della societa' TESI» in compagnia, appunto, della CM. Insomma, da Mastella a Criscuolo, da Criscuolo a Sganga fino a TESI, dove ritroviamo la CM e gli appalti negli uffici giudiziari. Compresa la realizzazione del RE.GE, vale a dire lo strategico Registro Generale centralizzato nel quale pm e gip sono tenuti a riversare tutte le risultanze del loro lavoro, ma anche ad anticipare le iniziative giudiziarie (perquisizioni, sequestri etc.) che andranno ad effettuare di li' a poco.
Altro trait d'union fra gli artefici del Grande Orecchio in Procura e l'allora titolare di Via Arenula lo si rintraccia seguendo la carriera del secondo figlio di Mastella, Elio. «Dalle attivita' investigative che stavo espletando - precisa De Magistris - era emerso che Elio Mastella era dipendente, quale ingegnere, nella societa' Finmeccanica, oggetto di investigazioni nell'inchiesta Poseidone, societa' interessata anche ad ottenere il controllo, proprio durante il dicastero Mastella, dell'intero settore delle intercettazioni telefoniche». Ma in Finmeccanica «si evidenzia anche il ruolo di Franco Bonferroni (legatissimo a piduisti come Giancarlo Elia Valori e Luigi Bisignani, ndr) gia' destinatario di decreto di perquisizione e coinvolto nelle inchieste Poseidone e Why Not, nonche' il genero del gia' direttore del Sismi, il generale della GdF Nicolo' Pollari». E dire Finmeccanica significava in qualche modo tornare a Maurizio Poerio, che proprio insieme a quella societa' aveva preso parte a numerosi progetti internazionali, in primis quello denominato “Galileo”.


IL NEMICO TI ASCOLTA

Il 16 novembre 2007 De Magistris dichiara di aver acquisito elementi sull'attivita' di “monitoraggio” che andava avanti ai suoi danni (e questo spiegherebbe fra l'altro anche il rincorrersi di strane “anticipazioni”, come quando il pm apprese dell'avocazione del fascicolo Poseidone dalla telefonata di un giornalista dell'Ansa dopo che, a sua totale insaputa, la notizia era addirittura gia' stata pubblicata da un quotidiano locale): «spesso ho avuto l'impressione di essere anticipato, e questo sia in “Poseidone che in Why Not; si e' verificato, cioe' proprio mentre... appena arrivo al punto finale, le indagini vengono sottratte. Poi... intervenivano le interrogazioni parlamentari, e arrivavano gli ispettori, e arrivavano le missive. Cioe' sempre o di pari passo, o qualche volta addirittura in anticipo su quelle che potevano essere poi le mosse formali successive».
Ma le “fughe di notizie”, una volta trovato il sistema per realizzarle, potevano anche essere sapientemente pilotate: «ad un certo punto - dice De Magistris ai colleghi di Salerno nelle dichiarazioni rese a dicembre 2007 - penso che sia stata utilizzata la tecnica di “pilotare” una serie di fughe di notizie per poi attribuirle a me. Si facevano avere notizie anche a giornalisti che avevo conosciuto in modo tale da attribuire poi a me il ruolo di “fonte” di questi ultimi. Per non parlare delle gravi e reiterate fughe di notizie sulle audizioni al Csm anche in articoli pubblicati dal Corriere della Sera e da La Stampa: perfino la mia memoria, depositata con il crisma del protocollo riservato, e' stata riportata, in parte, virgolettata».
E cosi', grazie allo stesso, collaudato “orecchio”, puo' accadere anche che, alla vigilia di importanti e riservatissimi provvedimenti cautelari, i destinatari siano gia' ampiamente informati e mettano in atto adeguate contromisure. E se il metodo funziona, perche' non adottarlo anche in altre Procure, come a Santa Maria Capua Vetere? Torniamo a fine 2007, ai giorni caldi che precedettero le dimissioni di Mastella, il ritiro della fiducia al governo da parte dell'Udeur e la conseguente caduta dell'esecutivo Prodi. «Taluni quotidiani nazionali - osserva De Magistris - hanno riportato fatti dai quali si evincerebbe che lo stesso senatore Mastella o ambienti a lui vicinissimi abbiano contribuito, forse anche con l'ausilio di soggetti ricoprenti posti apicali al Ministero della Giustizia, a far trapelare la notizia degli imminenti arresti da parte della magistratura di Santa Maria Capua Vetere, o che comunque fossero al corrente del fatto e si adoperassero per predisporre una “strategia difensiva”. Del resto resoconti giornalistici informano che il senatore Mastella avesse gia' pronto un “ricco” discorso in Parlamento ed il consuocero (Bruno Camilleri, cui stava per essere notificata un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, ndr), la sera prima, si fosse ricoverato in una clinica».


DA POSEIDONE A USTICA

Come abbiamo visto, l'Echelon del 2000 non e' piu' la creatura misteriosa messa in piedi negli anni della guerra fredda dai pionieri della tecnologia. Oggi le apparecchiature avvolgono in una rete invisibile praticamente tutti i palazzi di giustizia. Ed il controllo e' centralizzato. Ovvio, allora, che se si intende “gestire” questo sistema garantendosi ogni possibilita' di accesso occulto (la parola spionaggio a questo punto perde anche di senso) occorre poter contare su garanti fidati. Persone che, per il loro passato, offrano i massimi requisiti di affidabilita' e riservatezza. E torniamo a Maurizio Poerio, le cui origini ci conducono lontano nel tempo. Fino a quel 27 giugno del 1980 quando il DC 9 Itavia caduto nei mari di Ustica con 81 persone a bordo avrebbe dovuto mostrare agli occhi del mondo le attivita' di terrorismo internazionale messe in atto dal nemico numero uno degli americani, il leader libico Muammar Gheddafi. Un punto chiave dentro quelle complesse indagini (che ancora oggi attendono una risposta univoca sui mandanti) fu il piccolo aereo libico, un MIG, caduto in quelle stesse ore nel territorio di Villaggio Mancuso, sulla Sila, comune di Castelsilano, al quale l'inchiesta di Rosario Priore dedica alcune centinaia di pagine. Perche' dalla data precisa del suo abbattimento (deducibile anche dai frammenti presenti sul posto) discendeva tutta la ricostruzione dello scenario di guerra in atto quella notte nei cieli d'Italia. Di particolare rilevanza per le indagini il fatto che quel territorio era assai vicino alla base logistica dell'Itavia e degli F16 militari. Un luogo scottante, dunque. Tanto che anche il capitolo sull'impresa che si aggiudico' i lavori per la raccolta e lo stoccaggio dei frammenti del velivolo libico presenta ancora oggi molti punti oscuri. A cominciare dal fatto che quella ditta fu chiamata a trattativa privata. Ed era in forte odor di mafia.
Passano alcuni anni. Nel ‘93, nell'ambito del Gruppo Mancuso, nasce la Minerva Airlines. «La societa', di proprieta' di Maurizio Poerio - annotano i cronisti qualche anno piu' tardi - si propone di valorizzare l'aeroporto di Crotone, ridotto ad “aeroprato” dopo essere stato base di Itavia e degli F16 militari».
47 anni, nato a Catanzaro (e verosimilmente imparentato col catanzarese Luigi Poerio, classe 1954, ingegnere edile ed iscritto alla Massoneria), Maurizio Poerio si laurea in economia a Bologna, poi si butta nell'alimentazione del bestiame: torna in Calabria e rileva la Mangimi Sila, piattaforma di lancio per i vertici di Confindustria dove restera' a lungo (al pm De Magistris racconta, fra l'altro, dei suoi rapporti professionali e d'amicizia con l'attuale leader Emma Marcegaglia). Minerva Airlines viene dichiarata fallita dal tribunale di Catanzaro a febbraio 2004. E Poerio andra' a rivestire ruoli sempre piu' apicali nelle principali business company dell'ICT, proiettando al tempo stesso la “sua” CM Sistemi dentro il cuore degli uffici giudiziari italiani.


