12 febbraio 2010

Il metodo FIAT

Quando si parla di Fiat e di Termini Imerese, mi viene sempre da pensare ad una cosa che successe circa 7 anni fa. A quei tempi mi proposero un lavoro di responsabile qualita’ in una piccola azienda di meccanica di precisione delle mie parti. Durante i primi giorni, mi successe una cosa incredibile, che in seguito appresi essere molto comune.

Ad un certo punto, la padrona dell’azienda mi disse “ormai siamo economicamente piu’ robusti, e abbiamo superato la crisi, al punto che non lavoriamo piu’ per FIAT”.

Li per li’ la cosa mi lascio’ perplesso: che senso aveva vantarsi di aver perso un cliente che, a rigor di logica, e’ il piu’ succoso del paese? Laa risposta e’ molto semplice: FIAT non e’ il piu’ succoso cliente del paese per le PMI. Questo non perche’ non dia lavoro, anzi: fosse per FIAT, produrrebbe in Italia.

Il guaio e’ che FIAT ha un’organizzazione a dir poco “esponenziale”, con un middle management che e’ , in pratica, una casta sacerdotale intoccabile. Come tutte le caste sacerdotali, quella di FIAT ha instaurato alcune pratiche verso i fornitori. Ovviamente non mi riferisco a tutte le persone del middle management, ma a tutte quelle che si occupano di rapporti coi fornitori.

A parte i pagamenti a tempi inaccettabili, quando FIAT comincio’ a contattare le PMI italiane per terziarizzare il lavoro, esse non ebbero nulla da ridire, anzi. Spesso si ridimensionarono per sostenere il nuovo carico. Una volta che le aziende furono “assuefatte” al carico di lavoro dovuto a FIAT, arrivo’ la generazione dei “colletti bianchi” figli di Romiti , e prese il controllo dei centri di costo e degli uffici acquisti.

Morale della storia: le aziende che lavoravano con FIAT si videro richiedere, con sempre maggiore insistenza, dei “regali” per continuare a lavorare con FIAT. Questa prassi crebbe sino a diventare consolidata, al punto che c’era un vero e proprio listino: a quanto mi raccontarono, a seconda dei volumi di commesse elargite, si oscillava tra semplici “visite all’azienda fornitrice” con tanto di escort pronta, sino agli scooter (il manager dell’ufficio acquisti parlava dicendo che suo figli aveva ormai 14 anni: segnale in codice che significava “voglio uno scooter”), automobili, immobili, soldi liquidi, a seconda dell’importo delle commesse.

Una volta iniziato col malcostume, si aggiunse una nuova cricca di persone, cioe’ quelli che dopo aver ricevuto i pezzi lavorati facevano i controlli di accettazione. Succedeva questo: l’azienda riceveva la commessa per lavorare , che so io, mille barre di un acciaio molto pregiato, che so io, un ECG. A quel punto , quando arrivava il camion con le barre, si scopriva che l’acciaio consegnato era una robaccia proveniente dall’ est europa, magari radioattiva. Si chiamava l’ufficio acquisti e si veniva minacciati di cause civili, per i ritardi di consegna.

Allora, obtorto collo, il nostro padrone di officina lavorava le barre e le rispediva indietro. Risultato: il signore dell’accettazione del materiale minacciava di rifiutarlo, perche’ la qualita’ era troppo scadente. Ovviamente il nostro imprenditore meccanico rispondeva che di certo lui non aveva cambiato il materiale delle barre, ma si vedeva rispondere che sulla bolla si parlava di purissime barre di ottimo acciaio ECG.

Morale della storia: ungere le ruote prima e dopo. Risultato: a parte il giro di cassa, non era conveniente. Per circa un decennio, il massimo imperativo di coloro che avevano lavorato per FIAT (magari espandendosi e quindi avendone bisogno per reggere le spese correnti) fu quello di “uscire dalla schiavitu’ di FIAT”.

Per circa un ventennio, potersi vantare di “non lavorare piu’ per FIAT” fu un sinonimo di ottima saluta finanziaria. Una PMI che prima lavorava con FIAT o che era nata con FIAT e che aveva la forza si separarsene aveva fatto un “salto di qualita”. Nella mente dei piccoli imprenditori, nel corso dei decenni si e’ fatta strada una strana divisione: da una parte le aziende ancora deboli o naviganti in cattive acque, cosi’ con l’acqua alla gola da dover lavorare con FIAT. Dall’altra parte le aziende fiche, quelle brave, che riuscivano ad affrancarsi da questa schiavitu’.

Questa mentalita’ e’ ormai cosi’ diffusa che e’ quasi normale sentir dire, come motivo di vanto, “noi non lavoriamo piu’ con FIAT”, come se perdere un cliente fosse una cosa buona. E questo perche’ il middle management di FIAT ha reso cosi’ incredibilmente lercio il business che le stesse PMI hanno dovuto cercare altro da farsi.

Il problema e’, a questo punto, che volendo costruire uno stabilimento bisogna avere per forza di cose una grandissima quantita’ di fornitori da gestire. E se pochi sono disposti a lavorare con pagamenti a 360 giorni, mazzetta propedeutica e mazzetta digestiva, il risultato sara’ che gran parte dei servizi e delle forniture bisognera’ farle venire da fuori.

Il problema vero di FIAT e’ che alle condizioni con cui fa le commesse NON PUO’ piu’ aprire stabilimenti in Italia. O trova imprese cosi’ disperate da dover accettare di lavorare coi suoi termini inaccettabili e il malcostume imperante dei suoi funzionari, e quindi aziende a bassa innovazione e bassa qualita’ (o alti prezzi, onde rientrare degli interessi di un anno di pagamento delazionato e di eventuali regalie) , oppure deve far venire dall’estero il materiale.

Non so se il top management di FIAT sia cosciente di questo malcostume, cioe’ di come i loro uffici acquisti lavorano coi fornitori; probabilmente no, e si sentono dire che produrre in Italia costi troppo senza chiedersi per quale motivo non riescano a strappare prezzi migliori dai propri fornitori, nemmeno in tempi di crisi. Fattosta che questa situazione dura ormai da decenni, e “non lavorare piu’ con FIAT” e’ ormai un simbolo di indipendenza economica e di salute aziendali.

Di fatto, costruire uno stabilimento in Italia, grazie a questo middle management, e’ praticamente impssibile. I pochi stabilimenti che ancora ci sono moriranno lentamente, mano a mano che sempre piu’ aziende riusciranno ad ottenere l’agognato status di “noi non lavoriamo piu’ per FIAT”.

Queste PMI che non sognano altro che “non lavorare piu’ per FIAT” sono il cuore dell’elettorato leghista e berlusconiano. Il che significa che, trasferendo il problema sul piano politico, quello attuale e’ un governo che ha una gran voglia di dichiarare “noi non lavoriamo piu’ con FIAT”.

Qui avviene il transfert: una volta che per un elettorato di riferimento “non lavorare piu’ per FIAT” diventa motivo di vanto, lo diventa anche per il partito. E quindi, per il governo.

A questo punto, abbiamo uno Scajola che da un lato non vuole piu’ dare soldi a FIAT , perche’ questa eventuale dazione ricorderebbe ai suoi elettori il ricatto da cui loro stessi voglioni (e alcuni sono riusciti) affrancarsi: “se vuoi il lavoro , paga”.

