07 maggio 2010

Le rendite finanziarie sono come il latifondo: è una ricchezza che porta miseria

Visto che con Yossarian si riesce a fare una "discussione interblog" civile, ne approfitto e rispondo al suo post. In definitiva, quello che ci separa e' una diversa percezione di quanto avvenuto. Per molti, il mondo delle rendite appartiene al mondo dei "servizi", cioe' al mondo del reddito prodotto da un qualche lavoro che si esprimera' in ore-uomo. Io, al contrario, penso che le attuali rendite finanziarie siano una categoria nuova dell'economia, in quanto prendono un nuovo attore, il rischio, e lo trasformano in reddito.

La vera novita' , quella che ha causato il disastro finanziario nel quale ci troviamo, e' la capacita' di produrre reddito dai rischi, approfitando del paradosso logico che lega le statistiche al calcolo delle probabilita'. Cerco di spiegarmi con un esempio.

Supponiamo che per una data compagnia aerea, per motivi di varianza, si faccia la statistica (pesata con tutti i chi-square del caso) che le vittime di incidente aereo siano, sui passeggeri, sei uomini ogni dieci milioni,e quattro donne ogni dieci milioni.E' possibile , basta che per puro caso caschi un aereo pieno di giocatori di pallavolo , prima di recuperare l'equilibrio uomo/donna, al ritmo di incidenti , occorreranno decenni. Il ciclo teorico e' molto lungo per via della rarita' degli incidenti.

Cosi', in un certo senso i maschi sono stati , statisticamente, piu' sfortunati. Ma noi siamo un'azienda di assicurazioni, e teniamo conto del fatto che sei su dieci milioni sono uomini e quattro su dieci milioni siano donne.

Problema: se una coppia di due sole persone sale su un aereo, qual'e' la probabilita' che l'aereo precipiti? La risposta corretta e' che non c'e' relazione alcuna tra il sesso dei passeggeri e il rischio di caduta. Ma dal punto di vista della gestione del rischio classica, paradossalmente la donna "portera' fortuna" all'uomo. Perche' se la fisica degli aerei non risente del sesso dei passeggeri, alla fine assicureremo due persone alla media del cinque su dieci milioni. Ma con la passeggera donna ci abbiamo guadagnato, con l'uomo ci abbiamo rimesso.

Da dove nasce questo reddito?
Questo reddito nasce da un paradosso, nasce dalla confusione tra statistica e calcolo delle probabilita'. Si sta usando, cioe', una statistica come se fosse un calcolo delle probabilita'. Un metodo di misura a posteriori contro una predizione teorica a priori. E' un errore, sempre. Costa, a volte.

Quando il fenomeno che si assicura NON e' costante, non e' ciclico, non segue sempre le stesse leggi, e' lontano dal ciclo teorico statistico, i numeri sono troppo pochi, il costo dell'errore e' alto.

Cosi' le assicurazioni possono lavorare tranquillamente usando le statistiche come predizione SE i numeri sono alti, i fenomeni sono stabili e seguono le stesse regole di sempre, eccetera. Cosa succede se lo facciamo in presenza di fenomeni non del tutto regolari?

Eh. Succede che il costo aumenta, e ogni costo e' un reddito. Cosi', la definizione di "rendita" e' semplicemente un reddito prodotto dalla semplice esistenza di un rischio sul quale costruiamo un reddito che non proviene dal nostro lavoro, ma dal differenziale tra il rischio misurato sulle statistiche del passato e quello stimabile nel futuro.

Faccio un esempio di rendita: se lavorate come dipendenti, potrete comprare una casa col mutuo. E' una rendita? Si. Quello che state vendendo alla banca e' rischio basso, il rischio basso che avete di perdere ogni reddito. In cambio di questo basso rischio, la banca e' disposta a darvi dei soldi. Soldi che non avete guadagnato.


La banca non fa altro che prendere dei soldi con un rischio maggiore e darli a voi, maggiorando con l'interesse la differenza tra i due rischi. Nell'esempio di sopra, paga delle donne per salire sull'aereo.

La casa che avete comprato e' una forma di rendita. Avete venduto il basso rischio legato alla vostra posizione lavorativa. Anche quello che compra una casa lavora sul rischio: si assume il rischio che la casa deprezzi, pagandola senza sapere se, nel tempo lungo di vita della casa, l'investimento rendera'. In cambio di questo rischio, affitta la casa ad un tizio che ne gode SENZA avere alcun rischio di investimento: non ha comprato nulla.


Infine, la storia dei titoli di stato: voi stimate (1) che il rischio di fallimento dello stato sia tot, e chiedete allo stato di piu' per dargli dei soldi. Che vi verranno restituiti, piu' una percentuale di guadagno che ritenete superiore al rischio di fallimento.

Tutto questo e' semplicemente REDDITO prodotto da una differenza tra rischi.

Sia chiaro, le assicurazioni sono sempre esistite. E hanno sempre lavorato cosi'. Ma negli ultimi anni le rendite (sotto forma di prestiti, mutui, immobili, titoli finanziari) si sono diffuse e sono arrivate a divorare l'economia tradizionale. Questi strumenti che generano ricchezza partendo dal rischio sono arrivati ad essere disponibili a tutti.

Un investimento di "rendita" non e' altro che un investimento nel quale compriamo basso rischio, ovvero riteniamo che la resa sia superiore ai rischi. Oppure, vendiamo il nostro basso rischio (o se preferite: il buon rating) in cambio di un prestito che restituiremo a rate. In tutti i casi, stiamo commerciando rischi. Siamo , nell'esempio dell'aereo, una donna che si fa pagare per salire a bordo e abbassare la media delle polizze, come se portasse fortuna. Un catastrofico errore logico, ma convenzionalmente accettato.

Problema: esisteva questo fenomeno, prima? No.

Di conseguenza: esistono teorie di politica economica che se ne occupino? No.

Sic et simpliciter: tutte le ideologie politiche sono obsolete, perche' e' comparso nel mondo del reddito questo meccanismo (basato su un errore logico che a volte funziona, come un orologio fermo che indichi due volte al giorno l'ora esatta), mai apparso prima.

Il liberismo come ideologia viene meno, perche' vengono meno i suoi presupposti. Quando un imprenditore investe in una rendita, sta comprando basso rischio, ovvero buon rating. Ma il nostro liberista classico sostiene che il beneficio dell'impresa sia quello di produrre ricchezza, che inevitabilmente produrra' altra impresa. Invece, come avveniva nel passato col latifondo, i soldi vengono immobilizzati in una logica di basso rischio.

Se consideriamo il rischio di impresa, infatti, notiamo subito come l'impresa che investe su qualche rendita anziche' ingrandirsi non fa altro che preferire il basso rating della propria impresa al rating migliore di un investimento che so io immobiliare. Il nostro liberista classico pensa che la ricchezza sia la spinta che porta l'imprenditore a rischiare i propri soldi. Ma se esiste una forma di ricchezza che gli fornisce reddito ad un rischio PIU' BASSO di quello dell'impresa, tutto l'impianto liberista va a farsi fottere. Non e' piu' vero che la ricchezza spinge il nostro imprenditore a costruire, e no, le rendite non sono la stessa cosa.

L'impresa che ha un rischio del 10% deve avere un margine superiore al 10% per non rimetterci le penne alla prima crisi.Diciamo che sia l' 11% Se una casa rende il 3% ma ha un rischio di fallimento del 2%, abbiamo lo stesso 1% di differenza , ma su rischi quantitativamente minori. Questo non era previsto in NESSUNA teoria liberista: il guadagno a rischi bassi che possa "deviare" l'imprenditore dal cercare il "premio" che si ottiene col rischio d'impresa.

Anche il MArxismo non ne esce meglio. Qual'e' il plusvalore di un rischio? E quello di un meccanismo assicurativo? La fortuna? A Marx sarebbe piaciuta poco come risposta. Il plusvalore di Marx era la differenza tra costi e incassi. LA differenza tra rischi e rese non fa parte della teoria. Il rischio non e' un costo. Finche' tutto va bene , l'automobilista che non fa incidenti NON costa.

Questa nuova qualita' di redditi ha distrutto tutti i meccanismi che storicamente gestivano l'economia. L'imprenditore abbassa il rischio dedicandosi piu' alle rendite che all'impresa. Non produce lavoro. Le rendite sono basse quando il rischio e' basso, e alte quando il rischio e' alto.

E questo meccanismo si e' esteso a tutta la societa'. I risparmiatori non risparmiano perche' anziche' mettere in banca e sfruttare interessi positivi col risparmio, comprano vendendo il guadagno futuro PRIMA di guadagnarlo, in cambio di un ottimo rating familiare.

Questo non era mai successo prima. L'unica classe simile era quella dei latifondisti. Essi coltivavano enormi quantita' di terre con una resa bassa. Le terre, essendo molto estese, avevano poco rischio di offrire meno delle scarse rese, per cui un margine basso era sufficiente. Difficile che qualcosa potesse distruggere ettari ed ettari di pascolo o di foraggio , per dire. L'agricoltura intensiva, invece, rende di piu' ma parcellizzando i campi espone al rischio di un evento locale distruttivo.

Non e' vero, quindi, che l'imprenditore fa ricchezza COMUNQUE investa. Il latifondista buttava un sacco di soldi per terre che rendevano l' 1/1.5% annuo. Ed e' qui il problema delle rendite.

Voi siete soddisfatti se qualcuno vi promette, che so io, il 4% su dei titoli di stato. Un'azienda che renda il 4% e' da buttare via. Quando si passa da investimento nell'impresa a rendita, il rischio e' minore ed ovviamente sono minori anche le rese. Quando avevo il mio helpdesk il mio margine di contribuzione era sul 28%. Qualcuno di voi investe al 28% annuo? Eppure, per un'azienda non e' cosi' strano , come margine.