DA WHY NOT A VIA D'AMELIO

«Altro che Grande Orecchio nei computer di Giacchino Genchi - dice un esperto in riferimento alle accuse rivolte al principale consulente informatico di De Magistris - la verita' e' che la centrale di ascolto ha oggi i suoi terminali al Ministero, nei Palazzi di Giustizia. E che Genchi tutto questo lo aveva scoperto da tempo». Il tempo che basta per capire le tante, impressionanti ricorrenze tra fatti e personaggi delle attuali inchieste calabresi ed il contesto di omissioni ed omerta' dentro cui maturarono, nel 1992, la strage di via D'Amelio e le successive, tortuose indagini. Alle quali prese parte proprio Gioacchino Genchi.
E' stato lui ad indicare senza mezzi termini l'allucinante sequenza delle “similitudini”, senza tuttavia fornire ulteriori particolari. E allora proviamo a ricostruirne qualcuno noi.
Cominciando magari dai Gesuiti, da quella Compagnia delle Opere onnipresente nelle inchieste di Catanzaro (basti pensare alla figura centrale di Antonio Saladino) che all'epoca di Falcone e Borsellino era incarnata a Palermo da padre Ennio Pintacuda, fondatore del Cerisdi, il Centro Ricerche e Studi Direzionali con sede in quello stesso Castello Utveggio che sovrasta Palermo. E nel quale aveva una sede di copertura, nel ‘92, anche quell'ufficio riservato del Sisde che avrebbe rivestito una parte rilevantissima nella strage. Fino al punto che - secondo molte accreditate ricostruzioni - il telecomando che innesco' l'autobomba poteva essere posizionato proprio all'interno del castello. Pochi minuti dopo l'eccidio Genchi effettua un sopralluogo proprio sul monte Pellegrino, a Castello Utveggio. Si legge nella sentenza del Borsellino bis: «Il dr. Genchi ha chiarito che l'ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Utevggio era stata formulata come ipotesi di lavoro investigativo che il suo gruppo considerava assai utile per ulteriori sviluppi».
Oggi il Cerisdi svolge rilevanti attivita' formative su incarico della Pubblica Amministrazione, prime fra tutti la Regione Calabria e la citta' di Palermo. Suo vicepresidente (per il numero uno va avanti da anni la disputa e la poltrona risulta vacante) e' un penalista palermitano, Raffaele Bonsignore, difensore di pezzi da novanta di Cosa Nostra. Ma anche del “giudice ammazzasentenze” Corrado Carnevale.


Co-fondatore del Centro Studi era stato negli anni novanta l'allora presidente dc della Regione Sicilia Rino Nicolosi: se la sua era un'investitura di carattere politico, di tutto rilievo operativo nel Cerisdi risultava invece la figura del suo braccio destro Sandro Musco, che si occupava fra l'altro di rapporti istituzionali e con le imprese. Massone, docente di filosofia, Musco e' oggi tra i principali referenti dell'Udeur in Sicilia.
Mastella, ancora lui. Il suo nome ricorre, non meno di quello del pentito Francesco Campanella, che ritroviamo nelle carte di Why Not. Fu proprio Musco a consegnare nelle mani di Mastella, durante la convention di Telese del 2005, la lettera privata in cui Campanella si gettava ai piedi del leader: «Carissimo Clemente, ti scrivo con il cuore gonfio di tantissime emozioni, esclusivamente per ringraziarti di cuore poiche' nella mia vita ho frequentato tantissima gente e intrattenuto innumerevoli rapporti, tanti evidentemente errati. Sei l'unica persona del mondo politico che ricordo con affetto, con stima, con estremo rispetto, perche' sei sempre stato come un padre per me, e resta in me enorme l'insegnamento della vita politica che mi hai trasmesso. (...) Affido questa lettera a Sandro che tra i tanti e' una persona che nella disgrazia mi e' stata vicina. Sappi che ripongo in lui speranza e fiducia per quello che potra' darti in termini di contributo. È certamente una persona integra di cui potersi fidare».

Il 3 gennaio 2008 Luigi De Magistris chiarisce ai pubblici ministeri salernitani Gabriella Nuzzi e Dionigi Verasani le circostanze in cui compare il nome di Francesco Campanella nell'inchiesta Poseidone: «venni a sapere che poteva essere utile escutere il collaboratore di giustizia Francesco Campanella che ha ricoperto un importante ruolo politico in Sicilia e che risultava essere anche in contatto con esponenti politici di primo piano, in particolare dell'Udc e dell'Udeur. Tale collaboratore mi rilascio' significative dichiarazioni con riguardo al finanziamento del partito dell'Udc e le modalita' con le quali veniva “reinvestito” il denaro, dalla “politica”, in circuiti di apparente legalita'. Dovevo escutere il Campanella, persona affiliata alla massoneria - che si stava ponendo in una posizione di assoluta rilevanza nell'ambito dell'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra - del quale l'attuale Ministro della Giustizia e' stato testimone di nozze, in quanto aveva rilasciato all'autorita' giudiziaria di Palermo dichiarazioni con riguardo a presunte dazioni di denaro illecite con riferimento alle licenze Umts che vedevano, in qualche modo, coinvolti sia l'attuale Ministro della Giustizia Clemente Mastella che l'allora Presidente del Consiglio Massimo D'Alema».
Una circostanza che Mastella, quando era ministro della Giustizia, ha dovuto smentire in aula rispondendo alla domanda di un avvocato. Era Raffaele Bonsignore, vertice del Cerisdi. E difensore dell'imputato di Cosa Nostra Nino Mandala'.

da Rita Pennarola

23 aprile 2009

Ripensare il mondo, per bio-regioni


Le città non devono sparire, ma cambiare, mettendosi al servizio delle loro bio-regioni. Così parlò Giuseppe Moretti, referente italiano dei bioregionalisti, intervistato da Daniel Tarozzi per Terranauta. Bioregionalismo? «E’ la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza sulla Terra, rispettando tutti gli esseri viventi». Da Francesco d’Assisi alla spirale della crisi planetaria: «La nostra non è un’ideologia, ma un’attitudine di buon senso e di umiltà». Meglio allora considerare la Terra come un insieme naturale di bio-regioni, regolate dal ciclo dell’acqua malgrado le devastazioni dell’homo tecnologicus: «Da quando l’uomo ha imparato a scheggiare le rocce per ricavarne punte di lancia, la tecnologia non ci ha mai lasciato. Ma la tecnologia, di per sé, è neutra: dipende dall’uso che ne se fa. E oggi, finalmente, possiamo scegliere».




