20 maggio 2010

Quando la burocrazia si mangia la politica



Un’altro presunto scandalo ha scosso i palazzi della politica romana. Alla provincia di Roma una ventina di consiglieri provinciali sarebbero sotto inchiesta per un affare di rimborsi gonfiati. Poiché presso l’ente provincia non è prevista l’indennità di carica (che esiste invece per i parlamentari e i consiglieri regionali), si è pensato a una forma di rimborso per la mancata attività (i cosiddetti giustificativi). Ovvero, chi fa il consigliere provinciale riceve un rimborso pari al reddito percepito nella attività lavorativa, diciamo così, “da borghese”. Se nella vita lavorativa guadagna mille euro al mese, gliene rimborsano mille, se ne guadagna seimila gliene rimborsano seimila. La magistratura romana sta accertando i presunti illeciti nelle dichiarazioni dei consiglieri provinciali. Si tratterebbe di assunzioni fittizie, di cifre gonfiate, richieste alla provincia da parte di alcuni consiglieri. Gli interessati comunque smentiscono, dichiarandosi innocenti.
Il fatto potrebbe scandalizzare l’opinione pubblica. Anche se resta lecito chiedersi per quale motivo un signore che fa politica dovrebbe lasciare il proprio lavoro, diventare consigliere provinciale (attività che, se fatta bene, presume un certo impegno) e qui lavorare gratis, se gratis non muove la coda nemmeno il cane. Se il sistema dei rimborsi non va bene, ne andrebbe previsto uno alla luce del giorno, rapportato al lavoro effettivamente svolto e uguale per tutti, proprio come per i parlamentari e i consiglieri regionali. Si può ragionare sulle cifre, che qualcuno giudica eccessive, ma qualcosa bisogna pur dare a chi si impegna al servizio del bene pubblico, altrimenti si alimentano il qualunquismo nell’opinione pubblica e la corruzione degli eletti ovvero la loro sottoposizione alle varie (io ti faccio eleggere e tu in cambio sostieni i miei interessi).
Sul sito della provincia di Roma è possibile comunque leggere l’anagrafe patrimoniale dei consiglieri: si va da un minimo di 16 mila a un massimo di 114 mila euro l’anno di costo complessivo, per un totale di meno di due milioni di euro per il 2009. I consiglieri provinciali sono attualmente 45, con la legge Calderoli dovrebbero diminuire del 20 per cento, già alle prossime elezioni. Sul medesimo sito è possibile leggere il costo di ciascuno dei 73 dirigenti dell’ente. Si va da un minimo di 94 mila sino ad un massimo di 193 mila euro lordi annui da loro percepiti. La struttura burocratica è divisa in quattordici dipartimenti, a loro volta organizzati in 40 servizi, divisi tra le varie competenze (servizi sociali, scuola, governo del territorio, ecc., ecc., ecc.), in tre uffici extradipartimentali (polizia provinciale, protezione civile, avvocatura provinciale) e diversi altri uffici. Ci sono inoltre 17 società partecipate, a vario titolo, dalla provincia. La provincia di Roma ha un bilancio che vede entrate complessive di 678 milioni di euro (2009). La spesa corrente è di circa 480 milioni. La spesa corrente “disponibile” (che serve per pagare gli interessi sull’indebitamento, i costi per la provincia capitale e sopratutto i costi per il personale) ammonta a 204 milioni. Quindi, ricapitolando, 2 milioni costano i consiglieri e oltre 200 milioni costa la macchina burocratica. Il rapporto è di uno a cento. Così per la spesa per gli investimenti (scuole, viabilità, mobilità, sport, restauri, patrimonio, tutela ambientale e altro) rimangono, alla fine, poco più di 148 milioni.
In questo modo scopriamo che la provincia è sopratutto una macchina che funziona per alimentare se stessa e la propria burocrazia. Da un presunto scandalo per rimborsi fittizi (dove è giusto che la magistratura faccia tutta la luce e colpisca esemplarmente eventuali illeciti) si passa così a numeri che la dicono lunga sul livello e sui limiti della spesa della provincia di Roma. La colpa non è certo di Nicola Zingaretti (l’attuale presidente, che anzi ha registrato nel 2009 un avanzo di gestione di 72 milioni, ridotto i costi degli interessi passivi dell’8 per cento e del personale per un milione), né dei dirigenti o dipendenti attuali che hanno vinto un regolare concorso, ma di un sistema che per anni ha alimentato la grande costosissima macchina della burocrazia che finisce per limitare, a causa del suo costo, anche tutte le scelte che la politica dovrebbe fare.

