01 giugno 2009

Oltre la crisi deve esserci la sostenibilità?

legno_design_tom_raffield_ecodesign_legno_curvatura_legno_progettazione_sostenibile_tom_raffield_2

Quando abbiamo parlato di “nuovo paradigma economico” riferendoci a quanto sta praticando Obama negli Usa, sottolineavamo che di fronte alla crisi ecologica forse era “quasi niente”. Ma che nel confronto con quanto sta accadendo nel mondo era “quasi tutto”. Quasi niente perché – pur potentissima e capace di svolgere un´egemonia a livello planetario– è comunque una federazione di Stati che agisce sul proprio territorio. Che non significa una governance mondiale per affrontare la crisi, quindi, anche se è pur sempre un’azione di governo che sembra avere come criterio direttore la sostenibilità ambientale e sociale. Per questo è anche “quasi tutto”.


Lo si capisce bene leggendo quanto dichiarato dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (Sole 24 Ore di oggi) che pensando al dopo crisi, punta forte (ed è comunque positivo) sull’economia verde, ma come “driver futuro della crescita”. Un driver, dunque, buono ora per crescere e che un domani potrà essere abbandonato per un altro driver. Siamo invece certi che Obama non abbia - anche lui nei suoi punti di riferimento - la crescita? Assolutamente no, anzi, ma nelle sue azioni - oltre che nei suoi discorsi - la barra l’ha sempre tenuta sulla necessità di affrontare le sfide ambientali, in primis il cambiamento climatico e l’energia, non dopo aver affrontato la crisi, bensì per uscire dalla crisi e per costruire un futuro sostenibile no oil. Questo non significa appunto frenare la crescita ma indirizzarla verso un modello nuovo.


La differenza salta all’occhio. Se il paragone tra Italia e Usa però avesse stancato, quale sia il pensiero dominante in Confindustria e, diciamo noi, anche nel governo italiano lo esprime ancora una volta chiaramente Alberto Alesina nel suo editoriale odierno sulla crisi. Dopo un’accurata ricostruzione di quello che è stato il new deal americano, che non commentiamo e prendiamo per buona, sono le conclusioni che lasciano perplessi e che spiegano dove sta, dal nostro punto di vista, l’inghippo.


Scrive Alesina: «La lezione da trarre da questa crisi è quella che ha tratteggiato Guido Tabellini sul Sole del 7 maggio. Ovvero, il capitalismo dopo questo shock non cambierà. Riscriveremo alcune regole per mercati finanziari. Cercheremo di migliorare la supervisione e gli incentivi per i manager della finanza, oltre a cambiarne parecchi. Ma il capitalismo anglosassone, fondato sul mercato, continuerà ad essere quello che produce più crescita. Teniamocelo».


Due interrogativi: il primo, chi sta proponendo nel dibattito in corso un modello diverso da quello capitalistico fondato sul mercato? Il secondo, se tutto va bene o quasi, di cosa stiamo parlando?


Da ambientalisti che studiano l’economia convinti che solo da qui si possa combattere la battaglia della sostenibilità, ci pare evidente che l’analisi di una parte degli economisti – Alesina in testa – semplicemente fa i conti senza l’oste. L’oste è la crisi ecologica, che Alesina evidentemente non ritiene di interesse e da affrontare se non magari quando sarà risolta la crisi economica. A differenza di Stiglitz, per dirne uno. O di Stern, per dirne un altro.


E’ chiaro che se la si omette e si pensa che le risorse del pianeta – vedi altro pezzo di greenreport di oggi sui flussi di materia – siano infinite, l’unico orizzonte è quello di rimettere il treno sul vecchio binario e al massimo registrare qualche dado della ferrovia e del motore. A cantarla ad Alesina, però, stavolta non siamo solo noi ‘sporchi’ ambientalisti, ma Marzio Galeotti (de la voce.info e già intervistato più volte anche da greenreport) che proprio sul Sole di oggi lo incalza.


Lo spunto è l’intervento di Alesina del 28 aprile, dove sosteneva che «se uscire dalla crisi nel 2010 significa inquinare ancora per un anno ai ritmi attuali, facciamolo pure. Poi con calma, usciti dal panico per la crisi e dal rischio di una lunga depressione, ci dedicheremo con rinnovato vigore a proteggere l’ambiente».


Galeotti dissente da questa analisi e spiega che: «Se stiamo alla stretta tempistica vale la pena ricordare che il pacchetto europeo energia-clima e la strategia energetica-climatica contenuta nel programma elettorale di Barack Obama precedono lo scoppio della crisi economica e finanziaria». Nella sostanza la questione è chiara: la crisi ecologica era già scoppiata prima di quella economico-finanziaria.


Per uscire dalla triplice crisi, dunque, si devono affrontare tutti insieme i tre corni e la strada per noi più opportuna è quella di un nuovo modello economico basato sulla sostenibilità ambientale e sociale. Per altri la crisi ecologica si affronterà casomai dopo aver affrontato quella economico-finanziaria. Per altri ancora la crisi ecologica non esiste.


