31 marzo 2010

Elezioni e finanza

1. Farò solo qualche battuta sulle ultime elezioni regionali (per poi parlar d’altro) che sembrano aver rafforzato il governo di Centro-Destra, sebbene con l’ingombro della Lega divenuta un soggetto politico sempre più pesante all’interno della coalizione guidata da Berlusconi.
L’ultima tornata elettorale può essere ben definita quella del “pisello”, a sinistra come a destra. A sinistra, viene in evidenza quello floscio e un po’ sibilante (inteso come difetto di pronuncia) di Vendola che si riconferma governatore della Puglia nonostante la tempesta giudiziaria abbattutasi sulla sanità della regione adriatica e in barba al tiro “mancino” giocatogli da D’Alema, il quale avrebbe preferito vedere Nichi a capo dell’arcigay ma non del suo feudo. A destra prevale il pisello inturgidito e agitato come un bastone nell’aria padana (e ora anche oltre) della Lega che conquista le grandi regioni del Nord dove, ha già detto, metterà in pratica quel federalismo economico e sociale i cui strumenti di attuazione sono stati ampiamente forniti dal Governo.
Certo, controllando il Veneto e il Piemonte, facendo valere tutta la sua forza in Lombardia, il partito di Bossi alzerà la voce, e di molto, in Conferenza Stato-Regioni dando maggiore concretezza a quella parte del suo programma orientata alla devoluzione territoriale che da Roma hanno sempre mal digerito e, a volte, ostacolato.
Quanto alla valutazione sui singoli partiti, il PDL perde qualche consenso pagando così le brutte figure di Roma e le liti interne tra Berlusconi e Fini; il PD sembra reggere nonostante il suo anonimo segretario “intortellinato” dai capibastone delle varie correnti che lo tengono in pugno; purtroppo si conferma e si rafforza l’IDV del torbido spione Di Pietro; il Grillo parlante col suo movimento di esaltati a 5 stelle ottiene una insperata affermazione e ci fa il favore di togliere il Piemonte al Centro-Sinistra; per finire, facciamo le ennesime esequie della sinistra estrema divenuta ormai lo spettro di sé stessa (non quello del comunismo che faceva rabbrividire l’Europa) senza le lacrime di nessuno, nemmeno le nostre.
Per chiudere, il dato sull’astensione che cresce ma mai abbastanza per screditare definitivamente una classe politica che da nord a sud, da sinistra a destra, da un estremo all’altro sta portando il Paese alla rovina per incompetenza e assenza di una prospettiva storica degna di tale nome. Questa, in una epitome certamente non esaustiva, la situazione italiana dopo la chiusura delle urne.

2. Vorrei invece tornare sulla faccenda delle Assicurazioni Generali, in particolar modo sulla nomina del suo nuovo Presidente, rispetto alla quale ci siamo esposti per primi cercando di spiegare quali programmi ci fossero dietro la partita a scacchi dei poteri marci, in lotta per l’individuazione del successore di Bernheim sul Leone alato. Mentre i giornali di regime - questi fogliacci che sono lo specchio del mercimonio delle idee scadute nel fango e nella merda di un paese inabissatosi culturalmente - relegavano la notizia in fondo al loro baratro disinformativo, noi abbiamo cercato di leggere tra le righe e di dare un’interpretazione meno di banale di quello che stava accadendo.
Con le poche informazioni a nostra disposizione, compulsando gli articoli dei vari “esperti” come Giannini, Pons, Panerai, Porro (il migliore tra quelli citati, dipendente non di un padrone, per il quale muovere a comando la propria penna come il resto della compagnia, ma della sua stessa ideologia liberista che gli impedisce di andare oltre il velo economicistico delle cose) abbiamo detto la nostra e alla fine crediamo di non esserci allontanati molto dalla verità.
Certezze che vengono confermate dal sito Dagospia (l’articolo è riprodotto alla fine di questo pezzo) il quale, vivendo della scoperta dei sotterfugi e delle trame che accompagnano quasi sempre le ammucchiate orgiastiche del potere, giochi finanziari inclusi, ne ha fornito una versione meno obnubilata dalla patinatura servile di cui si fregia e ci sfregia l’informazione cammellata nazionale. Un solo mestiere contende al giornalismo la palma di lavoro più sporco e nauseabondo del mondo: il meretricio. Forse a quest'ultimo possiamo riconoscere delle attenuati sociali che al primo, per i danni che causa alla collettività, non dobbiamo nemmeno minimamente sollevare. Ecco cosa scriveva Balzac nel suo magnifico romanzo “Le illusioni perdute” sul verminaio di lacchè senza morale e senza pudore che affolla la carta stampata: “Il giornalismo, invece di essere un sacerdozio, è divenuto uno strumento per i partiti; da strumento si è fatto commercio; e, come tutti i commerci, è senza fede né legge. Ogni giornale è una bottega ove si vendono al pubblico parole del colore ch'egli richiede. Se esistesse un giornale dei gobbi, esso proverebbe dal mattino alla sera la bellezza, la bontà, la necessità dei gobbi. Un giornale non è più fatto per illuminare, bensì per blandire le opinioni. Così, tutti i giornali saranno, in un dato spazio di tempo, vili, ipocriti, infami, bugiardi, assassini; uccideranno le idee, i sistemi, gli uomini, e perciò stesso saranno fiorenti. Essi avranno i vantaggi di tutti gli esseri ragionevoli: il male sarà fatto senza che alcuno ne sia colpevole...Napoleone ha dato la ragione di questo fenomeno morale o immorale, come più vi piaccia, con una frase sublime che gli hanno dettato i suoi studi sulla Convenzione: i delitti collettivi non impegnano nessuno.” Per chi vuol capire che razza di luridume sia la professione giornalistica si rivolga all’intero lavoro del letterato francese, non per niente Engels diceva di aver imparato di più dal reazionario Balzac che da tutti gli economisti messi insieme.
Con la nomina di Geronzi alla guida della compagnia triestina qualcosa dunque cambia nel panorama economico nazionale, in virtù di uno sbilanciamento dei precedenti assetti di potere che iniziano a scricchiolare e a far emergere degli equilibri meno sfavorevoli a Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere e Letta hanno indubbiamente interpretato una parte in questa scalata geronziana benché le loro dichiarazioni pubbliche non siano mai scivolate verso alcuna partigianeria definita. La blindatura di Rcs quotidiani con l’entrata nel cda in prima persona di Giovanni Bazoli, Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle, Cesare Geronzi, Piergaetano Marchetti, Antonello Perricone, Giampiero Pesenti e Marco Tronchetti Provera, ci dice però che i poteri putridi si preparano a darsele di santa ragione perché con l’aria che tira nell’agone politico, con la crisi economica che avanza, qualcuno ci rimetterà le penne.