di L.Q. Cincinnato

19 maggio 2010

In Europa al tempo della crisi














Vorrei tornare brevemente sull’analisi proposta dal Leap circa la quale mi sono già espresso con un epigrafico commento domenica scorsa. Ovviamente rincalzo quanto sostenuto in quella sede laddove esistono molteplici segnali, anche economici, che danno torto ai ricercatori francesi, quanto meno troppo arditi nel parlare di una sorta di “colpo di stato” messo in atto a Bruxelles e finalizzato alla fortificazione degli interessi geoeconomici dei 26 Stati membri verso mercati impazziti che portano ancora impresso a fuoco il marchio della bestia dominante “angloamericana”.
Se quest’ultimo aspetto appare incontrovertibile (e siamo stati tra i primi a far presente che non esiste una neutralità degli stessi ma che al contrario le regole del libero scambio sembrano agire apposta per far crescere la preminenza Usa) non lo è altrettanto il dato delle conseguenze politiche che scaturiranno da siffatte scelte. Sarebbe davvero troppo bello poter far discendere da azioni di protezione finanziaria, nondimeno molto dubbie, il disaccoppiamento che ci permetterà di sbarazzarci dell’influenza dei vecchi padroni.
Che dalle spesse catene con le quali gli statunitensi hanno avvolto l’Europa, da più di un cinquantennio, ci si possa divincolare attuando una riforma economica - la quale, peraltro, ha oggi i contorni di una mera presa di tempo di fronte ad un terremoto sistemico non compreso a fondo nelle sue causae causantes - deve apparire una bizzarria soprattutto a chi ha un quadro più o meno preciso della presenza delle basi americane in tutto il continente, nonché un'idea del condizionamento politico esercitato da Washington sui singoli governi europei.
La conformazione unipolare del mondo uscito dalla guerra fredda, ribattezzato dagli intellettuali Usa, et pour cause, il New American Century, è durata relativamente poco ed oggi non regge più in faccia alla Storia. Tuttavia, in questo processo di riconfigurazione geopolitica mondiale l’Europa non è ben collocata ed, anzi, sembra l’unica area geografica e politica ancora incapace di schierarsi e di imboccare una propria via atta a recuperare un peso internazionale adeguato alle sue potenzialità.
Ritenere che si possa agganciare il treno dell’epoca storica basandosi su scelte di bilancio e finanziarie lascia quanto meno interdetti. Vorrei anche rammentare che fino a qualche giorno fa, uno dei più importanti banchieri centrali americani, Paul Volcker, riferendosi alla crisi greca e all’indisponibilità della Germania ad attuare un piano di soccorso, più solidaristico di quanto sia stato fatto, parlava di inevitabile disintegrazione dell’euro. Lo seguiva il Presidente francese Sarkozy, il quale, di fronte ai tentennamenti tedeschi, minacciava di abbandonare la moneta unica prima della sua disintegrazione per assenza di decisioni coraggiose. Inoltre, le borse, dopo aver accolto positivamente la notizia del piano da 750 mld di euro, sono tornate a traballare pericolosamente facendo registrare indici negativi sulle principali piazze europee, spandendo dubbi sull’efficacia stessa degli interventi programmati. Pare, infatti, che i 750 mld stanziati da BCE e FMI siano virtuali e non reali come quelli versati da Paulson alle banche americane in fallimento nel 2008. Chissà dove hanno rintracciato i ricercatori del Leap questa “ricostituzione di nuovi equilibri globali” favorevoli ad Eurolandia.
Ma più di tutto deve farci riflettere il ruolo giocato da Obama in questa vicenda. Il presidente Usa ha continuamente interferito sulle azioni dell’eurogruppo, come riporta Federico Rampini su Repubblica del 15 maggio. Telefonate alla Merkel, a Zapatero, e poi pressioni sulla Grecia e su altri esecutivi continentali per reclamare piani di austerità che non applica in casa sua. Il risanamento dei conti sta diventando il feticcio che ci costringerà a pagare i guasti e il servilismo dei nostri governanti. Che qualche spesa sia da calmierare non lo mette in dubbio nessuno, tuttavia bisogna avere il coraggio di allargare i cordoni della borsa per stimolare la crescita nei settori di punta e in quelli in grado di aggredire i mercati esteri, dove sono proprio gli americani ad eccellere Qualsiasi piano d’azione in questo senso giustificherà i sacrifici che ci verranno chiesti, altrimenti si tratterà della solita tosatura contro i popoli europei a vantaggio di un ordine internazionale dannoso per i loro interessi e per la loro libertà.
di Gianni Petrosillo