Non c’e’ , quindi, da temere che il governo possa finanziare, direttamente o in qualsiasi modo, la FIAT. Con una base che ricorda con ribrezzo e assai poca nostalgia gli anni in cui veniva taglieggiata con “se vuoi il lavoro, paga”, ne’ la Lega ne’ FI possono permettersi di farlo. La base vuole “non lavorare piu’ con FIAT”, il governo deve seguire.

Dall’altro lato, la crisi di termini deve portare una soluzione simile a quella degli imprenditori “vincenti”: trovare altri clienti “buoni” che permettano all’ azienda (in questo caso all’ Italia) di “non lavorare piu’ per FIAT”.

Cosi’, quello che dobbiamo aspettarci da questo governo, almeno sul piano della trattativa pubblica, e’ quello che i piccoli imprenditori sono riusciti ad ottenere con grande fatica (e chi non c’e’ riuscito sta sudando per arrivarci), ovvero:

  • Smettere di pagare qualsiasi dazio/contributo/aiuto a FIAT, sotto qualsiasi forma. (essi ricordano troppo alle PMI quei “regalini” che dovevano fare per “avere il lavoro”).
  • Lavorare come hanno lavorato le PMI, ovvero cercare altri clienti che permettano di evitare l’abbraccio di FIAT.
  • Poter annunciare con fierezza “noi non lavoriamo piu’ con FIAT”.

Questo pone innanzitutto due problemi.

Il primo e’ per FIAT: e’ vero che nei paesi stranieri non si e’ ancora verificato il peggioramento del middle management che e’ avvenuto in Italia, ed e’ vero che paesi poveri sono disposti a lavorare a tali condizioni. Ma e’ anche vero che mano a mano che crescono, tali paesi tenteranno a loro volta di affrancarsi da quel modo di fare.

In secondo luogo, la capacita’ di ricatto politico che un gruppo ha sul governo e’ rappresentata dal numero di dipendenti che puo’ licenziare in campagna elettorale. Mano a mano che questo numero si affievolisce il governo ha sempre piu’ le mani libere, e molti governi stranieri non sono altrettanto nella disposizione di finanziare FIAT.

Non sarebbe meglio per FIAT agire sul malcostume del middle management, che ha reso il fatto di lavorare per FIAT quasi un’onta ?

In secondo punto, per il governo: e” vero che gran parte delle PMI trarrebbe sollievo dal sentire il governo annunciare “noi non lavoriamo piu’ per FIAT”, ma rimane il fatto che molte PMI hanno l’acqua alla gola e devono, obtorto collo, lavorarci. Il che significa, in un modo o nell’altro, che queste aziende sono cosi’ fragili da rischiare il collasso se FIAT continua a dismettere.

La mia opinione e, a questo punto, che in questa situazione tantovarrebbe seguire la strada contraria: il governo finanzia FIAT, ma la finanzia troppo. Cosi’ tanto, e a tali condizioni, che il gruppo non riesca piu’ a vivere senza. In questo modo, le parti si invertono e le redini del gruppo vanno al governo. Che poi riporta in Italia la produzione.

Si tratterebbe cioe’ di una “nazionalizzazione alla francese”, nella quale il governo aiuta cosi’ tanto alcune aziende che esse hanno bisogno del governo per sopravvivere. Cosi’ facendo, la politica prende di fatto il controllo dell’azienda, e i soldi investiti vengono recuperati ordinando all’azienda di rispostare la produzione in casa.

Onestamente, non vedo alternative: se continua la contrapposizione tra una FIAT che ha perso il controllo del middle management e non riesce piu’ a lavorare in Italia ed un governo che mira a sostituirla con altre attivita’ per accontentare un elettorato di PMI che hanno fatto altrettanto, il risultato presto sara’ una FIAT che lascia di fatto il paese ed un governo che trova delle alternative non italiane.

Non e’ meglio, allora, una nazionalizzazione furba?

di Uriel

11 febbraio 2010

Banche e denaro







Con questo mio vorrei porre rimedio ad una carenza riscontrata sui vari mezzi di informazione, in quanto si trovano o informazioni molto dettagliate a livello universitario, o articoli su singoli aspetti che però mancano di creare quel quadro complessivo che permetta di inquadrare poi i vari dettagli.
Cercherò quindi qui, di descrivere tale quadro complessivo, sfrondandolo dei particolari inutili alla comprensione del funzionamento di base.
Ad aggiungere dettagli c’è tempo dopo.
Prendo quindi come base della trattazione l’aggregato monetario M1, definito come la quantità di supporto monetario immediatamente spendibile, ovvero la somma del circolante (banconote e monete) più conti correnti e conti postali. Da esso occorre detrarre tutte le banconote che si trovano all’interno delle banche commerciali, ovvero le banconote versate.

