05 maggio 2009

Caso derivati: banche sotto sequestro

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Fossero dotati di humour, adesso in Procura potrebbero parodiare una delle proverbiali intercettazioni cap­tate anni fa in tutt’altre indagi­ni economiche: «Abbiamo una banca!». Perché da ieri, in sen­so quasi letterale, la Procura di Milano ha davvero una banca (il 25% della spa italiana della tedesca Deutsche Bank), e an­che la sede di una banca (quel­la dell’americana Jp Morgan nel Palazzo Hoepli), e cespiti di una banca (conti per 8 milioni nella tedesca Depfa Bank, altre attività nella svizzera Ubs). Tut­ti beni che il giudice Giuseppe Vanore ha autorizzato il pm Al­fredo Robledo a sequestrare, per la prima volta in Italia, fino a un tetto di 92 milioni di euro per Jp Morgan e Depfa Bank, di 84 per Deutsche Bank, di 75 per Ubs: istituti indagati per truffa aggravata ai danni del Co­mune di Milano nella rinegozia­zione del debito di Palazzo Ma­rino con prodotti finanziari «derivati», cioè contratti per ge­stire il rischio di tasso d’interes­se.

Il sequestro preventivo, che raccoglie il lavoro del Nucleo di polizia tributaria della Gdf, poggia su una novità che, se reggerà al Tribunale del Riesa­me, potrebbe essere replicata in tutta Italia indipendente­mente dall’aleatorio andamen­to del mercato di questi prodot­ti finanziari piazzati a iosa dalle banche (per 35 miliardi di eu­ro) a 18 Regioni, 44 Province e 447 Comuni, con passività per lo Stato in 2 miliardi. L’idea di fondo, infatti, è che il primo raggiro delle banche al Comu­ne sia avvenuto quando, nella veste di consulenti, avrebbero violato la legge 448 del 2001 che subordina queste operazio­ni alla riduzione del valore fi­nanziario delle passività totali a carico dell’ente: al contrario, le banche avrebbero rinegozia­to il debito tacendo l’esistenza di un «derivato» stipulato dal Comune nel 2002 con Unicredi­to, che non poteva essere igno­rato perché onerosamente col­legato a mutui rinegoziati.

A ruota, le banche avrebbero praticato un secondo raggiro, stavolta nella struttura scelta per ammortare il debito del Co­mune sia nel 2005 (giunta Al­bertini) sia nel contratto dell’ot­tobre 2007 (già sotto la giunta Moratti). La regola è che, quan­do due parti stipulano un con­tratto derivato, devono essere nelle medesime condizioni e dunque il valore delle presta­zioni deve essere pari a zero; se così non è, chi è in vantaggio deve ricostituire in partenza l’equilibrio dando a chi è in svantaggio un pagamento pari alla differenza. Invece, nel rap­porto banche-Comune la strut­tura del contratto — secondo quanto calcolato dal consulen­te del pm, Gianluca Fusai — de­terminava già in partenza uno squilibrio tra i due contraenti, e cioè 52 milioni di euro di per­dita finanziaria a carico del Co­mune, dovuta a condizioni con­trattuali che avvantaggiavano già in partenza le banche: esat­tamente il contrario del vantag­gio di 55 milioni di euro che le banche rappresentavano inve­ce al Comune. E qui c’è la base del sequestro: la Procura assu­me infatti che questa perdita del Comune costituisca di per sé e subito un profitto per le banche talmente concreto e at­tuale che gli istituti lo iscrivo­no a bilancio come valore effet­tivo, lo possono vendere e com­prare, lo pongono a base di mu­tui.

Alle banche è addebitato un terzo raggiro: aver violato i doveri di correttezza imposti lo­ro proprio dalla legge inglese «Fsa» che esse avevano voluto regolasse i contratti con il Co­mune, e in particolare aver ma­novrato per spingerlo a rinun­ciare (senza che se ne avvedes­se) a tutta una serie di preziose protezioni contrattuali di cui avrebbe in teoria dovuto e po­tuto godere nella sua veste di ente pubblico territoriale.

Il Comune è parte lesa, ma le 4 banche e i loro 12 manager già da mesi sotto inchiesta so­no indagati in concorso con due ex manager comunali: il di­rettore generale nell’era Alberti­ni, Giorgio Porta, al quale sono sequestrate (fino a teorici 81 milioni) una casa a Milano e una a Courmayeur, e l’allora componente della Commissio­ne tecnica Mauro Mauri, che ve­de sotto sigilli (per teorici 52 milioni) la sua quota di una ca­sa in Lomellina.

Luigi Ferrarella

Gli USA abbandonano Israele sull’Iran?

MIDEAST ISRAEL OBAMA
Le minacce di guerra israeliane contro l'Iran incontrano l'opposizione rigida degli Stati Uniti, e la nuova amministrazione pensa all'imposizione di sanzioni a Tel Aviv. Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e la segretaria di stato Hillary Clinton stanno pensando a un programma per l’applicazione di sanzioni contro Israele, se il governo di destra di Benjamin Netanyahu attua la sua politica, a lungo desiderata, di rispondere alle attività nucleari dell’Iran prendendo provvedimenti militari contro il paese.

Secondo un rapporto di RIA Novosti, la Casa Bianca di Obama è in rotta di collisione con i datati programmi israeliani per lanciare un attacco militare all'infrastruttura nucleare iraniana. Washington favorisce le misure diplomatiche - almeno finché l’amministrazione Obama crede che ci sia lo spazio per il perseguimento dei suoi piani per ‘agganciare diplomaticamente’ l'Iran sul suo programma nucleare.

Il presidente Obama sta compiendo degli sforzi per mettere in pratica l’idea che l'America dovrebbe comunicare con i suoi avversari, come l'Iran, la Siria, la Korea di Nord ed il Venezuela. Tuttavia, da quando il duro Primo Ministro Netanyahu è salito in carica, in Israele si diffondono le voci di un possibile attacco alle centrali nucleari dell’Iran, se gli Stati Uniti non riescono a realizzare dei progressi nei colloqui con l'Iran.

Mercoledì mattina, il comando del fronte interno d’Israele ha annunciato i programmi per mobilitare l'esercito israeliano, così come il pubblico, per tenere il 2 giugno la più grande esercitazione militare della sua storia. Il capo del reparto per la popolazione del comando del fronte interno d’Israele, colonnello Hilik Sofer, ha detto che tenere le esercitazioni militari per una settimana "trasformerà la popolazione d’Israele da passiva ad attiva… Vogliamo che i cittadini capiscano che la guerra può esplodere domani mattina."

All’inizio di marzo, il Primo Ministro israeliano di estrema destra, Netanyahu, ha dato l'allarme circa un grande conflitto militare per i prossimi mesi. Secondo Debka, che si crede sia collegato molto strettamente con l'agenzia spionistica israeliana Mossad: "E’ sua opinione che Israele potrebbe essere coinvolto in un grande confronto militare, nei prossimi mesi, con l'Iran, Hamas o Hezbollah - o tutte tre assieme."

Le minacce esplicite di guerra all’Iran di Netanyahu, sono componenti della sua politica di massima priorità: "l’arresto del programma nucleare dell’Iran, e di ciò che vede come la sua ambizione a dominare la regione", e sono in contrasto radicale con i metodi del più potente alleato d’Israele - gli Stati Uniti.

Nel tentativo di convincere Israele sulla nuova politica degli Stati Uniti verso l’Iran, la segretaria di stato ha detto, questa settimana, che l’amministrazione Bush ha fallito negli otto anni di tentativi d’isolare totalmente l'Iran. "La politica di Bush non ha ostacolato l'Iran nella sua ambizione ad acquisire armi nucleari ed a sostenere le organizzazioni terroristiche Hezbollah e Hamas", ha detto la Clinton.

La nuova mossa degli Stati Uniti contro le minacce israeliane di guerra all'Iran, avviene dopo che il vice-presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha avvertito il governo di Netanyahu, in Israele, che una qualsiasi azione militare per provare a colpire gli impianti nucleari dell’Iran, sarebbe "incauta".

Il segretario della difesa degli Stati Uniti Robert Gates, da parte sua, ha avvertito che qualsiasi attacco israeliano all'Iran avrebbe conseguenze pericolose. Un attacco all'Iran "cementerà la sua determinazione ad avere un programma nucleare ed, inoltre, rafforzerà nell'intero paese un odio eterno contro chiunque lo colpisca", ha ammonito Gates.
by erasia

04 maggio 2009

La decifrazione del potere, oggi



Meyssan-ThierryIntervista a Thierry Meyssan di Alain Soral - «Égalité et Réconciliation»

Megachip propone all’attenzione dei lettori un’intervista a Thierry Meyssan, giornalista e attivista politico francese, attualmente residente in Libano da “rifugiato”. Le sue valutazioni si basano su alcune fonti di facile verificabilità, altre meno, ma rimangono un punto di vista originale sui protagonisti in campo nella Grande Crisi. Nel suo quadro prevalgono le tinte fosche per descrivere la mediazione in seno al sistema politico americano che ha lanciato Obama e ora lo avviluppa. Ma non c’è mai da aspettarsi che il presidente USA emerga da un processo rivoluzionario. È semmai al centro di intrecci molto complessi e anche drammatici, come la fase storica che stiamo attraversando. Anche se liquidare il giudizio su Obama ci appare prematuro, leggiamo comunque con attenzione l’analisi di Meyssan, che descrive lucidamente alcuni scenari poco noti.