18 maggio 2010

Solo palliativi contro la speculazione


L’Unione europea continua ad agire come soggetto passivo per contrastare gli effetti della speculazione proveniente dal mondo finanziario statunitense e britannico e che come obiettivo primario, nemmeno troppo nascosto, ha l’euro e il suo ruolo di moneta di scambio nelle transazioni internazionali. Le misure triennali di aiuto alla Grecia per 120 miliardi di euro concordate con il Fondo monetario internazionale e la creazione di un fondo di 750 miliardi di euro per sostenere l’euro, non sono altro che dei palliativi che non vanno al cuore del problema.
Non ha senso infatti prestare soldi alla Grecia, quindi indebitarla ulteriormente, per permetterle di pagare altri debiti. Come non ha senso l’impegno preso dalla Banca centrale europea e delle altre banche centrali dei Paesi europei di comprare i titoli degli altri Paesi in difficoltà a causa delle manovre degli speculatori che cercano di fare calare il prezzo di mercato dei Bot e allo stesso tempo far schizzare alle stelle i rendimenti. Questo tipo di interventi non fanno altro che arricchire gli speculatori che potranno così contare su qualcuno che gli compra in tempo reale i Bot che stanno vendendo.
A nessuno dei tecnocrati che siedono alla Commissione di Bruxelles o alla Bce come Jean Claude Trichet (nella foto), né tanto meno ai capi di governo della UE, viene in mente che la soluzione molto più ovvia è semplicemente quella di eliminare la speculazione in base al principio che non si può andare sul mercato con operazioni di compravendita di titoli se non si possiedono i soldi necessari. Oggi dobbiamo invece assistere impotenti all’azione di speculatori come Soros e Paulson che, utilizzando appena 1 dollaro sono in grado di mobilitarne 100 puntando sulla variazione del valore di un titolo nel brevissimo periodo, un giorno o addirittura meno. Lo stesso può avvenire per il valore di un prodotto come il petrolio per il quale l’attività di compravendita dei futures, soltanto una volta su dieci, a dire tanto, comporta il trasferimento reale del bene nelle mani di chi compra.
Ma eliminare la speculazione non è facile sia perché essa ha la sua principale base operativa negli Stati Uniti dove è Wall Street a dettare la danza, sia perché il primo protettore degli speculatori è lo stesso Barack Obama che da criminali come Soros e Paulson o da banche come la Goldman Sachs, che ha truffato i propri clienti, ha ricevuto sostanziosi finanziamenti per la campagna elettorale delle presidenziali e che di conseguenza ha deciso di trasformarsi nel loro maggiordomo. E’ quindi del tutto illusorio aspettarsi che l’Unione europea si muova e faccia pressioni su Obama per una normativa che blocchi l’attività degli speculatori. La speculazione è infatti parte integrante del sistema economico e finanziario basato sull’idea di una crescita infinita. E’ una manifestazione di quel Libero Mercato che nessun presidente ha intenzione di toccare anche se comporta una razzia dei beni dei cittadini da parte dei gangster di Wall Street e dei loro degni colleghi della City londinese. Oltretutto, i predecessori di Obama che avevano provato a mettere paletti al mondo della finanza (come Lincoln, Garfield, McKinley e Kennedy) sono stati velocemente uccisi e sostituiti. Non ci sarà quindi nessun accordo tra Europa, Gran Bretagna e Usa per bloccare gli speculatori. Ci saranno soltanto ad ottobre alcune misure dettate dalla Commissione europea per regolamentare le vendite allo scoperto e i cosiddetti “credit default swaps”. Regole sulle quali sta lavorando un apposito gruppo di studio. Il commissario europeo al mercato interno Michel Barnier ha ammesso la sua impotenza: “Prima devo capire come funzionano esattamente (sic) e poi interverremo. Il nostro obiettivo è quello di avere una registrazione obbligatoria e una trasparenza totale”. Soluzione che arriverà un po’ in ritardo visto che la maggioranza delle operazioni avvengono per via telematica e con meccanismi di vendita e di acquisto che si attivano in maniera automatica.
di Filippo Ghira