Le rendite, signori, sono basse. Per definizione. Perche' quando diventano alte o c'e' il trucco o c'e' molto rischio: ma allora tantovaleva correre il rischio d'impresa.Quando comprate con un prestito, se l'interesse e' basso c'e' la fregatura nel prodotto. Non c'e' alternativa: qualcuno sta comprando il vostro basso rischio di fallire, quindi nel bene che vi fornisce in cambio di deve essere un rischio maggiore. Che e' il rischio d'impresa del produttore se non vende abbastanza. Altrimenti NON avrebbe senso il baratto.

Quindi no, il nostro imprenditore che investe in rendite fa un DANNO all'economia, perche' nessuna rendita ha la resa pari al margine di contribuzione di un'azienda. E' l'equivalente finanziario del latifondo.

Questa e' l'economia del rischio. Il paradigma e' il rischio. Non il lavoro. Non la ricchezza. Non il plusvalore. La merce effettivamente scambiata e' il rischio.

Nessuna delle teorie del passato ha mai ipotizzato questo. E qui veniamo a Yossarian. Non c'e' alcuna traccia, nei lib-dem e nel loro programma, di un approccio al problema. Sembra che il problema non esista. Le rendite vengono ancora chiamate "proprieta'", come nel novecento.

Ma non e' cosi': quando vendete il fatto di essere dipendenti in cambio della proprieta' ipotecata di una casa che altrimenti NON potevate permettervi, state ricevendo reddito vendendo rating: e' una rendita. Si', quel debito e' una rendita. La rendita derivata dall'aver trovato un posto fisso.

L'unico modo razionale di affrontare la cosa e' capire che le rendite hanno rese piu' basse, nella media, rispetto al margine di contribuzione medio. Se prendiamo gli indici di borsa e facciamo una media , su 20 anni, di quanto crescono? . Non un dato eclatante. Non eclatante se lo paragoniamo al margine di contibuzione di un'azienda.

Ducati ha avuto, in un anno (il 2001) , un margine di contribuzione del 40.8%. Mi trovate un investimento di rendita che abbia questa resa annua? Non ce la fate.

Allora cosa facciamo, se domani Ducati decide di diventare una finanziaria e investire sul mercato della finanza? Che magari guadagnera' , rispetto al rischio d'impresa, di piu': una finanziaria di quelle dimensioni chiude quasi sempre in buon attivo. Ma non del 40.8%.

Questo e' il motivo per il quale paesi come Cina o India, molto manufatturieri, crescono di piu': il margine di contribuzione di un'industria e' MOLTO piu' alto di qualsiasi resa finanziaria. Le basse crescite del paesi occidentali sono tali anche per via di tutti i soldi che finiscono nella finanza, cioe' in un mondo dove i rischi sono bassi a parita' di reddito, con crescite molto, molto piccole.

Voi un invstimento da 40.8% annuo VE-LO-SOGNATE. L'unica cosa che potete fare e' costruire un'azienda di successo, se volete simili guadagni.

Allora dite: ma i finanzieri sono ricchissimi. Come mai? Perche' rischiano meno di Ducati, e come se non bastasse spendono meno. A parita' di guadagni, i loro rischi sono piu' bassi. Se guardate il rischio che ha ducati di cannare i nuovi prodotti, o di subire una crisi, scoprite che Ducati e' molto colpita dalle crisi. Dunque rischia MOLTO. Per questo deve guadagnare MOLTO. La differenza e' nel rischio.

Il finanziere magari non fa il 40.8% annuo. Ma rischia molto meno di Ducati. Questa e' la sua ricchezza: la ricchezza del latifondista: molta terra a bassa resa, ma con rischio basso che gli investimenti vengano vanificati, che so io, da una tempesta di grandine.

LA percezione del danno catastrofico che questi latifondisti della carta , i finanzieri, causano al paese, e' ancora poco diffusa. Si crede che le rendite siano convenienti rispetto alle aziende. Niente di piu' sbagliato, un'azienda che solo sopravviva ha un margine di contribuzione che nel mondo della finanza e' sogno puro.

Ma non importa.Giocando su grandi quantita' di risorse, come per i latifondisti, i nostri finanzieri e i nostri cercatori di rendita riescono a farsi il gruzzoletto. Solo che poi, nel sistema paese, la medie delle rese vi regala un bel PIL del +1-2% annuo. Basso rischio, bassa resa globale, quantita' investite sufficienti a garantire comunque un reddito alto A POCHI. Latifondo.

L'effetto che la finanza fa alle economie e' l'effetto che il latifondo faceva all'agricoltura: pochi grandi possidenti erano ricchi sfondati, ma non aumentavano il rischio investendo perche' le quantita' di terra garantivano una resa bassa, che tuttavia moltiplicata per le quantita' di terra li rendeva ricchi.

Ma la resa media, sul globale, dell'agricoltura, era penosa. E si faceva la fame.

Questo, caso Yoss, non e' nel programma dei liberisti. Non e' nel programma dei socialisti. Ne' in quello di Cameron. Nessun partito ha un bagaglio culturale per capire che occorre nel mondo della finanza l'equivalente delle riforme agrarie che finorono il latifondo.

Si voleva aumentare la resa delle terre. Una terra su cui si investisse era piu' rischiosa: tu investi e un uragano ti distrugge tutto. Se non investi ma hai molta terra, magari l'uragano ti distrugge il 90%del raccolto, ma hai molta terra e ce la farai a vivere. Solo che il paese e alla fame.

L'agricoltura intensiva invece e' rischio: investi per coltivare meglio, se va male , ci rimetti. Pero', la resa e' alta. E questo produce un dato macroeconomico buono. Il latifondo ha meno rischi anche se puo' fornire (a pochi) dei redditi molto alti, ma ovviamente il dato macroeconomico e' pessimo.

Allo stesso modo, l'industria e l'imprenditoria hanno rischi alti. Ma hanno rese alte. Il mondo delle rendite ha rischi bassi. Ma ha anche rese basse. Con l'industria, il dato macroeconomico e' alto. Con la rendita, chi possiede grandi rendite ha un buon reddito. MA il dato macroeconomico e' basso.

I paesi con le economie di rendita piu' forti sono quelli che hanno la crescita del PIL piu' BASSA. I paesi con le crescite alte sono quelli industrializzati. Quindi NO, sul piano macroeconomico spostare i soldi sulle rendite produrra' lo stop della crescita.
Questo, caro Yoss, non e' in NESSUN programma politico attuale. Non sentirai NESSUN politico accusare le rendite delle basse crescite dei paesi. Ti diranno che la bassa crescita del PIL e' tipica "dei paesi maturi", ma sono PALLE: e' tipica dei paesi dove l'economia delle rendite e' piu' diffusa.

Non esistono guadagni stellari in borsa. Mi spiace, ma anche il finanziere piu' brillante il 40.8% annuo sul bilancio di una multinazionale finanziaria SE-LO-SOGNA. L'industria lo fa: Ducati lo ha fatto.

Stiamo pensando che la finanza produca ricchezza perche' guardiamo i POCHI beneficiari ricchissimi. Ma e' come pensare che il latifondo sia bello guardando i POCHI latifondisti ricchissimi. Il dato macroeconomico invece mostra che il PIL delle nazioni piu' finanziarizzate tende ad abbassarsi rispetto a quello delle nazioni piu' manufatturiere.
Questa percezione NON fa parte di alcuna ideologia attuale.
Il fatto che le rendite siano, per il paese, una piaga analoga al latifondo non e' percepito.

E senza questo, nel mondo attuale, nessuna ideologia politica puo' curare il male. Ne' quelle di sinistra, ne' quelle liberali.

Occorre uno statalismo decisionista molto forte.Che non e' patrimonio ne' della sinistra di oggi ne' della destra di oggi. "lIberale" significa che spingo la gente la gente a finanziare la crescita perche' ci guadagna. Altrimenti non si muove.Socialista significa che spingo la gente a finanziare la crescita con le tasse. Ma quello che serve e' l'equivalente di una riforma agraria anti-latifondo.
by Uriel

06 maggio 2010

L`insolvenza della Grecia e la trappola del debito pubblico



Il debito pubblico è la diga piena d’acqua. Se crolla, si allaga tutto, gli Stati vanno in tilt e la gente viene travolta.
Ora, l’equivalente del terremoto è il tasso di indebitamento dei privati. Quando i privati si indebitano troppo, il debito pubblico esplode.
Qual è il legame?
Il legame è di due tipi: fiduciario e consumistico.
Nel caso fiduciario, il problema lo vediamo bene in Portogallo e Spagna. Il debito portoghese è attorno al 70%, ma il paese è vicino al collasso. Del resto la cosa non è nuova, perché il debito argentino era ancora più basso, quando ci fu il crack.
Quello che succede è che l’investitore perde la fiducia nel paese, dal momento che non è possibile per l’economia di risollevarsi. Qualsiasi politica fiscale il governo usasse per migliorare il debito, infatti, sarebbe insostenibile: il cittadino indebitato è, anche se ha uno stile di vita apparentemente occidentale, un cittadino povero. Quando il vostro paese ha più debiti che Pil, comunque vadano le cose il governo non potrà pagare i debiti, dato che li pagherebbe con tasse che il cittadino ha sempre meno la possibilità di pagare.
Nessuno crederà mai ad un paese nel quale i cittadini vivono a credito.