E&R : Thierry Meyssan, non la si vede più in Francia, cosa le è successo?

Thierry Meyssan : Vivo attualmente in Libano. Dopo l’arrivo al potere di Nicolas Sarkozy, sono stato direttamente minacciato da alti funzionari francesi. Amici al ministero della difesa, mi hanno informato che gli Stati Uniti mi considerano un pericolo per la loro sicurezza nazionale. Nel quadro della NATO, hanno chiesto ai servizi combinati di neutralizzarmi ed alcuni francesi sembravano volerlo fare con zelo. Ho dunque preso la decisione non soltanto di lasciare la Francia, ma la zona NATO. Dopo avere errato da Caracas a Damasco passando per Mosca, mi sono fermato a Beirut dove mi sono messo al servizio della resistenza.

E&R : Su cosa lavora attualmente?

Thierry Meyssan : Lavoro su un libro d’analisi dell’amministrazione Obama, le sue origini, la sua composizione, i suoi progetti, ecc. una prima edizione, limitata ad alcune copie, sarà indirizzata ad alcuni leader il mese prossimo. Quindi un’edizione per il grande pubblico sarà pubblicata in diverse lingue in autunno. Vivo esclusivamente della mia penna e collaboro a giornali o riviste nel settore della politica internazionale, il Vicino-Oriente e la Russia.

E&R : Quale analisi fa dell’evoluzione della politica americana?

Meyssan-ThierryThierry Meyssan : Oggi si ha un consenso relativo sulla constatazione del fallimento della politica di Bush, il superdispiegamento militare, le conseguenze nocive dell’unilateralità nelle relazioni con gli alleati e la perdita della leadership. A partire dal 2006, James Baker e Lee Hamilton, che presiedevano una commissione creata dal congresso per valutare la strategia in Iraq, hanno militato a favore di un ritorno ad una posizione più prudente. Hanno raccomandato un ritiro dall’Iraq ed un cauto ravvicinamento con i paesi confinanti (Siria, Iran) indispensabile per evitare che la partenza dei GI si muti in una rovina, come in Vietnam. Hanno fatto cadere la testa di Donald Rumsfeld, e hanno imposto un membro della loro commissione, Robert Gates, a succedergli. Ma se hanno congelato la politica “di rimodellamento del grande Medio Oriente”, non sono riusciti a fare dimettere George Bush e Dick Cheney; ragione per cui è stato necessario organizzare una rottura con Barack Obama.
In realtà Obama era stato lanciato nella corsa al senato federale ed alla presidenza fin dal 2004. Ha fatto la sua entrata in scena in occasione della convenzione democratica per il conferimento del mandato a John Kerry. Non era che un parlamentare oscuro dell’assemblea dell’Illinois, ma era già inquadrato e guidato da Abner Mikva e dai suoi uomini (Jews for Obama) e sostenuto dalla finanza anglosassone (Goldman Sachs, JP Morgan, Exelon…). Le multinazionali si preoccupano di perdere quote di mercato a causa dell’aumento dell’antimperialismo (Business for Diplomatic Action), i partigiani della Commissione Baker-Hamilton, i generali in rivolta contro le avventure sregolate dei neo-conservatori, ed altri ancora, si sono gradualmente uniti a lui. I francesi credono, spesso, che il presidente degli Stati Uniti sia eletto al secondo grado dai grandi elettori. È falso. È eletto da un collegio i cui membri sono designati dai maggiorenti. Nel 2000, la Corte suprema ha ricordato che il voto dei cittadini era soltanto consultivo e che il governatore della Florida poteva nominare i delegati del suo Stato al collegio elettorale presidenziale, senza attendere lo spoglio generale delle schede.
In questo sistema oligarchico, c’è un partito unico con due correnti: i repubblicani ed i democratici. Giuridicamente, non formano entità distinte. Così, sono gli stati che organizzano le primarie, non gli pseudo-partiti. Non c’è dunque nulla di sorprendente se Joe Biden e Barack Obama sia entrambi vecchi amici di John McCain. Così McCain, che presiede l’istituto repubblicano internazionale, un organo del dipartimento di Stato incaricato di corrompere i partiti di destra nel mondo; mentre Obama lavora nell’ambito dell’istituto democratico nazionale, presieduto da Madeleine Albright ed incaricato della corruzione dei partiti di sinistra. Insieme, Obama, McCain ed Albright hanno partecipato alla destabilizzazione del Kenia, nel corso di un’operazione della CIA per imporre un cugino di Obama come primo ministro.
Tutto ciò per dire che Obama non viene dal nulla. È uno specialista dell’azione segreta e della sovversione. È stato reclutato per fare un lavoro ben preciso. Se gli obiettivi della coalizione eteroclita che lo sostiene sono globalmente gli stessi, non esistono consensi nel dettaglio tra le sue componenti. Questo spiega la battaglia incredibile alla quale hanno dato luogo le nomine, e l’aspetto sempre equivoco dei discorsi di Obama.

Quattro poli sono in battaglia:

Il polo della difesa, attorno a Brent Scowcroft, e ai generali oppositori di Rumsfeld e certamente di Robert Gates, oggi il vero padrone a Washington. Raccomandano la fine della privatizzazione dell’esercito, un’uscita “onorevole” dall’Iraq, ma la prosecuzione dello sforzo statunitense in Afganistan, per non dare l’impressione della rotta, e infine un accordo con gli iraniani ed i siriani. Per loro, la Russia e la Cina restano concorrenti che occorre isolare e paralizzare. Affrontano la crisi finanziaria come una guerra durante la quale perderanno dei programmi d’armamento e diminuiranno le dimensioni delle forze armate, ma devono mantenere una superiorità relativa. Poco importa se perdono in potenza, se restano i più forti.

I dipartimenti del Tesoro e del Commercio, attorno a Tim Geithner e Paul Volcker, protetti da Rockefeller. Sono seguaci della Pilgrim’s Society (Mont Pélerin Society - - Società del Monte Pellegrino) e sono sostenuti dal Gruppo dei Trenta, dal Peterson Institute e dalla Commissione Trilaterale. Sono sostenuti anche dalla regina Elisabetta II e vogliono salvare allo stesso tempo Wall Street e City. Per loro la crisi è un duro colpo poiché i redditi delle oligarchie finanziarie sono in caduta libera, ma è soprattutto l’agognata occasione per concentrare il capitale e per fare ristagnare le resistenze alla globalizzazione. Sono obbligati a ridurre temporaneamente il loro tenore di vita per non suscitare rivoluzioni sociali, ma possono simultaneamente arricchirsi riacquistando infrastrutture industriali per un boccone di pane. A lungo termine, hanno il progetto di instaurare - non un’imposta mondiale sul diritto di respirare, sarebbe grossolano, ma una tassa globale sulla CO2 ed una borsa dei diritti d’emissione, cosa che fornisce un ritorno, sembrando un discorso ecologico. Contrariamente al Pentagono, militano per un’alleanza con la Cina, soprattutto grazie al fatto che detiene il 40% dei buoni del tesoro USA, ma anche per impedire l’emergere di un blocco economico estremo-asiatico centrato sulla Cina, accaparrandosi le materie prime africane.

Il polo del dipartimento di Stato attorno a Hillary Clinton, una cristiana fondamentalista, membro di una setta molto segreta, la Fellowship Foundation (detta “La Famiglia”). È il rifugio dei sionisti, l’ultima riserva dei neo-conservatori in via di estinzione. Raccomandano un sostegno incondizionato ad Israele, con una punta di realismo, poiché sanno che l’ambiente è cambiato. Non sarà più possibile bombardare il Libano come nel 2006, poiché Hezbollah dispone ora di armi antiaeree efficienti. Non sarà più possibile penetrare a Gaza, come nel 2008, poiché Hamas ha acquisito i missili anticarro Kornet. E se gli Stati Uniti hanno difficoltà a pagare le fatture di Tel-Aviv, è poco probabile che i Sauditi possano compensarvi a lungo termine. Occorre dunque guadagnare tempo, se è il caso con alcune concessioni, e trovare un’utilità strategica ad Israele. La principale missione della signora Clinton è migliorare l’immagine degli Stati Uniti, neanche facendo relazioni pubbliche (cioè giustificando la politica di Washington), ma con la pubblicità (cioè elogiando le qualità reali o immaginarie del modello USA). In questo contesto, i sionisti dovrebbero spingere il progetto Korbel-Albright-Rice volto alla trasformazione dell’ONU in una vasta tribuna impotente e alla creazione di un’organizzazione concorrente, la Comunità delle Democrazie, sostenuta dal suo braccio armato, la NATO. Attualmente, sono occupati a sabotare la conferenza di Durban II che, anziché celebrare “la sola democrazia del Vicino-Oriente”, denuncia il regime di segregazione al potere a Tel-Aviv. Con il segretario di Stato aggiunto, James Steinberg, vedono la crisi finanziaria come un Blitzkrieg. Ci sarà molto danno, ma è il momento di distruggere i concorrenti e prendere di sorpresa le leve di comando. Il loro problema non è accumulare ricchezze con acquisti e fusioni, ma imporre i loro uomini ovunque nel mondo, nei ministeri delle finanze ed alla testa degli istituti bancari.