3. Per concludere vorrei segnalare una intervista pubblicata dall’Unità al filosofo Slavoj Žižek che parla ancora di sinistra e di comunismo, nonché della possibilità per gli antisistemici di poter uscire dalla pesante crisi d’identità nella quale sono sprofondati. Žižek propone alla sinistra di essere conservatrice e moralista al fine togliere terreno ai suoi avversari e attaccarli in casa propria, sui temi dove questi irrobustiscono il loro consenso. L’intellettuale sloveno, ultimamente resosi compartecipe di appelli a favore dell’onda verde iraniana, più che conservatore sta divenendo un vero e proprio reazionario filo statunitense. Inoltre, di fogna moralistica, anticamera della corruzione, nella sinistra italiana ne troverà in abbondanza con la conseguenza che i sedicenti progressisti e riformisti del Bel Paese sono i peggiori servi della superpotenza Usa e della sua affermazione in Europa.
In realtà, avremmo bisogno di inventare un’altra morale, di ripercorrere la nostra storia e le nostre differenti identità politiche per costruire ben altro soggetto politico appoggiato ad un solido blocco sociale capace di fare strame di tutta la vecchia merda di destra e di sinistra. Ma questo per Žižek, evidentemente, non è abbastanza intellettualoide e non serve a sfondare nel panorama editoriale.
Qui finisce il nostro requiem per Žižek e per quelli come lui.

LO STRANO ASSE CORRIERE-REPUBBLICA
"Accordo su Generali: Geronzi verso la presidenza. Pagliaro a Mediobanca". Il Corriere delle banche richiama la notizia in prima pagina con un francobollino, poi però la fionda a pagina 50 perché trattasi di roba squisitamente tecnico-finanziaria, priva di qualunque ricaduta politica e di potere.

A babbo morto, Daniele Manca scopre finalmente l'arte del retroscena (tanto i manovratori hanno già manovrato) e critica: "i nostri bizantinismi che un investitore internazionale non capirebbe"; "un percorso simile al totonomine della politica", "un metodo davvero singolare per la definizione dell'assetto di comando della prima compagnia assicurativa e tra le prime tre in Europa". Tutto bene, tutto giusto. Ma a Manca manca il coraggio di estendere le sue osservazioni al metodo che ha portato Pagliaro alla presidenza di Mediobanca. Molto diverso da quello che issato Geronzi sul Leone?
Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi Antoine Bernheim Generali con Cesare Geronzi Mediobanca

Su Repubblica, giornale partecipato dalle Generali e da Unicredit, il vicedirettore Massimo Giannini mastica amaro: "Dal Leone al Gattopardo, così si Blinda la Galassia del Nord". Una lunga articolessa per ribadire che lo sbarco di Gero-vital Geronzi al posto del ragazzino Bernheim "è legato ai guai giudiziari del banchiere a all'intreccio con la politica" e che quindi siamo di fronte a uno scenario di inaudito allarme sociale.

Ok, anche i curatori di questa modesta rassegna sono più o meno d'accordo, ma allora perché affannarsi per le restanti tre colonne a spiegare agli incolpevoli lettori di Ri-pubblica che tanto la presidenza delle Generali è priva di delegehe operative e, insomma, Cesaron deì Cesaroni va a Trieste a svernare e fare un cazzo? (p.15). Che, forse l'ingegner Debenedettoni c'è rimasto un po' male?

Il Giornale di Feltrusconi, che in Mediobanca conta parecchio attraverso Doris e Marina B., e può contare su un ambasciatore di eccezione come Tarak Ben Ammar, si affida a Nicola Porro ("Così Trieste diventa capitale della finanza"). Pezzo intelligente e senza tesi precostituite, che pone l'accento sulla questione chiave: con Geronzi, le Generali diventeranno più autonome da Mediobanca? "Nel tempo si capirà quanto il diffuso azionariato delle Generali si sarà coagulato in mani amiche. Del nuovo presidente", osserva Porro Seduto.

Sulla stessa linea l'interpretazione di Francesco Pallacorda, sulla Stampa (p.27): "Così cambia il Leone con Cesare in sella". "Con 400 miliardi di attivi il ruolo della compagnia può diventare più incisivo. Ma Piazzetta Cuccia vuole mantenere il controllo sulla partecipata".

Smaccata invece la festa di Panerai-ahi-ahi! su Milano Finanza: parte ricordando che da ragazzo Cesare Geronzi manifestò per Trieste libera e va avanti sul filo della liberazione delle Generali da Mediobanca. Poi mette le mani avanti: "i due amministratori delegati hanno bisogno di un consistente supporto e anche i manager di Mediobanca sono d'accordo che al futuro presidente Geronzi siano assegnate, nella tradizione di un potere esecutivo anche del numero uno della compagnia, le deleghe su finanza e partecipazioni".

Cioè, se ha ragione l'Innominabile, due cosette da niente. E nel dubbio il suo lettore non avesse capito da che parte si deve stare, una chiusa patriottica: questa presidenza piena di poteri sarebbe "un presidio da cui garantire l'indipendenza di Generali-Trieste sarà assai più facile".