In campo dunque tre posizioni (prima la nostra neppure c’era e quindi c’è di che essere ottimisti). Con Obama però che nel frattempo si è portato un pezzo avanti verso la sostenibilità (pur con tutti i logici compromessi e le contraddizioni del caso), mentre gli altri arrancano, o lo inseguono in ordine sparso o, i più, discutono…

31 maggio 2009

Perchè gli economisti dovrebbero imparare l'aritmetica?



L’ultima moda nei circoli della politica di Washington DC riguarda la creazione di “un regolatore di rischio sistematico” per far sì che il paese non debba più trovarsi in situazioni di crisi come quella attuale. Questa spinta è una parte dell’operazione di copertura su come le cose sono andate realmente e non ha veramente nulla a che vedere con i reali fattori, le reali cause che hanno portato il paese al collasso economico e finanziario.

Il punto chiave che tutti devono tenere ben presente è che la storia del collasso non è una storia difficile e/o complessa. Non abbiamo di certo bisogno di grandi menti che analizzino enormi quantità di dati o creino verosimili simulazioni al computer per scoprire quale sia il vero problema che sta alla base dell’economia. Abbiamo solo bisogno di persone che abbiano imparato i principi dell’aritmetica che molti di noi hanno appreso in terza elementare.

Se le persone ai vertici della FED, del Tesoro, o che occupano altre posizioni, avessero veramente appreso i principi aritmetici, e fossero veramente preparati per il loro compito, avrebbero facilmente potuto prevenire la crescita smisurata della bolla immobiliare. Avrebbero potuto prevedere l’eccessivo accrescimento della bolla fino al collasso, con le inevitabili conseguenze per l’economia americana e mondiale.

Ripetiamo dunque i fatti di base: i prezzi delle case hanno iniziato a divergere in maniera consistente dal trend degli ultimi 100 anni negli anni 90, quando il benessere creato dalla bolla azionaria ha iniziato ad esercitare una fortissima pressione sui prezzi degli immobili. Dopo aver seguito l’inflazione negli ultimi 100 anni, i prezzi delle case avevano sostanzialmente superato i tassi di inflazione.

Non c’erano spiegazioni neppure remotamente plausibili per la crescita del prezzo delle abitazioni, né in base alla disponibilità, né tantomeno in base alla domanda. La crescita dei salari fu buona, ma non straordinaria soprattutto negli ultimi anni 90. Nella decade corrente, i salari sono leggermente diminuiti dopo essersi allineati con l’inflazione. Dal punto di vista delle disponibilità, tra il 2001 e il 2006 sono state costruite quantità di case da record, segno questo dell’assenza di sostanziali impedimenti nella costruzione.

Come altro segno di chiaro avvicinamento alla bolla, tenendo conto dell’inflazione gli affitti non aumentavano, indicando che non c’era una mancanza degna di nota di case a far alzare di molto i prezzi. Nel 2006, momento di picco, i prezzi delle case, tenendo conto dell’inflazione, erano aumentati di più del 70 %, producendo più di 8 trilioni di dollari nella bolla sul valore delle case. Era assolutamente prevedibile che la perdita di così tanto denaro (110 mila dollari per ciascun proprietario di un immobile) avrebbe portato a una recessione così severa e creato soprattutto la crisi finanziaria a cui ora stiamo assistendo.

In condizioni normali le case danno un buon rapporto di indebitamento, con pagamenti che non superano il 20 per cento. Negli anni della bolla, era cosa comune per i compratori di immobili prendere in prestito l’intera somma per pagare l’acquisto e anche una minima percentuale supplementare. Ogni economista o finanziere degno di questo nome avrebbe capito che quando la bolla sarebbe scoppiata ci sarebbe stato l’inferno nell’economia finanziaria.

In breve, le prove erano a disposizione di tutti coloro che avessero guardato con un po’ di attenzione tutta la situazione. Non c’è bisogno di super-geni per risolvere questo mistero. C’è solo bisogno di un economista che sappia usare i principi dell’aritmetica. Ma la politica di Washington ci dice che questo disastro avrebbe potuto essere evitato solo se avessimo avuto un “regolatore di rischio sistematico”.

Ok, ora facciamo un esperimento a livello ideale. Supponiamo che nel 2002 avessimo avuto questo fantomatico “regolatore di rischio sistematico”. Questa persona sarebbe mai andata da Alan Greenspan per dirgli che ci si stava avviando verso la bolla e che l’economia avrebbe subito una crisi dura come quella odierna?

Ricordate, prima della crisi Greenspan era noto come “il Maestro” [in italiano nel testo N.d.r.]. Politici, giornalisti ed economisti mettevano sempre in pratica tutte le perle di saggezza che uscivano dalla sua bocca. Infatti, quando nel 2005 disse di volersi ritirare, molti dei leader mondiali dell’economia e banchieri si riunirono a Jackson Hole, nel Wyoming, per dibattere sul fatto che Alan Greenspan fosse il migliore banchiere centrale di tutti i tempi.

Alan Greenspan affermò che non c’era alcuna bolla; tutto era a posto. Il nostro regolatore di rischio sistematico avrebbe mai potuto affermare che Greenspan era un pazzo e che l’intero sistema economico era un castello di carte vicino al collasso?