Le pratiche incriminate sono: il credito al consumo troppo facile, automobili, elettronica, vestiti, vacanze comprate a rate.
Il fido aziendale troppo facile rispetto al capitale sociale. Le Pmi e i professionisti chiedono fido portando come contropartita il fatturato, e non il capitale sociale.
Il mutuo casa facile. La gente compra casa senza possedere una lira, spesso facendosi finanziare più del valore della casa.
Le carte di credito si comportano come isolette, concedendo fidi ed effettuando prestiti de facto. Potete avere un’Amex con lo scoperto e una Visa con lo scoperto, e i due circuiti non si parlano per capire se non stiate moltiplicando il vostro conto, e come se non bastasse spesso non parlano con la banca per sapere quale sia la situazione del vostro conto.

Poi c’è un problema di forecast. Supponiamo di avere cittadini risparmiatori, e di iniziare una trasformazione della spesa pubblica. Inevitabilmente le trasformazioni della spesa pubblica producono un periodo di austerity.
Cosa fa il cittadino? Se ha dei risparmi, come ha di solito il ceto medio (negozianti, professionisti), compenseranno il calo di affari pescando dai risparmi. Quando finirà l’austerity, torneranno a risparmiare.
Così, se il governo italiano calasse del 10% la spesa pubblica per un anno, le Pmi che si vedrebbero ridurre gli appalti del 10% di cosa vivrebbero, visto che non hanno risparmi? E i professionisti? E il relativo calo dei consumi, come sarebbe vissuto dai negozianti?
Se tutte queste categorie avessero dei risparmi, ovviamente pescherebbero dai risparmi per un anno: il governo ristrutturerebbe la spesa pubblica e poi tornerebbe il sereno. Ma cosa succede se non ci sono risparmi?
Succede che ristrutturando la spesa pubblica, cioè ridimensionando gli appalti, le aziende soffriranno. Ma non hanno un cuscinetto su cui contare, quindi licenzieranno. I licenziati caleranno le spese, perché non hanno risparmi. E non compreranno dai negozianti. I quali non hanno riserve, e caleranno le scorte di magazzino. E così via.

Che cosa succede se il cittadino, oltre a non avere risparmi, è anche indebitato? Cosa succede se lo stato taglia spesa pubblica? Succede che le aziende appaltatrici e subappaltatrici, che usavano il giro di cassa per pagare gli interessi sui debiti, falliscono.
Il fallimento produce messa in vendita di immobili, bloccando il mercato immobiliare. Le persone sul lastrico non comprano, facendo fallire i negozianti, altrettanto indebitati. Questo sbatte sul mercato sia gli immobili commerciali che gli stock, e costringe le banche a non fare più credito per via dei rischi. I professionisti a loro volta falliscono, e i cittadini non possono comprare i servizi privati che prendono il posto di quelli prima offerti dallo stato.
Vi sembra apocalittico? E’ quello che sta per succedere in Grecia.
Così, quando il cittadino è molto indebitato, per il debito pubblico non c’è speranza. Il debito dei privati è, nelle sue conseguenze, la vera e propria dichiarazione di default dei conti pubblici.
Ha senso, a questo punto, agire sul debito pubblico?

No, non ha senso alcuno. Le cure di Fmi e Ue sono miopi, perché non prendono in considerazione l’idea che, anche se riducessero il debito sino al 60%, i cittadini greci sono esausti e non potrebbero sostenere il minore livello di servizi legato ai tagli. Manderanno al disastro l’economia, e la Grecia fallirà con un debito inferiore tra un paio di anni. Niente di più.
Guardiamo il Portogallo. Perché è a rischio pur avendo un debito attorno al 70% del Pil, 40 punti meno di noi? Perché le famiglie si sono indebitate, cioè hanno avuto un accesso indiscriminato ad alcuni strumenti finanziari di debito. L’indebitamento privato, e specialmente quello familiare, ha raggiunto il 236% del Pil; ed è questo il fattore principale che rende il Portogallo così a rischio, più del debito pubblico.
Che tutti avessero questo accesso al credito non era, di fatto, una cosa così bella. Che tutti giocassero in borsa, che tutti trafficassero in pacchetti di azioni (bilanciati o meno) non era una cosa bella.

Quello che va fatto in occidente, nessuno escluso, è di ristrutturare il debito ai privati. Per le aziende, costringendole a ristrutturare i propri debiti con le banche. Per i privati cittadini, innanzitutto ponendo dei limiti vincolanti tra erogazione delle carte di credito e ammontare del conto in banca. Inoltre, con una stretta del credito al consumo: solo su cauzione e comunque non del 100% del bene. I mutui casa non possono superare il 50% dell’immobile. Gente che compra la casa senza una lira in tasca deve smettere di esistere. Se non hai i soldi per una casa, non comperi una casa e stai in affitto.
Una volta ridotto il debito dei privati, allora e solo allora si potrà stabilizzare il debito pubblico.
Ovviamente tutto quanto sopra è altamente impopolare: il che significa politicamente infattibile.
Se diciamo che il governo deve dimagrire, chi sogna funzionari pubblici che vivano in maniera monastica sarà felicissimo. Tutti continueranno a vivere facendo debiti, ma pretenderanno che lo Stato sia virtuoso.
Invece, se diciamo che lo stato può finire in fallimento anche col 20% di rapporto deficit/Pil se i cittadini sono enormemente indebitati, allora non va più bene. In qualche modo si è sancito di fatto il diritto ai debiti. Il diritto ad uno stile di vita al di sopra delle proprie possibilità. Si è sancito il diritto alla vita vanziniana per chiunque abbia un’impresa.
Di conseguenza no, il problema non si risolverà ed esploderà nuovamente. E, con buona pace della signora Merkel, se i suoi cittadini continuano ad indebitarsi a questo ritmo, potrebbe toccare anche alla Germania entro 3/4 anni.
Un’altra lezione che non vogliamo imparare è smettere di manipolare i mercati usando i mass media e gli effetti psicologici. I mercati trattano valore, non allucinazioni.
E’ inutile scrivere sui giornali che “è inaccettabile l’idea di un default greco”. Balle. Il default greco è avvenuto per bocca del primo ministro, quando ha detto semplicemente che “la Grecia non può più accedere ai mercati”. Questa è una dichiarazione di bancarotta: “non siamo in grado di onorare i prestiti”.
A quel punto, interviene un prestito europeo. Prestito? Ma che dicono? La Grecia ha appena detto che non può restituire alcun prestito. Si tratta, e sarebbe ora di dirlo, di un regalo. Quei soldi non verranno mai restituiti. Punto.
La Grecia è già insolvente.
Il disastro greco è già avvenuto.

Nessuno dei preziosi analisti che parla di debito nomina l’enorme problema dei debiti privati e il terribile impatto che hanno. Tutti sembrano basarsi solo sul debito pubblico, quando si sa che il botto nasce dal debito dei privati.
Tutto questo serve a nutrire di illusioni l’opinione pubblica: dicono al cittadino “chi deve cambiare vita è il governo, sono magari i grandi manager della finanza, i tuoi debiti e il tuo reddito invece sono una questione privata”.
No, signori, i debiti che il cittadino ha (auto a rate, mutui, credito al consumo, fidi per aziende senza capitale sociale) sono un problema grande quanto (e forse di più) del debito pubblico. Il cittadino deve cambiare stile di vita, ridimensionare i consumi e ridurre i debiti molto più degli Stati. Anzi, se lo Stato può avere un debito pubblico, il cittadino per essere in linea con dei requisiti di sicurezza economica deve addirittura avere dei risparmi, cioè l’opposto del debito.
Ma i giornali non lo dicono, perchè non piace ai lettori e perchè le banche che li finanziano non hanno piacere a chiudere il credito al consumo e tutto il business del debito. I governi non lo dicono perchè hanno paura di perdere le elezioni.
Guardate la Grecia: sono in default, il che significa che non hanno accesso ai mercati. Non lo avranno più neanche dopo il prestito Ue, perché sono falliti.
Il loro governo dovrà tenere un rapporto deficit/pil di 0%. Inoltre, dovrà ristrutturare i conti, dimagrendo. Il che significa un calo della spesa pubblica enorme. La spesa pubblica, in Grecia, è una delle principali fonti di Pil. L’economia greca, quindi, sarà in pesante recessione. E le famiglie non hanno riserve per reggere questa cura.

Morale della storia: o il problema del debito dei privati viene affrontato, piaccia o meno, o il problema del debito dei privati arriverà sui denti dei privati con una forza tremenda.
La scelta è, molto semplicemente, tra una cura dolorosa e la morte per malattia. Non c’è modo di fuggire.
Il pasto gratis non esiste, neanche per chi ha una carta di credito con lo scoperto.
by Uriel

La moneta dal nulla, tra signoraggio e truffa legalizzata





Mentre attendiamo di vivere da protagonisti le sciagure di un terremoto finanziario-monetario globale, probabilmente aggiungendoci alla lista degli epicentri che anticipano il botto finale, si moltiplicano le diatribe sull’interpretazione qualitativa e quantitativa di uno degli aspetti genomici della nostra moneta, sospettato di essere concausa del cancro che la divora, il signoraggio bancario.

Perciò vorrei chiarire una volta per tutte almeno due punti cardine della questione, che non è fondata solo su fatti accertabili in modo più o meno comprovato oltre ogni ragionevole dubbio, ma ha un suo solidissimo fondamento logico di ben più elevata inconfutabilità, come il paradigma della geometria euclidea per i costruttori edili.



Primo punto la costruzione e la gestione della cartamoneta, delle banconote che tutti utilizzano e credono di conoscere. Tralascio tutte le interessanti peculiarità tecniche sull’argomento, dando invece per scontato che si sappia che esse rappresentano circa il 5% del denaro “circolante”, secondo il gergo bancario, e che vengono emesse in esclusiva dalla BCE pro-quota fissa dei suoi azionisti, le Banche centrali dei paesi fondatori dell’euro, dopo essersene trattenuto l’8% del totale.