È già molto importante capire il perché di questa eccezione. Se andate a chiedere un prestito alla banca e questa ve lo concede, attuerà tale operazione consegnandovi pacchi di banconote ma più probabilmente accreditando la cifra sul vostro conto.
Faccio notare che ricevere il pacco di banconote e ricevere l’accredito è per voi esattamente la stessa cosa, pur richiedendo la prima operazione l’esistenza delle banconote stesse, mentre nel secondo caso, che esistano le banconote o no, per voi è irrilevante.
A tutti gli effetti il pacco di banconote equivale a quel numero sommato sul vostro conto.
E quella cifra fa parte di M1 dal momento che entra nella vostra disponibilità, sia in una forma sia nell’altra.
Pensate di aver ricevuto le banconote, ed ora di depositarle sul conto. Esisteva quella cifra in banconote e, dopo il versamento la stessa cifra esiste sul conto, ma se le banconote versate continuassero ad esser conteggiate, M1 avrebbe visto raddoppiare la cifra, come banconote e ANCHE come conto.
Faccio notare come abbiamo visto, che banconote o importo sul conto, siano due modi alternativi ed equivalenti di disporre di una quantità di denaro.
Pertanto non farò distinzione, per ora tra conti e banconote, chiamandolo semplicemente denaro.
Ed ora passiamo al sistema bancario.
NON tutto il denaro all’interno di una banca fa parte di M1, altrimenti con cosa una banca pagherebbe i suoi dipendenti ? e le fatture di luce, riscaldamento affitto locali, ecc…. ?
La banca commerciale (tanto per intenderci quella che tutti conosciamo, e dove facciamo prelievi, versamenti, paghiamo bollette, ecc…, che quindi ha rapporti con il pubblico ed opera la raccolta e gestione del denaro), la dobbiamo considerare divisa in due parti separate con mansioni e obiettivi ben distinti almeno contabilmente.
Una sezione simile ad una qualsiasi società, con personale, uffici, bollette da pagare, entrate e spese, ed un’altra sezione che gestisce il rapporto con il pubblico, riceve versamenti, fa i prelievi, concede prestiti e li riscuote.
Tanto per intenderci subito, nella prima sezione, quella che definisco la società, circola denaro incluse banconote conteggiate in M1, col quale si pagano stipendi e bollette, l’altra sezione, quella che opera verso il pubblico al cui interno le banconote NON sono conteggiate in M1. La prima sezione, per le proprie esigenze di cassa, ha pure lei un conto presso la sua seconda sezione, come un cliente qualsiasi.
Le entrate di tale società sono costituite semplicemente dagli interessi riscossi dall’altra sezione, sui prestiti concessi al pubblico.
Le uscite, come ho già accennato, sono gli stipendi, gli affitti, le bollette, le manutenzioni, e, se ne avanza, pagate le tasse, il rimanente rappresenta gli utili che verranno distribuiti agli azionisti.
La società, come tutte le società, ha un suo capitale in fondi, edifici, partecipazioni, e tale capitale gioca un ruolo di garanzia sull’attività dell’altra sezione, soprattutto nel limite alla concessione di prestiti. Come arriva il denaro alla banca ?
Semplice, se lo fa imprestare dalla banca centrale.
La banca centrale ha come compito costituzionale quello di creare il denaro, sotto forma di annotazione (quello scritto sui conti correnti si chiama così) o di banconote.
A tale proposito è necessario puntualizzare un fatto.
La banca centrale NON può spendere il denaro creato, ma lo può solo IMPRESTARE. (E, salvo rare eccezioni, solo alle banche ) È una distinzione estremamente importante ai fini di capire come il signoraggio sulle banconote e sul denaro in genere, non esista.
Quando il signore comprava oro, lo coniava ed otteneva in monete un valore superiore all’oro acquistato, poteva andare su un mercato qualsiasi e con tali monete comprarsi cosa desiderava.
La banca centrale invece, crea denaro, lo impresta ed accende un credito nei confronti della banca commerciale richiedente. Su tale credito maturerà interessi, ma, se il denaro gli verrà restituito, cancellerà l’equivalente del debito. Essendo poi tale debito NON CEDIBILE, esso non rappresenta alcuna ricchezza, in quanto non scambiabile. La banca centrale opera un servizio nella gestione della liquidità, nel controllo antifrode (il falsario crea le banconote, ma le SPENDE, e qui è la differenza sostanziale), e per tale servizio incassa gli interessi su tale prestito. Quello è il suo guadagno, la sua entrata.
Ho detto che il denaro viene imprestato dalla banca centrale alla banca commerciale (sezione società) che lo versa sul suo conto, facendolo così affluire nella sua seconda sezione, quella che opera verso il pubblico. Se fosse stato necessario, per riserve diventate troppo esigue, tale prestito poteva essere in banconote, che così affluiscono nella disponibilità della seconda sezione, quindi disponibili per i prelievi del pubblico.
Notare che banconote e annotazione, quando escono dalla banca centrale, sono conteggiate in M1.
Quando l’accredito implementa il conto della sezione società, fa parte di M1, quando le banconote vengono versate sempre sullo stesso conto e passano nel deposito della seconda sezione, escono dal conteggio di M1, per rientrarvi solo quando prelevate dal pubblico.
In tal modo M1 si implementa solo quando il denaro, sotto qualsivoglia forma, esce dalla banca centrale.
Ma M1 può variare anche ad opera della banca commerciale, e qui bisogna parlare delle riserve frazionate o frazionarie.
Nella banca sono affluiti i depositi della clientela (compresa la sua sezione società), e nel movimento dei depositi/prelievi, si nota che solo una piccola percentuale costituisce la variazione, la maggior parte resta sempre ferma, non movimentata.
In effetti se io prelevo, vado a comprare il pane, e il panettiere a fine giornata versa l’incasso, i due movimenti, statisticamente si compensano. Quindi la maggior parte di tale denaro sarebbe improduttiva, se la banca non provvedesse ad imprestarlo, ma chi lo riceve in prestito, o lo versa o lo spende, ma chi lo riceve in pagamento, probabilmente lo versa a sua volta, moltiplicando così la possibilità di imprestare denaro se non per la stessa banca, per un’altra.
Denaro prestato e versato, portano la possibilità della banca ad imprestare un multiplo dei versamenti ricevuti, che a volte sfiora valori assurdi come 50. Normalmente si fermano a 20-30.
Così per ogni unità di denaro versata, la banca ne può prestare anche 30.
Se poi si calcola che se sul vostro deposito la banca vi paga l’1% e sui prestiti che concede chiede il 5% significa che a fronte di un 1 versato a voi pretende 5x30= 150 con un guadagno netto di 149. Questo è un esempio ma nemmeno troppo distante dalla realtà quotidiana.
Notare che i 30 imprestati a fronte dell’1 ricevuto in versamento, sono creati dal nulla, e quindi vanno ad aumentare M1.
La banca commerciale è vincolata ad un tetto massimo del moltiplicatore stabilito dalla banca centrale, ed inoltre è vincolata a non superare un certo multiplo, fissato anch’esso dalla banca centrale, del valore del proprio capitale. Infatti, il capitale della banca interviene in tutti i casi in cui un prestito non venga onorato.
In tal caso si creerà una perdita che verrà ripianata sottraendola ai guadagni (gli interessi riscossi) e nel caso, dal capitale della banca stessa.
La banca centrale ha come obiettivo quello della conservazione del valore del denaro, e, come creditore di ultima istanza è comprensibile che sia suo interesse che tale valore sia conservato, e l’altro obiettivo è fare in modo che, agendo sulla concessione/limitazione del denaro alle banche commerciali, con il controllo del tasso di interesse, al quale poi tutti i tassi si adeguano, fornisca al mercato liquidità sufficiente a permettere agevolmente gli scambi, ma non eccessiva da inflazionare il mercato stesso.

Con questo mio molto succinto quadro, spero di aver dato un insieme logico al funzionamento del sistema bancario, anche se in esso è descritta solo una piccola parte di esso, ma quella parte che ne costituisce la struttura portante.
Il denaro generato dalla banca centrale, oppure da quella commerciale, è comunque di proprietà del sistema bancario.
Una delle questioni sollevate periodicamente è se questa proprietà non generi un impoverimento della società, pertanto si reclama che essi passi allo stato.

Consideriamo la realtà attuale.
Tutti gli stati sono fortemente indebitati. Con i loro cittadini, con i loro sistemi finanziari e bancari, ma anche con sistemi esteri.
Il debito di uno stato nasce dal semplicissimo fatto che riscuote in tasse meno di quanto spende. La differenza se la fa imprestare.

Se la possibilità di ricorrere al credito fosse riservata al solo obiettivo di compensare deficit e surplus nel corso degli anni, senza dover adeguare anno per anno le aliquote o i metodi della tassazione, ripagando negli anni “buoni” quanto richiesto in prestito in quelli “scarsi”, non si creerebbe il problema.

Ma un governo vuole apparire “buono”, esser rieletto, chiedere poche tasse al popolo e dare molti servizi, e così si indebita, riscuotendo il consenso oggi e lasciando i debiti da pagare ai governi e alle generazioni future.

Adesso, vorreste forse dare la possibilità di creare denaro, da una parte, e contemporaneamente di spenderlo, dall’altra, ad uno stato così maldestro nell’amministrare i propri conti, tanto da esser oberato dal pagamento degli interessi sui prestiti richiesti precedentemente?

Sarebbe esattamente come consegnare il libretto degli assegni e la facoltà di emetterli a chi si sapesse che non ha un soldo in banca ma in compenso ha già una montagna di debiti.
Chi pensa che una simile cosa sarebbe saggia ?
La storia è maestra, e basta andare a cercare cosa accadde tutte le volte che i vari stati si misero a generare denaro per pagare debiti (quasi sempre in occasione di guerra), per farsi passar la voglia di riprovarci. È vero quindi che tutto il denaro nasce come prestito da parte del sistema bancario, ma come si dovrebbe esser capito è pochissimo influente chi sia il proprietario del denaro, quanto invece la discussione dovrebbe portarsi sul quanto PAGHIAMO tale servizio, ovvero su quel numerino che è il tasso di interesse, e che costituisce il ricavo del sistema bancario e contemporaneamente l’impoverimento della società in cui tale sistema opera.