Infine il Consiglio nazionale di sicurezza su cui esercita influenza Zbignew Brzezinski, che fu il professore di Obama alla Columbia. Il consiglio dovrebbe abbandonare il suo tradizionale ruolo di coordinamento per diventare un vero centro di comando. È diretto dal Generale Jones, che è stato comandante supremo della NATO e ha battezzato l’Africa Command. Per loro, la crisi finanziaria è una crisi della strategia imperiale. È l’indebitamento faraonico sottoscritto per finanziare la guerra in Iraq che ha precipitato il crollo economico degli Stati Uniti. Contrariamente al 1929, la guerra non sarà la soluzione, è il problema. Occorre dunque condurre tre azioni simultanee: forzare i capitali a rientrare negli Stati Uniti distruggendo i paradisi fiscali concorrenti e destabilizzando le economie dei paesi sviluppati (come è stato provato in Grecia); mantenere l’illusione della potenza militare USA proseguendo l’occupazione dell’Afganistan; e soffocare le alleanze nascenti tra Siria-Iran-Russia e, soprattutto, Russia-Cina (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai). Il Consiglio privilegerà ogni forma d’azione clandestina, per dare al Pentagono il tempo necessario per la sua riorganizzazione.

Obama prova a soddisfare tutti, da qui la confusione ambientale.

E&R : Come vede evolvere la situazione nel Vicino-Oriente nei confronti di questa nuova amministrazione?

Thierry Meyssan : C’è consenso su un punto: Washington deve fare abbassare la tensione in questa regione, senza peraltro abbandonare Israele. Due opzioni sono sul tavolo, ma indipendentemente da quella che sarà attuata, è necessario che siano firmate dalle correnti più radicali. È per questo che Washington ha incoraggiato un governo Netanyahu-Lieberman in Israele e lascerà Hamas e Hezbollah vincere le prossime elezioni nei territori palestinesi ed in Libano.
Il primo scenario, immaginato da Zbignew Brzezinski prevede il riconoscimento simultaneo di uno Stato palestinese e la naturalizzazione dei profughi palestinesi nei paesi in cui si trovano. Con grandi quantità di denaro elargito per compensare gli stati che adottano i profughi e per sviluppare Gaza e la Cisgiordania. Inoltre, il mantenimento di questa pace sarebbe garantito da una forza d’interposizione della NATO, sotto mandato dell’ONU. Questo piano ha il sostegno di Nicolas Sarkozy.
Il secondo approccio è più duro per i due protagonisti. Raccomanda di forzare gli israeliani ad abbandonare le loro rivendicazioni più esagerate; mentre obbligherebbe i palestinesi a considerare la Giordania come la loro patria naturale. Sarebbe una pace più economica per Washington e realizzabile a lungo termine, anche se sarebbe difficile d’accettare per gli uni e per gli altri ed implicherebbe, en passant, la fine della monarchia hashemita. Questa formula è in particolare sostenuta dall’ambasciatore Charles Freeman, che la lobby sionista ha appena costretto a dimettersi della presidenza del Consiglio Nazionale dell’Intelligence, ma che dispone di solidi appoggi nell’apparato dello Stato.

E&R : Secondo lei, quale formula s’imporrà?

Thierry Meyssan : Nessuna, perché la crisi economica sarà di una tale ampiezza che condurrà, a parer mio, allo smembramento degli Stati Uniti e alla fine dello Stato d’Israele. Washington dovrà rivedere di nuovo al ribasso le sue ambizioni. Probabilmente si piegherà al mantenimento dello status quo. La sua azione si limiterà ad impedire ai nuovi attori di prendere il suo posto.

E&R : Cosa prevede a titolo personale?

Thierry Meyssan : Cinque milioni di ebrei, nove milioni di palestinesi, e le altre popolazioni della Palestina, devono trovarsi nell’ambito di uno Stato unico, basato sul principio “un uomo, un voto”. È del resto a parer mio la sola soluzione per evitare l’espulsione degli ebrei. Occorre ricordarsi della segregazione in Sudafrica, che secondo alcuni, la sua messa in discussione avrebbe causato l’espulsione o la distruzione dei bianchi. Si conosce il seguito. La morte di Arafat non è un ostacolo, poiché vi sono altri Mandela in Palestina. Il vero problema è trovare un De Clerk israeliano. Hamas sosterrebbe senza dubbio tale soluzione, poiché avrebbe l’approvazione del popolo. Più si rimandano le scadenze, più si rende difficile una soluzione pacifica. La CIA studia, del resto, lo scenario catastrofico di una sollevazione sanguinosa che caccerebbe 2 milioni di ebrei verso gli Stati Uniti.

E&R : E secondo lei, la Siria e l’Iran? Pensa che la guerra sia possibile?

Thierry Meyssan : Non penso che gli accordi segreti conclusi tra i militari USA, la Siria e l’Iran siano rimessi in discussione: gli Stati Uniti ne non hanno né i mezzi né, tantomeno, la volontà. In primo luogo, sanno che la minaccia nucleare iraniana è un’intossicazione fabbricata dopo che avevano inventato le armi di distruzione di massa irachene. D’altra parte, l’Imam Khomeiny aveva condannato come immorali la fabbricazione e l’impiego della bomba atomica, e non si vede quali gruppi sarebbero capaci, in Iran, a superare tale ordine. In secondo luogo, la politica di George Bush ha spinto Teheran e Damasco nelle braccia di Mosca che prepara, del resto, una grande conferenza internazionale sulla pace nel Vicino-Oriente. È ormai una priorità per Washington smantellare quest’alleanza nascente e tentare di riportare l’Iran e la Siria nella sua orbita. È certamente probabile che questi ultimi faranno alzare le offerte e si permetteranno di oscillare da un lato o dell’altro. Infine, gli Stati Uniti hanno la sensazione dell’urgenza. La loro economia crolla e forse non avranno per molto la possibilità di difendere Israele a questo prezzo. Tanto più che Tsahal non è più ciò che era. L’esercito israeliano non è più invincibile. Ha accumulato fallimenti in Libano, a Gaza ed anche, non lo si dimentichi, in Georgia.

E&R : Lei vive, come abbiamo visto, in Libano; quale è la situazione laggiù?

Thierry Meyssan : L’Alleanza Nazionale raccolta attorno alla Corrente Patriottica Libera di Michel Aoun ed a Hezbollah di Hassan Nasrallah vincerà le prossime elezioni, senza dubbio, se possono tenersi liberamente. La famiglia Hariri sopravviverà solo finché le grandi potenze conteranno su di essa per prelevare imposte e fare pagare al popolo il debito estero del Libano, proprio quando questa proviene, per metà, dell’arricchimento illecito degli Hariri. Il criminale di guerra Walid Joumblatt - vicepresidente dell’Internazionale Socialista, e scusate se è poco, o anche i neo-fascisti come l’assassino patologico Samir Geagea, saranno liberati dai loro sponsor. Questi sgherri hanno perso la loro efficacia e non sono più presentabili.
Il tribunale speciale per il Libano, incaricato di istruire la causa Hariri e diversi altir assassini politici, o si farà dimenticare, o darà luogo ad un coup de théâtre. È stato concepito come una macchina per accusare la Siria, metterla al bando della Comunità internazionale e designarla come obiettivo militare. So che nuove prove sono giunte nelle ultime settimane. Discolpano la Siria e mettono l’Arabia Saudita alla sbarra. Spetta a questa aula valutare la ripresa del controllo dell’Arabia Saudita da parte di re Abdallah e il licenziamento dei ministri che hanno finanziato la lotta contro Hezbollah ed Hamas.
Per ritornare alle elezioni legislative libanesi di giugno, la questione è sapere se ci si orienta verso una vittoria della resistenza al 55 o al 70%. Ciò dipenderà principalmente dalla comparsa o meno, di una nuova forza scissionista cristiana raccolta attorno al presidente Suleiman. In definitiva, i collaboratori degli Stati Uniti e d’Israele negozieranno, forse, un compromesso finché sono nella posizione di farlo. Ci si dirigerebbe allora verso la designazione di un miliardario come primo ministro (Saad Hariri o un altro), ma alla testa di un governo interamente controllato dalla resistenza nazionale. Sarebbe una formula molto orientale: gli onori e la luce per i perdenti, mentre il vero potere resterebbe nell’ombra. L’interesse di questa soluzione sarebbe delegittimare ogni intervento militare contro il Libano.

