05 ottobre 2009

Lotta al signoraggio: quale rotta ?

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Ormai è chiaro, la battaglia per la sovranità monetaria è la causa più importante tra tutte le lotte politiche che ci è dato sostenere. Il meccanismo del signoraggio bancario, primario e secondario, affama i popoli più poveri e schiavizza quelli più ricchi, sia in senso letterale che metaforico.
Senza risolvere questo dramma, è perfettamente inutile spendersi in distinguo politici e partitici, in dibattiti su questa o quella legge particolare. Così come è oggi inutile votare o candidarsi, in questa plutocrazia mascherata che si finge democrazia e fa del voto l’alibi del proprio eternarsi.

La portata del fenomeno è tale che, risolto questo, ogni piano della nostra vita di cittadini e individui verrebbe innalzato su livelli che è difficile anche solo immaginare. Avremmo benefici non solo economici, conosceremmo cioè un benessere diverso da quello promulgato dal consumismo materialista; fatto di più tempo per noi e più spazio per la vita associata, senza l’assillo dell’insolvenza; i meccanismi finanziari che fomentano le guerre verrebbero ridimensionati, così come l’economia speculativa ridiverrebbe produttiva. Può darsi che il torbido dell’animo umano troverebbe presto un altro strumento per manifestarsi, è certo però che difficilmente sarebbe così ben congegnato come quello dell’appropriazione indebita della moneta.
Non starò qui a ricordare cosa sia il signoraggio. Vorrei invece riflettere sulla situazione odierna della lotta per sconfiggerlo, sui pericoli che incombono su di essa, così che sia possibile correre ai ripari e correggere la rotta.

A questo proposito viviamo un momento di stallo: il tema non riesce a raggiungere il grosso della popolazione. Della questione si parla già da diversi anni. Sono usciti autorevoli libri, se ne occupano vari siti internet e si tengono già da tempo delle conferenze. Ma, se da anni c’è gente che ci lavora, come mai non si è raccolto ancora nulla? Il coinvolgimento emotivo, lo sdegno viscerale che la questione suscita in chi la conosce a fondo per la prima volta, può scomparire, affievolirsi ed annacquarsi con tanta facilità? No. Sta semplicemente succedendo quello che spesso succede con il pensiero: da scoperta, da forza esterna alla coscienza, capace di scuoterla e colpirla, si è trasformato in parte di essa. E’ stato hegelianamente introiettato e ora fa parte del tranquillo bagaglio culturale dell’individuo che lo possiede. Girando per l’Italia, ho constatato che si interessano del tema, i gruppi più eterogenei: fascisti nostalgici, naziskin inacculturati, comunisti no global, ipertradizionalisti cattolici, grillini virtuali e con loro pochi cani sciolti dai più svariati interessi e orientamenti, Al di là della validità e della preparazione sul tema dei singoli individui, nella maggior parte dei casi si tende a ricreare una appartenenza ad un’elite. Negli incontri infatti i “veterani” fanno a gara con quelli che reputano nuovi arrivati, per dimostrare che loro ne sanno di più di tutti sull’ultimo bilancio della Banca d’Italia, su Gesell, sullo Scec o sul Simec, sull’omicidio Kennedy o sulle lobby massoniche.

Per l’individuo, tutto si trasforma in pezzi di identità da mantenere, da sbandierare, con cui distinguersi. Ciò impedisce il dialogo costruttivo e, intrappolando la questione signoraggio ora in un’aura miracolistica e misticheggiante, ora in un semplice fatto di appartenenza partitica, ora in un’esperienza qualsiasi ma diversificante, si allontanano quelli che in tali vesti non si riconoscono.
Solo per fare un esempio, in occasione del terzo anniversario della morte di Giacinto Auriti, mi è capitato di partecipare ad una riunione di “Auritiani”, come loro si sono definiti, e di fare con loro il giro delle chiese e delle chiesette di un’intera provincia abruzzese, nonché di sentir raccontare un’infinità di aneddoti religiosi su “Don Giacinto” e di sentir dire che non può capire a fondo il tema del signoraggio chi non comprende “la realtà delle due eucaristie, quella divina e quella demonica”.
Quello che mi chiedo è se un motivo di lotta può essere frustrato tanto da diventare solo un irrinunciabile segno di identità o in rari casi piccola fonte di sostentamento.