Tutti coloro che credono che la presenza di un regolatore di rischio sistematico avrebbe potuto cavarsela meglio di Alan Greenspan, non conoscono il modo di agire di Washington. Il governo è composto da persone che prima di tutto, e soprattutto, vogliono fare carriera.

E il modo migliore per fare carriera a Washington è andare dietro a chi ha già detto qualcosa. Se tutto ciò non era ovvio prima del collasso, ora certamente lo è.

Quante persone all’interno del governo hanno perso il loro lavoro per non aver saputo prevedere la crisi? Quante altre invece hanno ottenuto una promozione? Infatti, i personaggi più rilevanti in campo economico nella squadra di Obama, tutti, senza eccezione, non sono riusciti a prevedere la bolla. Alcuni potrebbero pensare che si tratti di un requisito per lavorare.

Questa mancanza di responsabilità tra economisti e analisti finanziari è il problema vero e proprio che deve essere preso in considerazione. Fino a che non si costringerà questi signori ad assumersi le proprie responsabilità, come invece succede per i custodi o i lavapiatti, non ci sarà mai alcun incentivo a uscire dal mucchio e far notare disastri in agguato come la bolla immobiliare.

La realtà è che noi già abbiamo un regolatore di rischio sistematico. Si chiama Federal Reserve Board. Lo hanno spento del tutto. Faremmo meglio a prevenire un’altra crisi facendo assumere al nostro attuale regolatore di rischio la responsabilità del suo fallimento (licenziando persone) piuttosto che facendo finta di avere un qualche buco nella nostra struttura regolatrice e creare una burocrazia persino peggiore di questa.

E naturalmente dovremmo insegnare l’aritmetica ai nostri economisti.

Dean Baker è co-direttore del Center for Economic and Policy Research (CEPR). È autore di Plunder and Blunder: The Rise and Fall of the Bubble Economy.

30 maggio 2009

Onorevoli, ma quanto ci costano i politici ?


onorevoli politici




IL rimborso spese per il parrucchiere delle onorevoli senatrici è stato l'ultimo a finire nel calderone delle astute sconvenienze da cancellare. Certo, pesa "solo" per 81 mila euro l'anno. Certo, non indecente come i filmini porno del marito del ministro dell'Interno britannico messi a carico del bilancio. Certo, non come gli specchi inseriti in nota spese dal deputato inglese Richard Younger Ross, ma anche a Roma, che figura. Tanto che anche a Palazzo Madama, giusto pochi giorni fa, se ne sono accorti e allora il presidente Renato Schifani ha invitato a cancellare quella voce in bilancio. D'ora in poi, sottinteso, vadano a farsi belle a loro spese.



Non è ben chiaro invece se i senatori e gli "ex" che passeranno a miglior vita in questo 2009 potranno godere ancora del rimborso spese funerarie che nel 2008 ha pesato un po' troppo sui conti del Palazzo, 134.290 euro. La voce è inserita "per memoria", e in fondo non sarà un problema loro ma di chi dovrà far quadrare i conti.

Conti stracciati, conti allegri, conti che non quadrano ma chi se ne frega, nel nostro Paese. Altro che Inghilterra indignata per pochi spiccioli di note spese. Qui lo scandalo è codificato, è a norma di legge, è tanto palese da non destare, appunto, scandalo.
Benefit, rimborsi a go-go, voli, treni, navi, Telepass e corsi di lingua e buvette e ristorante a 8 euro. Non è più tempo da viaggi in Tanzania della commissione Lavoro di Montecitorio per "studiare il sistema pensionistico del paese dell'Africa orientale", ricordo appannato di qualche anno fa. Come pure l'onorevole Lorenzo Cesa non proporrebbe più l'indennità per ricongiungimento familiare, come si azzardò a ipotizzare quando, nella rovente estate 2007, il suo partito venne segnato dallo scandalo del deputato Cosimo Mele, la prostituta in albergo, l'uso (sospetto) di cocaina. Adesso ci si accontenta di piccole cose, ma è il pensiero quello che conta. L'ultimo lo hanno avuto i tre questori della Camera guidati da Francesco Colucci (Pdl) ed è planato ieri mattina sulla casella postale dei 630 deputati sotto forma di lettera-invito a "usufruire di un corso di 15 ore di lezioni individuali di informatica da 1,5 ore cadauno" che si svolgeranno a Montecitorio. Costo risibile da 235 euro a testa, il resto lo mette la Camera, ovvio. Quisquilie, appunto. Sarebbe bello invece sapere anche qui da noi come il deputato utilizza i 4.003 euro mensili che il Parlamento gli mette in saccoccia ogni mese come "rimborso spese di soggiorno". Certo, magari anche l'elettore italiano vorrebbe sapere almeno dove risiede il suo onorevole di riferimento, quando trascorre quei tre giorni nella Capitale. Per esempio se lo utilizza tutto, il suo budget da diaria extra stipendio. O che ne fa di quell'altro da 4.190 euro al mese che gli viene erogato proprio a titolo di "rimborso spese". Qualcuno non vorrà mica sospettare che una parte di quei soldi o addirittura tutti finiscano nel conto in banca dell'onorevole? Sospettosi o malpensanti. Qui la nota spese è bandita, il piè di lista è sconosciuto. Le Camere pagano anzitempo, pagano sulla fiducia, pagano a forfait. Non c'è nulla da scoprire. Altro che dimissioni dello Speaker del parlamento inglese.