Nata negli Usa negli anni ‘90 e i primi 250 gruppi e poi sviluppatasi in Messico, Canada, Sud America, Australia, Asia ed Europa, la corrente bioregionalista che vede tra i suoi terra-mondo1massimi interpreti l’inglese Etain Addey (autrice di “Una gioia silenziosa”) annovera tra i suoi antenati italiani i fondatori della rivista “AAM Terra Nuova”, aggregazione informale ora sfociata nella Rete Bioregionale Italiana, che ad ogni solstizio pubblica i “Quaderni di vita bioregionale” ed ogni equinozio il giornale “Lato selvatico”. «Appartengo alla cosiddetta generazione degli anni ’60, non ho mai smesso di scrutare le idee dei movimenti alternativi», racconta Moretti. «Conobbi l’idea bioregionale quando avevo già scelto di ritornare alla terra, dopo una parentesi di lavoro dipendente in città». Decisivi i contatti coi pionieri americani, come Peter Berg e Judy Golhaft.

Il bioregionalismo, spiega Moretti, considera il pianeta come un unico organismo vivente, suddiviso in bioregioni. «Sono le regioni naturali della terra, luoghi definiti per continuità di flora e di fauna o per interezza fluviale, grandi a sufficienza da sostenere un’ampia e complessa comunità di esseri viventi. L’uomo è parte integrante di tutto questo, non il suo signore e padrone: l’umiltà è saggezza, visto il divario tra la mente umana e quella della natura». Ri-abitare la terra con occhi nuovi, dunque. Percepire «l’importanza di vivere in un ambiente sano e diversificato» e comprendere che «dalla salute delle acque, dei boschi e del mondo animale dipende la nostra stessa salute», e che «dal diritto di libertà e giustizia sociale dei popoli dipende la nostra stessa libertà e giustizia».

«Ogni cosa è connessa l’una all’altra, su questa terra». Convizione che i buddisti fanno propria da migliaia di anni (i biologi da molto meno) e che ora i bioregionalisti ribadiscono, partendo dall’elemento più vitale: l’acqua. «Il ciclo dell’acqua – dice Moretti – fa della terra un unico grande bacino idrografico. E il bacino idrografico in cui ognuno etain-addey1di noi vive è il contesto della nostra pratica: un bacino idrografico è di fatto una bioregione, e viceversa. Prendersi cura del proprio bacino idrografico, della propria bioregione, significa quindi assumersi le proprie responsabilità, qui e ora, di fronte ai problemi che sono ormai su scala globale: ecco perché oggi è importante ri-abitare la terra in senso bioregionale».

Naturalmente, senza rifiutare scienza e tecnologia. «Oggi possiamo scegliere: di scaldare l’acqua con la legna o coi pannelli solari piuttosto che con l’energia fossile; possiamo scegliere di coltivarci parte del nostro cibo o acquistarlo da produttori ecologicamente consapevoli e liberi dagli ingranaggi speculativi globali, piuttosto che dalla grande distribuzione; possiamo scegliere di ignorare le mode e comprare solo le cose di cui abbiamo effettivamente bisogno, piuttosto che essere succubi di un sistema che fa del consumismo la propria ragione di essere. Dobbiamo ri-ascoltare la nostra natura selvatica: consumare senza sprecare, produrre senza distruggere, vivere e lasciar vivere».

Giuseppe Moretti e i bioregionalisti tifano per la Decrescita Felice, gli ecovillaggi, i seedsavers che custodiscono varietà antiche di semi; partecipano ai gruppi d’acquisto solidale e alla finanza etica, promuovono eco-tecnologie e prodotti a chilometri zero. «Le sorti del cambiamento non sono prerogativa di pochi, tutti possono incidere». Inutile aspettarsi miracoli dagli economisti: non hanno soluzioni, dice Moretti, a parte inventarsi «guazzabugli» grazie ai quali «a perderci sono sempre i più deboli». Non c’è da stare allegri: «Il mondo oggi è talmente imbevuto nel mito del potere, sia politico che economico o religioso, che difficilmente rinuncerà ai privilegi acquisiti».

Una rivoluzione culturale: a questo punta il bioregionalismo. «Non un cambiamento a livello di governi, ma un rivoltamento completo nel modo di intendere il nostro essere qui sulla terra». Illusioni da ex hippy? «Siamo una evoluzione di tutti quelli che con immaginazione, creatività e caparbietà hanno, nel corso del tempo, cercato di migliorare, sia spiritualmente che mentalmente, se stessi prima e la società poi, così da ridurre sia l’impronta umana sul pianeta che l’arroganza del potere e l’avidità di pochi sulla gente e sulla natura», constata Moretti. «Abbiamo fallito? Da quello che si vede sembra di sì, ma è vero anche che questo è un percorso lungo, che richiede tempo, pazienza e dedizione. L’importante è non smettere di ‘seminare’».

di Giuseppe Moretti

22 aprile 2009

Niels Harrit: «Altro che “pistola fumante”, c’è la “pistola carica” dell’11/9»



Harrit-Niels

Abbiamo visto di recente la
ricerca sulle polveri del WTC firmata tra gli altri dal professor Niels Harrit dell’Università di Copenaghen, un professore che ha la vocazione della nano-chimica, di cui è un esperto. Il clamore suscitato da questa ricerca ha portato il 6 aprile 2009 a una intervista di Harrit sul canale TV2 della tv pubblica danese, in seconda serata. Harrit è stato intervistato per 10 minuti durante il tg.
L’8 aprile, Harrit è stato di nuovo intervistato per sei minuti durante un programma del mattino di notizie e intrattenimento in diretta sulla stessa rete. In entrambe le occasioni Harrit ha potuto argomentare bene le proprie tesi con intervistatori aperti e corretti.

La prima intervista è stata sottotitolata in inglese e caricata su YouTube. Di seguito si può vedere l’intervista e la sua traduzione in italiano:

http://www.youtube.com/watch?v=8_tf25lx_3o





Intervista a Niels Harrit su TV2 News, Danimarca.


Alcuni ricercatori internazionali hanno trovato tracce di esplosivi in mezzo ai detriti del World Trade Center.
Un nuovo articolo scientifico conclude che gli impatti dei due aerei dirottati non causarono i crolli nel 2001.
Rivolgiamo la nostra attenzione all’11/9, il grande attacco su New York. Apparentemente i due impatti degli aeroplani non cagionarono il crollo delle torri, secondo quanto afferma un articolo scientifico da poco pubblicato.
I ricercatori hanno trovato dell’esplosivo detto nano-termite fra i resti, e non può provenire dagli aerei. Ritengono che svariate tonnellate di esplosivi siano state collocate negli edifici in precedenza.