Insomma, ritengo che bisogna sgomberare il campo da personalismi, appartenenze a conventicole e gruppuscoli, abbandonare, per lo meno all’inizio, approcci dogmatici e parziali. Non perché in essi non vi sia verità, anzi. Ad esempio nell’approccio cristiano-tradizionale c’è molto di vero e di sano e la lotta cattolica all’usura, come ho scritto in articoli precedenti parlando di San Bernardino, è un esempio importante da seguire. E’ solo che si rischia di allontanare chi in essa non si riconosce pur condividendo la sostanza della critica al signoraggio, che può avvenire per mille motivi: da quello puramente economico (maggior benessere per sé) a quello morale, da quello estetico (bruttezza di ogni mascheramento del potere) a quello storico-politico (revanscismo post-bellico) e via dicendo.
Non è il momento di fare a gara sulla paternità della lotta, piuttosto occorre concentrarsi su pochi concetti da diffondere, la cui comprensibilità è sì ostica ma non così tanto come si crede.

Ci si deve chiedere piuttosto come mai, pur avendo raggiunto partiti politici, il signoraggio non abbia fatto breccia nel cuore e nel cervello della gente. Ne hanno parlato Storace, Buontempo, Tremonti, Ferrando, ne ha accennato Di Pietro e alcuni suoi uomini, e persino la Lega lo ha fatto proprio ma, è un dato di fatto, l’argomento non è “passato”.
E’ un problema strategico: impossibile raccogliere consensi intorno ad un partito del due per cento, solo perché questo propugna la lotta al signoraggio. Esso rimane un partito con una sua identità e la gente che le è estranea, pur essendo contro l’usura delle banche centrali, non andrà nemmeno ad informarsi su che cosa pensa quel partito in tema monetario. Occorre creare un partito apposito, con un unico punto programmatico: rinunciamo all’euro e lo Stato (non Bankitalia) stampi una sua moneta con su scritto “proprietà del portatore”, senza alcuna creazione di debito.
In realtà tale progetto lodevole sembrava essere partito ma sono passati già alcuni mesi dalla sua comparsa senza che ne sia sortito alcun fatto concreto.
Certo, si tratta di una battaglia difficilissima, disperata quasi, ma è l’unica soluzione. Lancio un’idea, senza preoccuparmi troppo delle strategie di realizzazione pratica: si faccia un’associazione con un rappresentante per provincia e si organizzino conferenze nei comuni, appoggiandosi alle altre associazioni culturali. Una volta conclusa l’opera d’informazione nei paesi si tirino le fila e si trasformi l’associazione in un movimento politico. Raccogliendo il sei-sette per cento si sarebbe forse in grado di entrare in una coalizione e di “forzare la mano” imponendo dal primo giorno la realizzazione dell’unico punto di programma.
di Matteo Simonetti