E&R : Ormai è molto conosciuto in Russia, dove ha raccolto quasi 30 milioni di telespettatori in occasione della trasmissione sull’11 settembre. Come valuta la situazione della Russia?

Thierry Meyssan : Paradossalmente, nonostante la vittoria militare e diplomatica in Georgia, la Russia attraversa un passaggio difficile. Dopo la guerra del Caucaso, le banche anglosassoni hanno incoraggiato gli oligarchi a punire Mosca, muovendo i loro capitali verso Ovest. Quindi, gli anglosassoni hanno spinto i dirigenti ucraini a tradire il loro interesse nazionale e tagliare i gasdotti in occasione dei negoziati sui prezzi. Il Cremlino, che credeva di essere padrone del gioco e d’avere l’iniziativa di questi tagli, s’è fatto intrappolare. La perdita del fatturato di due mesi ha divorato le riserve monetarie. Il tutto ha causato una caduta rovinosa del rublo, mentre la crisi mondiale fa abbassare il prezzo delle materie prime e dunque i redditi della Russia.
Medvedev e Putin hanno valutato questa situazione di debolezza con molto sangue freddo. Conoscono i vantaggi di cui dispongono, in particolare la superiorità tecnologica della loro industria degli armamenti su quella degli Stati Uniti. Sono convinti che gli Stati Uniti non si riprenderanno dalla crisi, ma si porranno, a medio termine, come il Patto di Varsavia e l’URSS degli anni 1989-1991. Sperano dunque di invertire i ruoli.
Nonostante il periodo di vacche magre, equipaggiano le loro forze armate con nuovi materiali, ed aspettano senza agitarsi il crollo dell’Ovest. Pubblicamente o di nascosto, secondo i casi, riforniscono con le armi più recenti disponibili, tutti gli avversari degli Stati Uniti, dal Vicino-Oriente, come ho appena detto, al Venezuela. Economicamente, hanno fatto la scelta di costruire rotte commerciali verso la Cina, più che verso l’Europa occidentale, di cui osservo con rammarico il controllo ostinato degli anglosassoni. Questa situazione può avere importanti conseguenze sul piano interno, dove si affrontano la vecchia e la nuova generazione. I vecchi hanno un forte tropismo americano, mentre i giovani mostrano patriottismo. Paradossalmente, le élite di San Pietroburgo sono storicamente favorevoli ad un ancoraggio europeo della Russia, al contrario dei Moscoviti, la cui visione è più eurasiatica. Ma Putin e Medvedev, tutti due di San Pietroburgo, condividono questa visione eurasiatica. Sognano la Russia come protettore dell’Islam, che è entrata, come osservatore, nell’Organizzazione della Conferenza Islamica. Pur valorizzando il patriarcato ortodosso, hanno messo dei musulmani in numerosi posti di alta responsabilità, in contrasto con la Francia è ovvio.
Anche se il trauma dello smantellamento della Jugoslavia e delle due guerre di Cecenia resta alto, e l’onda del razzismo che ne è seguita non è ancora controllata, la Russia ha fatto la scelta di civiltà ed ha preso il cammino della sintesi tra l’Europa e l’Asia. Se la Russia riesce ad attraversare, nei prossimi anni, tutte le gravi turbolenze internazionali senza esserne troppo influenzata, si troverà nella posizione dell’arbitro in un mondo multipolare.

E&R : Continuiamo questo interessante giro del mondo geopolitico con la Cina… Mi interrogo sulla loro strategia. Perché questi acquisti massicci di buoni del tesoro USA?

Thierry Meyssan : Pechino ha preso l’iniziativa di un ravvicinamento con Mosca attraverso l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Molti contenziosi sono stati saldati. In cambio, i Russi hanno accettato di vendere ai cinesi l’energia a una tariffa preferenziale ed hanno chiesto un controllo più rigoroso dell’emigrazione cinese in Siberia. La logica avrebbe voluto che i due grandi si rafforzino mutuamente rifiutando il dollaro come valuta di scambio internazionale. Ma a Pechino ripugna a scegliere il suo campo e non vuole irritare Washington. I cinesi conducono una strategia morbida di rafforzamento delle loro alleanze globali. Ciò mi sembra alquanto strano, poiché ciò potrebbe costare loro caro. Gli USA potrebbero trascinarli nel loro prevedibile crollo.
Au passage, permettez-moi de dire mon agacement face à la stupide dénonciation des violations des Droits de l'homme en Chine. Ils sont sans aucun doute possible beaucoup mieux respectés par Pékin que par Washington—ce qui n'est pas une excuse pour ne pas s'améliorer, mais relativise ces accusations—. Et qu'on arête de dire que le Tibet a été annexé par la Chine en 56, alors qu'il a été repris par les communistes chinois aux Chinois de Tchang Kaï-Chek.
En passant, mi permetta di dirle della mia irritazione di fronte alla stupida denunzia sulle violazioni dei diritti dell’uomo in Cina. Sono senza alcun possibile dubbio molto meglio rispettati da Pechino che da Washington, il che non è una scusa per non migliorarsi, ma relativizza queste accuse. E che ci si ferma dal dire che il Tibet è stato annesso dalla Cina nel 1956, mentre è stato ripreso dai comunisti cinesi ai cinesi di Chang Kai-shek.

E&R : Una parola sul Sudamerica prima di ritornare sulla Francia?

Thierry Meyssan : Oltre alla tendenza all’unificazione, si sono affermate delle strategie di fronte all’imperialismo. Ma l’indebolimento continuo degli Stati Uniti crea una nuova situazione e può incitare alcuni a scoprire le proprie carte. La preoccupazione della protezione delle economie nazionali ritorna in primo piano. Paradossalmente, gli stati che soffrono per le sanzioni sono meglio armati per resistere alla crisi. È in particolare il caso di Cuba, del Venezuela, della Bolivia o dell’Ecuador – così come è il caso della Siria e dell’Iran nel Vicino-Oriente. Garantisco che nuove istituzioni nazionali si svilupperanno, parallelamente alla Banca del Sud. È la rivalsa della Storia.

E&R : La Francia infine, o più esattamente la Francia di Sarkozy…

Thierry Meyssan : La Francia è una vecchia nazione che non si può manovrare in qualsiasi direzione. Ha un passato glorioso e s’identifica con un ideale. Spesso se ne allontana, ma sempre vi ritorna. Attraversa oggi un cattivo periodo, poiché è governata “dal partito dello straniero”. I suoi dirigenti fanno la scelta peggiore, nel periodo peggiore. Hanno deciso di mettere l’esercito agli ordini della NATO, concretamente sotto quello del Generale Bantz J. Craddock, il criminale che creò il centro di tortura di Guantanamo. E questo tradimento, è stato deciso nel momento in cui gli Stati Uniti affondano nella crisi. Mettono la Francia al rimorchio di una barca che affonda, col rischio di trascinarla nel suo naufragio. Il loro servilismo non li spinge soltanto a rendere vassalle le forze armate, ma anche a trasformare a fondo la società francese, per clonarla “sul modello” americano. È vero nel settore economico, con la rimessa in discussione dei servizi pubblici, ma anche nei settori della giustizia o dell’istruzione, della discriminazione positiva e avanti di questo passo.
Sarkozy non è né di destra, né di sinistra, ma imita gli yankee. Come ho spiegato in modo dettagliato in un dossier della rivista russa Profil’ [1], soddisfa tre forze: gli anglosassoni, la mafia e la banca Rothschild. Questa gente è cosciente, da molti anni, della dispnea degli Stati Uniti e pensa di garantire il potere dell’oligarchia finanziaria globale riequilibrando l’impero: avrebbe due pilastri, uno statunitense e uno europeo, mentre il Regno Unito sarebbe la cerniera. È questo il progetto servito da Nicolas Sarkozy fin dalla sua elezione. È lui che ha lo condotto a rompere l’asse franco-tedesco per avvicinarsi agli inglesi, e che quindi l’ha condotto a proporre diverse riorganizzazioni dell’Unione europea, in particolare la creazione di un governo economico. Questo avrà la conseguenza di renderci molto più vulnerabili alle convulsioni USA.
Tuttavia, la Francia è sempre ben attesa, e non soltanto nel mondo francofono. Siamo un paese fuori norma che ha proclamato la sovranità popolare. Si sottovaluta completamente, in Francia, il livello di ridicolo di Nicolas Sarkozy e della sua cricca agli occhi del resto del mondo. Sarkozy appare come un vanitoso esagitato, un instabile farcito di tic, che fa la mosca cocchiera in tutti i possibili conflitti internazionali, e che serve, a sue spese, da pesce-pilota nei mutamenti dell’umore di Washington.
Ricostruire un’alternativa, ahimè, richiederà tempo, ma non è una ragione per rinunciarvi.