Niels Harrit, lei e altri otto ricercatori stabilite in questo articolo che sia stata la nano-termite a far sì che questi edifici crollassero. Che cos’è la nano-termite?

«Abbiamo trovato nano-termite nei detriti. Non stiamo dicendo che sia stata usata soltanto nano-termite. La termite stessa risale al 1893. È una mistura di alluminio e polvere di ruggine, che reagisce fino a creare intenso calore. La reazione produce ferro, scaldato a 2500 °C. Questo può essere usato per fare saldature. Può essere anche usato per fondere altro ferro. Siccome le nanotecnologie rendono le cose più piccole, nella nano-termite, questa polvere del 1893 è ridotta in particelle minuscole, perfettamente mescolate. Quando queste reagiscono, l’intenso calore si sviluppa molto più velocemente. La nano-termite può essere mischiata con additivi per sprigionare un calore intenso, o fungere da efficacissimo esplosivo. Contiene più energia della dinamite, e può essere usata come combustibile per razzi.»

Ho cercato con Google “nano-termite”, e non è che si sia scritto molto su di essa. Si tratta di una sostanza scientifica ampiamente conosciuta? O è così nuova che gli altri scienziati la conoscono a malapena?

«È un nome collettivo per una classe di sostanze con alti livelli di energia. Se dei ricercatori civili (come lo sono io) non la conoscono abbastanza, è probabilmente perché non lavorano granché con gli esplosivi, come invece fanno gli scienziati militari. Dovrebbe chiedere a loro. Io non so quanta familiarità abbiano con le nanotecnologie.»

Quindi lei ha trovato questa sostanza nel WTC, perché pensa che abbia causato i crolli?

«Be’, è un esplosivo. Per cos’altro sarebbe dovuto essere lì?»

Lei ritiene che l’intenso calore abbia fuso la struttura di sostegno in acciaio dell’edificio, e abbia causato che gli edifici collassassero come un castello di carte?

«Non posso dire di preciso, visto che questa sostanza serve a entrambi gli scopi. Può esplodere e frantumare le cose, e può fonderle. Entrambi gli effetti furono probabilmente utilizzati, per come ho visto. Del metallo fuso si riversa fuori dalla Torre Sud diversi minuti prima del crollo. Questo indica che l’intera struttura era stata indebolita in precedenza. Poi i normali esplosivi entrarono in gioco. L’effettiva sequenza del crollo doveva essere sincronizzata alla perfezione, fin giù.»

Di quali quantità stiamo parlando?

«Grandi quantità. C’erano solo due aerei, ma tre grattacieli sono crollati. Sappiamo grosso modo quanta polvere fu generata. Le foto mostrano enormi quantità: tranne l’acciaio tutto fu polverizzato. E sappiamo grosso modo quanta termite incombusta abbiamo trovato. Questa è la “pistola carica”, un materiale che non si è acceso per qualche ragione. Stiamo parlando di tonnellate. Oltre 10 tonnellate, può darsi 100 tonnellate.»

Dieci tonnellate, può darsi cento tonnellate, in tre edifici? E queste sostanze non si trovano normalmente in simili edifici?

«No, no. Questi materiali sono estremamente avanzati.»

Come si fa a collocare un tale materiale in un grattacielo, su tutti i piani?

«Cioè come si fa a portarlo dentro?»

Sì.

«Con i pallet. Se dovessi trasportarlo i quelle quantità userei i pallet. Prenderei un carrello e li movimenterei su pallet.»

Perché questo non è stato scoperto prima?

«Da chi?»

Dai portieri, per esempio. Se sta facendo passare da 10 a 100 tonnellate di nano-termite, e la sta piazzando su tutti i piani, sono solo sorpreso che nessuno l’abbia notata.

«Da giornalista, dovrebbe indirizzare tale domanda alla società responsabile della sicurezza al WTC.»

Dunque lei non ha alcun dubbio che il materiale era presente?

«Non si può contraffare questo tipo di scienza. L’abbiamo trovata. Termite non ancora soggetta a reazioni.»

Quale accoglienza ha ricevuto il suo articolo nel mondo? Per me si tratta di conoscenza del tutto nuova.

«È stato pubblicato appena venerdì scorso. Perciò è troppo presto per dirlo. Ma l’articolo potrebbe non essere così inedito e singolare come le sembra. Centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo sanno da molto che i tre edifici sono stati demoliti. Questo era lampante. La nostra ricerca è solo l’ultimo chiodo sulla bara. Questa non è la “pistola fumante”, è la “pistola carica”. Ogni giorno, migliaia di persone comprendono che il WTC fu demolito. Questo è qualcosa che non si può fermare.»

Perché nessuno ha scoperto da prima che c’era nano-termite negli edifici? Son passati quasi dieci anni.

«Lei intende nella polvere?»

Sì.

«È stato per caso che qualcuno ha osservato la polvere al microscopio. Si tratta di minuscoli frammenti rossi. I più grandi misurano 1 mm, e possono essere visti a occhio nudo. Ma occorre il microscopio per vedere la maggior parte. È stato per caso che qualcuno li ha scoperti due anni fa. Ci sono voluti 18 mesi per preparare l’articolo scientifico cui lei si riferisce. È un articolo davvero completo basato su una ricerca minuziosa.»

Lei ha lavorato su questo per diversi anni, perché la cosa non le tornava?

«Sì, oltre due anni in effetti. Tutto è cominciato quando ho visto il crollo dell’Edificio 7, il terzo grattacielo. È crollato sette ore dopo le torri gemelle. E c’erano solo due aeroplani. Quando vedi un edificio di 47 piani, alto 186 metri, crollare in 6,5 secondi, e sei uno scienziato, pensi “cosa?”. Ho dovuto guardarlo ancora, e ancora. Ho toccato il tasto dieci volte, e la mia mandibola scendeva sempre più giù. Per prima cosa, non avevo mai sentito prima di quell’edificio. E non c’era nessuna ragione visibile per cui dovesse crollare in quel modo, direttamente giù, in 6,5 secondi. Non mi son dato pace da quel giorno.»

Sin dall’11/9 ci sono state speculazioni, e teorie del complotto. Cosa ha da dire ai telespettatori che sentono della sua ricerca e dicono “questa l’abbiamo già sentita, ci sono tante teorie del complotto”. Cosa direbbe per convincerli che questa è diversa?

«Penso che ci sia una sola teoria del complotto di cui valga la pena parlare, quella che riguarda i 19 dirottatori. Ritengo che i telespettatori debbano domandarsi quali prove abbiano visto a sostegno della teoria del complotto ufficiale. Se qualcuno ha visto delle prove, mi piacerebbe sentirlo in merito. Nessuno è stato formalmente incriminato. Nessuno è “wanted”. Il nostro lavoro dovrebbe portare a richiedere un’appropriata inchiesta criminale sugli attacchi terroristici dell’11/9, perché finora non c’è stata. La stiamo ancora aspettando. Noi speriamo che i nostri risultati saranno usati come una prova tecnica quando quel giorno verrà».