Esempi di cosa accadde quando la "stampante" fu data in mano allo stato

Nel maggio del 1775 stava approntando i preparativi per la guerra contro la Gran Bretagna, il Congresso fu messo di fronte al dilemma di come finanziare e rifornire l'esercito che l'avrebbe combattuta.
Invece di tassare i cittadini, si decise di ricorrere alla stampa di una moneta di carta, il Continental dollar, e di immetterla sul mercato, con la promessa di accettarlo in pagamento per eventuali tasse future.
Si chiedeva infatti ai singoli stati di ricorrere alla tassazione per “ritirare dal mercato” quei certificati e dar modo così al Congresso di stamparne altri senza che questi si deprezzassero eccessivamente.
Gli Stati, infatti, si guardarono bene dall'imporre nuove tasse e così i certificati rimasero in circolazione, deprezzandosi nei confronti dei “dollari di metallo” ogni giorno di più.
Alla fine della guerra quel pezzo di carta emesso dallo Stato non valeva più nulla tanto che fu coniato il modo di dire “not worth a Continental” (non vale un Continental) per indicare un oggetto di scarsissimo valore. In tantissimi furono rovinati ma non tutti i contemporanei giudicarono l'operazione come un disastro. Per Benjamin Franklin, anzi, il Continental fu una “macchina meravigliosa” che pagò e tenne rifornito l'esercito, si pagò da solo attraverso il suo deprezzamento e funzionò come una tassa equa.

Diciamo che fu una tassa pagata da chi li aveva incassati.
A pochi anni di distanza, nel vecchio continente, si stava consumando la Grande Rivoluzione che ci ha tramandato i valori della libertà, uguaglianza e fraternità, accompagnati però dal Terrore di Stato e dalla moneta di carta straccia per eccellenza: l'assegnato.
Si stamparono 400 milioni di assegnati nel 1790, poi altri 800, in un'escalation che portò, nel 1795, alla stampa di 33 miliardi di assegnati per coprire le spese statali. A quel punto l'assegnato aveva un potere d'acquisto che era solo più un seicentesimo di quello iniziale per cui si pensò di cambiare.
Si introdusse un'altra moneta, il mandato, che nominalmente valeva 30 assegnati, e si ripartì con la spinta inflazionistica: nel giro di pochi mesi, da febbraio ad agosto del 1796, la nuova moneta era già scesa al 3% del suo valore iniziale.
Ci pensò Napoleone Bonaparte a reinstaurare il sistema monetario metallico, intuendo che fosse più popolare e più saggio per lui depredare le nazioni conquistate invece dei suoi concittadini.

Il campione indiscusso (con John Kennedy) dei sostenitori della moneta di Stato rimane però Abramo Lincoln con i suoi Greenbacks. Anche qui, nulla di nuovo sotto il sole: una guerra (stavolta civile) da combattere e la necessità di integrare le maggiori entrate garantite dalle nuove tasse e tariffe imposte, con ulteriore liquidità senza ricorrere a prestiti che avrebbero avuto condizioni molto svantaggiose.
Invece di “andare per strada a chiedere prestiti”, tuonavano voci dai banchi del Congresso, “preferiamo affermare la dignità ed il potere del Governo di emettere le proprie banconote.”
E così fu, dal febbraio 1862.

150 milioni di banconote di valore legale per il pagamento di tutti i debiti privati, delle tasse e per l'acquisto di terra e... di titoli di stato. Le conseguenze furono quelle che ogni economista si aspetterebbe, portando alla scomparsa dalla circolazione delle monete metalliche, al deprezzamento dei Greenbacks e quindi, nel luglio dello stesso anno, ad una nuova emissione governativa: altri 150 milioni.
Alla fine della guerra erano stati stampati più di 400 milioni di Greenbacks ed il cambio con il dollaro (metallico) era sceso dalla parità al 39%.

L’ultimo esempio è quello offerto dalla repubblica di Weimar, che stampò marchi fino a che il valore del Papiermark crollò da 4,2 per ogni Dollaro statunitense a 1.000.000 di marchi per Dollaro nell'agosto 1923 e a 4.200.000.000.000 per dollaro il 20 novembre. L'1 dicembre venne introdotta una nuova valuta con il tasso di cambio di 1.000.000.000.000 di vecchi marchi per 1 nuovo marco, il Rentenmark.
di Andrea Mensa

09 febbraio 2010

La crisi del debito sovrano si allarga

Nonostante l'intervento della "mano invisibile" della BCE per salvare i titoli di stato greci il 25 gennaio, attraverso un acquisto da parte di banche private, la crisi del debito sovrano nell'Eurozona continua ad allargarsi. Un'ondata massiccia di speculazione investe i titoli greci, spagnoli, portoghesi e irlandesi, provocando un aumento quotidiano nel loro spread, considerato in relazione al rendimento delle obbligazioni di stato tedesche. Questo significa che aumenta il costo del rifinanziamento di quel debito. La Grecia è riuscita a collocare l'ultima emissione, ma solo offrendo un rendimento annuale del 6,2%. Il paese non può sostenere a lungo quei costi del debito.

Come nel 1992, quando George Soros guidò l'attacco speculativo contro la sterlina inglese e la lira italiana, gli speculatori scommettono al ribasso sulle obbligazioni greche, spagnole, portoghesi, irlandesi e italiane (il gruppo di paesi che i razzisti britannici chiamano "PIIGS"). Tutti questi paesi, salvo l'Italia, hanno un deficit tra 6 e 10 punti sopra il limite del 3% imposto dal trattato di Lisbona. È praticamente impossibile ridurre questi livelli, come viene invece richiesto dall'Unione Europea; farlo significherebbe ricorrere a prestiti dall'esterno, la cui emissione è vietata in condizioni normali per gli Stati Membri e per la BCE.

Tuttavia, l'UE ha deciso che, per salvare l'euro, questi paesi devono essere distrutti. Francia e Germania stanno preparando un pacchetto di salvataggio, da essere varato a condizione che la Grecia distrugga la propria economia. La prossima della serie è la Spagna. Con un deficit dell'11,4%, per la prima volta lo spread sulle obbligazioni di stato spagnole ha superato quello sulle obbligazioni italiane la scorsa settimana.

Anche i titoli di stato triennali italiani hanno sofferto la scorsa settimana, e il governo ha deciso di venderne una quantità leggermente minore per evitare di pagare un sovrapprezzo. Il deficit italiano è relativamente basso, circa il 5%, ma il debito è il terzo nel mondo, 115% del PIL. Il deficit del Portogallo è al 9,3%, quello dell'Irlanda all'11,5%. La decisione folle di perseguire la riduzione del deficit nella tempistica dettata dall'UE – entro il 2011-2013 – fornisce agli speculatori un parametro di riferimento, e potendo utilizzare i derivati dispongono di una leva finanziaria superiore a quella degli stati sotto attacco. Ironicamente, le munizioni stesse vengono fornite dalla BCE, che accetta i titoli di stato come garanzia per le emissioni di contanti!
by Movisol

12 febbraio 2010

Il metodo FIAT

Quando si parla di Fiat e di Termini Imerese, mi viene sempre da pensare ad una cosa che successe circa 7 anni fa. A quei tempi mi proposero un lavoro di responsabile qualita’ in una piccola azienda di meccanica di precisione delle mie parti. Durante i primi giorni, mi successe una cosa incredibile, che in seguito appresi essere molto comune.