20 maggio 2010

Quando la burocrazia si mangia la politica



Un’altro presunto scandalo ha scosso i palazzi della politica romana. Alla provincia di Roma una ventina di consiglieri provinciali sarebbero sotto inchiesta per un affare di rimborsi gonfiati. Poiché presso l’ente provincia non è prevista l’indennità di carica (che esiste invece per i parlamentari e i consiglieri regionali), si è pensato a una forma di rimborso per la mancata attività (i cosiddetti giustificativi). Ovvero, chi fa il consigliere provinciale riceve un rimborso pari al reddito percepito nella attività lavorativa, diciamo così, “da borghese”. Se nella vita lavorativa guadagna mille euro al mese, gliene rimborsano mille, se ne guadagna seimila gliene rimborsano seimila. La magistratura romana sta accertando i presunti illeciti nelle dichiarazioni dei consiglieri provinciali. Si tratterebbe di assunzioni fittizie, di cifre gonfiate, richieste alla provincia da parte di alcuni consiglieri. Gli interessati comunque smentiscono, dichiarandosi innocenti.
Il fatto potrebbe scandalizzare l’opinione pubblica. Anche se resta lecito chiedersi per quale motivo un signore che fa politica dovrebbe lasciare il proprio lavoro, diventare consigliere provinciale (attività che, se fatta bene, presume un certo impegno) e qui lavorare gratis, se gratis non muove la coda nemmeno il cane. Se il sistema dei rimborsi non va bene, ne andrebbe previsto uno alla luce del giorno, rapportato al lavoro effettivamente svolto e uguale per tutti, proprio come per i parlamentari e i consiglieri regionali. Si può ragionare sulle cifre, che qualcuno giudica eccessive, ma qualcosa bisogna pur dare a chi si impegna al servizio del bene pubblico, altrimenti si alimentano il qualunquismo nell’opinione pubblica e la corruzione degli eletti ovvero la loro sottoposizione alle varie (io ti faccio eleggere e tu in cambio sostieni i miei interessi).
Sul sito della provincia di Roma è possibile comunque leggere l’anagrafe patrimoniale dei consiglieri: si va da un minimo di 16 mila a un massimo di 114 mila euro l’anno di costo complessivo, per un totale di meno di due milioni di euro per il 2009. I consiglieri provinciali sono attualmente 45, con la legge Calderoli dovrebbero diminuire del 20 per cento, già alle prossime elezioni. Sul medesimo sito è possibile leggere il costo di ciascuno dei 73 dirigenti dell’ente. Si va da un minimo di 94 mila sino ad un massimo di 193 mila euro lordi annui da loro percepiti. La struttura burocratica è divisa in quattordici dipartimenti, a loro volta organizzati in 40 servizi, divisi tra le varie competenze (servizi sociali, scuola, governo del territorio, ecc., ecc., ecc.), in tre uffici extradipartimentali (polizia provinciale, protezione civile, avvocatura provinciale) e diversi altri uffici. Ci sono inoltre 17 società partecipate, a vario titolo, dalla provincia. La provincia di Roma ha un bilancio che vede entrate complessive di 678 milioni di euro (2009). La spesa corrente è di circa 480 milioni. La spesa corrente “disponibile” (che serve per pagare gli interessi sull’indebitamento, i costi per la provincia capitale e sopratutto i costi per il personale) ammonta a 204 milioni. Quindi, ricapitolando, 2 milioni costano i consiglieri e oltre 200 milioni costa la macchina burocratica. Il rapporto è di uno a cento. Così per la spesa per gli investimenti (scuole, viabilità, mobilità, sport, restauri, patrimonio, tutela ambientale e altro) rimangono, alla fine, poco più di 148 milioni.
In questo modo scopriamo che la provincia è sopratutto una macchina che funziona per alimentare se stessa e la propria burocrazia. Da un presunto scandalo per rimborsi fittizi (dove è giusto che la magistratura faccia tutta la luce e colpisca esemplarmente eventuali illeciti) si passa così a numeri che la dicono lunga sul livello e sui limiti della spesa della provincia di Roma. La colpa non è certo di Nicola Zingaretti (l’attuale presidente, che anzi ha registrato nel 2009 un avanzo di gestione di 72 milioni, ridotto i costi degli interessi passivi dell’8 per cento e del personale per un milione), né dei dirigenti o dipendenti attuali che hanno vinto un regolare concorso, ma di un sistema che per anni ha alimentato la grande costosissima macchina della burocrazia che finisce per limitare, a causa del suo costo, anche tutte le scelte che la politica dovrebbe fare.