Niels Harrit, avvincente, grazie per essere intervenuto.

«È stato un piacere.»


di Pino Cabras

21 aprile 2009

Scoperto Echelon Italia

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Prove generali di stretto controllo telematico nei tribunali e Procure di tutta Italia. Genchi lo aveva capito: un grande orecchio e' in ascolto e con il nuovo Registro Generale Web l'operazione sara' completata. A realizzare gli apparati per conto di Via Arenula sono alcune big finite nelle inchieste Why Not e Poseidone. Ecco in esclusiva la storia vera dei protagonisti di questo inedito Echelon a Palazzo di Giustizia. Vicende che ci riportano lontano. Fino a misteri di Stato come la strage di Ustica ed il massacro di via D'Amelio.

C'erano una volta i rendez vous segreti nelle suite super riservate dei grandi alberghi. A Roma era l'Excelsior, a Napoli una fra le quattro-cinque perle del lungomare. Nella capitale ricevevano gli uomini di Licio Gelli - quando non direttamente il Venerabile in persona - per impartire quelle direttive stabilite in luoghi ancora piu' elevati che poi i diversi referenti, tutti d'altissimo rango (compresi capi dei governi e della magistratura)... dovevano portare avanti per orientare il corso della storia. Cos'altro era, per esempio, il summit che si tenne al largo di Civitavecchia sul panfilo Britannia della regina Elisabetta il 2 giugno del 1992, quando fu decisa quella colonizzazione selvaggia dell'Italia - attuata a suon di privatizzazioni senza soluzioni di continuita' prima da Prodi e poi da Berlusconi - di cui ancora oggi scontiamo gli effetti? E cos'altro fu a Napoli, dentro il prive' a un passo dal cielo con vista sul golfo, quella sorta di “tribunale preventivo” nel quale, al primo scoppio serio di Tangentopoli, nel 1993 vennero convocati i proconsoli democristiani e socialisti per imporre loro di accettare un lauto vitalizio dopo essersi accollati le malefatte giudiziarie dei rispettivi leader politici?

Piccoli squarci di luce sotto un velame oscuro che si e' fatto nel tempo sempre piu' plumbeo, ma anche piu' sofisticato grazie all'uso ardito e sapiente di tecnologie solo vent'anni fa impensabili. Cosi' a fine anni ottanta, mentre gli americani sperimentavano il controllo a tappeto dei miliardi di abitanti del pianeta collaudando la piu' straordinaria rete spionistica telematica che fosse mai stata immaginata - Echelon - prima solo in ambito militare, poi estesa anche ad usi civili, in Italia per decidere le sorti della giustizia ed incanalare il destino dei processi era ancora necessario ricorrere ad incontri vis a vis, sfruttando canali di mediazione come le agape massoniche o i pizzini orali, passati di bocca in bocca tra colletti bianchi e intermediari mafiosi.
Da tempo non e' piu' cosi'. Almeno da quando, una decina di anni fa, il controllo telematico dei palazzi di giustizia italiani ha cominciato a diventare una rete che avviluppa, scruta e controlla tutto, dai piani alti della Cassazione alla scrivania dell'ultimo cancelliere, dalle Alpi alla Sicilia. Dopo il monitoraggio minuto per minuto delle operazioni finanziarie - che avvengono ormai esclusivamente on line da un capo all'altro del mondo - ora qualcuno sta cercando di tracciare ed orientare definitivamente anche le sorti dell'intero sistema giudiziario nel Belpaese. Al punto che, a distanza di appena quattro-cinque anni dagli spionaggi alla Pio Pompa o alla Tavaroli, il quadro e' un altro: oggi non serve piu' spiare, basta entrare nella rete dalla porta giusta, mettersi in ascolto. E poi decidere.


Ne e' passata insomma di acqua sotto i ponti da quel quel luglio del 1992, quando per coprire errori ed omissioni nel massacro di Capaci si rese “necessario” far saltare in aria anche Paolo Borsellino con tutta la sua scorta, lasciandoci dietro, ancora una volta, tutta una serie di tracce insanguinate, piccoli e grandi particolari cartacei fatti sparire troppo in fretta, come l'agenda rossa, portata via clamorosamente sotto gli occhi di tutti dal colonnello Arcangioli solo pochi minuti dopo l'eccidio. Un sistema, del resto, quello della “pulizia totale”, che compare come un macabro rituale anche in omicidi di quel tempo, quale quello del giornalista antimafia Beppe Alfano, nel 1993, la cui figlia Sonia racconta di quegli autentici plotoni di polizia e carabinieri entrati per ore a devastare armadi e cassetti di una famiglia ammutolita da un dolore lancinante ed improvviso, alla ricerca di carte, documenti, fascicoli, «quasi che il criminale fosse mio padre - racconta oggi Sonia - ancora a terra in una pozza di sangue, e non coloro che lo avevano atteso per ammmazzarlo».
Quella volta pero', quel 19 luglio 1992, era gia' in azione un vicequestore siciliano che nell'uso delle tecnologie informatiche era piu' avanti delle stesse barbe finte nostrane, ancora costrette a perquisizioni, pulizie, furti per occultare le prove dei crimini di Stato. Quel vicequestore si chiamava Gioacchino Genchi. E la sua storia, i violenti tentativi di zittirlo e delegittimarlo fino all'annientamento (come la repentina sospensione dal corpo di Polizia, che ha fatto sollevare l'opinione pubblica in tutta Italia), ci fa ripiombare di colpo dentro l'Italia di oggi, in un Paese dove per uccidere uno o due magistrati non e' piu' necessario spargere sangue. Perche' a tutto pensa il grande Echelon del sistema giudiziario italiano, Che ha - come vedremo - nomi, volti e terminali ben precisi.