Gode anche il Sole 24 Ore, che affida a Guido Gentili (p.1) un commento compassato ma felice: "Roma-Trieste passando per il mondo". L'ex direttore salmonato spiega che la doppia presidenza Pagliaro-Geronzi è una "soluzione di sistema" e non dimentica di indicare chi sono i grandi vecchi di questo "sistema" che "alla fine ha tenuto più di altri di fronte alla crisi": Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi.

Alla fine, per trovare due giornali che non abbiano interesse alcuno su questa partita, visto il loro azionariato "puro", bisogna prendere il Cetriolo Quotidiano e il Secolo XIX.
Il quotidiano diretto da Antonio Padellaro, tutto distratto da Santoro & Friends, sottovaluta pericolosamente la notizia ficcandola a pagina 11 e titolandola così: "E' fatta: Geronzi al vertice delle Generali" (p.11). Nel suo pezzo, dopo uno degli attacchi più farraginosi della storia del giornalismo, Alessandro Faieta azzecca però un punto fondamentale: "il nodo non è più lo sbarco o meno di Geronzi a Trieste, ma chi guiderò il patto di sindacato di Mediobanca".
berlusconi silvio debenedetti carlo imago

Anche il giornale genovese, diretto da Umberto La Rocca, non degna la notizia di alcun richiamo in prima, ma pubblica un retroscena dell'ex cetriolista Francesco Bonazzi (p. 15) il cui succo è: i francesi non si sono fidati di Geronzone, e per dargli il via libera formale su Generali volevano essere sicuri di avere in cambio una soluzione negoziata sulla successione in Mediobanca.
G. Petrosillo

30 marzo 2010

Ci hanno convinti a non votare


Non possono esistere dubbi sul fatto che il dato più emblematico uscito (o sarebbe meglio dire mai entrato) dalle urne di queste elezioni regionali di marzo 2010 sia costituito dai quasi 3 milioni e mezzo in più di cittadini che non si sono recati a votare, portando il “partito” dell’astensione a sfiorare il 37%, diventando di fatto il maggiore partito del Paese. Un incremento nell’ordine dell’8%, con punte fra il 14%, il 12% e il 10% in Puglia, Lazio e Toscana, che qualifica il partito del non voto come l’unico reale vincitore di questa tornata elettorale.

Una vittoria, quella del non voto, determinata da una campagna elettorale sincopata, nevrotica al limite del parossismo, giocata esclusivamente intorno allo screditamento dell’avversario, totalmente priva di qualsiasi abbozzo di programma credibile.
Una campagna elettorale nel corso della quale i problemi reali del paese, che si chiamano crisi occupazionale, disastro economico, crollo del potere di acquisto delle famiglie, inquinamento del territorio, sono stati lasciati a margine da parte delle due coalizioni impegnate a contendersi il governo delle regioni.
Una campagna elettorale imperniata sulla violenza verbale dispensata a piene mani, vissuta fra litigi ed animosità al limite dello scontro fisico, sempre incentrati su differenze artificiali e prive di fondamento, utilizzati per nascondere l’assoluta mancanza di differenze reali fra i due poli che si contendono il governo regionale.

Un italiano su tre ha dunque preferito non recarsi a votare nonostante (o forse anche a causa) la quantità industriale di materiale pubblicitario che ha riempito le buche delle lettere, l’ossessiva tempesta delle telefonate a domicilio, la massa dei manifesti ad abbruttire i muri delle città, la marea di “santini” con faccioni sorridenti e cravatte multicolori. Tutto materiale che a dispetto degli sforzi esperiti dagli esperti del marketing è apparso intriso di un vuoto cosmico, tanto era infarcito di slogan demagogici che sarebbero parsi artificiosi anche agli occhi di un bambino di 5 anni e miravano unicamente a fare leva sulla tanto stantia quanto ormai sempre più improponibile scelta di campo fra destra e sinistra.

Anche in Italia, come nella maggior parte dei paesi occidentali, la distanza fra i partiti politici ed i cittadini continua perciò a farsi sempre più siderale, dimostrando in maniera inequivocabile l’inadeguatezza di un sistema come quello della democrazia rappresentativa, soprattutto qualora gestito in termini di bipolarismo. Anche il clima da “guerra civile” creato nell’occasione e gli “epici” inviti a scelte di campo presentate come decisive, non sembrano avere sortito l’effetto voluto.
I cittadini stanno continuando ad allontanarsi ed i partiti politici parlano ogni giorno di più un linguaggio alieno a chi vive e soffre nel paese reale, un linguaggio autoreferenziale che ben presto rischierà di trasformarsi in una lingua morta.
Per quanto riguarda i risultati elettorali non sono mancate le sorprese e neppure gli elementi che meritano di diventare oggetto di riflessione.

Il centrosinistra, nonostante l’operato del governo Berlusconi non sia stato fin qui entusiasmante, ha nuovamente subito una sconfitta cocente. Se la perdita di regioni come la Calabria, la Campania ed il Lazio può trovare la spiegazione all’interno degli scandali di varia natura che hanno caratterizzato le amministrazioni esistenti, ben più grave appare la debacle in Piemonte. Dove Mercedes Bresso si è vista costretta a cedere il passo a Cota, nonostante fosse riuscita ad incamerare nella propria coalizione tanto l’UDC di Casini quanto la Federazione della sinistra radicale. E’ indicativo il fatto che l’unica regione “a rischio” nella quale il centrosinistra ottiene un risultato positivo sia proprio quella Puglia dove Nichi Vendola ha difeso con i denti la propria candidatura, imponendo una lista più “di sinistra” rispetto al listone in alleanza con l’UDC che era stato imposto da D’Alema

Le liste 5 stelle di Beppe Grillo hanno ottenuto nel complesso risultati di tutto rilievo, fra i quali spiccano Giovanni Favia in Emilia Romagna che ha ottenuto il 7% e Davide Bono in Piemonte arrivato a superare il 4%, a dimostrazione del fatto che esiste senza dubbio ampio spazio di manovra per chi intenda costruire delle alternative ai partiti politici tradizionali.