Ad un certo punto, la padrona dell’azienda mi disse “ormai siamo economicamente piu’ robusti, e abbiamo superato la crisi, al punto che non lavoriamo piu’ per FIAT”.

Li per li’ la cosa mi lascio’ perplesso: che senso aveva vantarsi di aver perso un cliente che, a rigor di logica, e’ il piu’ succoso del paese? Laa risposta e’ molto semplice: FIAT non e’ il piu’ succoso cliente del paese per le PMI. Questo non perche’ non dia lavoro, anzi: fosse per FIAT, produrrebbe in Italia.

Il guaio e’ che FIAT ha un’organizzazione a dir poco “esponenziale”, con un middle management che e’ , in pratica, una casta sacerdotale intoccabile. Come tutte le caste sacerdotali, quella di FIAT ha instaurato alcune pratiche verso i fornitori. Ovviamente non mi riferisco a tutte le persone del middle management, ma a tutte quelle che si occupano di rapporti coi fornitori.

A parte i pagamenti a tempi inaccettabili, quando FIAT comincio’ a contattare le PMI italiane per terziarizzare il lavoro, esse non ebbero nulla da ridire, anzi. Spesso si ridimensionarono per sostenere il nuovo carico. Una volta che le aziende furono “assuefatte” al carico di lavoro dovuto a FIAT, arrivo’ la generazione dei “colletti bianchi” figli di Romiti , e prese il controllo dei centri di costo e degli uffici acquisti.

Morale della storia: le aziende che lavoravano con FIAT si videro richiedere, con sempre maggiore insistenza, dei “regali” per continuare a lavorare con FIAT. Questa prassi crebbe sino a diventare consolidata, al punto che c’era un vero e proprio listino: a quanto mi raccontarono, a seconda dei volumi di commesse elargite, si oscillava tra semplici “visite all’azienda fornitrice” con tanto di escort pronta, sino agli scooter (il manager dell’ufficio acquisti parlava dicendo che suo figli aveva ormai 14 anni: segnale in codice che significava “voglio uno scooter”), automobili, immobili, soldi liquidi, a seconda dell’importo delle commesse.

Una volta iniziato col malcostume, si aggiunse una nuova cricca di persone, cioe’ quelli che dopo aver ricevuto i pezzi lavorati facevano i controlli di accettazione. Succedeva questo: l’azienda riceveva la commessa per lavorare , che so io, mille barre di un acciaio molto pregiato, che so io, un ECG. A quel punto , quando arrivava il camion con le barre, si scopriva che l’acciaio consegnato era una robaccia proveniente dall’ est europa, magari radioattiva. Si chiamava l’ufficio acquisti e si veniva minacciati di cause civili, per i ritardi di consegna.

Allora, obtorto collo, il nostro padrone di officina lavorava le barre e le rispediva indietro. Risultato: il signore dell’accettazione del materiale minacciava di rifiutarlo, perche’ la qualita’ era troppo scadente. Ovviamente il nostro imprenditore meccanico rispondeva che di certo lui non aveva cambiato il materiale delle barre, ma si vedeva rispondere che sulla bolla si parlava di purissime barre di ottimo acciaio ECG.

Morale della storia: ungere le ruote prima e dopo. Risultato: a parte il giro di cassa, non era conveniente. Per circa un decennio, il massimo imperativo di coloro che avevano lavorato per FIAT (magari espandendosi e quindi avendone bisogno per reggere le spese correnti) fu quello di “uscire dalla schiavitu’ di FIAT”.

Per circa un ventennio, potersi vantare di “non lavorare piu’ per FIAT” fu un sinonimo di ottima saluta finanziaria. Una PMI che prima lavorava con FIAT o che era nata con FIAT e che aveva la forza si separarsene aveva fatto un “salto di qualita”. Nella mente dei piccoli imprenditori, nel corso dei decenni si e’ fatta strada una strana divisione: da una parte le aziende ancora deboli o naviganti in cattive acque, cosi’ con l’acqua alla gola da dover lavorare con FIAT. Dall’altra parte le aziende fiche, quelle brave, che riuscivano ad affrancarsi da questa schiavitu’.

Questa mentalita’ e’ ormai cosi’ diffusa che e’ quasi normale sentir dire, come motivo di vanto, “noi non lavoriamo piu’ con FIAT”, come se perdere un cliente fosse una cosa buona. E questo perche’ il middle management di FIAT ha reso cosi’ incredibilmente lercio il business che le stesse PMI hanno dovuto cercare altro da farsi.

Il problema e’, a questo punto, che volendo costruire uno stabilimento bisogna avere per forza di cose una grandissima quantita’ di fornitori da gestire. E se pochi sono disposti a lavorare con pagamenti a 360 giorni, mazzetta propedeutica e mazzetta digestiva, il risultato sara’ che gran parte dei servizi e delle forniture bisognera’ farle venire da fuori.

Il problema vero di FIAT e’ che alle condizioni con cui fa le commesse NON PUO’ piu’ aprire stabilimenti in Italia. O trova imprese cosi’ disperate da dover accettare di lavorare coi suoi termini inaccettabili e il malcostume imperante dei suoi funzionari, e quindi aziende a bassa innovazione e bassa qualita’ (o alti prezzi, onde rientrare degli interessi di un anno di pagamento delazionato e di eventuali regalie) , oppure deve far venire dall’estero il materiale.

Non so se il top management di FIAT sia cosciente di questo malcostume, cioe’ di come i loro uffici acquisti lavorano coi fornitori; probabilmente no, e si sentono dire che produrre in Italia costi troppo senza chiedersi per quale motivo non riescano a strappare prezzi migliori dai propri fornitori, nemmeno in tempi di crisi. Fattosta che questa situazione dura ormai da decenni, e “non lavorare piu’ con FIAT” e’ ormai un simbolo di indipendenza economica e di salute aziendali.

Di fatto, costruire uno stabilimento in Italia, grazie a questo middle management, e’ praticamente impssibile. I pochi stabilimenti che ancora ci sono moriranno lentamente, mano a mano che sempre piu’ aziende riusciranno ad ottenere l’agognato status di “noi non lavoriamo piu’ per FIAT”.

Queste PMI che non sognano altro che “non lavorare piu’ per FIAT” sono il cuore dell’elettorato leghista e berlusconiano. Il che significa che, trasferendo il problema sul piano politico, quello attuale e’ un governo che ha una gran voglia di dichiarare “noi non lavoriamo piu’ con FIAT”.

Qui avviene il transfert: una volta che per un elettorato di riferimento “non lavorare piu’ per FIAT” diventa motivo di vanto, lo diventa anche per il partito. E quindi, per il governo.

A questo punto, abbiamo uno Scajola che da un lato non vuole piu’ dare soldi a FIAT , perche’ questa eventuale dazione ricorderebbe ai suoi elettori il ricatto da cui loro stessi voglioni (e alcuni sono riusciti) affrancarsi: “se vuoi il lavoro , paga”.