05 maggio 2009

Caso derivati: banche sotto sequestro

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Fossero dotati di humour, adesso in Procura potrebbero parodiare una delle proverbiali intercettazioni cap­tate anni fa in tutt’altre indagi­ni economiche: «Abbiamo una banca!». Perché da ieri, in sen­so quasi letterale, la Procura di Milano ha davvero una banca (il 25% della spa italiana della tedesca Deutsche Bank), e an­che la sede di una banca (quel­la dell’americana Jp Morgan nel Palazzo Hoepli), e cespiti di una banca (conti per 8 milioni nella tedesca Depfa Bank, altre attività nella svizzera Ubs). Tut­ti beni che il giudice Giuseppe Vanore ha autorizzato il pm Al­fredo Robledo a sequestrare, per la prima volta in Italia, fino a un tetto di 92 milioni di euro per Jp Morgan e Depfa Bank, di 84 per Deutsche Bank, di 75 per Ubs: istituti indagati per truffa aggravata ai danni del Co­mune di Milano nella rinegozia­zione del debito di Palazzo Ma­rino con prodotti finanziari «derivati», cioè contratti per ge­stire il rischio di tasso d’interes­se.

Il sequestro preventivo, che raccoglie il lavoro del Nucleo di polizia tributaria della Gdf, poggia su una novità che, se reggerà al Tribunale del Riesa­me, potrebbe essere replicata in tutta Italia indipendente­mente dall’aleatorio andamen­to del mercato di questi prodot­ti finanziari piazzati a iosa dalle banche (per 35 miliardi di eu­ro) a 18 Regioni, 44 Province e 447 Comuni, con passività per lo Stato in 2 miliardi. L’idea di fondo, infatti, è che il primo raggiro delle banche al Comu­ne sia avvenuto quando, nella veste di consulenti, avrebbero violato la legge 448 del 2001 che subordina queste operazio­ni alla riduzione del valore fi­nanziario delle passività totali a carico dell’ente: al contrario, le banche avrebbero rinegozia­to il debito tacendo l’esistenza di un «derivato» stipulato dal Comune nel 2002 con Unicredi­to, che non poteva essere igno­rato perché onerosamente col­legato a mutui rinegoziati.

A ruota, le banche avrebbero praticato un secondo raggiro, stavolta nella struttura scelta per ammortare il debito del Co­mune sia nel 2005 (giunta Al­bertini) sia nel contratto dell’ot­tobre 2007 (già sotto la giunta Moratti). La regola è che, quan­do due parti stipulano un con­tratto derivato, devono essere nelle medesime condizioni e dunque il valore delle presta­zioni deve essere pari a zero; se così non è, chi è in vantaggio deve ricostituire in partenza l’equilibrio dando a chi è in svantaggio un pagamento pari alla differenza. Invece, nel rap­porto banche-Comune la strut­tura del contratto — secondo quanto calcolato dal consulen­te del pm, Gianluca Fusai — de­terminava già in partenza uno squilibrio tra i due contraenti, e cioè 52 milioni di euro di per­dita finanziaria a carico del Co­mune, dovuta a condizioni con­trattuali che avvantaggiavano già in partenza le banche: esat­tamente il contrario del vantag­gio di 55 milioni di euro che le banche rappresentavano inve­ce al Comune. E qui c’è la base del sequestro: la Procura assu­me infatti che questa perdita del Comune costituisca di per sé e subito un profitto per le banche talmente concreto e at­tuale che gli istituti lo iscrivo­no a bilancio come valore effet­tivo, lo possono vendere e com­prare, lo pongono a base di mu­tui.

Alle banche è addebitato un terzo raggiro: aver violato i doveri di correttezza imposti lo­ro proprio dalla legge inglese «Fsa» che esse avevano voluto regolasse i contratti con il Co­mune, e in particolare aver ma­novrato per spingerlo a rinun­ciare (senza che se ne avvedes­se) a tutta una serie di preziose protezioni contrattuali di cui avrebbe in teoria dovuto e po­tuto godere nella sua veste di ente pubblico territoriale.

Il Comune è parte lesa, ma le 4 banche e i loro 12 manager già da mesi sotto inchiesta so­no indagati in concorso con due ex manager comunali: il di­rettore generale nell’era Alberti­ni, Giorgio Porta, al quale sono sequestrate (fino a teorici 81 milioni) una casa a Milano e una a Courmayeur, e l’allora componente della Commissio­ne tecnica Mauro Mauri, che ve­de sotto sigilli (per teorici 52 milioni) la sua quota di una ca­sa in Lomellina.

Luigi Ferrarella

Gli USA abbandonano Israele sull’Iran?

MIDEAST ISRAEL OBAMA
Le minacce di guerra israeliane contro l'Iran incontrano l'opposizione rigida degli Stati Uniti, e la nuova amministrazione pensa all'imposizione di sanzioni a Tel Aviv. Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e la segretaria di stato Hillary Clinton stanno pensando a un programma per l’applicazione di sanzioni contro Israele, se il governo di destra di Benjamin Netanyahu attua la sua politica, a lungo desiderata, di rispondere alle attività nucleari dell’Iran prendendo provvedimenti militari contro il paese.

Secondo un rapporto di RIA Novosti, la Casa Bianca di Obama è in rotta di collisione con i datati programmi israeliani per lanciare un attacco militare all'infrastruttura nucleare iraniana. Washington favorisce le misure diplomatiche - almeno finché l’amministrazione Obama crede che ci sia lo spazio per il perseguimento dei suoi piani per ‘agganciare diplomaticamente’ l'Iran sul suo programma nucleare.

Il presidente Obama sta compiendo degli sforzi per mettere in pratica l’idea che l'America dovrebbe comunicare con i suoi avversari, come l'Iran, la Siria, la Korea di Nord ed il Venezuela. Tuttavia, da quando il duro Primo Ministro Netanyahu è salito in carica, in Israele si diffondono le voci di un possibile attacco alle centrali nucleari dell’Iran, se gli Stati Uniti non riescono a realizzare dei progressi nei colloqui con l'Iran.

Mercoledì mattina, il comando del fronte interno d’Israele ha annunciato i programmi per mobilitare l'esercito israeliano, così come il pubblico, per tenere il 2 giugno la più grande esercitazione militare della sua storia. Il capo del reparto per la popolazione del comando del fronte interno d’Israele, colonnello Hilik Sofer, ha detto che tenere le esercitazioni militari per una settimana "trasformerà la popolazione d’Israele da passiva ad attiva… Vogliamo che i cittadini capiscano che la guerra può esplodere domani mattina."

All’inizio di marzo, il Primo Ministro israeliano di estrema destra, Netanyahu, ha dato l'allarme circa un grande conflitto militare per i prossimi mesi. Secondo Debka, che si crede sia collegato molto strettamente con l'agenzia spionistica israeliana Mossad: "E’ sua opinione che Israele potrebbe essere coinvolto in un grande confronto militare, nei prossimi mesi, con l'Iran, Hamas o Hezbollah - o tutte tre assieme."

Le minacce esplicite di guerra all’Iran di Netanyahu, sono componenti della sua politica di massima priorità: "l’arresto del programma nucleare dell’Iran, e di ciò che vede come la sua ambizione a dominare la regione", e sono in contrasto radicale con i metodi del più potente alleato d’Israele - gli Stati Uniti.

Nel tentativo di convincere Israele sulla nuova politica degli Stati Uniti verso l’Iran, la segretaria di stato ha detto, questa settimana, che l’amministrazione Bush ha fallito negli otto anni di tentativi d’isolare totalmente l'Iran. "La politica di Bush non ha ostacolato l'Iran nella sua ambizione ad acquisire armi nucleari ed a sostenere le organizzazioni terroristiche Hezbollah e Hamas", ha detto la Clinton.

La nuova mossa degli Stati Uniti contro le minacce israeliane di guerra all'Iran, avviene dopo che il vice-presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha avvertito il governo di Netanyahu, in Israele, che una qualsiasi azione militare per provare a colpire gli impianti nucleari dell’Iran, sarebbe "incauta".

Il segretario della difesa degli Stati Uniti Robert Gates, da parte sua, ha avvertito che qualsiasi attacco israeliano all'Iran avrebbe conseguenze pericolose. Un attacco all'Iran "cementerà la sua determinazione ad avere un programma nucleare ed, inoltre, rafforzerà nell'intero paese un odio eterno contro chiunque lo colpisca", ha ammonito Gates.
by erasia

04 maggio 2009

La decifrazione del potere, oggi



Meyssan-ThierryIntervista a Thierry Meyssan di Alain Soral - «Égalité et Réconciliation»

Megachip propone all’attenzione dei lettori un’intervista a Thierry Meyssan, giornalista e attivista politico francese, attualmente residente in Libano da “rifugiato”. Le sue valutazioni si basano su alcune fonti di facile verificabilità, altre meno, ma rimangono un punto di vista originale sui protagonisti in campo nella Grande Crisi. Nel suo quadro prevalgono le tinte fosche per descrivere la mediazione in seno al sistema politico americano che ha lanciato Obama e ora lo avviluppa. Ma non c’è mai da aspettarsi che il presidente USA emerga da un processo rivoluzionario. È semmai al centro di intrecci molto complessi e anche drammatici, come la fase storica che stiamo attraversando. Anche se liquidare il giudizio su Obama ci appare prematuro, leggiamo comunque con attenzione l’analisi di Meyssan, che descrive lucidamente alcuni scenari poco noti.

