10 marzo 2010

Quei politici pagati dalle banche


La scorsa settimana un’inchiesta del giornale Das Magazine ha denunciato che personaggi politici svizzeri fanno parte di commissioni bancarie che si riuniscono una o due volte l’anno e per le quali percepiscono anche 70 mila euro l’anno. Ma non si tratta di un compenso, piuttosto è un investimento che la banca fa per assicurarsi che costoro difendano, quando ce ne sia bisogno, i propri interessi in parlamento. Lo stesso fenomeno si riscontra un po’ dovunque in occidente, membri del parlamento britannico sono direttori onorari del consiglio d’amministrazione di molte banche. Negli Stati Uniti poi è normale che le cariche di stato più alte, come il ministro del tesoro ed il governatore della Riserva Federale, vadano ad ex banchieri di Wall Street, gente con alle spalle una brillante carriera nel settore privato. Naturalmente ciò crea un conflitto d’interessi che però, sebbene tutti conoscano, nessuno ha il coraggio di denunciare.

Il pericolo peggiore prodotto dal rapporto incestuoso tra settore privato e politica non è però la corruzione, che sicuramente esiste, nè il conflitto d’interessi, di cui abbiamo avuto prova con il crollo della Lehman Brothers ed il salvataggio della Aig, ma la perdita da parte dello stato di quella posizione di organismo super partes dalla quale perseguiva gli interessi della comunità e non quelli dei singoli gruppi. Gran parte degli squilibri economici degli ultimi vent’anni sono sicuramente relazionati a questo fenomeno. Basta ricordare la storia della Enron che pagò una grossa fetta della campagna elettorale di George W. Bush. In cambio ottenne la deregulation dell’industria elettrica in California. La speculazione selvaggia che seguì, però, porto questo stato sull’orlo della bancarotta e segnò la fine della Enron. Gli interessi delle lobby finanziarie molto spesso non coincidono con quelli delle nazioni perchè queste non hanno una visione di grand’angolo dell’economia come dovrebbero avere i politici, questa la lezione del fallimento della Enron.

Ci troviamo di fronte ad una situazione analoga, le lobby finanziarie occidentali sono riuscite ad evitare una riforma conservatrice della deregulation sfruttando quei legami “professionali” che hanno sapientemente creato con i politici negli ultimi vent’anni. Ciò significa che nulla è stato fatto per evitare che si formi un’altra bolla simile a quella dei muti subprime. Lo ha ricordato questa settimana l’ex braccio desto di Henry Paulson, Paolo Pellegrini, quando ha affermato che i problemi strutturali che hanno creato la grande recessione rimangono tutti irrisolti. Essenzialmente li abbiamo messi da parte indebitandoci ulteriormente. Per il momento la Cina sostiene la ripresa mondiale ma fino a quando potrà esportare in un mercato ormai saturo di prodotti? Lo squilibrio, secondo Pellegrini, continua a poggiare su un assunto surreale: l’occidente si indebita e consuma mentre ad oriente si risparmia e si produce. Se le cose non cambiano, dunque, dobbiamo prepararci per un’altra grande depressione.
di Loretta Napoleoni

09 marzo 2010

Sta per saltare il tappo


Nel Granducato di Curlandia stan succedendo delle cose assai curiose. Dei veri misteri gaudiosi. Ha cominciato un paio di mesi fa Pier Ferdinando Casini, politico di lungo corso, vecchia volpe, il quale, prendendo spunto dalla richiesta di arresto del sottosegretario Cosentino, poi puntualmente negata dalla Camera, aveva affermato: "La Prima Repubblica non è stata uccisa dai giudici di Mani Pulite, era già morta molto prima, quando si era chiusa in una difesa cieca della propria classe politica. Nel clima tempestoso di questi giorni una difesa assoluta e corporativa di tutto e di tutti ci metterà, prima o poi, in una situazione insostenibile nei confronti dell’opinione pubblica”.