L’inesorabile continua discesa del centrosinistra, laddove questo non riesce a proporsi come concreto elemento di alternativa, ma semplicemente come una fotocopia sbiadita di Berlusconi, unitamente al buon risultato delle liste che fanno riferimento a Beppe Grillo e al grande incremento dell’astensione, stanno a dimostrare in maniera inequivocabile tanto il “bisogno” di alternative concrete da parte dell’elettorato, quanto la palese incapacità di esprimere le stesse espresse dal sistema dei partiti.
Proprio questo bisogno di alternative concrete, pensiamo possa considerarsi la vera novità di questa tornata elettorale. Una novità destinata naturalmente ad essere sottaciuta, tanto dal sistema dei partiti ormai incancrenito nella spartizione del potere, quanto dai media mainstream che di quel potere rappresentano uno degli elementi cardine.
M. Cedolin

Ci hanno convinti a non votare


Non possono esistere dubbi sul fatto che il dato più emblematico uscito (o sarebbe meglio dire mai entrato) dalle urne di queste elezioni regionali di marzo 2010 sia costituito dai quasi 3 milioni e mezzo in più di cittadini che non si sono recati a votare, portando il “partito” dell’astensione a sfiorare il 37%, diventando di fatto il maggiore partito del Paese. Un incremento nell’ordine dell’8%, con punte fra il 14%, il 12% e il 10% in Puglia, Lazio e Toscana, che qualifica il partito del non voto come l’unico reale vincitore di questa tornata elettorale.

Una vittoria, quella del non voto, determinata da una campagna elettorale sincopata, nevrotica al limite del parossismo, giocata esclusivamente intorno allo screditamento dell’avversario, totalmente priva di qualsiasi abbozzo di programma credibile.
Una campagna elettorale nel corso della quale i problemi reali del paese, che si chiamano crisi occupazionale, disastro economico, crollo del potere di acquisto delle famiglie, inquinamento del territorio, sono stati lasciati a margine da parte delle due coalizioni impegnate a contendersi il governo delle regioni.
Una campagna elettorale imperniata sulla violenza verbale dispensata a piene mani, vissuta fra litigi ed animosità al limite dello scontro fisico, sempre incentrati su differenze artificiali e prive di fondamento, utilizzati per nascondere l’assoluta mancanza di differenze reali fra i due poli che si contendono il governo regionale.

Un italiano su tre ha dunque preferito non recarsi a votare nonostante (o forse anche a causa) la quantità industriale di materiale pubblicitario che ha riempito le buche delle lettere, l’ossessiva tempesta delle telefonate a domicilio, la massa dei manifesti ad abbruttire i muri delle città, la marea di “santini” con faccioni sorridenti e cravatte multicolori. Tutto materiale che a dispetto degli sforzi esperiti dagli esperti del marketing è apparso intriso di un vuoto cosmico, tanto era infarcito di slogan demagogici che sarebbero parsi artificiosi anche agli occhi di un bambino di 5 anni e miravano unicamente a fare leva sulla tanto stantia quanto ormai sempre più improponibile scelta di campo fra destra e sinistra.

Anche in Italia, come nella maggior parte dei paesi occidentali, la distanza fra i partiti politici ed i cittadini continua perciò a farsi sempre più siderale, dimostrando in maniera inequivocabile l’inadeguatezza di un sistema come quello della democrazia rappresentativa, soprattutto qualora gestito in termini di bipolarismo. Anche il clima da “guerra civile” creato nell’occasione e gli “epici” inviti a scelte di campo presentate come decisive, non sembrano avere sortito l’effetto voluto.
I cittadini stanno continuando ad allontanarsi ed i partiti politici parlano ogni giorno di più un linguaggio alieno a chi vive e soffre nel paese reale, un linguaggio autoreferenziale che ben presto rischierà di trasformarsi in una lingua morta.
Per quanto riguarda i risultati elettorali non sono mancate le sorprese e neppure gli elementi che meritano di diventare oggetto di riflessione.

Il centrosinistra, nonostante l’operato del governo Berlusconi non sia stato fin qui entusiasmante, ha nuovamente subito una sconfitta cocente. Se la perdita di regioni come la Calabria, la Campania ed il Lazio può trovare la spiegazione all’interno degli scandali di varia natura che hanno caratterizzato le amministrazioni esistenti, ben più grave appare la debacle in Piemonte. Dove Mercedes Bresso si è vista costretta a cedere il passo a Cota, nonostante fosse riuscita ad incamerare nella propria coalizione tanto l’UDC di Casini quanto la Federazione della sinistra radicale. E’ indicativo il fatto che l’unica regione “a rischio” nella quale il centrosinistra ottiene un risultato positivo sia proprio quella Puglia dove Nichi Vendola ha difeso con i denti la propria candidatura, imponendo una lista più “di sinistra” rispetto al listone in alleanza con l’UDC che era stato imposto da D’Alema

Le liste 5 stelle di Beppe Grillo hanno ottenuto nel complesso risultati di tutto rilievo, fra i quali spiccano Giovanni Favia in Emilia Romagna che ha ottenuto il 7% e Davide Bono in Piemonte arrivato a superare il 4%, a dimostrazione del fatto che esiste senza dubbio ampio spazio di manovra per chi intenda costruire delle alternative ai partiti politici tradizionali.