E&R : Thierry Meyssan, non la si vede più in Francia, cosa le è successo?

Thierry Meyssan : Vivo attualmente in Libano. Dopo l’arrivo al potere di Nicolas Sarkozy, sono stato direttamente minacciato da alti funzionari francesi. Amici al ministero della difesa, mi hanno informato che gli Stati Uniti mi considerano un pericolo per la loro sicurezza nazionale. Nel quadro della NATO, hanno chiesto ai servizi combinati di neutralizzarmi ed alcuni francesi sembravano volerlo fare con zelo. Ho dunque preso la decisione non soltanto di lasciare la Francia, ma la zona NATO. Dopo avere errato da Caracas a Damasco passando per Mosca, mi sono fermato a Beirut dove mi sono messo al servizio della resistenza.

E&R : Su cosa lavora attualmente?

Thierry Meyssan : Lavoro su un libro d’analisi dell’amministrazione Obama, le sue origini, la sua composizione, i suoi progetti, ecc. una prima edizione, limitata ad alcune copie, sarà indirizzata ad alcuni leader il mese prossimo. Quindi un’edizione per il grande pubblico sarà pubblicata in diverse lingue in autunno. Vivo esclusivamente della mia penna e collaboro a giornali o riviste nel settore della politica internazionale, il Vicino-Oriente e la Russia.

E&R : Quale analisi fa dell’evoluzione della politica americana?

Meyssan-ThierryThierry Meyssan : Oggi si ha un consenso relativo sulla constatazione del fallimento della politica di Bush, il superdispiegamento militare, le conseguenze nocive dell’unilateralità nelle relazioni con gli alleati e la perdita della leadership. A partire dal 2006, James Baker e Lee Hamilton, che presiedevano una commissione creata dal congresso per valutare la strategia in Iraq, hanno militato a favore di un ritorno ad una posizione più prudente. Hanno raccomandato un ritiro dall’Iraq ed un cauto ravvicinamento con i paesi confinanti (Siria, Iran) indispensabile per evitare che la partenza dei GI si muti in una rovina, come in Vietnam. Hanno fatto cadere la testa di Donald Rumsfeld, e hanno imposto un membro della loro commissione, Robert Gates, a succedergli. Ma se hanno congelato la politica “di rimodellamento del grande Medio Oriente”, non sono riusciti a fare dimettere George Bush e Dick Cheney; ragione per cui è stato necessario organizzare una rottura con Barack Obama.
In realtà Obama era stato lanciato nella corsa al senato federale ed alla presidenza fin dal 2004. Ha fatto la sua entrata in scena in occasione della convenzione democratica per il conferimento del mandato a John Kerry. Non era che un parlamentare oscuro dell’assemblea dell’Illinois, ma era già inquadrato e guidato da Abner Mikva e dai suoi uomini (Jews for Obama) e sostenuto dalla finanza anglosassone (Goldman Sachs, JP Morgan, Exelon…). Le multinazionali si preoccupano di perdere quote di mercato a causa dell’aumento dell’antimperialismo (Business for Diplomatic Action), i partigiani della Commissione Baker-Hamilton, i generali in rivolta contro le avventure sregolate dei neo-conservatori, ed altri ancora, si sono gradualmente uniti a lui. I francesi credono, spesso, che il presidente degli Stati Uniti sia eletto al secondo grado dai grandi elettori. È falso. È eletto da un collegio i cui membri sono designati dai maggiorenti. Nel 2000, la Corte suprema ha ricordato che il voto dei cittadini era soltanto consultivo e che il governatore della Florida poteva nominare i delegati del suo Stato al collegio elettorale presidenziale, senza attendere lo spoglio generale delle schede.
In questo sistema oligarchico, c’è un partito unico con due correnti: i repubblicani ed i democratici. Giuridicamente, non formano entità distinte. Così, sono gli stati che organizzano le primarie, non gli pseudo-partiti. Non c’è dunque nulla di sorprendente se Joe Biden e Barack Obama sia entrambi vecchi amici di John McCain. Così McCain, che presiede l’istituto repubblicano internazionale, un organo del dipartimento di Stato incaricato di corrompere i partiti di destra nel mondo; mentre Obama lavora nell’ambito dell’istituto democratico nazionale, presieduto da Madeleine Albright ed incaricato della corruzione dei partiti di sinistra. Insieme, Obama, McCain ed Albright hanno partecipato alla destabilizzazione del Kenia, nel corso di un’operazione della CIA per imporre un cugino di Obama come primo ministro.
Tutto ciò per dire che Obama non viene dal nulla. È uno specialista dell’azione segreta e della sovversione. È stato reclutato per fare un lavoro ben preciso. Se gli obiettivi della coalizione eteroclita che lo sostiene sono globalmente gli stessi, non esistono consensi nel dettaglio tra le sue componenti. Questo spiega la battaglia incredibile alla quale hanno dato luogo le nomine, e l’aspetto sempre equivoco dei discorsi di Obama.

Quattro poli sono in battaglia:

Il polo della difesa, attorno a Brent Scowcroft, e ai generali oppositori di Rumsfeld e certamente di Robert Gates, oggi il vero padrone a Washington. Raccomandano la fine della privatizzazione dell’esercito, un’uscita “onorevole” dall’Iraq, ma la prosecuzione dello sforzo statunitense in Afganistan, per non dare l’impressione della rotta, e infine un accordo con gli iraniani ed i siriani. Per loro, la Russia e la Cina restano concorrenti che occorre isolare e paralizzare. Affrontano la crisi finanziaria come una guerra durante la quale perderanno dei programmi d’armamento e diminuiranno le dimensioni delle forze armate, ma devono mantenere una superiorità relativa. Poco importa se perdono in potenza, se restano i più forti.

I dipartimenti del Tesoro e del Commercio, attorno a Tim Geithner e Paul Volcker, protetti da Rockefeller. Sono seguaci della Pilgrim’s Society (Mont Pélerin Society - - Società del Monte Pellegrino) e sono sostenuti dal Gruppo dei Trenta, dal Peterson Institute e dalla Commissione Trilaterale. Sono sostenuti anche dalla regina Elisabetta II e vogliono salvare allo stesso tempo Wall Street e City. Per loro la crisi è un duro colpo poiché i redditi delle oligarchie finanziarie sono in caduta libera, ma è soprattutto l’agognata occasione per concentrare il capitale e per fare ristagnare le resistenze alla globalizzazione. Sono obbligati a ridurre temporaneamente il loro tenore di vita per non suscitare rivoluzioni sociali, ma possono simultaneamente arricchirsi riacquistando infrastrutture industriali per un boccone di pane. A lungo termine, hanno il progetto di instaurare - non un’imposta mondiale sul diritto di respirare, sarebbe grossolano, ma una tassa globale sulla CO2 ed una borsa dei diritti d’emissione, cosa che fornisce un ritorno, sembrando un discorso ecologico. Contrariamente al Pentagono, militano per un’alleanza con la Cina, soprattutto grazie al fatto che detiene il 40% dei buoni del tesoro USA, ma anche per impedire l’emergere di un blocco economico estremo-asiatico centrato sulla Cina, accaparrandosi le materie prime africane.

Il polo del dipartimento di Stato attorno a Hillary Clinton, una cristiana fondamentalista, membro di una setta molto segreta, la Fellowship Foundation (detta “La Famiglia”). È il rifugio dei sionisti, l’ultima riserva dei neo-conservatori in via di estinzione. Raccomandano un sostegno incondizionato ad Israele, con una punta di realismo, poiché sanno che l’ambiente è cambiato. Non sarà più possibile bombardare il Libano come nel 2006, poiché Hezbollah dispone ora di armi antiaeree efficienti. Non sarà più possibile penetrare a Gaza, come nel 2008, poiché Hamas ha acquisito i missili anticarro Kornet. E se gli Stati Uniti hanno difficoltà a pagare le fatture di Tel-Aviv, è poco probabile che i Sauditi possano compensarvi a lungo termine. Occorre dunque guadagnare tempo, se è il caso con alcune concessioni, e trovare un’utilità strategica ad Israele. La principale missione della signora Clinton è migliorare l’immagine degli Stati Uniti, neanche facendo relazioni pubbliche (cioè giustificando la politica di Washington), ma con la pubblicità (cioè elogiando le qualità reali o immaginarie del modello USA). In questo contesto, i sionisti dovrebbero spingere il progetto Korbel-Albright-Rice volto alla trasformazione dell’ONU in una vasta tribuna impotente e alla creazione di un’organizzazione concorrente, la Comunità delle Democrazie, sostenuta dal suo braccio armato, la NATO. Attualmente, sono occupati a sabotare la conferenza di Durban II che, anziché celebrare “la sola democrazia del Vicino-Oriente”, denuncia il regime di segregazione al potere a Tel-Aviv. Con il segretario di Stato aggiunto, James Steinberg, vedono la crisi finanziaria come un Blitzkrieg. Ci sarà molto danno, ma è il momento di distruggere i concorrenti e prendere di sorpresa le leve di comando. Il loro problema non è accumulare ricchezze con acquisti e fusioni, ma imporre i loro uomini ovunque nel mondo, nei ministeri delle finanze ed alla testa degli istituti bancari.