Era un improvviso dietro front perché fino ad allora, da parte di tutto il centrodestra, le inchieste di Mani Pulite erano state considerate l’infamia delle infamie, colpevoli di "aver abbattuto, per via giudiziaria, un’intera classe politica" cui lo stesso Casini apparteneva. E Berlusconi, seguito da tutti i suoi, aveva addirittura dichiarato che Mani Pulite era stata "una guerra civile".
Adesso invece si ammette, da parte di Casini, che quelle inchieste avevano scoperchiato un marciume che ad un certo punto era diventato intollerabile per i cittadini. Pochi giorni fa il mellifluo Paolo Mieli ha dichiarato ad Annozero: "Come alla vigilia del 1992 sta per saltare il tappo".

Giuseppe Pisanu (Pdl), presidente dell’Antimafia ha detto: "La corruzione è dilagante, l’Italia può restarne schiacciata". Su Il Giornale Marcello Veneziani in un editoriale intitolato "Questione morale: pazienza (quasi) finita" scrive: "Ultima chiamata prima del baratro". E persino il vilissimo Vespa nella trasmissione di lunedì dedicata all’inchiesta di Firenze è stato un po’, solo un pochino, meno paraculo col Potere del suo solito.

Le più impressionanti sono le conversioni a U di Paolo Mieli e di Marcello Veneziani, due intellettuali che in questi quindici anni hanno avvallato tutte le Cirielli, le Cirami, le leggi “ad personam” e “ad personas”, i lodi Schifani e Alfani, il dimezzamento della prescrizione, per i reati di “lorsignori”, proprio mentre la durata dei processi, grazie anche alle leggi cosiddette “garantiste”, si allungavano e sono stati protagonisti di quella quotidiana, capillare, costante e devastante delegittimazione della magistratura italiana che ha finito per togliere ai rappresentanti della nostra classe dirigente, politica, amministrativa, imprenditoriale, quel poco di senso della legalità che gli era rimasto.

Tanto sapevano che, grazie ai vari marchingegni, non avrebbero mai pagato pegno, né penale né sociale. Mieli è stato complice attraverso i suoi editorialisti di punta, Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia, Piero Ostellino, scatenati contro i magistrati, "l’uso politico della giustizia", il "giustizialismo" (termine che, come il suo contraltare, il "garantismo", non ha alcun senso se riferito a un magistrato: il quale non può applicare la legge né in senso giustizialista né garantista, semplicemente la applica e se non lo fa, per dolo o colpa grave, va denunciato alla Procura della Repubblica competente).

Panebianco è arrivato a scrivere sul Corriere diretto da Mieli: "La legalità, semplicemente non è, e non può essere, un valore in sé" (Corriere, 16/3/95). Marcello Veneziani è stato protagonista in prima persona militando nel Pdl per designazione del quale, e non certo per le sue preclare virtù, ha acchiappato un posto di consigliere di amministrazione della Rai, per cui è grottesco che adesso faccia le lagne sui meriti mortificati, sulle affiliazioni partitiche, sul clientelismo. Chi sperano, costoro, di prendere per il culo? Tuttavia i contorsionismi di Mieli, di Veneziani e degli altri sono estremamente significativi.

Vuol dire che si stan rendendo conto che la gente che va in ufficio o in fabbrica o alza la claire della bottega alle sette del mattino e torna a casa la sera, più o meno alla stessa ora, stanca e scazzata, non ne può più, quale che sia il suo credo politico e ammesso che ce l’abbia (perché c’è un buon 30% di italiani che non si sente rappresentato da nessuno) comincia a non poterne più della corruzione, delle ruberie, dei soprusi, degli abusi, degli arbitri, della sistematica grassazione del denaro della collettività ad opera del sistema dei partiti, di destra e di sinistra, con i loro addentellati amministrativi e imprenditoriali proprio mentre la crisi economica la costringe a stringere la cinghia.