Non c’e’ , quindi, da temere che il governo possa finanziare, direttamente o in qualsiasi modo, la FIAT. Con una base che ricorda con ribrezzo e assai poca nostalgia gli anni in cui veniva taglieggiata con “se vuoi il lavoro, paga”, ne’ la Lega ne’ FI possono permettersi di farlo. La base vuole “non lavorare piu’ con FIAT”, il governo deve seguire.

Dall’altro lato, la crisi di termini deve portare una soluzione simile a quella degli imprenditori “vincenti”: trovare altri clienti “buoni” che permettano all’ azienda (in questo caso all’ Italia) di “non lavorare piu’ per FIAT”.

Cosi’, quello che dobbiamo aspettarci da questo governo, almeno sul piano della trattativa pubblica, e’ quello che i piccoli imprenditori sono riusciti ad ottenere con grande fatica (e chi non c’e’ riuscito sta sudando per arrivarci), ovvero:

  • Smettere di pagare qualsiasi dazio/contributo/aiuto a FIAT, sotto qualsiasi forma. (essi ricordano troppo alle PMI quei “regalini” che dovevano fare per “avere il lavoro”).
  • Lavorare come hanno lavorato le PMI, ovvero cercare altri clienti che permettano di evitare l’abbraccio di FIAT.
  • Poter annunciare con fierezza “noi non lavoriamo piu’ con FIAT”.

Questo pone innanzitutto due problemi.

Il primo e’ per FIAT: e’ vero che nei paesi stranieri non si e’ ancora verificato il peggioramento del middle management che e’ avvenuto in Italia, ed e’ vero che paesi poveri sono disposti a lavorare a tali condizioni. Ma e’ anche vero che mano a mano che crescono, tali paesi tenteranno a loro volta di affrancarsi da quel modo di fare.

In secondo luogo, la capacita’ di ricatto politico che un gruppo ha sul governo e’ rappresentata dal numero di dipendenti che puo’ licenziare in campagna elettorale. Mano a mano che questo numero si affievolisce il governo ha sempre piu’ le mani libere, e molti governi stranieri non sono altrettanto nella disposizione di finanziare FIAT.

Non sarebbe meglio per FIAT agire sul malcostume del middle management, che ha reso il fatto di lavorare per FIAT quasi un’onta ?

In secondo punto, per il governo: e” vero che gran parte delle PMI trarrebbe sollievo dal sentire il governo annunciare “noi non lavoriamo piu’ per FIAT”, ma rimane il fatto che molte PMI hanno l’acqua alla gola e devono, obtorto collo, lavorarci. Il che significa, in un modo o nell’altro, che queste aziende sono cosi’ fragili da rischiare il collasso se FIAT continua a dismettere.

La mia opinione e, a questo punto, che in questa situazione tantovarrebbe seguire la strada contraria: il governo finanzia FIAT, ma la finanzia troppo. Cosi’ tanto, e a tali condizioni, che il gruppo non riesca piu’ a vivere senza. In questo modo, le parti si invertono e le redini del gruppo vanno al governo. Che poi riporta in Italia la produzione.

Si tratterebbe cioe’ di una “nazionalizzazione alla francese”, nella quale il governo aiuta cosi’ tanto alcune aziende che esse hanno bisogno del governo per sopravvivere. Cosi’ facendo, la politica prende di fatto il controllo dell’azienda, e i soldi investiti vengono recuperati ordinando all’azienda di rispostare la produzione in casa.

Onestamente, non vedo alternative: se continua la contrapposizione tra una FIAT che ha perso il controllo del middle management e non riesce piu’ a lavorare in Italia ed un governo che mira a sostituirla con altre attivita’ per accontentare un elettorato di PMI che hanno fatto altrettanto, il risultato presto sara’ una FIAT che lascia di fatto il paese ed un governo che trova delle alternative non italiane.

Non e’ meglio, allora, una nazionalizzazione furba?

di Uriel

11 febbraio 2010

Banche e denaro







Con questo mio vorrei porre rimedio ad una carenza riscontrata sui vari mezzi di informazione, in quanto si trovano o informazioni molto dettagliate a livello universitario, o articoli su singoli aspetti che però mancano di creare quel quadro complessivo che permetta di inquadrare poi i vari dettagli.
Cercherò quindi qui, di descrivere tale quadro complessivo, sfrondandolo dei particolari inutili alla comprensione del funzionamento di base.
Ad aggiungere dettagli c’è tempo dopo.
Prendo quindi come base della trattazione l’aggregato monetario M1, definito come la quantità di supporto monetario immediatamente spendibile, ovvero la somma del circolante (banconote e monete) più conti correnti e conti postali. Da esso occorre detrarre tutte le banconote che si trovano all’interno delle banche commerciali, ovvero le banconote versate.