Infine il Consiglio nazionale di sicurezza su cui esercita influenza Zbignew Brzezinski, che fu il professore di Obama alla Columbia. Il consiglio dovrebbe abbandonare il suo tradizionale ruolo di coordinamento per diventare un vero centro di comando. È diretto dal Generale Jones, che è stato comandante supremo della NATO e ha battezzato l’Africa Command. Per loro, la crisi finanziaria è una crisi della strategia imperiale. È l’indebitamento faraonico sottoscritto per finanziare la guerra in Iraq che ha precipitato il crollo economico degli Stati Uniti. Contrariamente al 1929, la guerra non sarà la soluzione, è il problema. Occorre dunque condurre tre azioni simultanee: forzare i capitali a rientrare negli Stati Uniti distruggendo i paradisi fiscali concorrenti e destabilizzando le economie dei paesi sviluppati (come è stato provato in Grecia); mantenere l’illusione della potenza militare USA proseguendo l’occupazione dell’Afganistan; e soffocare le alleanze nascenti tra Siria-Iran-Russia e, soprattutto, Russia-Cina (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai). Il Consiglio privilegerà ogni forma d’azione clandestina, per dare al Pentagono il tempo necessario per la sua riorganizzazione.

Obama prova a soddisfare tutti, da qui la confusione ambientale.

E&R : Come vede evolvere la situazione nel Vicino-Oriente nei confronti di questa nuova amministrazione?

Thierry Meyssan : C’è consenso su un punto: Washington deve fare abbassare la tensione in questa regione, senza peraltro abbandonare Israele. Due opzioni sono sul tavolo, ma indipendentemente da quella che sarà attuata, è necessario che siano firmate dalle correnti più radicali. È per questo che Washington ha incoraggiato un governo Netanyahu-Lieberman in Israele e lascerà Hamas e Hezbollah vincere le prossime elezioni nei territori palestinesi ed in Libano.
Il primo scenario, immaginato da Zbignew Brzezinski prevede il riconoscimento simultaneo di uno Stato palestinese e la naturalizzazione dei profughi palestinesi nei paesi in cui si trovano. Con grandi quantità di denaro elargito per compensare gli stati che adottano i profughi e per sviluppare Gaza e la Cisgiordania. Inoltre, il mantenimento di questa pace sarebbe garantito da una forza d’interposizione della NATO, sotto mandato dell’ONU. Questo piano ha il sostegno di Nicolas Sarkozy.
Il secondo approccio è più duro per i due protagonisti. Raccomanda di forzare gli israeliani ad abbandonare le loro rivendicazioni più esagerate; mentre obbligherebbe i palestinesi a considerare la Giordania come la loro patria naturale. Sarebbe una pace più economica per Washington e realizzabile a lungo termine, anche se sarebbe difficile d’accettare per gli uni e per gli altri ed implicherebbe, en passant, la fine della monarchia hashemita. Questa formula è in particolare sostenuta dall’ambasciatore Charles Freeman, che la lobby sionista ha appena costretto a dimettersi della presidenza del Consiglio Nazionale dell’Intelligence, ma che dispone di solidi appoggi nell’apparato dello Stato.

E&R : Secondo lei, quale formula s’imporrà?

Thierry Meyssan : Nessuna, perché la crisi economica sarà di una tale ampiezza che condurrà, a parer mio, allo smembramento degli Stati Uniti e alla fine dello Stato d’Israele. Washington dovrà rivedere di nuovo al ribasso le sue ambizioni. Probabilmente si piegherà al mantenimento dello status quo. La sua azione si limiterà ad impedire ai nuovi attori di prendere il suo posto.

E&R : Cosa prevede a titolo personale?

Thierry Meyssan : Cinque milioni di ebrei, nove milioni di palestinesi, e le altre popolazioni della Palestina, devono trovarsi nell’ambito di uno Stato unico, basato sul principio “un uomo, un voto”. È del resto a parer mio la sola soluzione per evitare l’espulsione degli ebrei. Occorre ricordarsi della segregazione in Sudafrica, che secondo alcuni, la sua messa in discussione avrebbe causato l’espulsione o la distruzione dei bianchi. Si conosce il seguito. La morte di Arafat non è un ostacolo, poiché vi sono altri Mandela in Palestina. Il vero problema è trovare un De Clerk israeliano. Hamas sosterrebbe senza dubbio tale soluzione, poiché avrebbe l’approvazione del popolo. Più si rimandano le scadenze, più si rende difficile una soluzione pacifica. La CIA studia, del resto, lo scenario catastrofico di una sollevazione sanguinosa che caccerebbe 2 milioni di ebrei verso gli Stati Uniti.

E&R : E secondo lei, la Siria e l’Iran? Pensa che la guerra sia possibile?

Thierry Meyssan : Non penso che gli accordi segreti conclusi tra i militari USA, la Siria e l’Iran siano rimessi in discussione: gli Stati Uniti ne non hanno né i mezzi né, tantomeno, la volontà. In primo luogo, sanno che la minaccia nucleare iraniana è un’intossicazione fabbricata dopo che avevano inventato le armi di distruzione di massa irachene. D’altra parte, l’Imam Khomeiny aveva condannato come immorali la fabbricazione e l’impiego della bomba atomica, e non si vede quali gruppi sarebbero capaci, in Iran, a superare tale ordine. In secondo luogo, la politica di George Bush ha spinto Teheran e Damasco nelle braccia di Mosca che prepara, del resto, una grande conferenza internazionale sulla pace nel Vicino-Oriente. È ormai una priorità per Washington smantellare quest’alleanza nascente e tentare di riportare l’Iran e la Siria nella sua orbita. È certamente probabile che questi ultimi faranno alzare le offerte e si permetteranno di oscillare da un lato o dell’altro. Infine, gli Stati Uniti hanno la sensazione dell’urgenza. La loro economia crolla e forse non avranno per molto la possibilità di difendere Israele a questo prezzo. Tanto più che Tsahal non è più ciò che era. L’esercito israeliano non è più invincibile. Ha accumulato fallimenti in Libano, a Gaza ed anche, non lo si dimentichi, in Georgia.

E&R : Lei vive, come abbiamo visto, in Libano; quale è la situazione laggiù?

Thierry Meyssan : L’Alleanza Nazionale raccolta attorno alla Corrente Patriottica Libera di Michel Aoun ed a Hezbollah di Hassan Nasrallah vincerà le prossime elezioni, senza dubbio, se possono tenersi liberamente. La famiglia Hariri sopravviverà solo finché le grandi potenze conteranno su di essa per prelevare imposte e fare pagare al popolo il debito estero del Libano, proprio quando questa proviene, per metà, dell’arricchimento illecito degli Hariri. Il criminale di guerra Walid Joumblatt - vicepresidente dell’Internazionale Socialista, e scusate se è poco, o anche i neo-fascisti come l’assassino patologico Samir Geagea, saranno liberati dai loro sponsor. Questi sgherri hanno perso la loro efficacia e non sono più presentabili.
Il tribunale speciale per il Libano, incaricato di istruire la causa Hariri e diversi altir assassini politici, o si farà dimenticare, o darà luogo ad un coup de théâtre. È stato concepito come una macchina per accusare la Siria, metterla al bando della Comunità internazionale e designarla come obiettivo militare. So che nuove prove sono giunte nelle ultime settimane. Discolpano la Siria e mettono l’Arabia Saudita alla sbarra. Spetta a questa aula valutare la ripresa del controllo dell’Arabia Saudita da parte di re Abdallah e il licenziamento dei ministri che hanno finanziato la lotta contro Hezbollah ed Hamas.
Per ritornare alle elezioni legislative libanesi di giugno, la questione è sapere se ci si orienta verso una vittoria della resistenza al 55 o al 70%. Ciò dipenderà principalmente dalla comparsa o meno, di una nuova forza scissionista cristiana raccolta attorno al presidente Suleiman. In definitiva, i collaboratori degli Stati Uniti e d’Israele negozieranno, forse, un compromesso finché sono nella posizione di farlo. Ci si dirigerebbe allora verso la designazione di un miliardario come primo ministro (Saad Hariri o un altro), ma alla testa di un governo interamente controllato dalla resistenza nazionale. Sarebbe una formula molto orientale: gli onori e la luce per i perdenti, mentre il vero potere resterebbe nell’ombra. L’interesse di questa soluzione sarebbe delegittimare ogni intervento militare contro il Libano.