Alla nostra Banca d’Italia compete così un volume di emissione attorno ai dieci miliardi di euri l’anno (più o meno un ottavo della torta), come comprovato dalla pubblicazione dei suoi bilanci alla voce “banconote in circolazione” nello Stato Patrimoniale, che di anno in anno cresce appunto di tale ordine di grandezza. Ma qual è la “logica” d’emissione di queste banconote nel circuito economico? Non c’è discussione alcuna sul fatto che non siano più “note di banco”, ricevute di un pari controvalore depositato in custodia presso l’emittente, quindi nascono semplicemente come carta stampata, che nonostante un pregio tecnologico congruo all’uso successivo ha un costo di produzione di pochi centesimi, irrisorio rispetto al valore che rappresenta, stampato in bella evidenza per facilitare l’utente, dai 5 ai 500 euri a seconda dei tagli.

Il termine “emissione” della banconota si riferisce al varo di questo esile ma robusto vascello, destinato a “circolare” senza limiti di tempo e spazio, senza scadenza, nel mare magnum dell’economia fisica, quella vera delle persone che producono e consumano ricchezze. Si sa che passando di mano in mano, non sempre mani attente alla sua miglior conservazione, si usurano fino a diventare indegne del loro nobile compito. In tal caso tramite circuito bancario rientrano alla BC che provvede alla loro sostituzione gratuita con pezzi equivalenti freschi di stampa, che ovviamente non entrano nel conteggio di quella decina di miliardi di nuova emissione.

Questo non per tediare il lettore con dettagli tecnici superflui, ma per sottolineare l’eternità giuridica del valore facciale della banconota, che è il punto cruciale dell’ipotesi di signoraggio integrale, ovvero di lucro dell’emittente pari all’importo stampato sulla banconota emessa. Di fatto l’emissione si configura come acquisto di merce tramite denaro in forma di banconota, il primo di una catena potenzialmente infinita di acquisti successivi di altrettanti possessori temporanei di tale oggetto mistico, la banconota. La merce acquistata dall’emittente è un titolo di debito pubblico, garantito dallo Stato, con tanto di scadenza e interessi.

La liquidità sul mercato di tali titoli li rende equivalenti al denaro, tant’è che vengono conteggiati nella grande massa del “circolante” in senso esteso, all’estremo opposto della gamma rispetto alla banconota, la più “liquida” di tutti, in una scala di liquidità che va da M0 a M3, sempre nel gergo dei banchieri (tutto da ridiscutere, ma questa è un’altra storia). Quindi l’emissione della banconota da parte del suo creatore si configura come acquisto di denaro tramite denaro, ovvero un riciclo di denaro di un tipo, esente da interesse, in denaro di un altro tipo, gravato d’interesse a carico del contribuente. Ma il grosso di questo signoraggio immediato non è l’interesse, come vorrebbero far credere i banchieri che pure lo ammettono, ma l’appropriazione di ricchezza pari al valore facciale, come affermano i cosiddetti “signoraggisti”, così chiamati in senso dispregiativo dai “negazionisti”.

Che l’appropriazione indebita coincida con l’emissione è un fatto evidente di per sé, non può essere diversamente per quanti tecnicismi si vogliano frapporre per giustificarne il contrario. Uno però vale la pena ricordarlo, per la ricorrenza e l’ambiguità con le quali viene brandito dai negazionisti: l’emittente non scambia definitivamente la sua cartamoneta fresca di stampa con titoli di Stato, ma semplicemente la presta, come fosse un automobile che la Hertz consegna ai suoi clienti. La Hertz però non ha un parco di autovetture che cresce di numero perpetuamente di dieci miliardi l’anno.

Se poi pensiamo ai biglietti verdi stampati dalla FED negli ultimi 50 anni, all’interno di un analogo paradigma fondativo, si capisce tutta la monumentale bugia che sta dietro questa teoria del prestito. Un prestito non è “per sempre”, altrimenti si chiama regalo, a fondo perduto. Che è esattamente ciò che fa l’utente della banconota, rappresentato dallo Stato, nel momento in cui avviene l’emissione. La legge stessa lo comprova, la banconota non è più “esigibile”, guai a chi volesse riconsegnarla alla BC pretendendo pari controvalore di altra natura in cambio.

Ora il problema non è tanto negare il “fatto”, quanto giudicare se sia doloso, se il lucro gratuito dell’emittente sia o no devoluto alla comunità degli utenti, ad esempio allo Stato. La BC conserva a titolo di garanzia del sistema euro un pari controvalore di tutto il circolante in banconote accumulato negli anni? Certamente NO!

La BC versa allo Stato un pari controvalore delle banconote emesse? Certamente NO!

La BC siamo noi, cioè la BC rappresenta un alter ego dello Stato? NI.

Perfino in Italia, dove l’azionariato di Banca d’Italia è al 95% costituito da banche e assicurazioni private, controllori e controllate al contempo, la giurisprudenza definisce la BC come Istituto di Diritto Pubblico.

Però i conti del Tesoro sono ben separati da quelli delle BC e del sistema bancario che esse esprimono, anche negli altri paesi dell’euro. E mentre il debito pubblico ingigantisce, il credito privato dei grandi proprietari fa altrettanto e ancor di più, per cifre ovviamente ben superiori alle banconote emesse, ma ci deve comunque essere una qualche relazione. Anche se il debito pubblico complessivo è molto superiore, è fuor di dubbio che ad ogni banconota in circolazione, priva d’interesse, corrisponde pari frazione di debito pubblico gravato d’interesse. E non si capisce proprio perché le banconote necessarie alla vita economica di tutti, forzosamente imposte dallo Stato come mezzo di pagamento, anziché essere nostre ce le dobbiamo far prestare da estranei, in base a trattati distrattamente ratificati dai parlamenti nazionali nonostante il parere contrario della popolazione, come dimostrano le pochissime volte che la materia è stata indirettamente oggetto di referendum (mai in Italia).

Ma tant’è, questo paradosso del prestito delle banconote fa parte del sistema, così oltre al danno ci procura anche la beffa dei negazionisti del signoraggio, convinti nonostante l’evidenza dei numeri a bilancio che le banconote “prestate” tornino quasi tutte da mamma BC.



E’ a dir poco avvilente che in questi drammatici frangenti, nell’attesa che ineluttabilmente il sistema monetario collassi dopo aver distrutto lo stesso tessuto economico lungamente parassitato, l’intelligenza individuale non riesca a livello di massa ad emanciparsi dalla fumosa confusione che avvolge i paradossi fondativi della moneta che ci portiamo in tasca, neppure nei casi più semplici, basilari. Non per niente i banchieri e i loro amici economisti descrivono M0 come “base monetaria”.



Secondo punto la costruzione e la gestione del credito, ovvero il grosso della moneta in circolazione, sotto forma di annotazioni contabili.

Il Presidente di Banca Popolare di Milano ha pubblicamente spiegato perché hanno sottoscritto un prestito di Stato in forma di Tremonti-bond, che le grandi banche rifiutarono, visto il tasso d’interesse elevato (circa 8%). Motivo semplicissimo, con quei soldi ottenuti dallo Stato la banca erogava mutui per 15 volte tanto alla propria clientela, in un momento di scarsità del credito ai “piccoli”, così il costo di quel denaro è come se fosse stato 8/15 di punti percentuali, praticamente mezzo punto, nulla in confronto agli interessi attivi praticati alla clientela. Questa verità sbandierata pubblicamente su una TV in chiaro, è la conseguenza degli accordi vigenti di Basilea 2, che fissano la riserva frazionaria obbligatoria tra il 2% e il 12% del prestito erogato.

Tramite riflusso bancario ed altri tecnicismi, questo implica la possibilità di erogare prestiti per 50 o 8 volte la liquidità (di altri clienti) posseduta (custodita) in quel momento. E’ un fatto sconvolgente, prestare a usura (pardon, a interesse) denaro inventato dal nulla, creato a costo zero solo perché un cliente ne ha assoluto bisogno. E questa dell’esempio è indubbiamente una delle banche più oneste e virtuose del sistema. In un paio di decenni tutte le onestissime banche commerciali (onestissime in confronto alle banche d’affari) si fanno gratis un capitale pari a tutti i loro mutui in essere, solo con gli interessi. Si capisce bene che se poi falliscono per inadempienza, detta volgarmente bancarotta, chissenefrega! Il malloppo è già al sicuro da un pezzo, nei paradisi della finanza globale. Rotta una banca privata se ne fa un’altra, e i cocci sono dello Stato.



La riserva frazionaria è un vecchio trucco già praticato all’epoca del gold standard, quando ancora si fingeva di credere alla convertibilità in oro della banconota. In quest’epoca di moneta definitivamente ed esclusivamente virtuale, fondata esclusivamente sul patto sociale, la riserva frazionaria implica necessariamente l’organizzazione sistemica in banche centrali, controllori e garanti della truffa con la complicità degli Stati ex-sovrani in tema di politica monetaria, ma ben responsabili come prestatori di ultima istanza sulle spalle del contribuente attuale e futuro. E’ un crimine sistemico, che sta per presentarci il conto finale, salatissimo. Cosa aspettiamo a scendere in piazza coi forconi per dire basta all’imbroglio?