L’inesorabile continua discesa del centrosinistra, laddove questo non riesce a proporsi come concreto elemento di alternativa, ma semplicemente come una fotocopia sbiadita di Berlusconi, unitamente al buon risultato delle liste che fanno riferimento a Beppe Grillo e al grande incremento dell’astensione, stanno a dimostrare in maniera inequivocabile tanto il “bisogno” di alternative concrete da parte dell’elettorato, quanto la palese incapacità di esprimere le stesse espresse dal sistema dei partiti.
Proprio questo bisogno di alternative concrete, pensiamo possa considerarsi la vera novità di questa tornata elettorale. Una novità destinata naturalmente ad essere sottaciuta, tanto dal sistema dei partiti ormai incancrenito nella spartizione del potere, quanto dai media mainstream che di quel potere rappresentano uno degli elementi cardine.
M. Cedolin

31 marzo 2010

Elezioni e finanza

1. Farò solo qualche battuta sulle ultime elezioni regionali (per poi parlar d’altro) che sembrano aver rafforzato il governo di Centro-Destra, sebbene con l’ingombro della Lega divenuta un soggetto politico sempre più pesante all’interno della coalizione guidata da Berlusconi.
L’ultima tornata elettorale può essere ben definita quella del “pisello”, a sinistra come a destra. A sinistra, viene in evidenza quello floscio e un po’ sibilante (inteso come difetto di pronuncia) di Vendola che si riconferma governatore della Puglia nonostante la tempesta giudiziaria abbattutasi sulla sanità della regione adriatica e in barba al tiro “mancino” giocatogli da D’Alema, il quale avrebbe preferito vedere Nichi a capo dell’arcigay ma non del suo feudo. A destra prevale il pisello inturgidito e agitato come un bastone nell’aria padana (e ora anche oltre) della Lega che conquista le grandi regioni del Nord dove, ha già detto, metterà in pratica quel federalismo economico e sociale i cui strumenti di attuazione sono stati ampiamente forniti dal Governo.
Certo, controllando il Veneto e il Piemonte, facendo valere tutta la sua forza in Lombardia, il partito di Bossi alzerà la voce, e di molto, in Conferenza Stato-Regioni dando maggiore concretezza a quella parte del suo programma orientata alla devoluzione territoriale che da Roma hanno sempre mal digerito e, a volte, ostacolato.
Quanto alla valutazione sui singoli partiti, il PDL perde qualche consenso pagando così le brutte figure di Roma e le liti interne tra Berlusconi e Fini; il PD sembra reggere nonostante il suo anonimo segretario “intortellinato” dai capibastone delle varie correnti che lo tengono in pugno; purtroppo si conferma e si rafforza l’IDV del torbido spione Di Pietro; il Grillo parlante col suo movimento di esaltati a 5 stelle ottiene una insperata affermazione e ci fa il favore di togliere il Piemonte al Centro-Sinistra; per finire, facciamo le ennesime esequie della sinistra estrema divenuta ormai lo spettro di sé stessa (non quello del comunismo che faceva rabbrividire l’Europa) senza le lacrime di nessuno, nemmeno le nostre.
Per chiudere, il dato sull’astensione che cresce ma mai abbastanza per screditare definitivamente una classe politica che da nord a sud, da sinistra a destra, da un estremo all’altro sta portando il Paese alla rovina per incompetenza e assenza di una prospettiva storica degna di tale nome. Questa, in una epitome certamente non esaustiva, la situazione italiana dopo la chiusura delle urne.

2. Vorrei invece tornare sulla faccenda delle Assicurazioni Generali, in particolar modo sulla nomina del suo nuovo Presidente, rispetto alla quale ci siamo esposti per primi cercando di spiegare quali programmi ci fossero dietro la partita a scacchi dei poteri marci, in lotta per l’individuazione del successore di Bernheim sul Leone alato. Mentre i giornali di regime - questi fogliacci che sono lo specchio del mercimonio delle idee scadute nel fango e nella merda di un paese inabissatosi culturalmente - relegavano la notizia in fondo al loro baratro disinformativo, noi abbiamo cercato di leggere tra le righe e di dare un’interpretazione meno di banale di quello che stava accadendo.
Con le poche informazioni a nostra disposizione, compulsando gli articoli dei vari “esperti” come Giannini, Pons, Panerai, Porro (il migliore tra quelli citati, dipendente non di un padrone, per il quale muovere a comando la propria penna come il resto della compagnia, ma della sua stessa ideologia liberista che gli impedisce di andare oltre il velo economicistico delle cose) abbiamo detto la nostra e alla fine crediamo di non esserci allontanati molto dalla verità.
Certezze che vengono confermate dal sito Dagospia (l’articolo è riprodotto alla fine di questo pezzo) il quale, vivendo della scoperta dei sotterfugi e delle trame che accompagnano quasi sempre le ammucchiate orgiastiche del potere, giochi finanziari inclusi, ne ha fornito una versione meno obnubilata dalla patinatura servile di cui si fregia e ci sfregia l’informazione cammellata nazionale. Un solo mestiere contende al giornalismo la palma di lavoro più sporco e nauseabondo del mondo: il meretricio. Forse a quest'ultimo possiamo riconoscere delle attenuati sociali che al primo, per i danni che causa alla collettività, non dobbiamo nemmeno minimamente sollevare. Ecco cosa scriveva Balzac nel suo magnifico romanzo “Le illusioni perdute” sul verminaio di lacchè senza morale e senza pudore che affolla la carta stampata: “Il giornalismo, invece di essere un sacerdozio, è divenuto uno strumento per i partiti; da strumento si è fatto commercio; e, come tutti i commerci, è senza fede né legge. Ogni giornale è una bottega ove si vendono al pubblico parole del colore ch'egli richiede. Se esistesse un giornale dei gobbi, esso proverebbe dal mattino alla sera la bellezza, la bontà, la necessità dei gobbi. Un giornale non è più fatto per illuminare, bensì per blandire le opinioni. Così, tutti i giornali saranno, in un dato spazio di tempo, vili, ipocriti, infami, bugiardi, assassini; uccideranno le idee, i sistemi, gli uomini, e perciò stesso saranno fiorenti. Essi avranno i vantaggi di tutti gli esseri ragionevoli: il male sarà fatto senza che alcuno ne sia colpevole...Napoleone ha dato la ragione di questo fenomeno morale o immorale, come più vi piaccia, con una frase sublime che gli hanno dettato i suoi studi sulla Convenzione: i delitti collettivi non impegnano nessuno.” Per chi vuol capire che razza di luridume sia la professione giornalistica si rivolga all’intero lavoro del letterato francese, non per niente Engels diceva di aver imparato di più dal reazionario Balzac che da tutti gli economisti messi insieme.
Con la nomina di Geronzi alla guida della compagnia triestina qualcosa dunque cambia nel panorama economico nazionale, in virtù di uno sbilanciamento dei precedenti assetti di potere che iniziano a scricchiolare e a far emergere degli equilibri meno sfavorevoli a Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere e Letta hanno indubbiamente interpretato una parte in questa scalata geronziana benché le loro dichiarazioni pubbliche non siano mai scivolate verso alcuna partigianeria definita. La blindatura di Rcs quotidiani con l’entrata nel cda in prima persona di Giovanni Bazoli, Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle, Cesare Geronzi, Piergaetano Marchetti, Antonello Perricone, Giampiero Pesenti e Marco Tronchetti Provera, ci dice però che i poteri putridi si preparano a darsele di santa ragione perché con l’aria che tira nell’agone politico, con la crisi economica che avanza, qualcuno ci rimetterà le penne.