Che ridere, il milione di sterline per colpa del quale Westminster sta precipitando nello scandalo, col suo carico di rimborsi gonfiati dai deputati. Che ridere, perché Montecitorio e Palazzo Madama, in questo 2009, distribuiranno ai nostri 630 deputati e 322 senatori rimborsi spese destinati sulla carta a viaggi, diaria e segreterie per qualcosa come 96 milioni di euro, parenti molto vicini di 100 milioni. E il tutto, va da sé, senza chiedere lo straccio di una prova documentale che attesti se davvero saranno utilizzati per gli scopi "istituzionali". Sono 72 milioni di euro alla Camera e 24 milioni al Senato. E va da sé, che quegli 8.190 euro mensili ai deputati e 8.678 mila euro ai senatori sono solo, appunto, rimborsi. Nulla a che fare con le indennità da 5.500 euro, lo stipendio in senso stretto.

"Uno scandalo come quello britannico da noi è impensabile - racconta un grande conoscitore del Palazzo come Gabriele Albonetti, deputato questore già da due legislature - Al di là dell'eticità del comportamento di deputati e senatori, la questione è tecnica. Da noi, non esiste la nota spesa, la Camera e il Senato affidano una somma, diciamo così, sulla fiducia. Sarà poi l'onorevole a gestirla a suo piacimento". Nulla da spiegare e nulla da giustificare. Né gli alberghi, né i ristoranti, né le segreterie, né - chiamiamoli così - gli "extra" molto extra. Come non sono da rendicontare gli oltre 4 mila euro al mese (4.678 al Senato) erogati a ciascun onorevole per i cosiddetti portaborse. Col risultato ormai arcinoto che buona parte degli assistenti sono sottopagati o pagati in nero. Ieri il Consiglio dei presidenza del Senato, prossimamente quello della Camera, ammetteranno l'ingresso dal primo luglio solo per i portaborse dotati di badge, rilasciato dietro esibizione di regolare contratto. Ma molti dei ragazzi, in questi giorni, ti raccontano come alcuni dei loro onorevoli siano pronti a far sottoscrivere loro un contratto da addetto alle pulizie del gruppo parlamentare, che ne possa comunque consentire l'ingresso quotidiano a Palazzo e continuare come sempre. Come sempre in nero.

Un po' di pulizia, va detto, la si sta pure facendo. Al Senato hanno cancellato i 730 mila euro sborsati, tra l'altro, per garantire un ufficio ai senatori rimasti privi di scrivania. O i 690 mila euro che sono parte della voce "rimborsi spese telefoniche". Ha fatto pure scalpore scoprire in questi giorni che i 1.058 "ex" senatori per fortuna ancora in vita costano però 1 milione 726 mila euro per viaggi in treni, aereo o per passaggi autostradali, al netto, ovvio, del vitalizio. Platea di beneficiari ridotta ora a 291 in uno slancio di austerity. Rigorismo che ancora non ha scalfito l'Asis, l'assistenza sanitaria garantita ai senatori e ai deputati e ai loro familiari. Basta pagare 25 euro al mese per ciascun figlio o consorte, ma anche - magia del Parlamento - per il convivente, e ogni cura è assicurata. Gratis. Perché la coppia di fatto che le Camere non hanno mai voluto riconoscere, lì dentro esistono, eccome, da tempo. Per l'esattezza dal 1985, quando è stata approvata la legge 687. Qualche sprovveduto Don Chisciotte, di tanto in tanto, prova pure a divertirsi e ad agitare le acque. In questa legislatura la dipietrista Silvana Mura, con un ddl che prevede tra l'altro la riforma del sistema dei rimborsi, da erogare solo dopo l'esibizione delle spese effettive. "Ma, per usare un eufemismo - racconta - non ha suscitato grandi entusiasmi tra i colleghi".

Fuori dai confini, qualche italiano finora ha potuto fare il furbo nell'Europarlamento. Tratta Bruxelles-Roma (o Milano) rimborsata forfaittariamente per la business class in base al chilometraggio. Quando invece era notorio che molti dei nostri 78 (come tanti altri) viaggiavano in low-cost. E lì, via con la cresta. Da luglio però, col nuovo Parlamento, si cambia registro: rimborso solo dei biglietti effettivamente acquistati. Il rimborso spese per lo staff viaggia sui 17 mila euro mensili. Non sarà per sfiducia, ma il tesoretto lì non lo fanno transitare dalla busta paga dell'onorevole. È a disposizione e le somme le paga direttamente il Parlamento agli assistenti che dimostrano con contatti e contributi di prestare servizio per il deputato. Rigore e trasparenza che i portaborse italiani sono costretti per ora solo a sognare.

di CARMELO LOPAPA

01 giugno 2009

Oltre la crisi deve esserci la sostenibilità?