Per il terzo livello della grande truffa, quella finanziaria ben esemplificata da Goldman Sachs, ci vuole un trattato di criminologia a parte, e non basta, manca ancora tutto il lato oscuro della politica.
di Alberto Conti

07 maggio 2010

Le rendite finanziarie sono come il latifondo: è una ricchezza che porta miseria

Visto che con Yossarian si riesce a fare una "discussione interblog" civile, ne approfitto e rispondo al suo post. In definitiva, quello che ci separa e' una diversa percezione di quanto avvenuto. Per molti, il mondo delle rendite appartiene al mondo dei "servizi", cioe' al mondo del reddito prodotto da un qualche lavoro che si esprimera' in ore-uomo. Io, al contrario, penso che le attuali rendite finanziarie siano una categoria nuova dell'economia, in quanto prendono un nuovo attore, il rischio, e lo trasformano in reddito.

La vera novita' , quella che ha causato il disastro finanziario nel quale ci troviamo, e' la capacita' di produrre reddito dai rischi, approfitando del paradosso logico che lega le statistiche al calcolo delle probabilita'. Cerco di spiegarmi con un esempio.

Supponiamo che per una data compagnia aerea, per motivi di varianza, si faccia la statistica (pesata con tutti i chi-square del caso) che le vittime di incidente aereo siano, sui passeggeri, sei uomini ogni dieci milioni,e quattro donne ogni dieci milioni.E' possibile , basta che per puro caso caschi un aereo pieno di giocatori di pallavolo , prima di recuperare l'equilibrio uomo/donna, al ritmo di incidenti , occorreranno decenni. Il ciclo teorico e' molto lungo per via della rarita' degli incidenti.

Cosi', in un certo senso i maschi sono stati , statisticamente, piu' sfortunati. Ma noi siamo un'azienda di assicurazioni, e teniamo conto del fatto che sei su dieci milioni sono uomini e quattro su dieci milioni siano donne.

Problema: se una coppia di due sole persone sale su un aereo, qual'e' la probabilita' che l'aereo precipiti? La risposta corretta e' che non c'e' relazione alcuna tra il sesso dei passeggeri e il rischio di caduta. Ma dal punto di vista della gestione del rischio classica, paradossalmente la donna "portera' fortuna" all'uomo. Perche' se la fisica degli aerei non risente del sesso dei passeggeri, alla fine assicureremo due persone alla media del cinque su dieci milioni. Ma con la passeggera donna ci abbiamo guadagnato, con l'uomo ci abbiamo rimesso.

Da dove nasce questo reddito?
Questo reddito nasce da un paradosso, nasce dalla confusione tra statistica e calcolo delle probabilita'. Si sta usando, cioe', una statistica come se fosse un calcolo delle probabilita'. Un metodo di misura a posteriori contro una predizione teorica a priori. E' un errore, sempre. Costa, a volte.

Quando il fenomeno che si assicura NON e' costante, non e' ciclico, non segue sempre le stesse leggi, e' lontano dal ciclo teorico statistico, i numeri sono troppo pochi, il costo dell'errore e' alto.

Cosi' le assicurazioni possono lavorare tranquillamente usando le statistiche come predizione SE i numeri sono alti, i fenomeni sono stabili e seguono le stesse regole di sempre, eccetera. Cosa succede se lo facciamo in presenza di fenomeni non del tutto regolari?

Eh. Succede che il costo aumenta, e ogni costo e' un reddito. Cosi', la definizione di "rendita" e' semplicemente un reddito prodotto dalla semplice esistenza di un rischio sul quale costruiamo un reddito che non proviene dal nostro lavoro, ma dal differenziale tra il rischio misurato sulle statistiche del passato e quello stimabile nel futuro.

Faccio un esempio di rendita: se lavorate come dipendenti, potrete comprare una casa col mutuo. E' una rendita? Si. Quello che state vendendo alla banca e' rischio basso, il rischio basso che avete di perdere ogni reddito. In cambio di questo basso rischio, la banca e' disposta a darvi dei soldi. Soldi che non avete guadagnato.


La banca non fa altro che prendere dei soldi con un rischio maggiore e darli a voi, maggiorando con l'interesse la differenza tra i due rischi. Nell'esempio di sopra, paga delle donne per salire sull'aereo.

La casa che avete comprato e' una forma di rendita. Avete venduto il basso rischio legato alla vostra posizione lavorativa. Anche quello che compra una casa lavora sul rischio: si assume il rischio che la casa deprezzi, pagandola senza sapere se, nel tempo lungo di vita della casa, l'investimento rendera'. In cambio di questo rischio, affitta la casa ad un tizio che ne gode SENZA avere alcun rischio di investimento: non ha comprato nulla.


Infine, la storia dei titoli di stato: voi stimate (1) che il rischio di fallimento dello stato sia tot, e chiedete allo stato di piu' per dargli dei soldi. Che vi verranno restituiti, piu' una percentuale di guadagno che ritenete superiore al rischio di fallimento.

Tutto questo e' semplicemente REDDITO prodotto da una differenza tra rischi.

Sia chiaro, le assicurazioni sono sempre esistite. E hanno sempre lavorato cosi'. Ma negli ultimi anni le rendite (sotto forma di prestiti, mutui, immobili, titoli finanziari) si sono diffuse e sono arrivate a divorare l'economia tradizionale. Questi strumenti che generano ricchezza partendo dal rischio sono arrivati ad essere disponibili a tutti.

Un investimento di "rendita" non e' altro che un investimento nel quale compriamo basso rischio, ovvero riteniamo che la resa sia superiore ai rischi. Oppure, vendiamo il nostro basso rischio (o se preferite: il buon rating) in cambio di un prestito che restituiremo a rate. In tutti i casi, stiamo commerciando rischi. Siamo , nell'esempio dell'aereo, una donna che si fa pagare per salire a bordo e abbassare la media delle polizze, come se portasse fortuna. Un catastrofico errore logico, ma convenzionalmente accettato.

Problema: esisteva questo fenomeno, prima? No.

Di conseguenza: esistono teorie di politica economica che se ne occupino? No.

Sic et simpliciter: tutte le ideologie politiche sono obsolete, perche' e' comparso nel mondo del reddito questo meccanismo (basato su un errore logico che a volte funziona, come un orologio fermo che indichi due volte al giorno l'ora esatta), mai apparso prima.

Il liberismo come ideologia viene meno, perche' vengono meno i suoi presupposti. Quando un imprenditore investe in una rendita, sta comprando basso rischio, ovvero buon rating. Ma il nostro liberista classico sostiene che il beneficio dell'impresa sia quello di produrre ricchezza, che inevitabilmente produrra' altra impresa. Invece, come avveniva nel passato col latifondo, i soldi vengono immobilizzati in una logica di basso rischio.

Se consideriamo il rischio di impresa, infatti, notiamo subito come l'impresa che investe su qualche rendita anziche' ingrandirsi non fa altro che preferire il basso rating della propria impresa al rating migliore di un investimento che so io immobiliare. Il nostro liberista classico pensa che la ricchezza sia la spinta che porta l'imprenditore a rischiare i propri soldi. Ma se esiste una forma di ricchezza che gli fornisce reddito ad un rischio PIU' BASSO di quello dell'impresa, tutto l'impianto liberista va a farsi fottere. Non e' piu' vero che la ricchezza spinge il nostro imprenditore a costruire, e no, le rendite non sono la stessa cosa.

L'impresa che ha un rischio del 10% deve avere un margine superiore al 10% per non rimetterci le penne alla prima crisi.Diciamo che sia l' 11% Se una casa rende il 3% ma ha un rischio di fallimento del 2%, abbiamo lo stesso 1% di differenza , ma su rischi quantitativamente minori. Questo non era previsto in NESSUNA teoria liberista: il guadagno a rischi bassi che possa "deviare" l'imprenditore dal cercare il "premio" che si ottiene col rischio d'impresa.

Anche il MArxismo non ne esce meglio. Qual'e' il plusvalore di un rischio? E quello di un meccanismo assicurativo? La fortuna? A Marx sarebbe piaciuta poco come risposta. Il plusvalore di Marx era la differenza tra costi e incassi. LA differenza tra rischi e rese non fa parte della teoria. Il rischio non e' un costo. Finche' tutto va bene , l'automobilista che non fa incidenti NON costa.

Questa nuova qualita' di redditi ha distrutto tutti i meccanismi che storicamente gestivano l'economia. L'imprenditore abbassa il rischio dedicandosi piu' alle rendite che all'impresa. Non produce lavoro. Le rendite sono basse quando il rischio e' basso, e alte quando il rischio e' alto.

E questo meccanismo si e' esteso a tutta la societa'. I risparmiatori non risparmiano perche' anziche' mettere in banca e sfruttare interessi positivi col risparmio, comprano vendendo il guadagno futuro PRIMA di guadagnarlo, in cambio di un ottimo rating familiare.

Questo non era mai successo prima. L'unica classe simile era quella dei latifondisti. Essi coltivavano enormi quantita' di terre con una resa bassa. Le terre, essendo molto estese, avevano poco rischio di offrire meno delle scarse rese, per cui un margine basso era sufficiente. Difficile che qualcosa potesse distruggere ettari ed ettari di pascolo o di foraggio , per dire. L'agricoltura intensiva, invece, rende di piu' ma parcellizzando i campi espone al rischio di un evento locale distruttivo.

Non e' vero, quindi, che l'imprenditore fa ricchezza COMUNQUE investa. Il latifondista buttava un sacco di soldi per terre che rendevano l' 1/1.5% annuo. Ed e' qui il problema delle rendite.

Voi siete soddisfatti se qualcuno vi promette, che so io, il 4% su dei titoli di stato. Un'azienda che renda il 4% e' da buttare via. Quando si passa da investimento nell'impresa a rendita, il rischio e' minore ed ovviamente sono minori anche le rese. Quando avevo il mio helpdesk il mio margine di contribuzione era sul 28%. Qualcuno di voi investe al 28% annuo? Eppure, per un'azienda non e' cosi' strano , come margine.