È già molto importante capire il perché di questa eccezione. Se andate a chiedere un prestito alla banca e questa ve lo concede, attuerà tale operazione consegnandovi pacchi di banconote ma più probabilmente accreditando la cifra sul vostro conto.
Faccio notare che ricevere il pacco di banconote e ricevere l’accredito è per voi esattamente la stessa cosa, pur richiedendo la prima operazione l’esistenza delle banconote stesse, mentre nel secondo caso, che esistano le banconote o no, per voi è irrilevante.
A tutti gli effetti il pacco di banconote equivale a quel numero sommato sul vostro conto.
E quella cifra fa parte di M1 dal momento che entra nella vostra disponibilità, sia in una forma sia nell’altra.
Pensate di aver ricevuto le banconote, ed ora di depositarle sul conto. Esisteva quella cifra in banconote e, dopo il versamento la stessa cifra esiste sul conto, ma se le banconote versate continuassero ad esser conteggiate, M1 avrebbe visto raddoppiare la cifra, come banconote e ANCHE come conto.
Faccio notare come abbiamo visto, che banconote o importo sul conto, siano due modi alternativi ed equivalenti di disporre di una quantità di denaro.
Pertanto non farò distinzione, per ora tra conti e banconote, chiamandolo semplicemente denaro.
Ed ora passiamo al sistema bancario.
NON tutto il denaro all’interno di una banca fa parte di M1, altrimenti con cosa una banca pagherebbe i suoi dipendenti ? e le fatture di luce, riscaldamento affitto locali, ecc…. ?
La banca commerciale (tanto per intenderci quella che tutti conosciamo, e dove facciamo prelievi, versamenti, paghiamo bollette, ecc…, che quindi ha rapporti con il pubblico ed opera la raccolta e gestione del denaro), la dobbiamo considerare divisa in due parti separate con mansioni e obiettivi ben distinti almeno contabilmente.
Una sezione simile ad una qualsiasi società, con personale, uffici, bollette da pagare, entrate e spese, ed un’altra sezione che gestisce il rapporto con il pubblico, riceve versamenti, fa i prelievi, concede prestiti e li riscuote.
Tanto per intenderci subito, nella prima sezione, quella che definisco la società, circola denaro incluse banconote conteggiate in M1, col quale si pagano stipendi e bollette, l’altra sezione, quella che opera verso il pubblico al cui interno le banconote NON sono conteggiate in M1. La prima sezione, per le proprie esigenze di cassa, ha pure lei un conto presso la sua seconda sezione, come un cliente qualsiasi.
Le entrate di tale società sono costituite semplicemente dagli interessi riscossi dall’altra sezione, sui prestiti concessi al pubblico.
Le uscite, come ho già accennato, sono gli stipendi, gli affitti, le bollette, le manutenzioni, e, se ne avanza, pagate le tasse, il rimanente rappresenta gli utili che verranno distribuiti agli azionisti.
La società, come tutte le società, ha un suo capitale in fondi, edifici, partecipazioni, e tale capitale gioca un ruolo di garanzia sull’attività dell’altra sezione, soprattutto nel limite alla concessione di prestiti. Come arriva il denaro alla banca ?
Semplice, se lo fa imprestare dalla banca centrale.
La banca centrale ha come compito costituzionale quello di creare il denaro, sotto forma di annotazione (quello scritto sui conti correnti si chiama così) o di banconote.
A tale proposito è necessario puntualizzare un fatto.
La banca centrale NON può spendere il denaro creato, ma lo può solo IMPRESTARE. (E, salvo rare eccezioni, solo alle banche ) È una distinzione estremamente importante ai fini di capire come il signoraggio sulle banconote e sul denaro in genere, non esista.
Quando il signore comprava oro, lo coniava ed otteneva in monete un valore superiore all’oro acquistato, poteva andare su un mercato qualsiasi e con tali monete comprarsi cosa desiderava.
La banca centrale invece, crea denaro, lo impresta ed accende un credito nei confronti della banca commerciale richiedente. Su tale credito maturerà interessi, ma, se il denaro gli verrà restituito, cancellerà l’equivalente del debito. Essendo poi tale debito NON CEDIBILE, esso non rappresenta alcuna ricchezza, in quanto non scambiabile. La banca centrale opera un servizio nella gestione della liquidità, nel controllo antifrode (il falsario crea le banconote, ma le SPENDE, e qui è la differenza sostanziale), e per tale servizio incassa gli interessi su tale prestito. Quello è il suo guadagno, la sua entrata.
Ho detto che il denaro viene imprestato dalla banca centrale alla banca commerciale (sezione società) che lo versa sul suo conto, facendolo così affluire nella sua seconda sezione, quella che opera verso il pubblico. Se fosse stato necessario, per riserve diventate troppo esigue, tale prestito poteva essere in banconote, che così affluiscono nella disponibilità della seconda sezione, quindi disponibili per i prelievi del pubblico.
Notare che banconote e annotazione, quando escono dalla banca centrale, sono conteggiate in M1.
Quando l’accredito implementa il conto della sezione società, fa parte di M1, quando le banconote vengono versate sempre sullo stesso conto e passano nel deposito della seconda sezione, escono dal conteggio di M1, per rientrarvi solo quando prelevate dal pubblico.
In tal modo M1 si implementa solo quando il denaro, sotto qualsivoglia forma, esce dalla banca centrale.
Ma M1 può variare anche ad opera della banca commerciale, e qui bisogna parlare delle riserve frazionate o frazionarie.
Nella banca sono affluiti i depositi della clientela (compresa la sua sezione società), e nel movimento dei depositi/prelievi, si nota che solo una piccola percentuale costituisce la variazione, la maggior parte resta sempre ferma, non movimentata.
In effetti se io prelevo, vado a comprare il pane, e il panettiere a fine giornata versa l’incasso, i due movimenti, statisticamente si compensano. Quindi la maggior parte di tale denaro sarebbe improduttiva, se la banca non provvedesse ad imprestarlo, ma chi lo riceve in prestito, o lo versa o lo spende, ma chi lo riceve in pagamento, probabilmente lo versa a sua volta, moltiplicando così la possibilità di imprestare denaro se non per la stessa banca, per un’altra.
Denaro prestato e versato, portano la possibilità della banca ad imprestare un multiplo dei versamenti ricevuti, che a volte sfiora valori assurdi come 50. Normalmente si fermano a 20-30.
Così per ogni unità di denaro versata, la banca ne può prestare anche 30.
Se poi si calcola che se sul vostro deposito la banca vi paga l’1% e sui prestiti che concede chiede il 5% significa che a fronte di un 1 versato a voi pretende 5x30= 150 con un guadagno netto di 149. Questo è un esempio ma nemmeno troppo distante dalla realtà quotidiana.
Notare che i 30 imprestati a fronte dell’1 ricevuto in versamento, sono creati dal nulla, e quindi vanno ad aumentare M1.
La banca commerciale è vincolata ad un tetto massimo del moltiplicatore stabilito dalla banca centrale, ed inoltre è vincolata a non superare un certo multiplo, fissato anch’esso dalla banca centrale, del valore del proprio capitale. Infatti, il capitale della banca interviene in tutti i casi in cui un prestito non venga onorato.
In tal caso si creerà una perdita che verrà ripianata sottraendola ai guadagni (gli interessi riscossi) e nel caso, dal capitale della banca stessa.
La banca centrale ha come obiettivo quello della conservazione del valore del denaro, e, come creditore di ultima istanza è comprensibile che sia suo interesse che tale valore sia conservato, e l’altro obiettivo è fare in modo che, agendo sulla concessione/limitazione del denaro alle banche commerciali, con il controllo del tasso di interesse, al quale poi tutti i tassi si adeguano, fornisca al mercato liquidità sufficiente a permettere agevolmente gli scambi, ma non eccessiva da inflazionare il mercato stesso.

Con questo mio molto succinto quadro, spero di aver dato un insieme logico al funzionamento del sistema bancario, anche se in esso è descritta solo una piccola parte di esso, ma quella parte che ne costituisce la struttura portante.
Il denaro generato dalla banca centrale, oppure da quella commerciale, è comunque di proprietà del sistema bancario.
Una delle questioni sollevate periodicamente è se questa proprietà non generi un impoverimento della società, pertanto si reclama che essi passi allo stato.

Consideriamo la realtà attuale.
Tutti gli stati sono fortemente indebitati. Con i loro cittadini, con i loro sistemi finanziari e bancari, ma anche con sistemi esteri.
Il debito di uno stato nasce dal semplicissimo fatto che riscuote in tasse meno di quanto spende. La differenza se la fa imprestare.

Se la possibilità di ricorrere al credito fosse riservata al solo obiettivo di compensare deficit e surplus nel corso degli anni, senza dover adeguare anno per anno le aliquote o i metodi della tassazione, ripagando negli anni “buoni” quanto richiesto in prestito in quelli “scarsi”, non si creerebbe il problema.

Ma un governo vuole apparire “buono”, esser rieletto, chiedere poche tasse al popolo e dare molti servizi, e così si indebita, riscuotendo il consenso oggi e lasciando i debiti da pagare ai governi e alle generazioni future.

Adesso, vorreste forse dare la possibilità di creare denaro, da una parte, e contemporaneamente di spenderlo, dall’altra, ad uno stato così maldestro nell’amministrare i propri conti, tanto da esser oberato dal pagamento degli interessi sui prestiti richiesti precedentemente?

Sarebbe esattamente come consegnare il libretto degli assegni e la facoltà di emetterli a chi si sapesse che non ha un soldo in banca ma in compenso ha già una montagna di debiti.
Chi pensa che una simile cosa sarebbe saggia ?
La storia è maestra, e basta andare a cercare cosa accadde tutte le volte che i vari stati si misero a generare denaro per pagare debiti (quasi sempre in occasione di guerra), per farsi passar la voglia di riprovarci. È vero quindi che tutto il denaro nasce come prestito da parte del sistema bancario, ma come si dovrebbe esser capito è pochissimo influente chi sia il proprietario del denaro, quanto invece la discussione dovrebbe portarsi sul quanto PAGHIAMO tale servizio, ovvero su quel numerino che è il tasso di interesse, e che costituisce il ricavo del sistema bancario e contemporaneamente l’impoverimento della società in cui tale sistema opera.