IL PADRE DI ECHELON

E partiamo da un uomo che Echelon ha confessato di averlo realizzato per davvero. O, almeno, ha ammesso di aver collaborato alla messa a punto del Grande Orecchio americano. Quest'uomo si chiama Maurizio Poerio, e' un imprenditore nei sistemi informatici ad altissima specializzazione e su di lui si soffermano a lungo i pubblici ministeri salernitani che indagavano sui loro colleghi della procura di Catanzaro, messi sotto accusa con una mole impressionante di rilevanze investigative raccolte dall'allora pm Luigi De Magistris grazie anche alla consulenza prestata da Gioacchino Genchi.
Un nome, Poerio, una scatola nera che racchiude mille misteri. Ma cominciamo dall'oggi. E cominciamo dalle tante verbalizzazioni nelle quali De Magistris a Salerno dichiara apertamente che potrebbe essere stato spiato, che tutta la sua attivita' investigativa era stata probabilmente - o quasi certamente - monitorata fin dall'inizio. Non attraverso gli 007 dei Servizi, ma in maniera semplice e naturale, vale a dire attraverso la societa' privata che gestisce i sistemi informatici dell'intero pianeta giustizia in Italia. Questa societa' e' la la CM Sistemi. Appunto. Con una potentissima e storica diramazione - la CM Sistemi Sud - proprio in Calabria, regione dalla quale la attuale corporate aveva avuto origine negli anni ottanta. Ma anche la regione dove questa societa' si aggiudica da sempre l'appalto per la “cura” degli uffici giudiziari. E in cui risiede il suo amministratore delegato: quella stessa Enza Bruno Bossio, moglie del plenipotenziario Ds Nicola Adamo ma, soprattutto, pesantemente indagata prima nell'inchiesta Poseidone (il bubbone avocato a De Magistris in circostanze ancora tutte da chiarire sul piano della legittimita') e poi in Why Not. Perche' del colosso CM Sistemi Maurizio Poerio e' una colonna portante, capace di tessere ed orientare i rapporti con la pubblica amministrazione - leggi in particolare Via Arenula - come e' scritto, fra l'altro, nell'indicazione specifica delle sue mansioni: “consigliere delegato ai rapporti istituzionali”.


Ma Poerio non e' solo un manager dell'ICT (Information and Communication Technology) prestato alla CM. Il suo ruolo, come dimostra la perquisizione di De Magistris presso i suoi uffici romani, va ben oltre. L'11 settembre del 2006, interrogato nell'ambito di Poseidone, l'imprenditore calabrese prova a prendere le distanze da quella societa', che appare gia' dentro fino al collo nell'inchiesta giudiziaria. «Conosco molto bene - affermava rispondendo ad una precisa domanda - Marcello Pacifico, presidente della CM Sistemi, societa' per la quale ho collaborato attraverso un contratto di consulenza professionale». Un tentativo estremo di prendere il largo: da buon commercialista (e' iscritto all'ordine di Catanzaro) Poerio sapeva bene che sarebbe bastata una semplice visura camerale a smentirlo. Della romana CM Sistemi spa, infatti, oltre un milione e mezzo di capitale nel motore, il manager calabrese e' a tutti gli effetti consigliere d'amministrazione, all'interno di un organigramma che risulta quasi identico a quello della sua costola meridionale, la stessa CM Sistemi Sud capitanata dalla Bruno Bossio. Perche' allora parlare di semplici “consulenze”? Il fatto e' che la faccenda si stava facendo complicata. Dal momento che per la prima volta quel grande orecchio invisibile capace di scrutare dentro tutti gli uffici giudiziari italiani stava dando segnali concreti della sua esistenza. E in gioco - cominciava a capire De Magistris, ma ne era ben consapevole da tempo lo stesso Poerio - non c'era solo la storia degli appalti pilotati a Procure e tribunali della Calabria (gara “regolarmente” aggiudicata per l'ennesima voltra alla CM Sistemi Sud), ma la credibilita' dell'intero pianeta giustizia nel nostro Paese, se non addirittura i destini del sistema Italia. E questo, soprattutto per due principali motivi.


E' il consulente del pubblico ministero De Magistris, Pietro Sagona, ad illuminare i pm salernitani su alcune circostanze a dir poco imbarazzanti che riguardano la CM Sistemi (siamo al 7 aprile 2008, ma Sagona riferisce particolari che evidentemente erano gia' ben noti a Poerio e company): «Nell'ambito degli accertamenti da me espletati e' emersa la rilevanza del consorzio Tecnesud, destinatario di un finanziamento pubblico gia' in fase di stipula della convezione con il Ministero delle Attivita' Produttive, non stipulato soltanto a causa della mancanza di uno dei cinque certificati antimafia richiesti e pervenuti relativo alla societa' Forest srl titolare di un'iniziativa consorziata ed agevolata. Il finanziamento era di sessanta milioni di euro complessivi, otto dei quali a carico della Regione Calabria, il residuo a carico dello Stato». Del consorzio faceva parte anche la CM Sistemi. Ma perche' alla socia Forest non era stato rilasciato il certificato antimafia? Risponde Sagona: «Presidente della Forest era tale avvocato Giuseppe Luppino, nato a Gioia Tauro il 5 marzo 1959, nipote di Sorridente Emilio, classe 1927, ritenuto organicamente inserito nella consorteria mafiosa dei Piromalli-Mole'». E non e' finita: «il predetto Luppino risultava esser stato denunciato per gravi reati quali turbata liberta' degli incanti, favoreggiamento personale, falsita' ideologica ed associazione per delinquere di stampo mafioso» e sottoposto a procedimento penale a Palmi.


Ricapitolando: la CM Sistemi, talmente affidabile da vincere la gara d'appalto per l'informatizzazione di tutti gli uffici giudiziari nella regione Calabria, sedeva nel consorzio Tecnesud accanto ad una sigla, la Forest, riconducibile ad una fra le piu' pericolose cosche della ‘ndrangheta.
Una circostanza allarmante. Ma non l'unica. In quello stesso, fatidico interrogatorio dell'11 settembre 2006 Poerio, per accrescere la propria credibilita' di manager in rapporti transnazionali, non manco' di aggiungere: «Mi sono occupato per conto della I.T.S. di una serie di progetti per l'utilizzo di tecnologie per le informazioni satellitari per uso civile, quale ad esempio il progetto Echelon negli Stati Uniti d'America e GIS in Italia». Di sicuro, insomma, Poerio era un personaggio che in fatto di “controllo a distanza” poteva considerarsi fra i massimi esperti mondiali.


I FRATELLI DEL RE.GE.