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Quando abbiamo parlato di “nuovo paradigma economico” riferendoci a quanto sta praticando Obama negli Usa, sottolineavamo che di fronte alla crisi ecologica forse era “quasi niente”. Ma che nel confronto con quanto sta accadendo nel mondo era “quasi tutto”. Quasi niente perché – pur potentissima e capace di svolgere un´egemonia a livello planetario– è comunque una federazione di Stati che agisce sul proprio territorio. Che non significa una governance mondiale per affrontare la crisi, quindi, anche se è pur sempre un’azione di governo che sembra avere come criterio direttore la sostenibilità ambientale e sociale. Per questo è anche “quasi tutto”.


Lo si capisce bene leggendo quanto dichiarato dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (Sole 24 Ore di oggi) che pensando al dopo crisi, punta forte (ed è comunque positivo) sull’economia verde, ma come “driver futuro della crescita”. Un driver, dunque, buono ora per crescere e che un domani potrà essere abbandonato per un altro driver. Siamo invece certi che Obama non abbia - anche lui nei suoi punti di riferimento - la crescita? Assolutamente no, anzi, ma nelle sue azioni - oltre che nei suoi discorsi - la barra l’ha sempre tenuta sulla necessità di affrontare le sfide ambientali, in primis il cambiamento climatico e l’energia, non dopo aver affrontato la crisi, bensì per uscire dalla crisi e per costruire un futuro sostenibile no oil. Questo non significa appunto frenare la crescita ma indirizzarla verso un modello nuovo.


La differenza salta all’occhio. Se il paragone tra Italia e Usa però avesse stancato, quale sia il pensiero dominante in Confindustria e, diciamo noi, anche nel governo italiano lo esprime ancora una volta chiaramente Alberto Alesina nel suo editoriale odierno sulla crisi. Dopo un’accurata ricostruzione di quello che è stato il new deal americano, che non commentiamo e prendiamo per buona, sono le conclusioni che lasciano perplessi e che spiegano dove sta, dal nostro punto di vista, l’inghippo.


Scrive Alesina: «La lezione da trarre da questa crisi è quella che ha tratteggiato Guido Tabellini sul Sole del 7 maggio. Ovvero, il capitalismo dopo questo shock non cambierà. Riscriveremo alcune regole per mercati finanziari. Cercheremo di migliorare la supervisione e gli incentivi per i manager della finanza, oltre a cambiarne parecchi. Ma il capitalismo anglosassone, fondato sul mercato, continuerà ad essere quello che produce più crescita. Teniamocelo».


Due interrogativi: il primo, chi sta proponendo nel dibattito in corso un modello diverso da quello capitalistico fondato sul mercato? Il secondo, se tutto va bene o quasi, di cosa stiamo parlando?


Da ambientalisti che studiano l’economia convinti che solo da qui si possa combattere la battaglia della sostenibilità, ci pare evidente che l’analisi di una parte degli economisti – Alesina in testa – semplicemente fa i conti senza l’oste. L’oste è la crisi ecologica, che Alesina evidentemente non ritiene di interesse e da affrontare se non magari quando sarà risolta la crisi economica. A differenza di Stiglitz, per dirne uno. O di Stern, per dirne un altro.


E’ chiaro che se la si omette e si pensa che le risorse del pianeta – vedi altro pezzo di greenreport di oggi sui flussi di materia – siano infinite, l’unico orizzonte è quello di rimettere il treno sul vecchio binario e al massimo registrare qualche dado della ferrovia e del motore. A cantarla ad Alesina, però, stavolta non siamo solo noi ‘sporchi’ ambientalisti, ma Marzio Galeotti (de la voce.info e già intervistato più volte anche da greenreport) che proprio sul Sole di oggi lo incalza.


Lo spunto è l’intervento di Alesina del 28 aprile, dove sosteneva che «se uscire dalla crisi nel 2010 significa inquinare ancora per un anno ai ritmi attuali, facciamolo pure. Poi con calma, usciti dal panico per la crisi e dal rischio di una lunga depressione, ci dedicheremo con rinnovato vigore a proteggere l’ambiente».


Galeotti dissente da questa analisi e spiega che: «Se stiamo alla stretta tempistica vale la pena ricordare che il pacchetto europeo energia-clima e la strategia energetica-climatica contenuta nel programma elettorale di Barack Obama precedono lo scoppio della crisi economica e finanziaria». Nella sostanza la questione è chiara: la crisi ecologica era già scoppiata prima di quella economico-finanziaria.


Per uscire dalla triplice crisi, dunque, si devono affrontare tutti insieme i tre corni e la strada per noi più opportuna è quella di un nuovo modello economico basato sulla sostenibilità ambientale e sociale. Per altri la crisi ecologica si affronterà casomai dopo aver affrontato quella economico-finanziaria. Per altri ancora la crisi ecologica non esiste.