04 ottobre 2009

Santoro, Vespa e il sistema



Sono d'accordo anch'io che l'intervento del governo contro Annozero, oltre che illegittimo, è un'intimidazione inaudita, aggravata dal fatto di avvenire all'interno di un panorama televisivo nazionale occupato per i quattro quinti dal centro destra. Ma mi rifiuto di considerare Michele Santoro una vittima di regime. È piuttosto un prodotto, insieme a Bruno Vespa e ad altri conduttori, della distorsione oligopolista, e in alcuni periodi quasi monopolista, del sistema.
Supponiamo, per un attimo, di vivere in un Paese "normale", per usare un'espressione cara a D'Alema, dove c'è una Rete di Stato e altri quattro o cinque network indipendenti della stessa potenza. In quest'ipotetica Italia un ipotetico Santoro conduce sulla Rete di Stato un programma che, per vari motivi, non piace al suo Direttore. Può costui cancellare il programma ed eventualmente licenziare il conduttore che non lo convince? Certo che può è lui il responsabile di fronte all'Editore, altrimenti che ci sta a fare? In quest'ipotetica Italia l'ipotetico Santoro verrà ingaggiato da un altro network e, se davvero è così bravo, farà grandi ascolti e il Direttore che lo ha cacciato risponderà al proprio Editore per aver danneggiato l'azienda a vantaggio della concorrenza.
Ma nell'Italia reale le cose non stanno così. Se Santoro venisse licenziato non avrebbe alternative all'altezza (essendo per lui impensabile un passaggio a Mediaset). Questa che apparentemente è la sua debolezza è invece la sua forza. Perché diventa inamovibile, dato che qualsiasi intervento contro di lui o il suo programma si configura oggettivamente come un attentato alla libertà d'informazione. Tanto è vero che furoreggia da decenni, sui canali nazionali, come, dall'altro versante, Bruno Vespa, con i suoi modi più melliflui e subdoli. Tra l'altro non possiamo nemmeno sapere se i Vespa e i Santoro sono davvero così bravi, perché come non c'è una reale concorrenza a livello di Reti, non c'è neanche una reale concorrenza fra conduttori. Non hanno rivali. Anch'essi sfruttano l'oligopolio e fanno da tappo all'ingresso di forze più fresche, nuove, diverse ed eventualmente più capaci e meno ideologicamente schierate.
Come si esce da questa situazione aberrante? Concettualmente è chiaro. Si chiama "disarmo bilaterale", di cui qualche volta si è parlato: una Rete alla Rai che dipenda direttamente dal governo, come la Bbc inglese, perché anche il governo, che rappresenta tutti i cittadini, ha il diritto di dare un suo indirizzo latu sensu culturale al Paese, una Rete a Mediaset, e le restanti quattro messe sul mercato e vendute a editori indipendenti dalle prime due e indipendenti fra loro.
Ma a questa soluzione non si arriverà mai (se non, forse, nel Quarto Millennio) perché conviene a tutti. A Berlusconi perché consente al cosiddetto campione del liberismo di mantenere, con le sue tre Reti, una posizione totalmente illiberista col pressoché totale dominio dell'intero comparto televisivo privato nazionale. Ai partiti nel loro complesso, di sinistra e di destra, perché così possono continuare ad occupare arbitrariamente e illegittimamente la Rai, contro la Costituzione (che in nessun passaggio a ciò li autorizza) perché come Ente di Stato dovrebbe appartenere a tutti i cittadini e non ad alcune organizzazioni private quali i partiti sono. E conviene agli inamovibili Vespa e Santoro.
Conviene a tutti tranne che a noi cittadini. Che continueremo ad assistere in eterno a dibattiti impossibili, fasulli, grotteschi e truffaldini sull' "imparzialità" dell'informazione pubblica, come se ci fosse qualcuno che possa valutare oggettivamente un concetto così soggettivo, tanto più in un sistema in cui i vertici Rai, il Consiglio di Amministrazione, la Commissione di Vigilanza, i direttori, i vicedirettori, i capi struttura, oltre ai fattorini, sono tutti di nomina partitica, per cui ciò che è "imparziale" per l'uno diventa, automaticamente, "fazioso" per l'altro. Che barba, che noia, che stufida. Che voglia, nella nostra totale impotenza di sudditi, di spaccare tutto.

di Massimo Fini

03 ottobre 2009

Brunetta ci azzecca sul Britannia




- Nel corso della sua sfuriata al convegno del PdL di Cortina d'Ampezzo, il ministro Brunetta ad un certo punto ha interrogato il suo pubblico: "Ve lo ricordate il Britannia?".

"Ve lo ricordate il Britannia? Se non ve lo ricordate", dice Brunetta, "ve lo ricordo io. Il Britannia è una nave, appartenuta già alla casa reale inglese, che navigò davanti alle coste italiane [...], ospitando dentro banchieri, grand commis dello Stato, esponenti vari della burocrazia... in cui si svolse un lungo seminario, durato un paio di giorni, in cui si trassero le linee della svendita delle aziende di stato italiane".

Benché imperfetta, l'evocazione di quel complotto, denunciato dall'EIR nel 1993 (vedi la documentazione riepilogativa), riapre il sipario sul secolare tentativo di Londra di "scrivere il destino" dell'Italia (come di tanti altri Paesi).