3. Per concludere vorrei segnalare una intervista pubblicata dall’Unità al filosofo Slavoj Žižek che parla ancora di sinistra e di comunismo, nonché della possibilità per gli antisistemici di poter uscire dalla pesante crisi d’identità nella quale sono sprofondati. Žižek propone alla sinistra di essere conservatrice e moralista al fine togliere terreno ai suoi avversari e attaccarli in casa propria, sui temi dove questi irrobustiscono il loro consenso. L’intellettuale sloveno, ultimamente resosi compartecipe di appelli a favore dell’onda verde iraniana, più che conservatore sta divenendo un vero e proprio reazionario filo statunitense. Inoltre, di fogna moralistica, anticamera della corruzione, nella sinistra italiana ne troverà in abbondanza con la conseguenza che i sedicenti progressisti e riformisti del Bel Paese sono i peggiori servi della superpotenza Usa e della sua affermazione in Europa.
In realtà, avremmo bisogno di inventare un’altra morale, di ripercorrere la nostra storia e le nostre differenti identità politiche per costruire ben altro soggetto politico appoggiato ad un solido blocco sociale capace di fare strame di tutta la vecchia merda di destra e di sinistra. Ma questo per Žižek, evidentemente, non è abbastanza intellettualoide e non serve a sfondare nel panorama editoriale.
Qui finisce il nostro requiem per Žižek e per quelli come lui.

LO STRANO ASSE CORRIERE-REPUBBLICA
"Accordo su Generali: Geronzi verso la presidenza. Pagliaro a Mediobanca". Il Corriere delle banche richiama la notizia in prima pagina con un francobollino, poi però la fionda a pagina 50 perché trattasi di roba squisitamente tecnico-finanziaria, priva di qualunque ricaduta politica e di potere.

A babbo morto, Daniele Manca scopre finalmente l'arte del retroscena (tanto i manovratori hanno già manovrato) e critica: "i nostri bizantinismi che un investitore internazionale non capirebbe"; "un percorso simile al totonomine della politica", "un metodo davvero singolare per la definizione dell'assetto di comando della prima compagnia assicurativa e tra le prime tre in Europa". Tutto bene, tutto giusto. Ma a Manca manca il coraggio di estendere le sue osservazioni al metodo che ha portato Pagliaro alla presidenza di Mediobanca. Molto diverso da quello che issato Geronzi sul Leone?
Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi Antoine Bernheim Generali con Cesare Geronzi Mediobanca

Su Repubblica, giornale partecipato dalle Generali e da Unicredit, il vicedirettore Massimo Giannini mastica amaro: "Dal Leone al Gattopardo, così si Blinda la Galassia del Nord". Una lunga articolessa per ribadire che lo sbarco di Gero-vital Geronzi al posto del ragazzino Bernheim "è legato ai guai giudiziari del banchiere a all'intreccio con la politica" e che quindi siamo di fronte a uno scenario di inaudito allarme sociale.

Ok, anche i curatori di questa modesta rassegna sono più o meno d'accordo, ma allora perché affannarsi per le restanti tre colonne a spiegare agli incolpevoli lettori di Ri-pubblica che tanto la presidenza delle Generali è priva di delegehe operative e, insomma, Cesaron deì Cesaroni va a Trieste a svernare e fare un cazzo? (p.15). Che, forse l'ingegner Debenedettoni c'è rimasto un po' male?

Il Giornale di Feltrusconi, che in Mediobanca conta parecchio attraverso Doris e Marina B., e può contare su un ambasciatore di eccezione come Tarak Ben Ammar, si affida a Nicola Porro ("Così Trieste diventa capitale della finanza"). Pezzo intelligente e senza tesi precostituite, che pone l'accento sulla questione chiave: con Geronzi, le Generali diventeranno più autonome da Mediobanca? "Nel tempo si capirà quanto il diffuso azionariato delle Generali si sarà coagulato in mani amiche. Del nuovo presidente", osserva Porro Seduto.

Sulla stessa linea l'interpretazione di Francesco Pallacorda, sulla Stampa (p.27): "Così cambia il Leone con Cesare in sella". "Con 400 miliardi di attivi il ruolo della compagnia può diventare più incisivo. Ma Piazzetta Cuccia vuole mantenere il controllo sulla partecipata".

Smaccata invece la festa di Panerai-ahi-ahi! su Milano Finanza: parte ricordando che da ragazzo Cesare Geronzi manifestò per Trieste libera e va avanti sul filo della liberazione delle Generali da Mediobanca. Poi mette le mani avanti: "i due amministratori delegati hanno bisogno di un consistente supporto e anche i manager di Mediobanca sono d'accordo che al futuro presidente Geronzi siano assegnate, nella tradizione di un potere esecutivo anche del numero uno della compagnia, le deleghe su finanza e partecipazioni".

Cioè, se ha ragione l'Innominabile, due cosette da niente. E nel dubbio il suo lettore non avesse capito da che parte si deve stare, una chiusa patriottica: questa presidenza piena di poteri sarebbe "un presidio da cui garantire l'indipendenza di Generali-Trieste sarà assai più facile".