In campo dunque tre posizioni (prima la nostra neppure c’era e quindi c’è di che essere ottimisti). Con Obama però che nel frattempo si è portato un pezzo avanti verso la sostenibilità (pur con tutti i logici compromessi e le contraddizioni del caso), mentre gli altri arrancano, o lo inseguono in ordine sparso o, i più, discutono…

31 maggio 2009

Perchè gli economisti dovrebbero imparare l'aritmetica?



L’ultima moda nei circoli della politica di Washington DC riguarda la creazione di “un regolatore di rischio sistematico” per far sì che il paese non debba più trovarsi in situazioni di crisi come quella attuale. Questa spinta è una parte dell’operazione di copertura su come le cose sono andate realmente e non ha veramente nulla a che vedere con i reali fattori, le reali cause che hanno portato il paese al collasso economico e finanziario.

Il punto chiave che tutti devono tenere ben presente è che la storia del collasso non è una storia difficile e/o complessa. Non abbiamo di certo bisogno di grandi menti che analizzino enormi quantità di dati o creino verosimili simulazioni al computer per scoprire quale sia il vero problema che sta alla base dell’economia. Abbiamo solo bisogno di persone che abbiano imparato i principi dell’aritmetica che molti di noi hanno appreso in terza elementare.

Se le persone ai vertici della FED, del Tesoro, o che occupano altre posizioni, avessero veramente appreso i principi aritmetici, e fossero veramente preparati per il loro compito, avrebbero facilmente potuto prevenire la crescita smisurata della bolla immobiliare. Avrebbero potuto prevedere l’eccessivo accrescimento della bolla fino al collasso, con le inevitabili conseguenze per l’economia americana e mondiale.

Ripetiamo dunque i fatti di base: i prezzi delle case hanno iniziato a divergere in maniera consistente dal trend degli ultimi 100 anni negli anni 90, quando il benessere creato dalla bolla azionaria ha iniziato ad esercitare una fortissima pressione sui prezzi degli immobili. Dopo aver seguito l’inflazione negli ultimi 100 anni, i prezzi delle case avevano sostanzialmente superato i tassi di inflazione.

Non c’erano spiegazioni neppure remotamente plausibili per la crescita del prezzo delle abitazioni, né in base alla disponibilità, né tantomeno in base alla domanda. La crescita dei salari fu buona, ma non straordinaria soprattutto negli ultimi anni 90. Nella decade corrente, i salari sono leggermente diminuiti dopo essersi allineati con l’inflazione. Dal punto di vista delle disponibilità, tra il 2001 e il 2006 sono state costruite quantità di case da record, segno questo dell’assenza di sostanziali impedimenti nella costruzione.

Come altro segno di chiaro avvicinamento alla bolla, tenendo conto dell’inflazione gli affitti non aumentavano, indicando che non c’era una mancanza degna di nota di case a far alzare di molto i prezzi. Nel 2006, momento di picco, i prezzi delle case, tenendo conto dell’inflazione, erano aumentati di più del 70 %, producendo più di 8 trilioni di dollari nella bolla sul valore delle case. Era assolutamente prevedibile che la perdita di così tanto denaro (110 mila dollari per ciascun proprietario di un immobile) avrebbe portato a una recessione così severa e creato soprattutto la crisi finanziaria a cui ora stiamo assistendo.

In condizioni normali le case danno un buon rapporto di indebitamento, con pagamenti che non superano il 20 per cento. Negli anni della bolla, era cosa comune per i compratori di immobili prendere in prestito l’intera somma per pagare l’acquisto e anche una minima percentuale supplementare. Ogni economista o finanziere degno di questo nome avrebbe capito che quando la bolla sarebbe scoppiata ci sarebbe stato l’inferno nell’economia finanziaria.

In breve, le prove erano a disposizione di tutti coloro che avessero guardato con un po’ di attenzione tutta la situazione. Non c’è bisogno di super-geni per risolvere questo mistero. C’è solo bisogno di un economista che sappia usare i principi dell’aritmetica. Ma la politica di Washington ci dice che questo disastro avrebbe potuto essere evitato solo se avessimo avuto un “regolatore di rischio sistematico”.

Ok, ora facciamo un esperimento a livello ideale. Supponiamo che nel 2002 avessimo avuto questo fantomatico “regolatore di rischio sistematico”. Questa persona sarebbe mai andata da Alan Greenspan per dirgli che ci si stava avviando verso la bolla e che l’economia avrebbe subito una crisi dura come quella odierna?

Ricordate, prima della crisi Greenspan era noto come “il Maestro” [in italiano nel testo N.d.r.]. Politici, giornalisti ed economisti mettevano sempre in pratica tutte le perle di saggezza che uscivano dalla sua bocca. Infatti, quando nel 2005 disse di volersi ritirare, molti dei leader mondiali dell’economia e banchieri si riunirono a Jackson Hole, nel Wyoming, per dibattere sul fatto che Alan Greenspan fosse il migliore banchiere centrale di tutti i tempi.

Alan Greenspan affermò che non c’era alcuna bolla; tutto era a posto. Il nostro regolatore di rischio sistematico avrebbe mai potuto affermare che Greenspan era un pazzo e che l’intero sistema economico era un castello di carte vicino al collasso?