In questa strategia imperiale, secolare e globale, trovano posto tutte le azioni che possano rivelarsi utili a ricondurre l'Italia ad uno stato di molto precedente quello del boom economico postbellico, di fatto preda del sistema imperiale della globalizzazione.

A questo riguardo, è più interessante guardare al timoniere, piuttosto che agli ospiti del Britannia. Se vogliamo dirla tutta, si tratta della stessa cricca che arma la mano degli "insorti" che hanno trucidato i sei soldati italiani in Afghanistan. Non vogliamo certamente dire che Draghi ordina ai Talebani di bombardare i nostri soldati ma, come abbiamo scritto, che "il tritolo che ha ucciso i soldati italiani è stato pagato con i soldi di Soros".

In altre parole, il pasticcio afghano in cui si è cacciata l'Italia a seguito degli Stati Uniti, è stato orchestrato dalle stesse forze del "nuovo impero britannico" che partorirono l'operazione Britannia. L'assalto contro l'Italia, che ebbe il culmine nell'anno del Britannia e che prosegue nella misura in cui dall'Italia si manifestano resistenze al nuovo impero della globalizzazione, al salvataggio delle banche ecc., va inquadrato nella strategia globale con cui si tenta di demolire gli stati nazionali per far posto alla Nuova Torre di Babele, come dice LaRouche. La guerra in Afghanistan fu escogitata per coinvolgere gli Stati Uniti in un disastro strategico e subire la stessa sorte che subì Atene con la Guerra del Peloponneso. A livello regionale, è la riedizione della strategia ottocentesca dell'Impero Britannico per il controllo dell'Asia meridionale.

Abbiamo più volte, in questo sito, documentato il ruolo degli inglesi nel "combattere e proteggere" i talebani, tanto da aver ottenuto per loro tramite un aumento della produzione dell'oppio. Dalle montagne afghane ai mercati della droga occidentali, riecheggia il nome di George Soros, paladino delle campagne per la liberalizzazione. Quel George Soros che l'Italia conobbe nella vicenda del Britannia e del successivo attacco alla lira che ci tramortì e ci fece accettare l'Euro senza batter ciglio.

Tuttavia – è bene ricordarlo - l'ossessione dei "Britannia Boys" non è l'Italia. Nel contesto della crisi globale, del collasso economico più grave della storia umana da noi conosciuta, l'oligarchia punta a rimuovere ogni paletto con cui la cospirazione repubblicana, che in America lottò in favore della "comunità di nazioni perfettamente sovrane" da contrapporre all'Impero Britannico, ha assestato i suoi successi storici.

Aver trascinato gli Stati Uniti, l'Italia e altri Paesi in Afghanistan, ovvero negli stessi luoghi in cui l'Impero Britannico sin dall'Ottocento non ebbe mai la meglio contro i "fanatici ribelli", è l'estremo tentativo (forse il più palese, oltre quello del salvataggio degli speculatori con emissioni di credito nazionale americano) di far affossare il sistema americano e ogni altra sua influenza nelle istituzioni di altre nazioni.

Chi dovrebbe sostituire gli Stati Uniti nella loro egemonia globale (non priva di macchie) è, nella mente dell'oligarchia, il governo mondiale attraverso "quel che è di Cesare", declinato nelle forme del "Financial Stability Board", o del Fondo Monetario Internazionale.

L'Italia, grazie all'azione di Tremonti che si oppone ai salvataggi indiscriminati delle banche, è un ostacolo da rimuovere su questa strada, specialmente in vista della prossima grave fase della crisi, in cui si chiederà agli Stati di dissanguarsi ulteriormente per gli speculatori. Non pretendiamo che Brunetta afferri tutto ciò, ma constatiamo che denunciando i "Britannia Boys", egli esprime un pensiero condiviso nel governo. Non basta per conquistare la fiducia del popolo italiano e di chi egli vorrebbe sganciare dalle "elites parassitarie". Occorre abbandonare il liberismo e sposare quelle tesi rooseveltiane e quella Nuova Bretton Woods di LaRouche che Brunetta ha finora osteggiato .