di L.Q. Cincinnato

19 maggio 2010

In Europa al tempo della crisi














Vorrei tornare brevemente sull’analisi proposta dal Leap circa la quale mi sono già espresso con un epigrafico commento domenica scorsa. Ovviamente rincalzo quanto sostenuto in quella sede laddove esistono molteplici segnali, anche economici, che danno torto ai ricercatori francesi, quanto meno troppo arditi nel parlare di una sorta di “colpo di stato” messo in atto a Bruxelles e finalizzato alla fortificazione degli interessi geoeconomici dei 26 Stati membri verso mercati impazziti che portano ancora impresso a fuoco il marchio della bestia dominante “angloamericana”.
Se quest’ultimo aspetto appare incontrovertibile (e siamo stati tra i primi a far presente che non esiste una neutralità degli stessi ma che al contrario le regole del libero scambio sembrano agire apposta per far crescere la preminenza Usa) non lo è altrettanto il dato delle conseguenze politiche che scaturiranno da siffatte scelte. Sarebbe davvero troppo bello poter far discendere da azioni di protezione finanziaria, nondimeno molto dubbie, il disaccoppiamento che ci permetterà di sbarazzarci dell’influenza dei vecchi padroni.
Che dalle spesse catene con le quali gli statunitensi hanno avvolto l’Europa, da più di un cinquantennio, ci si possa divincolare attuando una riforma economica - la quale, peraltro, ha oggi i contorni di una mera presa di tempo di fronte ad un terremoto sistemico non compreso a fondo nelle sue causae causantes - deve apparire una bizzarria soprattutto a chi ha un quadro più o meno preciso della presenza delle basi americane in tutto il continente, nonché un'idea del condizionamento politico esercitato da Washington sui singoli governi europei.
La conformazione unipolare del mondo uscito dalla guerra fredda, ribattezzato dagli intellettuali Usa, et pour cause, il New American Century, è durata relativamente poco ed oggi non regge più in faccia alla Storia. Tuttavia, in questo processo di riconfigurazione geopolitica mondiale l’Europa non è ben collocata ed, anzi, sembra l’unica area geografica e politica ancora incapace di schierarsi e di imboccare una propria via atta a recuperare un peso internazionale adeguato alle sue potenzialità.
Ritenere che si possa agganciare il treno dell’epoca storica basandosi su scelte di bilancio e finanziarie lascia quanto meno interdetti. Vorrei anche rammentare che fino a qualche giorno fa, uno dei più importanti banchieri centrali americani, Paul Volcker, riferendosi alla crisi greca e all’indisponibilità della Germania ad attuare un piano di soccorso, più solidaristico di quanto sia stato fatto, parlava di inevitabile disintegrazione dell’euro. Lo seguiva il Presidente francese Sarkozy, il quale, di fronte ai tentennamenti tedeschi, minacciava di abbandonare la moneta unica prima della sua disintegrazione per assenza di decisioni coraggiose. Inoltre, le borse, dopo aver accolto positivamente la notizia del piano da 750 mld di euro, sono tornate a traballare pericolosamente facendo registrare indici negativi sulle principali piazze europee, spandendo dubbi sull’efficacia stessa degli interventi programmati. Pare, infatti, che i 750 mld stanziati da BCE e FMI siano virtuali e non reali come quelli versati da Paulson alle banche americane in fallimento nel 2008. Chissà dove hanno rintracciato i ricercatori del Leap questa “ricostituzione di nuovi equilibri globali” favorevoli ad Eurolandia.
Ma più di tutto deve farci riflettere il ruolo giocato da Obama in questa vicenda. Il presidente Usa ha continuamente interferito sulle azioni dell’eurogruppo, come riporta Federico Rampini su Repubblica del 15 maggio. Telefonate alla Merkel, a Zapatero, e poi pressioni sulla Grecia e su altri esecutivi continentali per reclamare piani di austerità che non applica in casa sua. Il risanamento dei conti sta diventando il feticcio che ci costringerà a pagare i guasti e il servilismo dei nostri governanti. Che qualche spesa sia da calmierare non lo mette in dubbio nessuno, tuttavia bisogna avere il coraggio di allargare i cordoni della borsa per stimolare la crescita nei settori di punta e in quelli in grado di aggredire i mercati esteri, dove sono proprio gli americani ad eccellere Qualsiasi piano d’azione in questo senso giustificherà i sacrifici che ci verranno chiesti, altrimenti si tratterà della solita tosatura contro i popoli europei a vantaggio di un ordine internazionale dannoso per i loro interessi e per la loro libertà.
di Gianni Petrosillo