Non ne può più di vedere costoro che piazzano figli, nipoti e cognati in impieghi remunerativi mentre i loro figli fanno una fatica boia a trovarne uno a bassissimo reddito o non ce l’hanno. Ed è anche esasperata dalla pretesa di immunità che questa classe dirigente, Berlusconi in testa ma non solo, avanza per sé e che vuole rafforzare con la reintroduzione dell’immunità parlamentare, il divieto delle intercettazioni telefoniche, la truffa del "processo breve", i "legittimi impedimenti". Quindi i vari Mieli, Veneziani and company cercano di smarcarsi per tempo o, forse, fuori tempo massimo. Anche coloro che, soprattutto nel Pdl, affermano che non è una “nuova Tangentopoli” dimostrano di avere paura che ci sia, come nel 1992-94, una nuova esplosione del furore popolare. Naturalmente mentre qualcuno cerca di defilarsi e di mettere le mani avanti, altri non rinunciano ai soliti espedienti.

Berlusconi, dopo aver affermato che i magistrati di Firenze “dovrebbero vergognarsi”, ha definito “birbanti” gli inquisiti e gli arrestati di questa mandata (che è l’equivalente del “mariuolo” affibbiato da Craxi a Mario Chiesa, per dar ad intendere che si trattava di una mela marcia in un cesto di mele sanissime). Altri ancora parlano di singoli episodi mentre il professor Ernesto Galli della Loggia, nell’ennesimo tentativo di salvare i partiti, ha scritto su Il Corriere: “Non crederemo davvero che la corruzione italiana si riduce a quella dei politici? La verità è che è l’Italia la causa della corruzione”.

È il collaudato trucco del “tutti colpevoli, quindi nessun colpevole”. In ogni caso la corruzione non sale dalla società verso i partiti, come sostiene il Galli della Loggia, ma è vero il contrario. In una democrazia corrotta i partiti comprano il consenso. E per comprarlo hanno bisogno di soldi, di corruzione, di tangenti, dell’uso a tappeto del clientelismo e dell’affiliazione paramafiosa. È così che la corruzione, discendendo giù per i rami, arriva alla società e la inquina. Il Galli della Loggia scova le radici della corruzione italiana "nella nostra storia profonda" e, dopo aver vissuto per settant’anni sulla luna e senza aver mai mosso un dito per contrastare l’andazzo, scopre "che cosa è diventato questo paese".

Per la verità senza andare a pescare nelle “radici della nostra storia profonda”, io ricordo, non dovendo andare poi troppo lontano, anche un’altra Italia che dovrebbe essere nota anche al Galli della Loggia che è più anziano di me. Nell’Italia dei Cinquanta e dei Sessanta l’onestà era un valore per tutti. Per la borghesia se non altro perché dava credito. Per il mondo contadino dove la classica stretta di mano valeva più di un contratto. E per il proletariato. E chi violava questi codici veniva inesorabilmente emarginato dalla propria comunità. E comunque se l’Italia si è ridotta come si è ridotta è anche grazie al professor Ernesto Galli della Loggia e a tutti gli intellettuali azzeccagarbugli che invece di cercare di chiarire le idee alla gente gliele confondono. La classe dirigente di questo paese sta ballando sull’orlo di un vulcano. E qualcuno se ne sta rendendo conto.

Non so se, alla fine, il vulcano erutterà. Non so nemmeno se augurarmelo. Perché ho il fondato sospetto che se ci fosse una nuova “rivoluzione italiana” finirebbe, come dopo Mani Pulite, che a coglierne i frutti non sarebbero coloro che si sono battuti per realizzarla, ma gli eterni Mieli, Veneziani, Galli della Loggia, Pisanu, Cicchitto, Casini o i loro discendenti politici, intellettuali o carnali. E come adesso ci tocca gridare, per disperazione, “aridatece Forlani”, allora saremo costretti a gridare, sempre per disperazione “aridatece Berlusconi”. Che almeno ci metteva la faccia e ogni tanto trovava anche qualcuno che gliela spaccava.
di Massimo Fini

08 marzo 2010

Il carry trade brasiliano, i Rothschild e il BRIC

- Negli scorsi anni, il Brasile ha sviluppato un enorme carry trade che ha consentito a molte banche europee di darsi un'aura di solvibilità. Oltre alle implicazioni finanziarie, questo sistema ha una dimensione geopolitica significativa che interessa la Russia, la Cina e l'India, e cioè quei paesi che LaRouche ha designato, assieme agli Stati Uniti, quali potenziali alleati in una combinazione di potere forte abbastanza da poter imporre una sostituzione dell'attuale sistema finanziario della globalizzazione.