(MoviSol)

05 ottobre 2009

Lotta al signoraggio: quale rotta ?

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Ormai è chiaro, la battaglia per la sovranità monetaria è la causa più importante tra tutte le lotte politiche che ci è dato sostenere. Il meccanismo del signoraggio bancario, primario e secondario, affama i popoli più poveri e schiavizza quelli più ricchi, sia in senso letterale che metaforico.
Senza risolvere questo dramma, è perfettamente inutile spendersi in distinguo politici e partitici, in dibattiti su questa o quella legge particolare. Così come è oggi inutile votare o candidarsi, in questa plutocrazia mascherata che si finge democrazia e fa del voto l’alibi del proprio eternarsi.

La portata del fenomeno è tale che, risolto questo, ogni piano della nostra vita di cittadini e individui verrebbe innalzato su livelli che è difficile anche solo immaginare. Avremmo benefici non solo economici, conosceremmo cioè un benessere diverso da quello promulgato dal consumismo materialista; fatto di più tempo per noi e più spazio per la vita associata, senza l’assillo dell’insolvenza; i meccanismi finanziari che fomentano le guerre verrebbero ridimensionati, così come l’economia speculativa ridiverrebbe produttiva. Può darsi che il torbido dell’animo umano troverebbe presto un altro strumento per manifestarsi, è certo però che difficilmente sarebbe così ben congegnato come quello dell’appropriazione indebita della moneta.
Non starò qui a ricordare cosa sia il signoraggio. Vorrei invece riflettere sulla situazione odierna della lotta per sconfiggerlo, sui pericoli che incombono su di essa, così che sia possibile correre ai ripari e correggere la rotta.

A questo proposito viviamo un momento di stallo: il tema non riesce a raggiungere il grosso della popolazione. Della questione si parla già da diversi anni. Sono usciti autorevoli libri, se ne occupano vari siti internet e si tengono già da tempo delle conferenze. Ma, se da anni c’è gente che ci lavora, come mai non si è raccolto ancora nulla? Il coinvolgimento emotivo, lo sdegno viscerale che la questione suscita in chi la conosce a fondo per la prima volta, può scomparire, affievolirsi ed annacquarsi con tanta facilità? No. Sta semplicemente succedendo quello che spesso succede con il pensiero: da scoperta, da forza esterna alla coscienza, capace di scuoterla e colpirla, si è trasformato in parte di essa. E’ stato hegelianamente introiettato e ora fa parte del tranquillo bagaglio culturale dell’individuo che lo possiede. Girando per l’Italia, ho constatato che si interessano del tema, i gruppi più eterogenei: fascisti nostalgici, naziskin inacculturati, comunisti no global, ipertradizionalisti cattolici, grillini virtuali e con loro pochi cani sciolti dai più svariati interessi e orientamenti, Al di là della validità e della preparazione sul tema dei singoli individui, nella maggior parte dei casi si tende a ricreare una appartenenza ad un’elite. Negli incontri infatti i “veterani” fanno a gara con quelli che reputano nuovi arrivati, per dimostrare che loro ne sanno di più di tutti sull’ultimo bilancio della Banca d’Italia, su Gesell, sullo Scec o sul Simec, sull’omicidio Kennedy o sulle lobby massoniche.

Per l’individuo, tutto si trasforma in pezzi di identità da mantenere, da sbandierare, con cui distinguersi. Ciò impedisce il dialogo costruttivo e, intrappolando la questione signoraggio ora in un’aura miracolistica e misticheggiante, ora in un semplice fatto di appartenenza partitica, ora in un’esperienza qualsiasi ma diversificante, si allontanano quelli che in tali vesti non si riconoscono.
Solo per fare un esempio, in occasione del terzo anniversario della morte di Giacinto Auriti, mi è capitato di partecipare ad una riunione di “Auritiani”, come loro si sono definiti, e di fare con loro il giro delle chiese e delle chiesette di un’intera provincia abruzzese, nonché di sentir raccontare un’infinità di aneddoti religiosi su “Don Giacinto” e di sentir dire che non può capire a fondo il tema del signoraggio chi non comprende “la realtà delle due eucaristie, quella divina e quella demonica”.
Quello che mi chiedo è se un motivo di lotta può essere frustrato tanto da diventare solo un irrinunciabile segno di identità o in rari casi piccola fonte di sostentamento.