Fu probabilmente proprio allora che la sensazione di essere spiato divento' per De Magistris qualcosa di piu' d'una semplice impressione. Con elementi che nel tempo andavano ad incastrarsi come tessere di un mosaico per confermare quella ipotesi. Sara' lo stesso ex pm a raccontarlo piu' volte ai colleghi salernitani, come si legge in alcune pagine delle sue lunghe verbalizzazioni riportate per esteso nell'ordinanza di perquisizione e sequestro emessa a carico della Procura di Catanzaro.
Il 24 settembre del 2008 De Magistris contestualizza innanzitutto tempi e personaggi di quel “sistema” che aveva il suo terminale dentro il ministero della Giustizia, retto nel 2007 dall'indagato di Why Not Clemente Mastella. Ed arriva al collegamento fra quest'ultimo e la CM Sistemi. Ci arriva attraverso un altro carrozzone politico destinatario di enormi provvidenze pubbliche in Calabria, il consorzio TESI, del quale faceva parte la societa' della Bruno Bossio (e quindi di Poerio): sempre lei, la regina CM. «Personaggio che ritenevo centrale quale anello di collegamento tra il Mastella ed ambienti politici ed istituzionali, oltre che professionali, in Calabria ed anche a Roma - dichiara De Magistris - era l'avvocato Fabrizio Criscuolo, il cui nominativo emergeva anche nelle agende e rubriche rinvenute durante le perquisizioni effettuate nei confronti del Saladino (il principale inquisito di Why Not Antonio Saladino, ndr). Nello studio associato Criscuolo presta servizio quale avvocato anche Pellegrino Mastella, figlio dell'ex-ministro». Ma non basta. «Il predetto Criscuolo risulta aver coperto la carica di consigliere d'amministrazione della Aeroporto Sant'Anna spa, con sede in Isola Capo Rizzuto, il cui presidente era il professor Giorgio Sganga, coinvolto nelle indagini Poseidone e Why Not in quanto compariva nell'ambito della compagine della societa' TESI» in compagnia, appunto, della CM. Insomma, da Mastella a Criscuolo, da Criscuolo a Sganga fino a TESI, dove ritroviamo la CM e gli appalti negli uffici giudiziari. Compresa la realizzazione del RE.GE, vale a dire lo strategico Registro Generale centralizzato nel quale pm e gip sono tenuti a riversare tutte le risultanze del loro lavoro, ma anche ad anticipare le iniziative giudiziarie (perquisizioni, sequestri etc.) che andranno ad effettuare di li' a poco.
Altro trait d'union fra gli artefici del Grande Orecchio in Procura e l'allora titolare di Via Arenula lo si rintraccia seguendo la carriera del secondo figlio di Mastella, Elio. «Dalle attivita' investigative che stavo espletando - precisa De Magistris - era emerso che Elio Mastella era dipendente, quale ingegnere, nella societa' Finmeccanica, oggetto di investigazioni nell'inchiesta Poseidone, societa' interessata anche ad ottenere il controllo, proprio durante il dicastero Mastella, dell'intero settore delle intercettazioni telefoniche». Ma in Finmeccanica «si evidenzia anche il ruolo di Franco Bonferroni (legatissimo a piduisti come Giancarlo Elia Valori e Luigi Bisignani, ndr) gia' destinatario di decreto di perquisizione e coinvolto nelle inchieste Poseidone e Why Not, nonche' il genero del gia' direttore del Sismi, il generale della GdF Nicolo' Pollari». E dire Finmeccanica significava in qualche modo tornare a Maurizio Poerio, che proprio insieme a quella societa' aveva preso parte a numerosi progetti internazionali, in primis quello denominato “Galileo”.


IL NEMICO TI ASCOLTA

Il 16 novembre 2007 De Magistris dichiara di aver acquisito elementi sull'attivita' di “monitoraggio” che andava avanti ai suoi danni (e questo spiegherebbe fra l'altro anche il rincorrersi di strane “anticipazioni”, come quando il pm apprese dell'avocazione del fascicolo Poseidone dalla telefonata di un giornalista dell'Ansa dopo che, a sua totale insaputa, la notizia era addirittura gia' stata pubblicata da un quotidiano locale): «spesso ho avuto l'impressione di essere anticipato, e questo sia in “Poseidone che in Why Not; si e' verificato, cioe' proprio mentre... appena arrivo al punto finale, le indagini vengono sottratte. Poi... intervenivano le interrogazioni parlamentari, e arrivavano gli ispettori, e arrivavano le missive. Cioe' sempre o di pari passo, o qualche volta addirittura in anticipo su quelle che potevano essere poi le mosse formali successive».
Ma le “fughe di notizie”, una volta trovato il sistema per realizzarle, potevano anche essere sapientemente pilotate: «ad un certo punto - dice De Magistris ai colleghi di Salerno nelle dichiarazioni rese a dicembre 2007 - penso che sia stata utilizzata la tecnica di “pilotare” una serie di fughe di notizie per poi attribuirle a me. Si facevano avere notizie anche a giornalisti che avevo conosciuto in modo tale da attribuire poi a me il ruolo di “fonte” di questi ultimi. Per non parlare delle gravi e reiterate fughe di notizie sulle audizioni al Csm anche in articoli pubblicati dal Corriere della Sera e da La Stampa: perfino la mia memoria, depositata con il crisma del protocollo riservato, e' stata riportata, in parte, virgolettata».
E cosi', grazie allo stesso, collaudato “orecchio”, puo' accadere anche che, alla vigilia di importanti e riservatissimi provvedimenti cautelari, i destinatari siano gia' ampiamente informati e mettano in atto adeguate contromisure. E se il metodo funziona, perche' non adottarlo anche in altre Procure, come a Santa Maria Capua Vetere? Torniamo a fine 2007, ai giorni caldi che precedettero le dimissioni di Mastella, il ritiro della fiducia al governo da parte dell'Udeur e la conseguente caduta dell'esecutivo Prodi. «Taluni quotidiani nazionali - osserva De Magistris - hanno riportato fatti dai quali si evincerebbe che lo stesso senatore Mastella o ambienti a lui vicinissimi abbiano contribuito, forse anche con l'ausilio di soggetti ricoprenti posti apicali al Ministero della Giustizia, a far trapelare la notizia degli imminenti arresti da parte della magistratura di Santa Maria Capua Vetere, o che comunque fossero al corrente del fatto e si adoperassero per predisporre una “strategia difensiva”. Del resto resoconti giornalistici informano che il senatore Mastella avesse gia' pronto un “ricco” discorso in Parlamento ed il consuocero (Bruno Camilleri, cui stava per essere notificata un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, ndr), la sera prima, si fosse ricoverato in una clinica».


DA POSEIDONE A USTICA

Come abbiamo visto, l'Echelon del 2000 non e' piu' la creatura misteriosa messa in piedi negli anni della guerra fredda dai pionieri della tecnologia. Oggi le apparecchiature avvolgono in una rete invisibile praticamente tutti i palazzi di giustizia. Ed il controllo e' centralizzato. Ovvio, allora, che se si intende “gestire” questo sistema garantendosi ogni possibilita' di accesso occulto (la parola spionaggio a questo punto perde anche di senso) occorre poter contare su garanti fidati. Persone che, per il loro passato, offrano i massimi requisiti di affidabilita' e riservatezza. E torniamo a Maurizio Poerio, le cui origini ci conducono lontano nel tempo. Fino a quel 27 giugno del 1980 quando il DC 9 Itavia caduto nei mari di Ustica con 81 persone a bordo avrebbe dovuto mostrare agli occhi del mondo le attivita' di terrorismo internazionale messe in atto dal nemico numero uno degli americani, il leader libico Muammar Gheddafi. Un punto chiave dentro quelle complesse indagini (che ancora oggi attendono una risposta univoca sui mandanti) fu il piccolo aereo libico, un MIG, caduto in quelle stesse ore nel territorio di Villaggio Mancuso, sulla Sila, comune di Castelsilano, al quale l'inchiesta di Rosario Priore dedica alcune centinaia di pagine. Perche' dalla data precisa del suo abbattimento (deducibile anche dai frammenti presenti sul posto) discendeva tutta la ricostruzione dello scenario di guerra in atto quella notte nei cieli d'Italia. Di particolare rilevanza per le indagini il fatto che quel territorio era assai vicino alla base logistica dell'Itavia e degli F16 militari. Un luogo scottante, dunque. Tanto che anche il capitolo sull'impresa che si aggiudico' i lavori per la raccolta e lo stoccaggio dei frammenti del velivolo libico presenta ancora oggi molti punti oscuri. A cominciare dal fatto che quella ditta fu chiamata a trattativa privata. Ed era in forte odor di mafia.
Passano alcuni anni. Nel ‘93, nell'ambito del Gruppo Mancuso, nasce la Minerva Airlines. «La societa', di proprieta' di Maurizio Poerio - annotano i cronisti qualche anno piu' tardi - si propone di valorizzare l'aeroporto di Crotone, ridotto ad “aeroprato” dopo essere stato base di Itavia e degli F16 militari».
47 anni, nato a Catanzaro (e verosimilmente imparentato col catanzarese Luigi Poerio, classe 1954, ingegnere edile ed iscritto alla Massoneria), Maurizio Poerio si laurea in economia a Bologna, poi si butta nell'alimentazione del bestiame: torna in Calabria e rileva la Mangimi Sila, piattaforma di lancio per i vertici di Confindustria dove restera' a lungo (al pm De Magistris racconta, fra l'altro, dei suoi rapporti professionali e d'amicizia con l'attuale leader Emma Marcegaglia). Minerva Airlines viene dichiarata fallita dal tribunale di Catanzaro a febbraio 2004. E Poerio andra' a rivestire ruoli sempre piu' apicali nelle principali business company dell'ICT, proiettando al tempo stesso la “sua” CM Sistemi dentro il cuore degli uffici giudiziari italiani.