Tutti coloro che credono che la presenza di un regolatore di rischio sistematico avrebbe potuto cavarsela meglio di Alan Greenspan, non conoscono il modo di agire di Washington. Il governo è composto da persone che prima di tutto, e soprattutto, vogliono fare carriera.

E il modo migliore per fare carriera a Washington è andare dietro a chi ha già detto qualcosa. Se tutto ciò non era ovvio prima del collasso, ora certamente lo è.

Quante persone all’interno del governo hanno perso il loro lavoro per non aver saputo prevedere la crisi? Quante altre invece hanno ottenuto una promozione? Infatti, i personaggi più rilevanti in campo economico nella squadra di Obama, tutti, senza eccezione, non sono riusciti a prevedere la bolla. Alcuni potrebbero pensare che si tratti di un requisito per lavorare.

Questa mancanza di responsabilità tra economisti e analisti finanziari è il problema vero e proprio che deve essere preso in considerazione. Fino a che non si costringerà questi signori ad assumersi le proprie responsabilità, come invece succede per i custodi o i lavapiatti, non ci sarà mai alcun incentivo a uscire dal mucchio e far notare disastri in agguato come la bolla immobiliare.

La realtà è che noi già abbiamo un regolatore di rischio sistematico. Si chiama Federal Reserve Board. Lo hanno spento del tutto. Faremmo meglio a prevenire un’altra crisi facendo assumere al nostro attuale regolatore di rischio la responsabilità del suo fallimento (licenziando persone) piuttosto che facendo finta di avere un qualche buco nella nostra struttura regolatrice e creare una burocrazia persino peggiore di questa.

E naturalmente dovremmo insegnare l’aritmetica ai nostri economisti.

Dean Baker è co-direttore del Center for Economic and Policy Research (CEPR). È autore di Plunder and Blunder: The Rise and Fall of the Bubble Economy.

30 maggio 2009

Onorevoli, ma quanto ci costano i politici ?


onorevoli politici




IL rimborso spese per il parrucchiere delle onorevoli senatrici è stato l'ultimo a finire nel calderone delle astute sconvenienze da cancellare. Certo, pesa "solo" per 81 mila euro l'anno. Certo, non indecente come i filmini porno del marito del ministro dell'Interno britannico messi a carico del bilancio. Certo, non come gli specchi inseriti in nota spese dal deputato inglese Richard Younger Ross, ma anche a Roma, che figura. Tanto che anche a Palazzo Madama, giusto pochi giorni fa, se ne sono accorti e allora il presidente Renato Schifani ha invitato a cancellare quella voce in bilancio. D'ora in poi, sottinteso, vadano a farsi belle a loro spese.



Non è ben chiaro invece se i senatori e gli "ex" che passeranno a miglior vita in questo 2009 potranno godere ancora del rimborso spese funerarie che nel 2008 ha pesato un po' troppo sui conti del Palazzo, 134.290 euro. La voce è inserita "per memoria", e in fondo non sarà un problema loro ma di chi dovrà far quadrare i conti.

Conti stracciati, conti allegri, conti che non quadrano ma chi se ne frega, nel nostro Paese. Altro che Inghilterra indignata per pochi spiccioli di note spese. Qui lo scandalo è codificato, è a norma di legge, è tanto palese da non destare, appunto, scandalo.
Benefit, rimborsi a go-go, voli, treni, navi, Telepass e corsi di lingua e buvette e ristorante a 8 euro. Non è più tempo da viaggi in Tanzania della commissione Lavoro di Montecitorio per "studiare il sistema pensionistico del paese dell'Africa orientale", ricordo appannato di qualche anno fa. Come pure l'onorevole Lorenzo Cesa non proporrebbe più l'indennità per ricongiungimento familiare, come si azzardò a ipotizzare quando, nella rovente estate 2007, il suo partito venne segnato dallo scandalo del deputato Cosimo Mele, la prostituta in albergo, l'uso (sospetto) di cocaina. Adesso ci si accontenta di piccole cose, ma è il pensiero quello che conta. L'ultimo lo hanno avuto i tre questori della Camera guidati da Francesco Colucci (Pdl) ed è planato ieri mattina sulla casella postale dei 630 deputati sotto forma di lettera-invito a "usufruire di un corso di 15 ore di lezioni individuali di informatica da 1,5 ore cadauno" che si svolgeranno a Montecitorio. Costo risibile da 235 euro a testa, il resto lo mette la Camera, ovvio. Quisquilie, appunto. Sarebbe bello invece sapere anche qui da noi come il deputato utilizza i 4.003 euro mensili che il Parlamento gli mette in saccoccia ogni mese come "rimborso spese di soggiorno". Certo, magari anche l'elettore italiano vorrebbe sapere almeno dove risiede il suo onorevole di riferimento, quando trascorre quei tre giorni nella Capitale. Per esempio se lo utilizza tutto, il suo budget da diaria extra stipendio. O che ne fa di quell'altro da 4.190 euro al mese che gli viene erogato proprio a titolo di "rimborso spese". Qualcuno non vorrà mica sospettare che una parte di quei soldi o addirittura tutti finiscano nel conto in banca dell'onorevole? Sospettosi o malpensanti. Qui la nota spese è bandita, il piè di lista è sconosciuto. Le Camere pagano anzitempo, pagano sulla fiducia, pagano a forfait. Non c'è nulla da scoprire. Altro che dimissioni dello Speaker del parlamento inglese.