Insomma, ritengo che bisogna sgomberare il campo da personalismi, appartenenze a conventicole e gruppuscoli, abbandonare, per lo meno all’inizio, approcci dogmatici e parziali. Non perché in essi non vi sia verità, anzi. Ad esempio nell’approccio cristiano-tradizionale c’è molto di vero e di sano e la lotta cattolica all’usura, come ho scritto in articoli precedenti parlando di San Bernardino, è un esempio importante da seguire. E’ solo che si rischia di allontanare chi in essa non si riconosce pur condividendo la sostanza della critica al signoraggio, che può avvenire per mille motivi: da quello puramente economico (maggior benessere per sé) a quello morale, da quello estetico (bruttezza di ogni mascheramento del potere) a quello storico-politico (revanscismo post-bellico) e via dicendo.
Non è il momento di fare a gara sulla paternità della lotta, piuttosto occorre concentrarsi su pochi concetti da diffondere, la cui comprensibilità è sì ostica ma non così tanto come si crede.

Ci si deve chiedere piuttosto come mai, pur avendo raggiunto partiti politici, il signoraggio non abbia fatto breccia nel cuore e nel cervello della gente. Ne hanno parlato Storace, Buontempo, Tremonti, Ferrando, ne ha accennato Di Pietro e alcuni suoi uomini, e persino la Lega lo ha fatto proprio ma, è un dato di fatto, l’argomento non è “passato”.
E’ un problema strategico: impossibile raccogliere consensi intorno ad un partito del due per cento, solo perché questo propugna la lotta al signoraggio. Esso rimane un partito con una sua identità e la gente che le è estranea, pur essendo contro l’usura delle banche centrali, non andrà nemmeno ad informarsi su che cosa pensa quel partito in tema monetario. Occorre creare un partito apposito, con un unico punto programmatico: rinunciamo all’euro e lo Stato (non Bankitalia) stampi una sua moneta con su scritto “proprietà del portatore”, senza alcuna creazione di debito.
In realtà tale progetto lodevole sembrava essere partito ma sono passati già alcuni mesi dalla sua comparsa senza che ne sia sortito alcun fatto concreto.
Certo, si tratta di una battaglia difficilissima, disperata quasi, ma è l’unica soluzione. Lancio un’idea, senza preoccuparmi troppo delle strategie di realizzazione pratica: si faccia un’associazione con un rappresentante per provincia e si organizzino conferenze nei comuni, appoggiandosi alle altre associazioni culturali. Una volta conclusa l’opera d’informazione nei paesi si tirino le fila e si trasformi l’associazione in un movimento politico. Raccogliendo il sei-sette per cento si sarebbe forse in grado di entrare in una coalizione e di “forzare la mano” imponendo dal primo giorno la realizzazione dell’unico punto di programma.
di Matteo Simonetti