Le rendite, signori, sono basse. Per definizione. Perche' quando diventano alte o c'e' il trucco o c'e' molto rischio: ma allora tantovaleva correre il rischio d'impresa.Quando comprate con un prestito, se l'interesse e' basso c'e' la fregatura nel prodotto. Non c'e' alternativa: qualcuno sta comprando il vostro basso rischio di fallire, quindi nel bene che vi fornisce in cambio di deve essere un rischio maggiore. Che e' il rischio d'impresa del produttore se non vende abbastanza. Altrimenti NON avrebbe senso il baratto.

Quindi no, il nostro imprenditore che investe in rendite fa un DANNO all'economia, perche' nessuna rendita ha la resa pari al margine di contribuzione di un'azienda. E' l'equivalente finanziario del latifondo.

Questa e' l'economia del rischio. Il paradigma e' il rischio. Non il lavoro. Non la ricchezza. Non il plusvalore. La merce effettivamente scambiata e' il rischio.

Nessuna delle teorie del passato ha mai ipotizzato questo. E qui veniamo a Yossarian. Non c'e' alcuna traccia, nei lib-dem e nel loro programma, di un approccio al problema. Sembra che il problema non esista. Le rendite vengono ancora chiamate "proprieta'", come nel novecento.

Ma non e' cosi': quando vendete il fatto di essere dipendenti in cambio della proprieta' ipotecata di una casa che altrimenti NON potevate permettervi, state ricevendo reddito vendendo rating: e' una rendita. Si', quel debito e' una rendita. La rendita derivata dall'aver trovato un posto fisso.

L'unico modo razionale di affrontare la cosa e' capire che le rendite hanno rese piu' basse, nella media, rispetto al margine di contribuzione medio. Se prendiamo gli indici di borsa e facciamo una media , su 20 anni, di quanto crescono? . Non un dato eclatante. Non eclatante se lo paragoniamo al margine di contibuzione di un'azienda.

Ducati ha avuto, in un anno (il 2001) , un margine di contribuzione del 40.8%. Mi trovate un investimento di rendita che abbia questa resa annua? Non ce la fate.

Allora cosa facciamo, se domani Ducati decide di diventare una finanziaria e investire sul mercato della finanza? Che magari guadagnera' , rispetto al rischio d'impresa, di piu': una finanziaria di quelle dimensioni chiude quasi sempre in buon attivo. Ma non del 40.8%.

Questo e' il motivo per il quale paesi come Cina o India, molto manufatturieri, crescono di piu': il margine di contribuzione di un'industria e' MOLTO piu' alto di qualsiasi resa finanziaria. Le basse crescite del paesi occidentali sono tali anche per via di tutti i soldi che finiscono nella finanza, cioe' in un mondo dove i rischi sono bassi a parita' di reddito, con crescite molto, molto piccole.

Voi un invstimento da 40.8% annuo VE-LO-SOGNATE. L'unica cosa che potete fare e' costruire un'azienda di successo, se volete simili guadagni.

Allora dite: ma i finanzieri sono ricchissimi. Come mai? Perche' rischiano meno di Ducati, e come se non bastasse spendono meno. A parita' di guadagni, i loro rischi sono piu' bassi. Se guardate il rischio che ha ducati di cannare i nuovi prodotti, o di subire una crisi, scoprite che Ducati e' molto colpita dalle crisi. Dunque rischia MOLTO. Per questo deve guadagnare MOLTO. La differenza e' nel rischio.

Il finanziere magari non fa il 40.8% annuo. Ma rischia molto meno di Ducati. Questa e' la sua ricchezza: la ricchezza del latifondista: molta terra a bassa resa, ma con rischio basso che gli investimenti vengano vanificati, che so io, da una tempesta di grandine.

LA percezione del danno catastrofico che questi latifondisti della carta , i finanzieri, causano al paese, e' ancora poco diffusa. Si crede che le rendite siano convenienti rispetto alle aziende. Niente di piu' sbagliato, un'azienda che solo sopravviva ha un margine di contribuzione che nel mondo della finanza e' sogno puro.

Ma non importa.Giocando su grandi quantita' di risorse, come per i latifondisti, i nostri finanzieri e i nostri cercatori di rendita riescono a farsi il gruzzoletto. Solo che poi, nel sistema paese, la medie delle rese vi regala un bel PIL del +1-2% annuo. Basso rischio, bassa resa globale, quantita' investite sufficienti a garantire comunque un reddito alto A POCHI. Latifondo.

L'effetto che la finanza fa alle economie e' l'effetto che il latifondo faceva all'agricoltura: pochi grandi possidenti erano ricchi sfondati, ma non aumentavano il rischio investendo perche' le quantita' di terra garantivano una resa bassa, che tuttavia moltiplicata per le quantita' di terra li rendeva ricchi.

Ma la resa media, sul globale, dell'agricoltura, era penosa. E si faceva la fame.

Questo, caso Yoss, non e' nel programma dei liberisti. Non e' nel programma dei socialisti. Ne' in quello di Cameron. Nessun partito ha un bagaglio culturale per capire che occorre nel mondo della finanza l'equivalente delle riforme agrarie che finorono il latifondo.

Si voleva aumentare la resa delle terre. Una terra su cui si investisse era piu' rischiosa: tu investi e un uragano ti distrugge tutto. Se non investi ma hai molta terra, magari l'uragano ti distrugge il 90%del raccolto, ma hai molta terra e ce la farai a vivere. Solo che il paese e alla fame.

L'agricoltura intensiva invece e' rischio: investi per coltivare meglio, se va male , ci rimetti. Pero', la resa e' alta. E questo produce un dato macroeconomico buono. Il latifondo ha meno rischi anche se puo' fornire (a pochi) dei redditi molto alti, ma ovviamente il dato macroeconomico e' pessimo.

Allo stesso modo, l'industria e l'imprenditoria hanno rischi alti. Ma hanno rese alte. Il mondo delle rendite ha rischi bassi. Ma ha anche rese basse. Con l'industria, il dato macroeconomico e' alto. Con la rendita, chi possiede grandi rendite ha un buon reddito. MA il dato macroeconomico e' basso.

I paesi con le economie di rendita piu' forti sono quelli che hanno la crescita del PIL piu' BASSA. I paesi con le crescite alte sono quelli industrializzati. Quindi NO, sul piano macroeconomico spostare i soldi sulle rendite produrra' lo stop della crescita.
Questo, caro Yoss, non e' in NESSUN programma politico attuale. Non sentirai NESSUN politico accusare le rendite delle basse crescite dei paesi. Ti diranno che la bassa crescita del PIL e' tipica "dei paesi maturi", ma sono PALLE: e' tipica dei paesi dove l'economia delle rendite e' piu' diffusa.

Non esistono guadagni stellari in borsa. Mi spiace, ma anche il finanziere piu' brillante il 40.8% annuo sul bilancio di una multinazionale finanziaria SE-LO-SOGNA. L'industria lo fa: Ducati lo ha fatto.

Stiamo pensando che la finanza produca ricchezza perche' guardiamo i POCHI beneficiari ricchissimi. Ma e' come pensare che il latifondo sia bello guardando i POCHI latifondisti ricchissimi. Il dato macroeconomico invece mostra che il PIL delle nazioni piu' finanziarizzate tende ad abbassarsi rispetto a quello delle nazioni piu' manufatturiere.
Questa percezione NON fa parte di alcuna ideologia attuale.
Il fatto che le rendite siano, per il paese, una piaga analoga al latifondo non e' percepito.

E senza questo, nel mondo attuale, nessuna ideologia politica puo' curare il male. Ne' quelle di sinistra, ne' quelle liberali.

Occorre uno statalismo decisionista molto forte.Che non e' patrimonio ne' della sinistra di oggi ne' della destra di oggi. "lIberale" significa che spingo la gente la gente a finanziare la crescita perche' ci guadagna. Altrimenti non si muove.Socialista significa che spingo la gente a finanziare la crescita con le tasse. Ma quello che serve e' l'equivalente di una riforma agraria anti-latifondo.
by Uriel

06 maggio 2010

L`insolvenza della Grecia e la trappola del debito pubblico



Il debito pubblico è la diga piena d’acqua. Se crolla, si allaga tutto, gli Stati vanno in tilt e la gente viene travolta.
Ora, l’equivalente del terremoto è il tasso di indebitamento dei privati. Quando i privati si indebitano troppo, il debito pubblico esplode.
Qual è il legame?
Il legame è di due tipi: fiduciario e consumistico.
Nel caso fiduciario, il problema lo vediamo bene in Portogallo e Spagna. Il debito portoghese è attorno al 70%, ma il paese è vicino al collasso. Del resto la cosa non è nuova, perché il debito argentino era ancora più basso, quando ci fu il crack.
Quello che succede è che l’investitore perde la fiducia nel paese, dal momento che non è possibile per l’economia di risollevarsi. Qualsiasi politica fiscale il governo usasse per migliorare il debito, infatti, sarebbe insostenibile: il cittadino indebitato è, anche se ha uno stile di vita apparentemente occidentale, un cittadino povero. Quando il vostro paese ha più debiti che Pil, comunque vadano le cose il governo non potrà pagare i debiti, dato che li pagherebbe con tasse che il cittadino ha sempre meno la possibilità di pagare.
Nessuno crederà mai ad un paese nel quale i cittadini vivono a credito.