L'impero (britannico) della globalizzazione ha cercato di sabotare questo approccio promovendo un blocco alternativo chiamato BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) basato sulla illusoria promessa che una volta crollato completamente il sistema americano, prevarrà quello britannico con l'aiuto, appunto, del carry trade brasiliano (cfr. Strategic Alert 6/10).

Un elemento chiave dietro questa operazione è, non sorprendentemente, il principale banchiere dell'Impero Britannico nei secoli: la famiglia Rothschild. I rapporti tra i Rothschild e il Brasile sono così profondi che il sito web dell'Archivio Rothschild contiene una pagina speciale sul Brasile, l'unica nazione a ricevere queste attenzioni particolari. Vi si legge che "i legami tra NM Rothschild & Sons e la nazione brasiliana risalgono ai tempi del fondatore della banca", nel primo decennio del XIX secolo.

Oggi colui che Lord Jacob Rothschild chiama "il mio quarto figlio", e cioè il finanziere di Sao Paolo Mario Garnero, ha una forte influenza sul governo di Lula da Silva assieme al Banco Santander, istituto nominalmente spagnolo ma in realtà britannico. Quando si verificò una fuga di capitali dal Brasile durante la campagna elettorale del 2002, motivata dai timori che un governo Lula avrebbe portato al caos o ad azioni contro le banche, Santander decise di rinnovare le sue linee di credito al Brasile, mentre Garnero organizzò un viaggio in USA per i consiglieri di Lula, facendoli incontrare con esponenti di Wall Street e della Casa Bianca.

Garnero opera dal 1975 tramite il gruppo che ha fondato e guida ancor oggi, Brasilinvest. Esso ha funto da battistrada per la privatizzazione e la globalizzazione dell'economia brasiliana. Descrivendosi come la prima banca d'affari brasiliana, Brasilinvest poggia su alleanze con la tradizionale finanza anglo-veneziana, ben rappresentata nel suo consiglio d'amministrazione: da Nat Rothschild al Banco Santander, da Hong Kong and Shanghai Banking Corporation al Monte dei Paschi di Siena, da Carlo de Benedetti alla Societé Generale.

Garnero è finito nell'inchiesta Cirio, per cui si sta celebrando il processo di bancarotta fraudolenta. Ricordiamo che le banche che avevano usato la Cirio per fare il loro "carry trade", hanno venduto i bonds ai risparmiatori sapendo che la Cirio era insolvente.

Nel 2004, il Consiglio Internazionale di Brasilinvest tenne la sua riunione annuale a Londra. Tra i partecipanti vi erano due finanzieri chiave per l'operazione BRIC: il re russo dell'alluminio Oleg Deripaska e l'immobiliarista cinese David Tang (DWC Tang Development). Garnero non solo presentò a Lula Deripaska, ma anche il capo del fondo di investimento cinese CITIC.

Lyndon LaRouche ha ripetutamente ammonito i dirigenti russi, cinesi e indiani contro questa truffa che sembra venire dal Brasile, ma è in realtà made in London. Nel giugno 2002, quattro mesi prima dell'elezione di Lula, LaRouche fu invitato in Brasile a discutere con rappresentanti politici, economici e militari, mentre infuriava il dibattito sulla globalizzazione. L'economista statunitense invitò i brasiliani a non cadere nel tranello ma di battersi per sviluppare il potenziale scientifico, tecnologico ed economico del paese. Lula scelse la via opposta, quella di trasformare il Brasile in una pedina degli interessi finanziari centrati a Londra.
by MoviSOl