04 ottobre 2009

Santoro, Vespa e il sistema



Sono d'accordo anch'io che l'intervento del governo contro Annozero, oltre che illegittimo, è un'intimidazione inaudita, aggravata dal fatto di avvenire all'interno di un panorama televisivo nazionale occupato per i quattro quinti dal centro destra. Ma mi rifiuto di considerare Michele Santoro una vittima di regime. È piuttosto un prodotto, insieme a Bruno Vespa e ad altri conduttori, della distorsione oligopolista, e in alcuni periodi quasi monopolista, del sistema.
Supponiamo, per un attimo, di vivere in un Paese "normale", per usare un'espressione cara a D'Alema, dove c'è una Rete di Stato e altri quattro o cinque network indipendenti della stessa potenza. In quest'ipotetica Italia un ipotetico Santoro conduce sulla Rete di Stato un programma che, per vari motivi, non piace al suo Direttore. Può costui cancellare il programma ed eventualmente licenziare il conduttore che non lo convince? Certo che può è lui il responsabile di fronte all'Editore, altrimenti che ci sta a fare? In quest'ipotetica Italia l'ipotetico Santoro verrà ingaggiato da un altro network e, se davvero è così bravo, farà grandi ascolti e il Direttore che lo ha cacciato risponderà al proprio Editore per aver danneggiato l'azienda a vantaggio della concorrenza.
Ma nell'Italia reale le cose non stanno così. Se Santoro venisse licenziato non avrebbe alternative all'altezza (essendo per lui impensabile un passaggio a Mediaset). Questa che apparentemente è la sua debolezza è invece la sua forza. Perché diventa inamovibile, dato che qualsiasi intervento contro di lui o il suo programma si configura oggettivamente come un attentato alla libertà d'informazione. Tanto è vero che furoreggia da decenni, sui canali nazionali, come, dall'altro versante, Bruno Vespa, con i suoi modi più melliflui e subdoli. Tra l'altro non possiamo nemmeno sapere se i Vespa e i Santoro sono davvero così bravi, perché come non c'è una reale concorrenza a livello di Reti, non c'è neanche una reale concorrenza fra conduttori. Non hanno rivali. Anch'essi sfruttano l'oligopolio e fanno da tappo all'ingresso di forze più fresche, nuove, diverse ed eventualmente più capaci e meno ideologicamente schierate.
Come si esce da questa situazione aberrante? Concettualmente è chiaro. Si chiama "disarmo bilaterale", di cui qualche volta si è parlato: una Rete alla Rai che dipenda direttamente dal governo, come la Bbc inglese, perché anche il governo, che rappresenta tutti i cittadini, ha il diritto di dare un suo indirizzo latu sensu culturale al Paese, una Rete a Mediaset, e le restanti quattro messe sul mercato e vendute a editori indipendenti dalle prime due e indipendenti fra loro.
Ma a questa soluzione non si arriverà mai (se non, forse, nel Quarto Millennio) perché conviene a tutti. A Berlusconi perché consente al cosiddetto campione del liberismo di mantenere, con le sue tre Reti, una posizione totalmente illiberista col pressoché totale dominio dell'intero comparto televisivo privato nazionale. Ai partiti nel loro complesso, di sinistra e di destra, perché così possono continuare ad occupare arbitrariamente e illegittimamente la Rai, contro la Costituzione (che in nessun passaggio a ciò li autorizza) perché come Ente di Stato dovrebbe appartenere a tutti i cittadini e non ad alcune organizzazioni private quali i partiti sono. E conviene agli inamovibili Vespa e Santoro.
Conviene a tutti tranne che a noi cittadini. Che continueremo ad assistere in eterno a dibattiti impossibili, fasulli, grotteschi e truffaldini sull' "imparzialità" dell'informazione pubblica, come se ci fosse qualcuno che possa valutare oggettivamente un concetto così soggettivo, tanto più in un sistema in cui i vertici Rai, il Consiglio di Amministrazione, la Commissione di Vigilanza, i direttori, i vicedirettori, i capi struttura, oltre ai fattorini, sono tutti di nomina partitica, per cui ciò che è "imparziale" per l'uno diventa, automaticamente, "fazioso" per l'altro. Che barba, che noia, che stufida. Che voglia, nella nostra totale impotenza di sudditi, di spaccare tutto.

di Massimo Fini

03 ottobre 2009

Brunetta ci azzecca sul Britannia




- Nel corso della sua sfuriata al convegno del PdL di Cortina d'Ampezzo, il ministro Brunetta ad un certo punto ha interrogato il suo pubblico: "Ve lo ricordate il Britannia?".

"Ve lo ricordate il Britannia? Se non ve lo ricordate", dice Brunetta, "ve lo ricordo io. Il Britannia è una nave, appartenuta già alla casa reale inglese, che navigò davanti alle coste italiane [...], ospitando dentro banchieri, grand commis dello Stato, esponenti vari della burocrazia... in cui si svolse un lungo seminario, durato un paio di giorni, in cui si trassero le linee della svendita delle aziende di stato italiane".

Benché imperfetta, l'evocazione di quel complotto, denunciato dall'EIR nel 1993 (vedi la documentazione riepilogativa), riapre il sipario sul secolare tentativo di Londra di "scrivere il destino" dell'Italia (come di tanti altri Paesi).