E&R : Ormai è molto conosciuto in Russia, dove ha raccolto quasi 30 milioni di telespettatori in occasione della trasmissione sull’11 settembre. Come valuta la situazione della Russia?

Thierry Meyssan : Paradossalmente, nonostante la vittoria militare e diplomatica in Georgia, la Russia attraversa un passaggio difficile. Dopo la guerra del Caucaso, le banche anglosassoni hanno incoraggiato gli oligarchi a punire Mosca, muovendo i loro capitali verso Ovest. Quindi, gli anglosassoni hanno spinto i dirigenti ucraini a tradire il loro interesse nazionale e tagliare i gasdotti in occasione dei negoziati sui prezzi. Il Cremlino, che credeva di essere padrone del gioco e d’avere l’iniziativa di questi tagli, s’è fatto intrappolare. La perdita del fatturato di due mesi ha divorato le riserve monetarie. Il tutto ha causato una caduta rovinosa del rublo, mentre la crisi mondiale fa abbassare il prezzo delle materie prime e dunque i redditi della Russia.
Medvedev e Putin hanno valutato questa situazione di debolezza con molto sangue freddo. Conoscono i vantaggi di cui dispongono, in particolare la superiorità tecnologica della loro industria degli armamenti su quella degli Stati Uniti. Sono convinti che gli Stati Uniti non si riprenderanno dalla crisi, ma si porranno, a medio termine, come il Patto di Varsavia e l’URSS degli anni 1989-1991. Sperano dunque di invertire i ruoli.
Nonostante il periodo di vacche magre, equipaggiano le loro forze armate con nuovi materiali, ed aspettano senza agitarsi il crollo dell’Ovest. Pubblicamente o di nascosto, secondo i casi, riforniscono con le armi più recenti disponibili, tutti gli avversari degli Stati Uniti, dal Vicino-Oriente, come ho appena detto, al Venezuela. Economicamente, hanno fatto la scelta di costruire rotte commerciali verso la Cina, più che verso l’Europa occidentale, di cui osservo con rammarico il controllo ostinato degli anglosassoni. Questa situazione può avere importanti conseguenze sul piano interno, dove si affrontano la vecchia e la nuova generazione. I vecchi hanno un forte tropismo americano, mentre i giovani mostrano patriottismo. Paradossalmente, le élite di San Pietroburgo sono storicamente favorevoli ad un ancoraggio europeo della Russia, al contrario dei Moscoviti, la cui visione è più eurasiatica. Ma Putin e Medvedev, tutti due di San Pietroburgo, condividono questa visione eurasiatica. Sognano la Russia come protettore dell’Islam, che è entrata, come osservatore, nell’Organizzazione della Conferenza Islamica. Pur valorizzando il patriarcato ortodosso, hanno messo dei musulmani in numerosi posti di alta responsabilità, in contrasto con la Francia è ovvio.
Anche se il trauma dello smantellamento della Jugoslavia e delle due guerre di Cecenia resta alto, e l’onda del razzismo che ne è seguita non è ancora controllata, la Russia ha fatto la scelta di civiltà ed ha preso il cammino della sintesi tra l’Europa e l’Asia. Se la Russia riesce ad attraversare, nei prossimi anni, tutte le gravi turbolenze internazionali senza esserne troppo influenzata, si troverà nella posizione dell’arbitro in un mondo multipolare.

E&R : Continuiamo questo interessante giro del mondo geopolitico con la Cina… Mi interrogo sulla loro strategia. Perché questi acquisti massicci di buoni del tesoro USA?

Thierry Meyssan : Pechino ha preso l’iniziativa di un ravvicinamento con Mosca attraverso l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Molti contenziosi sono stati saldati. In cambio, i Russi hanno accettato di vendere ai cinesi l’energia a una tariffa preferenziale ed hanno chiesto un controllo più rigoroso dell’emigrazione cinese in Siberia. La logica avrebbe voluto che i due grandi si rafforzino mutuamente rifiutando il dollaro come valuta di scambio internazionale. Ma a Pechino ripugna a scegliere il suo campo e non vuole irritare Washington. I cinesi conducono una strategia morbida di rafforzamento delle loro alleanze globali. Ciò mi sembra alquanto strano, poiché ciò potrebbe costare loro caro. Gli USA potrebbero trascinarli nel loro prevedibile crollo.
Au passage, permettez-moi de dire mon agacement face à la stupide dénonciation des violations des Droits de l'homme en Chine. Ils sont sans aucun doute possible beaucoup mieux respectés par Pékin que par Washington—ce qui n'est pas une excuse pour ne pas s'améliorer, mais relativise ces accusations—. Et qu'on arête de dire que le Tibet a été annexé par la Chine en 56, alors qu'il a été repris par les communistes chinois aux Chinois de Tchang Kaï-Chek.
En passant, mi permetta di dirle della mia irritazione di fronte alla stupida denunzia sulle violazioni dei diritti dell’uomo in Cina. Sono senza alcun possibile dubbio molto meglio rispettati da Pechino che da Washington, il che non è una scusa per non migliorarsi, ma relativizza queste accuse. E che ci si ferma dal dire che il Tibet è stato annesso dalla Cina nel 1956, mentre è stato ripreso dai comunisti cinesi ai cinesi di Chang Kai-shek.

E&R : Una parola sul Sudamerica prima di ritornare sulla Francia?

Thierry Meyssan : Oltre alla tendenza all’unificazione, si sono affermate delle strategie di fronte all’imperialismo. Ma l’indebolimento continuo degli Stati Uniti crea una nuova situazione e può incitare alcuni a scoprire le proprie carte. La preoccupazione della protezione delle economie nazionali ritorna in primo piano. Paradossalmente, gli stati che soffrono per le sanzioni sono meglio armati per resistere alla crisi. È in particolare il caso di Cuba, del Venezuela, della Bolivia o dell’Ecuador – così come è il caso della Siria e dell’Iran nel Vicino-Oriente. Garantisco che nuove istituzioni nazionali si svilupperanno, parallelamente alla Banca del Sud. È la rivalsa della Storia.

E&R : La Francia infine, o più esattamente la Francia di Sarkozy…

Thierry Meyssan : La Francia è una vecchia nazione che non si può manovrare in qualsiasi direzione. Ha un passato glorioso e s’identifica con un ideale. Spesso se ne allontana, ma sempre vi ritorna. Attraversa oggi un cattivo periodo, poiché è governata “dal partito dello straniero”. I suoi dirigenti fanno la scelta peggiore, nel periodo peggiore. Hanno deciso di mettere l’esercito agli ordini della NATO, concretamente sotto quello del Generale Bantz J. Craddock, il criminale che creò il centro di tortura di Guantanamo. E questo tradimento, è stato deciso nel momento in cui gli Stati Uniti affondano nella crisi. Mettono la Francia al rimorchio di una barca che affonda, col rischio di trascinarla nel suo naufragio. Il loro servilismo non li spinge soltanto a rendere vassalle le forze armate, ma anche a trasformare a fondo la società francese, per clonarla “sul modello” americano. È vero nel settore economico, con la rimessa in discussione dei servizi pubblici, ma anche nei settori della giustizia o dell’istruzione, della discriminazione positiva e avanti di questo passo.
Sarkozy non è né di destra, né di sinistra, ma imita gli yankee. Come ho spiegato in modo dettagliato in un dossier della rivista russa Profil’ [1], soddisfa tre forze: gli anglosassoni, la mafia e la banca Rothschild. Questa gente è cosciente, da molti anni, della dispnea degli Stati Uniti e pensa di garantire il potere dell’oligarchia finanziaria globale riequilibrando l’impero: avrebbe due pilastri, uno statunitense e uno europeo, mentre il Regno Unito sarebbe la cerniera. È questo il progetto servito da Nicolas Sarkozy fin dalla sua elezione. È lui che ha lo condotto a rompere l’asse franco-tedesco per avvicinarsi agli inglesi, e che quindi l’ha condotto a proporre diverse riorganizzazioni dell’Unione europea, in particolare la creazione di un governo economico. Questo avrà la conseguenza di renderci molto più vulnerabili alle convulsioni USA.
Tuttavia, la Francia è sempre ben attesa, e non soltanto nel mondo francofono. Siamo un paese fuori norma che ha proclamato la sovranità popolare. Si sottovaluta completamente, in Francia, il livello di ridicolo di Nicolas Sarkozy e della sua cricca agli occhi del resto del mondo. Sarkozy appare come un vanitoso esagitato, un instabile farcito di tic, che fa la mosca cocchiera in tutti i possibili conflitti internazionali, e che serve, a sue spese, da pesce-pilota nei mutamenti dell’umore di Washington.
Ricostruire un’alternativa, ahimè, richiederà tempo, ma non è una ragione per rinunciarvi.