Esempi di cosa accadde quando la "stampante" fu data in mano allo stato

Nel maggio del 1775 stava approntando i preparativi per la guerra contro la Gran Bretagna, il Congresso fu messo di fronte al dilemma di come finanziare e rifornire l'esercito che l'avrebbe combattuta.
Invece di tassare i cittadini, si decise di ricorrere alla stampa di una moneta di carta, il Continental dollar, e di immetterla sul mercato, con la promessa di accettarlo in pagamento per eventuali tasse future.
Si chiedeva infatti ai singoli stati di ricorrere alla tassazione per “ritirare dal mercato” quei certificati e dar modo così al Congresso di stamparne altri senza che questi si deprezzassero eccessivamente.
Gli Stati, infatti, si guardarono bene dall'imporre nuove tasse e così i certificati rimasero in circolazione, deprezzandosi nei confronti dei “dollari di metallo” ogni giorno di più.
Alla fine della guerra quel pezzo di carta emesso dallo Stato non valeva più nulla tanto che fu coniato il modo di dire “not worth a Continental” (non vale un Continental) per indicare un oggetto di scarsissimo valore. In tantissimi furono rovinati ma non tutti i contemporanei giudicarono l'operazione come un disastro. Per Benjamin Franklin, anzi, il Continental fu una “macchina meravigliosa” che pagò e tenne rifornito l'esercito, si pagò da solo attraverso il suo deprezzamento e funzionò come una tassa equa.

Diciamo che fu una tassa pagata da chi li aveva incassati.
A pochi anni di distanza, nel vecchio continente, si stava consumando la Grande Rivoluzione che ci ha tramandato i valori della libertà, uguaglianza e fraternità, accompagnati però dal Terrore di Stato e dalla moneta di carta straccia per eccellenza: l'assegnato.
Si stamparono 400 milioni di assegnati nel 1790, poi altri 800, in un'escalation che portò, nel 1795, alla stampa di 33 miliardi di assegnati per coprire le spese statali. A quel punto l'assegnato aveva un potere d'acquisto che era solo più un seicentesimo di quello iniziale per cui si pensò di cambiare.
Si introdusse un'altra moneta, il mandato, che nominalmente valeva 30 assegnati, e si ripartì con la spinta inflazionistica: nel giro di pochi mesi, da febbraio ad agosto del 1796, la nuova moneta era già scesa al 3% del suo valore iniziale.
Ci pensò Napoleone Bonaparte a reinstaurare il sistema monetario metallico, intuendo che fosse più popolare e più saggio per lui depredare le nazioni conquistate invece dei suoi concittadini.

Il campione indiscusso (con John Kennedy) dei sostenitori della moneta di Stato rimane però Abramo Lincoln con i suoi Greenbacks. Anche qui, nulla di nuovo sotto il sole: una guerra (stavolta civile) da combattere e la necessità di integrare le maggiori entrate garantite dalle nuove tasse e tariffe imposte, con ulteriore liquidità senza ricorrere a prestiti che avrebbero avuto condizioni molto svantaggiose.
Invece di “andare per strada a chiedere prestiti”, tuonavano voci dai banchi del Congresso, “preferiamo affermare la dignità ed il potere del Governo di emettere le proprie banconote.”
E così fu, dal febbraio 1862.

150 milioni di banconote di valore legale per il pagamento di tutti i debiti privati, delle tasse e per l'acquisto di terra e... di titoli di stato. Le conseguenze furono quelle che ogni economista si aspetterebbe, portando alla scomparsa dalla circolazione delle monete metalliche, al deprezzamento dei Greenbacks e quindi, nel luglio dello stesso anno, ad una nuova emissione governativa: altri 150 milioni.
Alla fine della guerra erano stati stampati più di 400 milioni di Greenbacks ed il cambio con il dollaro (metallico) era sceso dalla parità al 39%.

L’ultimo esempio è quello offerto dalla repubblica di Weimar, che stampò marchi fino a che il valore del Papiermark crollò da 4,2 per ogni Dollaro statunitense a 1.000.000 di marchi per Dollaro nell'agosto 1923 e a 4.200.000.000.000 per dollaro il 20 novembre. L'1 dicembre venne introdotta una nuova valuta con il tasso di cambio di 1.000.000.000.000 di vecchi marchi per 1 nuovo marco, il Rentenmark.
di Andrea Mensa

09 febbraio 2010

La crisi del debito sovrano si allarga

Nonostante l'intervento della "mano invisibile" della BCE per salvare i titoli di stato greci il 25 gennaio, attraverso un acquisto da parte di banche private, la crisi del debito sovrano nell'Eurozona continua ad allargarsi. Un'ondata massiccia di speculazione investe i titoli greci, spagnoli, portoghesi e irlandesi, provocando un aumento quotidiano nel loro spread, considerato in relazione al rendimento delle obbligazioni di stato tedesche. Questo significa che aumenta il costo del rifinanziamento di quel debito. La Grecia è riuscita a collocare l'ultima emissione, ma solo offrendo un rendimento annuale del 6,2%. Il paese non può sostenere a lungo quei costi del debito.

Come nel 1992, quando George Soros guidò l'attacco speculativo contro la sterlina inglese e la lira italiana, gli speculatori scommettono al ribasso sulle obbligazioni greche, spagnole, portoghesi, irlandesi e italiane (il gruppo di paesi che i razzisti britannici chiamano "PIIGS"). Tutti questi paesi, salvo l'Italia, hanno un deficit tra 6 e 10 punti sopra il limite del 3% imposto dal trattato di Lisbona. È praticamente impossibile ridurre questi livelli, come viene invece richiesto dall'Unione Europea; farlo significherebbe ricorrere a prestiti dall'esterno, la cui emissione è vietata in condizioni normali per gli Stati Membri e per la BCE.

Tuttavia, l'UE ha deciso che, per salvare l'euro, questi paesi devono essere distrutti. Francia e Germania stanno preparando un pacchetto di salvataggio, da essere varato a condizione che la Grecia distrugga la propria economia. La prossima della serie è la Spagna. Con un deficit dell'11,4%, per la prima volta lo spread sulle obbligazioni di stato spagnole ha superato quello sulle obbligazioni italiane la scorsa settimana.

Anche i titoli di stato triennali italiani hanno sofferto la scorsa settimana, e il governo ha deciso di venderne una quantità leggermente minore per evitare di pagare un sovrapprezzo. Il deficit italiano è relativamente basso, circa il 5%, ma il debito è il terzo nel mondo, 115% del PIL. Il deficit del Portogallo è al 9,3%, quello dell'Irlanda all'11,5%. La decisione folle di perseguire la riduzione del deficit nella tempistica dettata dall'UE – entro il 2011-2013 – fornisce agli speculatori un parametro di riferimento, e potendo utilizzare i derivati dispongono di una leva finanziaria superiore a quella degli stati sotto attacco. Ironicamente, le munizioni stesse vengono fornite dalla BCE, che accetta i titoli di stato come garanzia per le emissioni di contanti!
by Movisol