14 giugno 2010

Berlino verso la stangata sui ricchi. L'Italia non la prevede

Siamo anche uno dei pochissimi Paesi a non colpire le rendite di tipo finanziario


L´euroausterity non è fatta solo di tagli alla spesa pubblica e sacrifici per gli statali, ma arriva anche l´aumento delle tasse. Per ora solo l´Italia sembra smarcarsi dalla nuova tendenza continentale, che attraversa trasversalmente destra e sinistra, e che per recuperare risorse e per dare il senso dell´equità alle manovre di bilancio, non esita a ritoccare le aliquote per i redditi alti, ad elevare il prelievo su rendite finanziarie, stock option e superstipendi. A rompere il tabu anche il governo di centrodestra tedesco di Angela Merkel: proprio ieri il ministro delle Finanze Schaeuble non ha escluso un aumento dell´aliquota Irpef più alta oggi ferma al 42%. Gordon Brown, prima di cedere il passo al conservatore Cameron, nei mesi scorsi aveva già provveduto ad introdurre una nuova aliquota massima del 50% oltre le 150 mila sterline di reddito e il nuovo governo non sembra intenzionato a fare retromarcia. I due leader socialisti di Spagna e Portogallo, Zapatero e Socrates, hanno già applicato o stanno per varare nuove aliquote sui redditi alti. Sarkozy, in Francia, ha dovuto annunciare un prelievo straordinario sui più ricchi. Solo in Italia l´aliquota sopra i 75 mila euro resta inchiodata al 43%.
In un periodo in cui la finanza è nel mirino per il ruolo avuto nella recente crisi internazionale, le grandi banche e i manager dagli stipendi d´oro non potevano rimanere fuori. La Francia e il Regno Unito hanno annunciato tasse straordinarie sulle banche, il Portogallo ha già varato un´imposta del 2,5% sugli utili degli istituti di credito. La Germania ha tassato le società energetiche: anche in questo caso il nostro paese, spiegando che il nostro sistema bancario non ha avuto bisogno di aiuti durante il crac del 2007-2009, ha evitato nuove addizionali sul credito.
Quanto alle remunerazioni speciali di banchieri e uomini della finanza, l´Italia - come dimostra un rapporto dello Studio Maisto di Milano - ha agito: nella manovra è stata introdotta una addizionale del 10% su bonus e stock options che superino di tre volte lo stipendio base ma che molti giudicano un´arma destinata a colpire solo una manciata di manager. Più dura la mano della Francia (che ha varato un´imposta straordinaria del 50% per i bonus oltre il tetto di 27.500 euro), del Regno Unito (che ha deciso un tassa del 50% oltre 25 mila sterline per i dirigenti di banche) e della Germania (che ha imposto un tetto ai compensi manager di banche salvate dallo Stato).
Mentre in Italia ancora si discute se uniformare al 20% le tasse su titoli di Stato e rendite finanziarie, in Europa i governi sull´onda della crisi si sono già mossi: in Spagna è stato varato un aumento dell´aliquota sui redditi da capitale dal 18 al 19-21%. In Portogallo è stata introdotta una tassa del 20% sulle plusvalenze azionarie, e una stretta è in atto in Inghilterra. Mentre in Francia si è preferito adottare una ritenuta alla fonte del 50% per chi si stabilisce nei paradisi fiscali.
Infine i redditi dei pubblici funzionari. In Italia i funzionari dello Stato sono stati sottoposti ad un prelievo del 5-10% oltre i 90 mila euro di stipendio annui. In Spagna, in Portogallo e Francia sono state introdotte misure simili. Forse non è finita qui e i tempi della Thatcher oggi sembrano preistoria.
di Roberto Pietrini -

13 giugno 2010

L’agenda 2010 del Bilderberg



bilderbergIl Bilderberg è il club più esclusivo del mondo, a cui partecipano grandi leader politici e dell’economia americani ed europei. Quel che caratterizza questo club è l’assoluta segretezza. Esistono altri consessi di potenti, come il Forum di Davos; ma nessuno di questi agisce nel riserbo totale e a nessuno dei partecipanti è imposto di non svelare nulla degli argomenti discussi durante i lavori.

Al Bilderberg invece vige la regola del silenzio assoluto: non solo non si può riferire niente, ma non si può nemmeno ammettere di farne parte.

Da qualche anno,però, le liste dei partecipanti escono grazie a qualche talpa. Se volete sapere chi c’era al vertice che si è appena svolto in Spagna potete cliccare qui. Troverete l’élite mondiali e molti nomi italiani importanti:

- Franco Bernabé,amministratore delegato Telecom Italia, ex presidente Eni

- Fulvio Conti, numero uno dell’Enel

- John Elkann, presidente della Fiat

- Mario Monti, presidente della Bocconi ed commissario Ue

- Tommaso Padoa Schioppa, ex ministro del Tesoro

- Gianfelice Rocca, presidente di Techint

- Paolo Scaroni, Ceo dell’Eni

Secondo i cospirazionisti il Bilderberg è il vero governo del mondo, composto di due organismi, lo Steering Commitee, formato da 33 persone, e l’assemblea plenaria.

Io penso invece che il Bilderberg sia il luogo dove le élite vengono selezionate e dove vengono trasmesse idee e programmi. Questa mia impressione è rafforzata dalla citazione più importante che ho trovato in questi giorni, sul Guardian, l’unico quotidiano di rilevanza internazionale che ha tentato di seguire il vertice.Impresa difficile, perché il summit era protetto da un dispositivo di sicrezza impressionante.