Gode anche il Sole 24 Ore, che affida a Guido Gentili (p.1) un commento compassato ma felice: "Roma-Trieste passando per il mondo". L'ex direttore salmonato spiega che la doppia presidenza Pagliaro-Geronzi è una "soluzione di sistema" e non dimentica di indicare chi sono i grandi vecchi di questo "sistema" che "alla fine ha tenuto più di altri di fronte alla crisi": Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi.

Alla fine, per trovare due giornali che non abbiano interesse alcuno su questa partita, visto il loro azionariato "puro", bisogna prendere il Cetriolo Quotidiano e il Secolo XIX.
Il quotidiano diretto da Antonio Padellaro, tutto distratto da Santoro & Friends, sottovaluta pericolosamente la notizia ficcandola a pagina 11 e titolandola così: "E' fatta: Geronzi al vertice delle Generali" (p.11). Nel suo pezzo, dopo uno degli attacchi più farraginosi della storia del giornalismo, Alessandro Faieta azzecca però un punto fondamentale: "il nodo non è più lo sbarco o meno di Geronzi a Trieste, ma chi guiderò il patto di sindacato di Mediobanca".
berlusconi silvio debenedetti carlo imago

Anche il giornale genovese, diretto da Umberto La Rocca, non degna la notizia di alcun richiamo in prima, ma pubblica un retroscena dell'ex cetriolista Francesco Bonazzi (p. 15) il cui succo è: i francesi non si sono fidati di Geronzone, e per dargli il via libera formale su Generali volevano essere sicuri di avere in cambio una soluzione negoziata sulla successione in Mediobanca.
G. Petrosillo

30 marzo 2010

Ci hanno convinti a non votare


Non possono esistere dubbi sul fatto che il dato più emblematico uscito (o sarebbe meglio dire mai entrato) dalle urne di queste elezioni regionali di marzo 2010 sia costituito dai quasi 3 milioni e mezzo in più di cittadini che non si sono recati a votare, portando il “partito” dell’astensione a sfiorare il 37%, diventando di fatto il maggiore partito del Paese. Un incremento nell’ordine dell’8%, con punte fra il 14%, il 12% e il 10% in Puglia, Lazio e Toscana, che qualifica il partito del non voto come l’unico reale vincitore di questa tornata elettorale.

Una vittoria, quella del non voto, determinata da una campagna elettorale sincopata, nevrotica al limite del parossismo, giocata esclusivamente intorno allo screditamento dell’avversario, totalmente priva di qualsiasi abbozzo di programma credibile.
Una campagna elettorale nel corso della quale i problemi reali del paese, che si chiamano crisi occupazionale, disastro economico, crollo del potere di acquisto delle famiglie, inquinamento del territorio, sono stati lasciati a margine da parte delle due coalizioni impegnate a contendersi il governo delle regioni.
Una campagna elettorale imperniata sulla violenza verbale dispensata a piene mani, vissuta fra litigi ed animosità al limite dello scontro fisico, sempre incentrati su differenze artificiali e prive di fondamento, utilizzati per nascondere l’assoluta mancanza di differenze reali fra i due poli che si contendono il governo regionale.

Un italiano su tre ha dunque preferito non recarsi a votare nonostante (o forse anche a causa) la quantità industriale di materiale pubblicitario che ha riempito le buche delle lettere, l’ossessiva tempesta delle telefonate a domicilio, la massa dei manifesti ad abbruttire i muri delle città, la marea di “santini” con faccioni sorridenti e cravatte multicolori. Tutto materiale che a dispetto degli sforzi esperiti dagli esperti del marketing è apparso intriso di un vuoto cosmico, tanto era infarcito di slogan demagogici che sarebbero parsi artificiosi anche agli occhi di un bambino di 5 anni e miravano unicamente a fare leva sulla tanto stantia quanto ormai sempre più improponibile scelta di campo fra destra e sinistra.

Anche in Italia, come nella maggior parte dei paesi occidentali, la distanza fra i partiti politici ed i cittadini continua perciò a farsi sempre più siderale, dimostrando in maniera inequivocabile l’inadeguatezza di un sistema come quello della democrazia rappresentativa, soprattutto qualora gestito in termini di bipolarismo. Anche il clima da “guerra civile” creato nell’occasione e gli “epici” inviti a scelte di campo presentate come decisive, non sembrano avere sortito l’effetto voluto.
I cittadini stanno continuando ad allontanarsi ed i partiti politici parlano ogni giorno di più un linguaggio alieno a chi vive e soffre nel paese reale, un linguaggio autoreferenziale che ben presto rischierà di trasformarsi in una lingua morta.
Per quanto riguarda i risultati elettorali non sono mancate le sorprese e neppure gli elementi che meritano di diventare oggetto di riflessione.

Il centrosinistra, nonostante l’operato del governo Berlusconi non sia stato fin qui entusiasmante, ha nuovamente subito una sconfitta cocente. Se la perdita di regioni come la Calabria, la Campania ed il Lazio può trovare la spiegazione all’interno degli scandali di varia natura che hanno caratterizzato le amministrazioni esistenti, ben più grave appare la debacle in Piemonte. Dove Mercedes Bresso si è vista costretta a cedere il passo a Cota, nonostante fosse riuscita ad incamerare nella propria coalizione tanto l’UDC di Casini quanto la Federazione della sinistra radicale. E’ indicativo il fatto che l’unica regione “a rischio” nella quale il centrosinistra ottiene un risultato positivo sia proprio quella Puglia dove Nichi Vendola ha difeso con i denti la propria candidatura, imponendo una lista più “di sinistra” rispetto al listone in alleanza con l’UDC che era stato imposto da D’Alema

Le liste 5 stelle di Beppe Grillo hanno ottenuto nel complesso risultati di tutto rilievo, fra i quali spiccano Giovanni Favia in Emilia Romagna che ha ottenuto il 7% e Davide Bono in Piemonte arrivato a superare il 4%, a dimostrazione del fatto che esiste senza dubbio ampio spazio di manovra per chi intenda costruire delle alternative ai partiti politici tradizionali.