Che ridere, il milione di sterline per colpa del quale Westminster sta precipitando nello scandalo, col suo carico di rimborsi gonfiati dai deputati. Che ridere, perché Montecitorio e Palazzo Madama, in questo 2009, distribuiranno ai nostri 630 deputati e 322 senatori rimborsi spese destinati sulla carta a viaggi, diaria e segreterie per qualcosa come 96 milioni di euro, parenti molto vicini di 100 milioni. E il tutto, va da sé, senza chiedere lo straccio di una prova documentale che attesti se davvero saranno utilizzati per gli scopi "istituzionali". Sono 72 milioni di euro alla Camera e 24 milioni al Senato. E va da sé, che quegli 8.190 euro mensili ai deputati e 8.678 mila euro ai senatori sono solo, appunto, rimborsi. Nulla a che fare con le indennità da 5.500 euro, lo stipendio in senso stretto.

"Uno scandalo come quello britannico da noi è impensabile - racconta un grande conoscitore del Palazzo come Gabriele Albonetti, deputato questore già da due legislature - Al di là dell'eticità del comportamento di deputati e senatori, la questione è tecnica. Da noi, non esiste la nota spesa, la Camera e il Senato affidano una somma, diciamo così, sulla fiducia. Sarà poi l'onorevole a gestirla a suo piacimento". Nulla da spiegare e nulla da giustificare. Né gli alberghi, né i ristoranti, né le segreterie, né - chiamiamoli così - gli "extra" molto extra. Come non sono da rendicontare gli oltre 4 mila euro al mese (4.678 al Senato) erogati a ciascun onorevole per i cosiddetti portaborse. Col risultato ormai arcinoto che buona parte degli assistenti sono sottopagati o pagati in nero. Ieri il Consiglio dei presidenza del Senato, prossimamente quello della Camera, ammetteranno l'ingresso dal primo luglio solo per i portaborse dotati di badge, rilasciato dietro esibizione di regolare contratto. Ma molti dei ragazzi, in questi giorni, ti raccontano come alcuni dei loro onorevoli siano pronti a far sottoscrivere loro un contratto da addetto alle pulizie del gruppo parlamentare, che ne possa comunque consentire l'ingresso quotidiano a Palazzo e continuare come sempre. Come sempre in nero.

Un po' di pulizia, va detto, la si sta pure facendo. Al Senato hanno cancellato i 730 mila euro sborsati, tra l'altro, per garantire un ufficio ai senatori rimasti privi di scrivania. O i 690 mila euro che sono parte della voce "rimborsi spese telefoniche". Ha fatto pure scalpore scoprire in questi giorni che i 1.058 "ex" senatori per fortuna ancora in vita costano però 1 milione 726 mila euro per viaggi in treni, aereo o per passaggi autostradali, al netto, ovvio, del vitalizio. Platea di beneficiari ridotta ora a 291 in uno slancio di austerity. Rigorismo che ancora non ha scalfito l'Asis, l'assistenza sanitaria garantita ai senatori e ai deputati e ai loro familiari. Basta pagare 25 euro al mese per ciascun figlio o consorte, ma anche - magia del Parlamento - per il convivente, e ogni cura è assicurata. Gratis. Perché la coppia di fatto che le Camere non hanno mai voluto riconoscere, lì dentro esistono, eccome, da tempo. Per l'esattezza dal 1985, quando è stata approvata la legge 687. Qualche sprovveduto Don Chisciotte, di tanto in tanto, prova pure a divertirsi e ad agitare le acque. In questa legislatura la dipietrista Silvana Mura, con un ddl che prevede tra l'altro la riforma del sistema dei rimborsi, da erogare solo dopo l'esibizione delle spese effettive. "Ma, per usare un eufemismo - racconta - non ha suscitato grandi entusiasmi tra i colleghi".

Fuori dai confini, qualche italiano finora ha potuto fare il furbo nell'Europarlamento. Tratta Bruxelles-Roma (o Milano) rimborsata forfaittariamente per la business class in base al chilometraggio. Quando invece era notorio che molti dei nostri 78 (come tanti altri) viaggiavano in low-cost. E lì, via con la cresta. Da luglio però, col nuovo Parlamento, si cambia registro: rimborso solo dei biglietti effettivamente acquistati. Il rimborso spese per lo staff viaggia sui 17 mila euro mensili. Non sarà per sfiducia, ma il tesoretto lì non lo fanno transitare dalla busta paga dell'onorevole. È a disposizione e le somme le paga direttamente il Parlamento agli assistenti che dimostrano con contatti e contributi di prestare servizio per il deputato. Rigore e trasparenza che i portaborse italiani sono costretti per ora solo a sognare.

di CARMELO LOPAPA