10 marzo 2010

Quei politici pagati dalle banche


La scorsa settimana un’inchiesta del giornale Das Magazine ha denunciato che personaggi politici svizzeri fanno parte di commissioni bancarie che si riuniscono una o due volte l’anno e per le quali percepiscono anche 70 mila euro l’anno. Ma non si tratta di un compenso, piuttosto è un investimento che la banca fa per assicurarsi che costoro difendano, quando ce ne sia bisogno, i propri interessi in parlamento. Lo stesso fenomeno si riscontra un po’ dovunque in occidente, membri del parlamento britannico sono direttori onorari del consiglio d’amministrazione di molte banche. Negli Stati Uniti poi è normale che le cariche di stato più alte, come il ministro del tesoro ed il governatore della Riserva Federale, vadano ad ex banchieri di Wall Street, gente con alle spalle una brillante carriera nel settore privato. Naturalmente ciò crea un conflitto d’interessi che però, sebbene tutti conoscano, nessuno ha il coraggio di denunciare.

Il pericolo peggiore prodotto dal rapporto incestuoso tra settore privato e politica non è però la corruzione, che sicuramente esiste, nè il conflitto d’interessi, di cui abbiamo avuto prova con il crollo della Lehman Brothers ed il salvataggio della Aig, ma la perdita da parte dello stato di quella posizione di organismo super partes dalla quale perseguiva gli interessi della comunità e non quelli dei singoli gruppi. Gran parte degli squilibri economici degli ultimi vent’anni sono sicuramente relazionati a questo fenomeno. Basta ricordare la storia della Enron che pagò una grossa fetta della campagna elettorale di George W. Bush. In cambio ottenne la deregulation dell’industria elettrica in California. La speculazione selvaggia che seguì, però, porto questo stato sull’orlo della bancarotta e segnò la fine della Enron. Gli interessi delle lobby finanziarie molto spesso non coincidono con quelli delle nazioni perchè queste non hanno una visione di grand’angolo dell’economia come dovrebbero avere i politici, questa la lezione del fallimento della Enron.

Ci troviamo di fronte ad una situazione analoga, le lobby finanziarie occidentali sono riuscite ad evitare una riforma conservatrice della deregulation sfruttando quei legami “professionali” che hanno sapientemente creato con i politici negli ultimi vent’anni. Ciò significa che nulla è stato fatto per evitare che si formi un’altra bolla simile a quella dei muti subprime. Lo ha ricordato questa settimana l’ex braccio desto di Henry Paulson, Paolo Pellegrini, quando ha affermato che i problemi strutturali che hanno creato la grande recessione rimangono tutti irrisolti. Essenzialmente li abbiamo messi da parte indebitandoci ulteriormente. Per il momento la Cina sostiene la ripresa mondiale ma fino a quando potrà esportare in un mercato ormai saturo di prodotti? Lo squilibrio, secondo Pellegrini, continua a poggiare su un assunto surreale: l’occidente si indebita e consuma mentre ad oriente si risparmia e si produce. Se le cose non cambiano, dunque, dobbiamo prepararci per un’altra grande depressione.
di Loretta Napoleoni

09 marzo 2010

Sta per saltare il tappo


Nel Granducato di Curlandia stan succedendo delle cose assai curiose. Dei veri misteri gaudiosi. Ha cominciato un paio di mesi fa Pier Ferdinando Casini, politico di lungo corso, vecchia volpe, il quale, prendendo spunto dalla richiesta di arresto del sottosegretario Cosentino, poi puntualmente negata dalla Camera, aveva affermato: "La Prima Repubblica non è stata uccisa dai giudici di Mani Pulite, era già morta molto prima, quando si era chiusa in una difesa cieca della propria classe politica. Nel clima tempestoso di questi giorni una difesa assoluta e corporativa di tutto e di tutti ci metterà, prima o poi, in una situazione insostenibile nei confronti dell’opinione pubblica”.