Le pratiche incriminate sono: il credito al consumo troppo facile, automobili, elettronica, vestiti, vacanze comprate a rate.
Il fido aziendale troppo facile rispetto al capitale sociale. Le Pmi e i professionisti chiedono fido portando come contropartita il fatturato, e non il capitale sociale.
Il mutuo casa facile. La gente compra casa senza possedere una lira, spesso facendosi finanziare più del valore della casa.
Le carte di credito si comportano come isolette, concedendo fidi ed effettuando prestiti de facto. Potete avere un’Amex con lo scoperto e una Visa con lo scoperto, e i due circuiti non si parlano per capire se non stiate moltiplicando il vostro conto, e come se non bastasse spesso non parlano con la banca per sapere quale sia la situazione del vostro conto.

Poi c’è un problema di forecast. Supponiamo di avere cittadini risparmiatori, e di iniziare una trasformazione della spesa pubblica. Inevitabilmente le trasformazioni della spesa pubblica producono un periodo di austerity.
Cosa fa il cittadino? Se ha dei risparmi, come ha di solito il ceto medio (negozianti, professionisti), compenseranno il calo di affari pescando dai risparmi. Quando finirà l’austerity, torneranno a risparmiare.
Così, se il governo italiano calasse del 10% la spesa pubblica per un anno, le Pmi che si vedrebbero ridurre gli appalti del 10% di cosa vivrebbero, visto che non hanno risparmi? E i professionisti? E il relativo calo dei consumi, come sarebbe vissuto dai negozianti?
Se tutte queste categorie avessero dei risparmi, ovviamente pescherebbero dai risparmi per un anno: il governo ristrutturerebbe la spesa pubblica e poi tornerebbe il sereno. Ma cosa succede se non ci sono risparmi?
Succede che ristrutturando la spesa pubblica, cioè ridimensionando gli appalti, le aziende soffriranno. Ma non hanno un cuscinetto su cui contare, quindi licenzieranno. I licenziati caleranno le spese, perché non hanno risparmi. E non compreranno dai negozianti. I quali non hanno riserve, e caleranno le scorte di magazzino. E così via.

Che cosa succede se il cittadino, oltre a non avere risparmi, è anche indebitato? Cosa succede se lo stato taglia spesa pubblica? Succede che le aziende appaltatrici e subappaltatrici, che usavano il giro di cassa per pagare gli interessi sui debiti, falliscono.
Il fallimento produce messa in vendita di immobili, bloccando il mercato immobiliare. Le persone sul lastrico non comprano, facendo fallire i negozianti, altrettanto indebitati. Questo sbatte sul mercato sia gli immobili commerciali che gli stock, e costringe le banche a non fare più credito per via dei rischi. I professionisti a loro volta falliscono, e i cittadini non possono comprare i servizi privati che prendono il posto di quelli prima offerti dallo stato.
Vi sembra apocalittico? E’ quello che sta per succedere in Grecia.
Così, quando il cittadino è molto indebitato, per il debito pubblico non c’è speranza. Il debito dei privati è, nelle sue conseguenze, la vera e propria dichiarazione di default dei conti pubblici.
Ha senso, a questo punto, agire sul debito pubblico?

No, non ha senso alcuno. Le cure di Fmi e Ue sono miopi, perché non prendono in considerazione l’idea che, anche se riducessero il debito sino al 60%, i cittadini greci sono esausti e non potrebbero sostenere il minore livello di servizi legato ai tagli. Manderanno al disastro l’economia, e la Grecia fallirà con un debito inferiore tra un paio di anni. Niente di più.
Guardiamo il Portogallo. Perché è a rischio pur avendo un debito attorno al 70% del Pil, 40 punti meno di noi? Perché le famiglie si sono indebitate, cioè hanno avuto un accesso indiscriminato ad alcuni strumenti finanziari di debito. L’indebitamento privato, e specialmente quello familiare, ha raggiunto il 236% del Pil; ed è questo il fattore principale che rende il Portogallo così a rischio, più del debito pubblico.
Che tutti avessero questo accesso al credito non era, di fatto, una cosa così bella. Che tutti giocassero in borsa, che tutti trafficassero in pacchetti di azioni (bilanciati o meno) non era una cosa bella.

Quello che va fatto in occidente, nessuno escluso, è di ristrutturare il debito ai privati. Per le aziende, costringendole a ristrutturare i propri debiti con le banche. Per i privati cittadini, innanzitutto ponendo dei limiti vincolanti tra erogazione delle carte di credito e ammontare del conto in banca. Inoltre, con una stretta del credito al consumo: solo su cauzione e comunque non del 100% del bene. I mutui casa non possono superare il 50% dell’immobile. Gente che compra la casa senza una lira in tasca deve smettere di esistere. Se non hai i soldi per una casa, non comperi una casa e stai in affitto.
Una volta ridotto il debito dei privati, allora e solo allora si potrà stabilizzare il debito pubblico.
Ovviamente tutto quanto sopra è altamente impopolare: il che significa politicamente infattibile.
Se diciamo che il governo deve dimagrire, chi sogna funzionari pubblici che vivano in maniera monastica sarà felicissimo. Tutti continueranno a vivere facendo debiti, ma pretenderanno che lo Stato sia virtuoso.
Invece, se diciamo che lo stato può finire in fallimento anche col 20% di rapporto deficit/Pil se i cittadini sono enormemente indebitati, allora non va più bene. In qualche modo si è sancito di fatto il diritto ai debiti. Il diritto ad uno stile di vita al di sopra delle proprie possibilità. Si è sancito il diritto alla vita vanziniana per chiunque abbia un’impresa.
Di conseguenza no, il problema non si risolverà ed esploderà nuovamente. E, con buona pace della signora Merkel, se i suoi cittadini continuano ad indebitarsi a questo ritmo, potrebbe toccare anche alla Germania entro 3/4 anni.
Un’altra lezione che non vogliamo imparare è smettere di manipolare i mercati usando i mass media e gli effetti psicologici. I mercati trattano valore, non allucinazioni.
E’ inutile scrivere sui giornali che “è inaccettabile l’idea di un default greco”. Balle. Il default greco è avvenuto per bocca del primo ministro, quando ha detto semplicemente che “la Grecia non può più accedere ai mercati”. Questa è una dichiarazione di bancarotta: “non siamo in grado di onorare i prestiti”.
A quel punto, interviene un prestito europeo. Prestito? Ma che dicono? La Grecia ha appena detto che non può restituire alcun prestito. Si tratta, e sarebbe ora di dirlo, di un regalo. Quei soldi non verranno mai restituiti. Punto.
La Grecia è già insolvente.
Il disastro greco è già avvenuto.

Nessuno dei preziosi analisti che parla di debito nomina l’enorme problema dei debiti privati e il terribile impatto che hanno. Tutti sembrano basarsi solo sul debito pubblico, quando si sa che il botto nasce dal debito dei privati.
Tutto questo serve a nutrire di illusioni l’opinione pubblica: dicono al cittadino “chi deve cambiare vita è il governo, sono magari i grandi manager della finanza, i tuoi debiti e il tuo reddito invece sono una questione privata”.
No, signori, i debiti che il cittadino ha (auto a rate, mutui, credito al consumo, fidi per aziende senza capitale sociale) sono un problema grande quanto (e forse di più) del debito pubblico. Il cittadino deve cambiare stile di vita, ridimensionare i consumi e ridurre i debiti molto più degli Stati. Anzi, se lo Stato può avere un debito pubblico, il cittadino per essere in linea con dei requisiti di sicurezza economica deve addirittura avere dei risparmi, cioè l’opposto del debito.
Ma i giornali non lo dicono, perchè non piace ai lettori e perchè le banche che li finanziano non hanno piacere a chiudere il credito al consumo e tutto il business del debito. I governi non lo dicono perchè hanno paura di perdere le elezioni.
Guardate la Grecia: sono in default, il che significa che non hanno accesso ai mercati. Non lo avranno più neanche dopo il prestito Ue, perché sono falliti.
Il loro governo dovrà tenere un rapporto deficit/pil di 0%. Inoltre, dovrà ristrutturare i conti, dimagrendo. Il che significa un calo della spesa pubblica enorme. La spesa pubblica, in Grecia, è una delle principali fonti di Pil. L’economia greca, quindi, sarà in pesante recessione. E le famiglie non hanno riserve per reggere questa cura.

Morale della storia: o il problema del debito dei privati viene affrontato, piaccia o meno, o il problema del debito dei privati arriverà sui denti dei privati con una forza tremenda.
La scelta è, molto semplicemente, tra una cura dolorosa e la morte per malattia. Non c’è modo di fuggire.
Il pasto gratis non esiste, neanche per chi ha una carta di credito con lo scoperto.
by Uriel

La moneta dal nulla, tra signoraggio e truffa legalizzata





Mentre attendiamo di vivere da protagonisti le sciagure di un terremoto finanziario-monetario globale, probabilmente aggiungendoci alla lista degli epicentri che anticipano il botto finale, si moltiplicano le diatribe sull’interpretazione qualitativa e quantitativa di uno degli aspetti genomici della nostra moneta, sospettato di essere concausa del cancro che la divora, il signoraggio bancario.

Perciò vorrei chiarire una volta per tutte almeno due punti cardine della questione, che non è fondata solo su fatti accertabili in modo più o meno comprovato oltre ogni ragionevole dubbio, ma ha un suo solidissimo fondamento logico di ben più elevata inconfutabilità, come il paradigma della geometria euclidea per i costruttori edili.



Primo punto la costruzione e la gestione della cartamoneta, delle banconote che tutti utilizzano e credono di conoscere. Tralascio tutte le interessanti peculiarità tecniche sull’argomento, dando invece per scontato che si sappia che esse rappresentano circa il 5% del denaro “circolante”, secondo il gergo bancario, e che vengono emesse in esclusiva dalla BCE pro-quota fissa dei suoi azionisti, le Banche centrali dei paesi fondatori dell’euro, dopo essersene trattenuto l’8% del totale.