L’inesorabile continua discesa del centrosinistra, laddove questo non riesce a proporsi come concreto elemento di alternativa, ma semplicemente come una fotocopia sbiadita di Berlusconi, unitamente al buon risultato delle liste che fanno riferimento a Beppe Grillo e al grande incremento dell’astensione, stanno a dimostrare in maniera inequivocabile tanto il “bisogno” di alternative concrete da parte dell’elettorato, quanto la palese incapacità di esprimere le stesse espresse dal sistema dei partiti.
Proprio questo bisogno di alternative concrete, pensiamo possa considerarsi la vera novità di questa tornata elettorale. Una novità destinata naturalmente ad essere sottaciuta, tanto dal sistema dei partiti ormai incancrenito nella spartizione del potere, quanto dai media mainstream che di quel potere rappresentano uno degli elementi cardine.
M. Cedolin

Ci hanno convinti a non votare


Non possono esistere dubbi sul fatto che il dato più emblematico uscito (o sarebbe meglio dire mai entrato) dalle urne di queste elezioni regionali di marzo 2010 sia costituito dai quasi 3 milioni e mezzo in più di cittadini che non si sono recati a votare, portando il “partito” dell’astensione a sfiorare il 37%, diventando di fatto il maggiore partito del Paese. Un incremento nell’ordine dell’8%, con punte fra il 14%, il 12% e il 10% in Puglia, Lazio e Toscana, che qualifica il partito del non voto come l’unico reale vincitore di questa tornata elettorale.

Una vittoria, quella del non voto, determinata da una campagna elettorale sincopata, nevrotica al limite del parossismo, giocata esclusivamente intorno allo screditamento dell’avversario, totalmente priva di qualsiasi abbozzo di programma credibile.
Una campagna elettorale nel corso della quale i problemi reali del paese, che si chiamano crisi occupazionale, disastro economico, crollo del potere di acquisto delle famiglie, inquinamento del territorio, sono stati lasciati a margine da parte delle due coalizioni impegnate a contendersi il governo delle regioni.
Una campagna elettorale imperniata sulla violenza verbale dispensata a piene mani, vissuta fra litigi ed animosità al limite dello scontro fisico, sempre incentrati su differenze artificiali e prive di fondamento, utilizzati per nascondere l’assoluta mancanza di differenze reali fra i due poli che si contendono il governo regionale.

Un italiano su tre ha dunque preferito non recarsi a votare nonostante (o forse anche a causa) la quantità industriale di materiale pubblicitario che ha riempito le buche delle lettere, l’ossessiva tempesta delle telefonate a domicilio, la massa dei manifesti ad abbruttire i muri delle città, la marea di “santini” con faccioni sorridenti e cravatte multicolori. Tutto materiale che a dispetto degli sforzi esperiti dagli esperti del marketing è apparso intriso di un vuoto cosmico, tanto era infarcito di slogan demagogici che sarebbero parsi artificiosi anche agli occhi di un bambino di 5 anni e miravano unicamente a fare leva sulla tanto stantia quanto ormai sempre più improponibile scelta di campo fra destra e sinistra.

Anche in Italia, come nella maggior parte dei paesi occidentali, la distanza fra i partiti politici ed i cittadini continua perciò a farsi sempre più siderale, dimostrando in maniera inequivocabile l’inadeguatezza di un sistema come quello della democrazia rappresentativa, soprattutto qualora gestito in termini di bipolarismo. Anche il clima da “guerra civile” creato nell’occasione e gli “epici” inviti a scelte di campo presentate come decisive, non sembrano avere sortito l’effetto voluto.
I cittadini stanno continuando ad allontanarsi ed i partiti politici parlano ogni giorno di più un linguaggio alieno a chi vive e soffre nel paese reale, un linguaggio autoreferenziale che ben presto rischierà di trasformarsi in una lingua morta.
Per quanto riguarda i risultati elettorali non sono mancate le sorprese e neppure gli elementi che meritano di diventare oggetto di riflessione.

Il centrosinistra, nonostante l’operato del governo Berlusconi non sia stato fin qui entusiasmante, ha nuovamente subito una sconfitta cocente. Se la perdita di regioni come la Calabria, la Campania ed il Lazio può trovare la spiegazione all’interno degli scandali di varia natura che hanno caratterizzato le amministrazioni esistenti, ben più grave appare la debacle in Piemonte. Dove Mercedes Bresso si è vista costretta a cedere il passo a Cota, nonostante fosse riuscita ad incamerare nella propria coalizione tanto l’UDC di Casini quanto la Federazione della sinistra radicale. E’ indicativo il fatto che l’unica regione “a rischio” nella quale il centrosinistra ottiene un risultato positivo sia proprio quella Puglia dove Nichi Vendola ha difeso con i denti la propria candidatura, imponendo una lista più “di sinistra” rispetto al listone in alleanza con l’UDC che era stato imposto da D’Alema

Le liste 5 stelle di Beppe Grillo hanno ottenuto nel complesso risultati di tutto rilievo, fra i quali spiccano Giovanni Favia in Emilia Romagna che ha ottenuto il 7% e Davide Bono in Piemonte arrivato a superare il 4%, a dimostrazione del fatto che esiste senza dubbio ampio spazio di manovra per chi intenda costruire delle alternative ai partiti politici tradizionali.

L’inesorabile continua discesa del centrosinistra, laddove questo non riesce a proporsi come concreto elemento di alternativa, ma semplicemente come una fotocopia sbiadita di Berlusconi, unitamente al buon risultato delle liste che fanno riferimento a Beppe Grillo e al grande incremento dell’astensione, stanno a dimostrare in maniera inequivocabile tanto il “bisogno” di alternative concrete da parte dell’elettorato, quanto la palese incapacità di esprimere le stesse espresse dal sistema dei partiti.
Proprio questo bisogno di alternative concrete, pensiamo possa considerarsi la vera novità di questa tornata elettorale. Una novità destinata naturalmente ad essere sottaciuta, tanto dal sistema dei partiti ormai incancrenito nella spartizione del potere, quanto dai media mainstream che di quel potere rappresentano uno degli elementi cardine.
M. Cedolin