Era un improvviso dietro front perché fino ad allora, da parte di tutto il centrodestra, le inchieste di Mani Pulite erano state considerate l’infamia delle infamie, colpevoli di "aver abbattuto, per via giudiziaria, un’intera classe politica" cui lo stesso Casini apparteneva. E Berlusconi, seguito da tutti i suoi, aveva addirittura dichiarato che Mani Pulite era stata "una guerra civile".
Adesso invece si ammette, da parte di Casini, che quelle inchieste avevano scoperchiato un marciume che ad un certo punto era diventato intollerabile per i cittadini. Pochi giorni fa il mellifluo Paolo Mieli ha dichiarato ad Annozero: "Come alla vigilia del 1992 sta per saltare il tappo".

Giuseppe Pisanu (Pdl), presidente dell’Antimafia ha detto: "La corruzione è dilagante, l’Italia può restarne schiacciata". Su Il Giornale Marcello Veneziani in un editoriale intitolato "Questione morale: pazienza (quasi) finita" scrive: "Ultima chiamata prima del baratro". E persino il vilissimo Vespa nella trasmissione di lunedì dedicata all’inchiesta di Firenze è stato un po’, solo un pochino, meno paraculo col Potere del suo solito.

Le più impressionanti sono le conversioni a U di Paolo Mieli e di Marcello Veneziani, due intellettuali che in questi quindici anni hanno avvallato tutte le Cirielli, le Cirami, le leggi “ad personam” e “ad personas”, i lodi Schifani e Alfani, il dimezzamento della prescrizione, per i reati di “lorsignori”, proprio mentre la durata dei processi, grazie anche alle leggi cosiddette “garantiste”, si allungavano e sono stati protagonisti di quella quotidiana, capillare, costante e devastante delegittimazione della magistratura italiana che ha finito per togliere ai rappresentanti della nostra classe dirigente, politica, amministrativa, imprenditoriale, quel poco di senso della legalità che gli era rimasto.

Tanto sapevano che, grazie ai vari marchingegni, non avrebbero mai pagato pegno, né penale né sociale. Mieli è stato complice attraverso i suoi editorialisti di punta, Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia, Piero Ostellino, scatenati contro i magistrati, "l’uso politico della giustizia", il "giustizialismo" (termine che, come il suo contraltare, il "garantismo", non ha alcun senso se riferito a un magistrato: il quale non può applicare la legge né in senso giustizialista né garantista, semplicemente la applica e se non lo fa, per dolo o colpa grave, va denunciato alla Procura della Repubblica competente).

Panebianco è arrivato a scrivere sul Corriere diretto da Mieli: "La legalità, semplicemente non è, e non può essere, un valore in sé" (Corriere, 16/3/95). Marcello Veneziani è stato protagonista in prima persona militando nel Pdl per designazione del quale, e non certo per le sue preclare virtù, ha acchiappato un posto di consigliere di amministrazione della Rai, per cui è grottesco che adesso faccia le lagne sui meriti mortificati, sulle affiliazioni partitiche, sul clientelismo. Chi sperano, costoro, di prendere per il culo? Tuttavia i contorsionismi di Mieli, di Veneziani e degli altri sono estremamente significativi.

Vuol dire che si stan rendendo conto che la gente che va in ufficio o in fabbrica o alza la claire della bottega alle sette del mattino e torna a casa la sera, più o meno alla stessa ora, stanca e scazzata, non ne può più, quale che sia il suo credo politico e ammesso che ce l’abbia (perché c’è un buon 30% di italiani che non si sente rappresentato da nessuno) comincia a non poterne più della corruzione, delle ruberie, dei soprusi, degli abusi, degli arbitri, della sistematica grassazione del denaro della collettività ad opera del sistema dei partiti, di destra e di sinistra, con i loro addentellati amministrativi e imprenditoriali proprio mentre la crisi economica la costringe a stringere la cinghia.