Alla nostra Banca d’Italia compete così un volume di emissione attorno ai dieci miliardi di euri l’anno (più o meno un ottavo della torta), come comprovato dalla pubblicazione dei suoi bilanci alla voce “banconote in circolazione” nello Stato Patrimoniale, che di anno in anno cresce appunto di tale ordine di grandezza. Ma qual è la “logica” d’emissione di queste banconote nel circuito economico? Non c’è discussione alcuna sul fatto che non siano più “note di banco”, ricevute di un pari controvalore depositato in custodia presso l’emittente, quindi nascono semplicemente come carta stampata, che nonostante un pregio tecnologico congruo all’uso successivo ha un costo di produzione di pochi centesimi, irrisorio rispetto al valore che rappresenta, stampato in bella evidenza per facilitare l’utente, dai 5 ai 500 euri a seconda dei tagli.

Il termine “emissione” della banconota si riferisce al varo di questo esile ma robusto vascello, destinato a “circolare” senza limiti di tempo e spazio, senza scadenza, nel mare magnum dell’economia fisica, quella vera delle persone che producono e consumano ricchezze. Si sa che passando di mano in mano, non sempre mani attente alla sua miglior conservazione, si usurano fino a diventare indegne del loro nobile compito. In tal caso tramite circuito bancario rientrano alla BC che provvede alla loro sostituzione gratuita con pezzi equivalenti freschi di stampa, che ovviamente non entrano nel conteggio di quella decina di miliardi di nuova emissione.

Questo non per tediare il lettore con dettagli tecnici superflui, ma per sottolineare l’eternità giuridica del valore facciale della banconota, che è il punto cruciale dell’ipotesi di signoraggio integrale, ovvero di lucro dell’emittente pari all’importo stampato sulla banconota emessa. Di fatto l’emissione si configura come acquisto di merce tramite denaro in forma di banconota, il primo di una catena potenzialmente infinita di acquisti successivi di altrettanti possessori temporanei di tale oggetto mistico, la banconota. La merce acquistata dall’emittente è un titolo di debito pubblico, garantito dallo Stato, con tanto di scadenza e interessi.

La liquidità sul mercato di tali titoli li rende equivalenti al denaro, tant’è che vengono conteggiati nella grande massa del “circolante” in senso esteso, all’estremo opposto della gamma rispetto alla banconota, la più “liquida” di tutti, in una scala di liquidità che va da M0 a M3, sempre nel gergo dei banchieri (tutto da ridiscutere, ma questa è un’altra storia). Quindi l’emissione della banconota da parte del suo creatore si configura come acquisto di denaro tramite denaro, ovvero un riciclo di denaro di un tipo, esente da interesse, in denaro di un altro tipo, gravato d’interesse a carico del contribuente. Ma il grosso di questo signoraggio immediato non è l’interesse, come vorrebbero far credere i banchieri che pure lo ammettono, ma l’appropriazione di ricchezza pari al valore facciale, come affermano i cosiddetti “signoraggisti”, così chiamati in senso dispregiativo dai “negazionisti”.

Che l’appropriazione indebita coincida con l’emissione è un fatto evidente di per sé, non può essere diversamente per quanti tecnicismi si vogliano frapporre per giustificarne il contrario. Uno però vale la pena ricordarlo, per la ricorrenza e l’ambiguità con le quali viene brandito dai negazionisti: l’emittente non scambia definitivamente la sua cartamoneta fresca di stampa con titoli di Stato, ma semplicemente la presta, come fosse un automobile che la Hertz consegna ai suoi clienti. La Hertz però non ha un parco di autovetture che cresce di numero perpetuamente di dieci miliardi l’anno.

Se poi pensiamo ai biglietti verdi stampati dalla FED negli ultimi 50 anni, all’interno di un analogo paradigma fondativo, si capisce tutta la monumentale bugia che sta dietro questa teoria del prestito. Un prestito non è “per sempre”, altrimenti si chiama regalo, a fondo perduto. Che è esattamente ciò che fa l’utente della banconota, rappresentato dallo Stato, nel momento in cui avviene l’emissione. La legge stessa lo comprova, la banconota non è più “esigibile”, guai a chi volesse riconsegnarla alla BC pretendendo pari controvalore di altra natura in cambio.

Ora il problema non è tanto negare il “fatto”, quanto giudicare se sia doloso, se il lucro gratuito dell’emittente sia o no devoluto alla comunità degli utenti, ad esempio allo Stato. La BC conserva a titolo di garanzia del sistema euro un pari controvalore di tutto il circolante in banconote accumulato negli anni? Certamente NO!

La BC versa allo Stato un pari controvalore delle banconote emesse? Certamente NO!

La BC siamo noi, cioè la BC rappresenta un alter ego dello Stato? NI.

Perfino in Italia, dove l’azionariato di Banca d’Italia è al 95% costituito da banche e assicurazioni private, controllori e controllate al contempo, la giurisprudenza definisce la BC come Istituto di Diritto Pubblico.

Però i conti del Tesoro sono ben separati da quelli delle BC e del sistema bancario che esse esprimono, anche negli altri paesi dell’euro. E mentre il debito pubblico ingigantisce, il credito privato dei grandi proprietari fa altrettanto e ancor di più, per cifre ovviamente ben superiori alle banconote emesse, ma ci deve comunque essere una qualche relazione. Anche se il debito pubblico complessivo è molto superiore, è fuor di dubbio che ad ogni banconota in circolazione, priva d’interesse, corrisponde pari frazione di debito pubblico gravato d’interesse. E non si capisce proprio perché le banconote necessarie alla vita economica di tutti, forzosamente imposte dallo Stato come mezzo di pagamento, anziché essere nostre ce le dobbiamo far prestare da estranei, in base a trattati distrattamente ratificati dai parlamenti nazionali nonostante il parere contrario della popolazione, come dimostrano le pochissime volte che la materia è stata indirettamente oggetto di referendum (mai in Italia).

Ma tant’è, questo paradosso del prestito delle banconote fa parte del sistema, così oltre al danno ci procura anche la beffa dei negazionisti del signoraggio, convinti nonostante l’evidenza dei numeri a bilancio che le banconote “prestate” tornino quasi tutte da mamma BC.



E’ a dir poco avvilente che in questi drammatici frangenti, nell’attesa che ineluttabilmente il sistema monetario collassi dopo aver distrutto lo stesso tessuto economico lungamente parassitato, l’intelligenza individuale non riesca a livello di massa ad emanciparsi dalla fumosa confusione che avvolge i paradossi fondativi della moneta che ci portiamo in tasca, neppure nei casi più semplici, basilari. Non per niente i banchieri e i loro amici economisti descrivono M0 come “base monetaria”.



Secondo punto la costruzione e la gestione del credito, ovvero il grosso della moneta in circolazione, sotto forma di annotazioni contabili.

Il Presidente di Banca Popolare di Milano ha pubblicamente spiegato perché hanno sottoscritto un prestito di Stato in forma di Tremonti-bond, che le grandi banche rifiutarono, visto il tasso d’interesse elevato (circa 8%). Motivo semplicissimo, con quei soldi ottenuti dallo Stato la banca erogava mutui per 15 volte tanto alla propria clientela, in un momento di scarsità del credito ai “piccoli”, così il costo di quel denaro è come se fosse stato 8/15 di punti percentuali, praticamente mezzo punto, nulla in confronto agli interessi attivi praticati alla clientela. Questa verità sbandierata pubblicamente su una TV in chiaro, è la conseguenza degli accordi vigenti di Basilea 2, che fissano la riserva frazionaria obbligatoria tra il 2% e il 12% del prestito erogato.

Tramite riflusso bancario ed altri tecnicismi, questo implica la possibilità di erogare prestiti per 50 o 8 volte la liquidità (di altri clienti) posseduta (custodita) in quel momento. E’ un fatto sconvolgente, prestare a usura (pardon, a interesse) denaro inventato dal nulla, creato a costo zero solo perché un cliente ne ha assoluto bisogno. E questa dell’esempio è indubbiamente una delle banche più oneste e virtuose del sistema. In un paio di decenni tutte le onestissime banche commerciali (onestissime in confronto alle banche d’affari) si fanno gratis un capitale pari a tutti i loro mutui in essere, solo con gli interessi. Si capisce bene che se poi falliscono per inadempienza, detta volgarmente bancarotta, chissenefrega! Il malloppo è già al sicuro da un pezzo, nei paradisi della finanza globale. Rotta una banca privata se ne fa un’altra, e i cocci sono dello Stato.



La riserva frazionaria è un vecchio trucco già praticato all’epoca del gold standard, quando ancora si fingeva di credere alla convertibilità in oro della banconota. In quest’epoca di moneta definitivamente ed esclusivamente virtuale, fondata esclusivamente sul patto sociale, la riserva frazionaria implica necessariamente l’organizzazione sistemica in banche centrali, controllori e garanti della truffa con la complicità degli Stati ex-sovrani in tema di politica monetaria, ma ben responsabili come prestatori di ultima istanza sulle spalle del contribuente attuale e futuro. E’ un crimine sistemico, che sta per presentarci il conto finale, salatissimo. Cosa aspettiamo a scendere in piazza coi forconi per dire basta all’imbroglio?

Per il terzo livello della grande truffa, quella finanziaria ben esemplificata da Goldman Sachs, ci vuole un trattato di criminologia a parte, e non basta, manca ancora tutto il lato oscuro della politica.
di Alberto Conti