18 maggio 2010

Solo palliativi contro la speculazione


L’Unione europea continua ad agire come soggetto passivo per contrastare gli effetti della speculazione proveniente dal mondo finanziario statunitense e britannico e che come obiettivo primario, nemmeno troppo nascosto, ha l’euro e il suo ruolo di moneta di scambio nelle transazioni internazionali. Le misure triennali di aiuto alla Grecia per 120 miliardi di euro concordate con il Fondo monetario internazionale e la creazione di un fondo di 750 miliardi di euro per sostenere l’euro, non sono altro che dei palliativi che non vanno al cuore del problema.
Non ha senso infatti prestare soldi alla Grecia, quindi indebitarla ulteriormente, per permetterle di pagare altri debiti. Come non ha senso l’impegno preso dalla Banca centrale europea e delle altre banche centrali dei Paesi europei di comprare i titoli degli altri Paesi in difficoltà a causa delle manovre degli speculatori che cercano di fare calare il prezzo di mercato dei Bot e allo stesso tempo far schizzare alle stelle i rendimenti. Questo tipo di interventi non fanno altro che arricchire gli speculatori che potranno così contare su qualcuno che gli compra in tempo reale i Bot che stanno vendendo.
A nessuno dei tecnocrati che siedono alla Commissione di Bruxelles o alla Bce come Jean Claude Trichet (nella foto), né tanto meno ai capi di governo della UE, viene in mente che la soluzione molto più ovvia è semplicemente quella di eliminare la speculazione in base al principio che non si può andare sul mercato con operazioni di compravendita di titoli se non si possiedono i soldi necessari. Oggi dobbiamo invece assistere impotenti all’azione di speculatori come Soros e Paulson che, utilizzando appena 1 dollaro sono in grado di mobilitarne 100 puntando sulla variazione del valore di un titolo nel brevissimo periodo, un giorno o addirittura meno. Lo stesso può avvenire per il valore di un prodotto come il petrolio per il quale l’attività di compravendita dei futures, soltanto una volta su dieci, a dire tanto, comporta il trasferimento reale del bene nelle mani di chi compra.
Ma eliminare la speculazione non è facile sia perché essa ha la sua principale base operativa negli Stati Uniti dove è Wall Street a dettare la danza, sia perché il primo protettore degli speculatori è lo stesso Barack Obama che da criminali come Soros e Paulson o da banche come la Goldman Sachs, che ha truffato i propri clienti, ha ricevuto sostanziosi finanziamenti per la campagna elettorale delle presidenziali e che di conseguenza ha deciso di trasformarsi nel loro maggiordomo. E’ quindi del tutto illusorio aspettarsi che l’Unione europea si muova e faccia pressioni su Obama per una normativa che blocchi l’attività degli speculatori. La speculazione è infatti parte integrante del sistema economico e finanziario basato sull’idea di una crescita infinita. E’ una manifestazione di quel Libero Mercato che nessun presidente ha intenzione di toccare anche se comporta una razzia dei beni dei cittadini da parte dei gangster di Wall Street e dei loro degni colleghi della City londinese. Oltretutto, i predecessori di Obama che avevano provato a mettere paletti al mondo della finanza (come Lincoln, Garfield, McKinley e Kennedy) sono stati velocemente uccisi e sostituiti. Non ci sarà quindi nessun accordo tra Europa, Gran Bretagna e Usa per bloccare gli speculatori. Ci saranno soltanto ad ottobre alcune misure dettate dalla Commissione europea per regolamentare le vendite allo scoperto e i cosiddetti “credit default swaps”. Regole sulle quali sta lavorando un apposito gruppo di studio. Il commissario europeo al mercato interno Michel Barnier ha ammesso la sua impotenza: “Prima devo capire come funzionano esattamente (sic) e poi interverremo. Il nostro obiettivo è quello di avere una registrazione obbligatoria e una trasparenza totale”. Soluzione che arriverà un po’ in ritardo visto che la maggioranza delle operazioni avvengono per via telematica e con meccanismi di vendita e di acquisto che si attivano in maniera automatica.
di Filippo Ghira