Non ne può più di vedere costoro che piazzano figli, nipoti e cognati in impieghi remunerativi mentre i loro figli fanno una fatica boia a trovarne uno a bassissimo reddito o non ce l’hanno. Ed è anche esasperata dalla pretesa di immunità che questa classe dirigente, Berlusconi in testa ma non solo, avanza per sé e che vuole rafforzare con la reintroduzione dell’immunità parlamentare, il divieto delle intercettazioni telefoniche, la truffa del "processo breve", i "legittimi impedimenti". Quindi i vari Mieli, Veneziani and company cercano di smarcarsi per tempo o, forse, fuori tempo massimo. Anche coloro che, soprattutto nel Pdl, affermano che non è una “nuova Tangentopoli” dimostrano di avere paura che ci sia, come nel 1992-94, una nuova esplosione del furore popolare. Naturalmente mentre qualcuno cerca di defilarsi e di mettere le mani avanti, altri non rinunciano ai soliti espedienti.

Berlusconi, dopo aver affermato che i magistrati di Firenze “dovrebbero vergognarsi”, ha definito “birbanti” gli inquisiti e gli arrestati di questa mandata (che è l’equivalente del “mariuolo” affibbiato da Craxi a Mario Chiesa, per dar ad intendere che si trattava di una mela marcia in un cesto di mele sanissime). Altri ancora parlano di singoli episodi mentre il professor Ernesto Galli della Loggia, nell’ennesimo tentativo di salvare i partiti, ha scritto su Il Corriere: “Non crederemo davvero che la corruzione italiana si riduce a quella dei politici? La verità è che è l’Italia la causa della corruzione”.

È il collaudato trucco del “tutti colpevoli, quindi nessun colpevole”. In ogni caso la corruzione non sale dalla società verso i partiti, come sostiene il Galli della Loggia, ma è vero il contrario. In una democrazia corrotta i partiti comprano il consenso. E per comprarlo hanno bisogno di soldi, di corruzione, di tangenti, dell’uso a tappeto del clientelismo e dell’affiliazione paramafiosa. È così che la corruzione, discendendo giù per i rami, arriva alla società e la inquina. Il Galli della Loggia scova le radici della corruzione italiana "nella nostra storia profonda" e, dopo aver vissuto per settant’anni sulla luna e senza aver mai mosso un dito per contrastare l’andazzo, scopre "che cosa è diventato questo paese".

Per la verità senza andare a pescare nelle “radici della nostra storia profonda”, io ricordo, non dovendo andare poi troppo lontano, anche un’altra Italia che dovrebbe essere nota anche al Galli della Loggia che è più anziano di me. Nell’Italia dei Cinquanta e dei Sessanta l’onestà era un valore per tutti. Per la borghesia se non altro perché dava credito. Per il mondo contadino dove la classica stretta di mano valeva più di un contratto. E per il proletariato. E chi violava questi codici veniva inesorabilmente emarginato dalla propria comunità. E comunque se l’Italia si è ridotta come si è ridotta è anche grazie al professor Ernesto Galli della Loggia e a tutti gli intellettuali azzeccagarbugli che invece di cercare di chiarire le idee alla gente gliele confondono. La classe dirigente di questo paese sta ballando sull’orlo di un vulcano. E qualcuno se ne sta rendendo conto.

Non so se, alla fine, il vulcano erutterà. Non so nemmeno se augurarmelo. Perché ho il fondato sospetto che se ci fosse una nuova “rivoluzione italiana” finirebbe, come dopo Mani Pulite, che a coglierne i frutti non sarebbero coloro che si sono battuti per realizzarla, ma gli eterni Mieli, Veneziani, Galli della Loggia, Pisanu, Cicchitto, Casini o i loro discendenti politici, intellettuali o carnali. E come adesso ci tocca gridare, per disperazione, “aridatece Forlani”, allora saremo costretti a gridare, sempre per disperazione “aridatece Berlusconi”. Che almeno ci metteva la faccia e ogni tanto trovava anche qualcuno che gliela spaccava.
di Massimo Fini

08 marzo 2010

Il carry trade brasiliano, i Rothschild e il BRIC

- Negli scorsi anni, il Brasile ha sviluppato un enorme carry trade che ha consentito a molte banche europee di darsi un'aura di solvibilità. Oltre alle implicazioni finanziarie, questo sistema ha una dimensione geopolitica significativa che interessa la Russia, la Cina e l'India, e cioè quei paesi che LaRouche ha designato, assieme agli Stati Uniti, quali potenziali alleati in una combinazione di potere forte abbastanza da poter imporre una sostituzione dell'attuale sistema finanziario della globalizzazione.