DA WHY NOT A VIA D'AMELIO

«Altro che Grande Orecchio nei computer di Giacchino Genchi - dice un esperto in riferimento alle accuse rivolte al principale consulente informatico di De Magistris - la verita' e' che la centrale di ascolto ha oggi i suoi terminali al Ministero, nei Palazzi di Giustizia. E che Genchi tutto questo lo aveva scoperto da tempo». Il tempo che basta per capire le tante, impressionanti ricorrenze tra fatti e personaggi delle attuali inchieste calabresi ed il contesto di omissioni ed omerta' dentro cui maturarono, nel 1992, la strage di via D'Amelio e le successive, tortuose indagini. Alle quali prese parte proprio Gioacchino Genchi.
E' stato lui ad indicare senza mezzi termini l'allucinante sequenza delle “similitudini”, senza tuttavia fornire ulteriori particolari. E allora proviamo a ricostruirne qualcuno noi.
Cominciando magari dai Gesuiti, da quella Compagnia delle Opere onnipresente nelle inchieste di Catanzaro (basti pensare alla figura centrale di Antonio Saladino) che all'epoca di Falcone e Borsellino era incarnata a Palermo da padre Ennio Pintacuda, fondatore del Cerisdi, il Centro Ricerche e Studi Direzionali con sede in quello stesso Castello Utveggio che sovrasta Palermo. E nel quale aveva una sede di copertura, nel ‘92, anche quell'ufficio riservato del Sisde che avrebbe rivestito una parte rilevantissima nella strage. Fino al punto che - secondo molte accreditate ricostruzioni - il telecomando che innesco' l'autobomba poteva essere posizionato proprio all'interno del castello. Pochi minuti dopo l'eccidio Genchi effettua un sopralluogo proprio sul monte Pellegrino, a Castello Utveggio. Si legge nella sentenza del Borsellino bis: «Il dr. Genchi ha chiarito che l'ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Utevggio era stata formulata come ipotesi di lavoro investigativo che il suo gruppo considerava assai utile per ulteriori sviluppi».
Oggi il Cerisdi svolge rilevanti attivita' formative su incarico della Pubblica Amministrazione, prime fra tutti la Regione Calabria e la citta' di Palermo. Suo vicepresidente (per il numero uno va avanti da anni la disputa e la poltrona risulta vacante) e' un penalista palermitano, Raffaele Bonsignore, difensore di pezzi da novanta di Cosa Nostra. Ma anche del “giudice ammazzasentenze” Corrado Carnevale.


Co-fondatore del Centro Studi era stato negli anni novanta l'allora presidente dc della Regione Sicilia Rino Nicolosi: se la sua era un'investitura di carattere politico, di tutto rilievo operativo nel Cerisdi risultava invece la figura del suo braccio destro Sandro Musco, che si occupava fra l'altro di rapporti istituzionali e con le imprese. Massone, docente di filosofia, Musco e' oggi tra i principali referenti dell'Udeur in Sicilia.
Mastella, ancora lui. Il suo nome ricorre, non meno di quello del pentito Francesco Campanella, che ritroviamo nelle carte di Why Not. Fu proprio Musco a consegnare nelle mani di Mastella, durante la convention di Telese del 2005, la lettera privata in cui Campanella si gettava ai piedi del leader: «Carissimo Clemente, ti scrivo con il cuore gonfio di tantissime emozioni, esclusivamente per ringraziarti di cuore poiche' nella mia vita ho frequentato tantissima gente e intrattenuto innumerevoli rapporti, tanti evidentemente errati. Sei l'unica persona del mondo politico che ricordo con affetto, con stima, con estremo rispetto, perche' sei sempre stato come un padre per me, e resta in me enorme l'insegnamento della vita politica che mi hai trasmesso. (...) Affido questa lettera a Sandro che tra i tanti e' una persona che nella disgrazia mi e' stata vicina. Sappi che ripongo in lui speranza e fiducia per quello che potra' darti in termini di contributo. È certamente una persona integra di cui potersi fidare».

Il 3 gennaio 2008 Luigi De Magistris chiarisce ai pubblici ministeri salernitani Gabriella Nuzzi e Dionigi Verasani le circostanze in cui compare il nome di Francesco Campanella nell'inchiesta Poseidone: «venni a sapere che poteva essere utile escutere il collaboratore di giustizia Francesco Campanella che ha ricoperto un importante ruolo politico in Sicilia e che risultava essere anche in contatto con esponenti politici di primo piano, in particolare dell'Udc e dell'Udeur. Tale collaboratore mi rilascio' significative dichiarazioni con riguardo al finanziamento del partito dell'Udc e le modalita' con le quali veniva “reinvestito” il denaro, dalla “politica”, in circuiti di apparente legalita'. Dovevo escutere il Campanella, persona affiliata alla massoneria - che si stava ponendo in una posizione di assoluta rilevanza nell'ambito dell'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra - del quale l'attuale Ministro della Giustizia e' stato testimone di nozze, in quanto aveva rilasciato all'autorita' giudiziaria di Palermo dichiarazioni con riguardo a presunte dazioni di denaro illecite con riferimento alle licenze Umts che vedevano, in qualche modo, coinvolti sia l'attuale Ministro della Giustizia Clemente Mastella che l'allora Presidente del Consiglio Massimo D'Alema».
Una circostanza che Mastella, quando era ministro della Giustizia, ha dovuto smentire in aula rispondendo alla domanda di un avvocato. Era Raffaele Bonsignore, vertice del Cerisdi. E difensore dell'imputato di Cosa Nostra Nino Mandala'.

da Rita Pennarola