In questa strategia imperiale, secolare e globale, trovano posto tutte le azioni che possano rivelarsi utili a ricondurre l'Italia ad uno stato di molto precedente quello del boom economico postbellico, di fatto preda del sistema imperiale della globalizzazione.

A questo riguardo, è più interessante guardare al timoniere, piuttosto che agli ospiti del Britannia. Se vogliamo dirla tutta, si tratta della stessa cricca che arma la mano degli "insorti" che hanno trucidato i sei soldati italiani in Afghanistan. Non vogliamo certamente dire che Draghi ordina ai Talebani di bombardare i nostri soldati ma, come abbiamo scritto, che "il tritolo che ha ucciso i soldati italiani è stato pagato con i soldi di Soros".

In altre parole, il pasticcio afghano in cui si è cacciata l'Italia a seguito degli Stati Uniti, è stato orchestrato dalle stesse forze del "nuovo impero britannico" che partorirono l'operazione Britannia. L'assalto contro l'Italia, che ebbe il culmine nell'anno del Britannia e che prosegue nella misura in cui dall'Italia si manifestano resistenze al nuovo impero della globalizzazione, al salvataggio delle banche ecc., va inquadrato nella strategia globale con cui si tenta di demolire gli stati nazionali per far posto alla Nuova Torre di Babele, come dice LaRouche. La guerra in Afghanistan fu escogitata per coinvolgere gli Stati Uniti in un disastro strategico e subire la stessa sorte che subì Atene con la Guerra del Peloponneso. A livello regionale, è la riedizione della strategia ottocentesca dell'Impero Britannico per il controllo dell'Asia meridionale.

Abbiamo più volte, in questo sito, documentato il ruolo degli inglesi nel "combattere e proteggere" i talebani, tanto da aver ottenuto per loro tramite un aumento della produzione dell'oppio. Dalle montagne afghane ai mercati della droga occidentali, riecheggia il nome di George Soros, paladino delle campagne per la liberalizzazione. Quel George Soros che l'Italia conobbe nella vicenda del Britannia e del successivo attacco alla lira che ci tramortì e ci fece accettare l'Euro senza batter ciglio.

Tuttavia – è bene ricordarlo - l'ossessione dei "Britannia Boys" non è l'Italia. Nel contesto della crisi globale, del collasso economico più grave della storia umana da noi conosciuta, l'oligarchia punta a rimuovere ogni paletto con cui la cospirazione repubblicana, che in America lottò in favore della "comunità di nazioni perfettamente sovrane" da contrapporre all'Impero Britannico, ha assestato i suoi successi storici.

Aver trascinato gli Stati Uniti, l'Italia e altri Paesi in Afghanistan, ovvero negli stessi luoghi in cui l'Impero Britannico sin dall'Ottocento non ebbe mai la meglio contro i "fanatici ribelli", è l'estremo tentativo (forse il più palese, oltre quello del salvataggio degli speculatori con emissioni di credito nazionale americano) di far affossare il sistema americano e ogni altra sua influenza nelle istituzioni di altre nazioni.

Chi dovrebbe sostituire gli Stati Uniti nella loro egemonia globale (non priva di macchie) è, nella mente dell'oligarchia, il governo mondiale attraverso "quel che è di Cesare", declinato nelle forme del "Financial Stability Board", o del Fondo Monetario Internazionale.

L'Italia, grazie all'azione di Tremonti che si oppone ai salvataggi indiscriminati delle banche, è un ostacolo da rimuovere su questa strada, specialmente in vista della prossima grave fase della crisi, in cui si chiederà agli Stati di dissanguarsi ulteriormente per gli speculatori. Non pretendiamo che Brunetta afferri tutto ciò, ma constatiamo che denunciando i "Britannia Boys", egli esprime un pensiero condiviso nel governo. Non basta per conquistare la fiducia del popolo italiano e di chi egli vorrebbe sganciare dalle "elites parassitarie". Occorre abbandonare il liberismo e sposare quelle tesi rooseveltiane e quella Nuova Bretton Woods di LaRouche che Brunetta ha finora osteggiato .

(MoviSol)