L'impero (britannico) della globalizzazione ha cercato di sabotare questo approccio promovendo un blocco alternativo chiamato BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) basato sulla illusoria promessa che una volta crollato completamente il sistema americano, prevarrà quello britannico con l'aiuto, appunto, del carry trade brasiliano (cfr. Strategic Alert 6/10).

Un elemento chiave dietro questa operazione è, non sorprendentemente, il principale banchiere dell'Impero Britannico nei secoli: la famiglia Rothschild. I rapporti tra i Rothschild e il Brasile sono così profondi che il sito web dell'Archivio Rothschild contiene una pagina speciale sul Brasile, l'unica nazione a ricevere queste attenzioni particolari. Vi si legge che "i legami tra NM Rothschild & Sons e la nazione brasiliana risalgono ai tempi del fondatore della banca", nel primo decennio del XIX secolo.

Oggi colui che Lord Jacob Rothschild chiama "il mio quarto figlio", e cioè il finanziere di Sao Paolo Mario Garnero, ha una forte influenza sul governo di Lula da Silva assieme al Banco Santander, istituto nominalmente spagnolo ma in realtà britannico. Quando si verificò una fuga di capitali dal Brasile durante la campagna elettorale del 2002, motivata dai timori che un governo Lula avrebbe portato al caos o ad azioni contro le banche, Santander decise di rinnovare le sue linee di credito al Brasile, mentre Garnero organizzò un viaggio in USA per i consiglieri di Lula, facendoli incontrare con esponenti di Wall Street e della Casa Bianca.

Garnero opera dal 1975 tramite il gruppo che ha fondato e guida ancor oggi, Brasilinvest. Esso ha funto da battistrada per la privatizzazione e la globalizzazione dell'economia brasiliana. Descrivendosi come la prima banca d'affari brasiliana, Brasilinvest poggia su alleanze con la tradizionale finanza anglo-veneziana, ben rappresentata nel suo consiglio d'amministrazione: da Nat Rothschild al Banco Santander, da Hong Kong and Shanghai Banking Corporation al Monte dei Paschi di Siena, da Carlo de Benedetti alla Societé Generale.

Garnero è finito nell'inchiesta Cirio, per cui si sta celebrando il processo di bancarotta fraudolenta. Ricordiamo che le banche che avevano usato la Cirio per fare il loro "carry trade", hanno venduto i bonds ai risparmiatori sapendo che la Cirio era insolvente.

Nel 2004, il Consiglio Internazionale di Brasilinvest tenne la sua riunione annuale a Londra. Tra i partecipanti vi erano due finanzieri chiave per l'operazione BRIC: il re russo dell'alluminio Oleg Deripaska e l'immobiliarista cinese David Tang (DWC Tang Development). Garnero non solo presentò a Lula Deripaska, ma anche il capo del fondo di investimento cinese CITIC.

Lyndon LaRouche ha ripetutamente ammonito i dirigenti russi, cinesi e indiani contro questa truffa che sembra venire dal Brasile, ma è in realtà made in London. Nel giugno 2002, quattro mesi prima dell'elezione di Lula, LaRouche fu invitato in Brasile a discutere con rappresentanti politici, economici e militari, mentre infuriava il dibattito sulla globalizzazione. L'economista statunitense invitò i brasiliani a non cadere nel tranello ma di battersi per sviluppare il potenziale scientifico, tecnologico ed economico del paese. Lula scelse la via opposta, quella di trasformare il Brasile in una pedina degli interessi finanziari centrati a Londra.
by MoviSOl