Come riferisce l’inviato Charlie Skelton , l’ex segretario della Nato, Willy Claes, membro del Bilderberg negli anni Novanta, si è scoperto, forse involontariamente. Parlando a una radio belga pochi giorni fa ha dichiarato che “ogni partecipante riceve un documento e si ritiene che i membri lo usino per determinare le politiche nelle rispettive aree di influenza”.

Ovvero: il Bilderberg stabilisce un’agenda e impartisce direttive ai suoi membri. Un segretario generale della Nato mi sembra una fonte credibile e l’ammissione è inquietante. Sorgono alcuni dubbi:

Quali indicazioni contiene il report distribuito quest’anno?

I membri sono obbligati ad applicarne le direttive o si tratta soltanto di un auspicio?

E’ emersa una linea comune al vertice in Spagna?

A chi viene dato il documento oltre ai presenti?

Sono domande doverose per un giornalista, tanto più se riguardano personaggi importanti, come i numeri uno delle principali società italiane e il presidente della Banca d’Italia, Mario Draghi, da tempo membro del Bilderberg (anche se, a quanto pare, in Spagna era assente). Ma credo che nessuno risponderà e che nessuno dei giornalisti membri del club (della Washington Post, del Financial Times, dell’Economist, del New York Times), violerà le consegne.

Eppure l’opinione pubblica dovrebbe sapere. O sbaglio?

AGGIORNAMENTO In queste ore è emersa una novità importante. Il Bilderberg ha aperto un sito ufficiale. E’ minimalista, fatto in grande economia (hanno chiaramente adottato un template gratuito) e dice di fatto pochissimo. Probabilmente sono stati spaventati dal fatto che il Guardian si sia occupato per due anni di fila di loro e tentano di apparire meno chiusi e misteriosi.

Al contempo ho scoperto un altro dettaglio importante: la lista degli invitati non è esaustiva. A molti membri è consentito di non apparire in alcun modo, nemmeno nei documenti interni. Arrivano, partecipano ma della loro presenza non rimane traccia. Ad esempio, secondo fonti credibili nel 2008 sia Hillary Clinton che Barack Obama parteciparono al summit che si svolse a Chantily, in Virginia; ma negli elenchi i loro nomi non appare. Così è molto probabile che molti altri personaggi abbiano partecipato al vertice in Spagna. Secondo liste informali ci sarebbero stati anche Mario Draghi, Domenico Siniscalco e Romano Prodi o comunque sarebbero stati invitati.

di Marcello Foa -

Il vero volto della casta dei padroni




Un altro segno della crisi della sinistra è il libro di Filippo Astone "Il partito dei padroni" (Longanesi, 383 pg., 17,60 euro).
Un giornalista in forza al Mondo, il settimanale della Rcs, il giornale del salotto buono; una casa editrice che non sta nella tradizione della sinistra culturale italiana anche se oggi è un tassello di quel gruppo Mauri Spagnol che rappresenta l'outsider principale contro Mondadori e Rizzoli. Eppure il libro costituisce un'analisi impietosa, di quelle che la sinistra non riesce a fare, di quello che è oggi la classe padronale italiana, dei suoi equilibri politici interni e dei suoi comportamenti in diretta sul campo, a volte al limite del voltastomaco. Come il caso che Astone sceglie di mettere in apertura del libro per presentare "la faccia truce dei padroni" quella della Umbria Olii, distrutta da un incendio nel quale persero la vita cinque operai, bruciati vivi. Giorgio Del Papa, amministratore delegato e principale azionista dell'azienda, ha citato le famiglie degli operai morti chiedendo un risarcimento di 35 milioni di euro perché l'incendio sarebbe stato provocato dalla noncuranza di quei poveri lavoratori. Un'infamia oltre che un'ingiustizia, hanno risposto le famiglie, che si sono rivolte anche al Capo dello Stato (cosa ha risposto?) e che piene di rabbia e di dolore sono costrette a sostenere un vero e proprio processo giudiziario.

La faccia truce

Faccia truce o vero volto? A fronte di un caso come questo, il libro mette in evidenza come invece Condindustria, il partito dei padroni, cerchi invece di presentarsi con un volto moderno, riformatore, in cerca di una stabilizzazione del paese e di un clima politico meno rissoso. Il volto "cool" di Luca Cordero di Montezemolo, cresciuto in casa Fiat, uomo dalle mille poltrone e dalle ambizioni politiche soffocate a fatica, leader dell'associazione imprenditoriale e poi, dopo la successione di Emma Margegaglia, presidente di una Fondazione, Italia Futura, con la quale provare a tessere una strategia politica. Oppure il volto più ruspante e pragmatico dell'imprenditrice mantovana che a differenza dell'ex presidente Fiat, ha dislocato la Confindustria decisamente dalla parte del governo Berlusconi in cambio di favori, piccoli privilegi, vere e proprie prebende (anche per la propria famiglia, come dimostra il caso dei lavori alla Maddalena per il G8).
Se il caso della Umbria Olii è certamente il più estremo, è anche vero che dietro il volto suadente e moralizzatore, si nasconde un incessante lavorìo per ottenere risultati concreti da questo o quel governo. E dal governo Berlusconi Confindustria di risultati ne ha ottenuti non pochi come Astone scrive: la privatizzazione dei servizi pubblici locali con una possibile «grande abbuffata» da circa 100 miliardi di euro; la promessa del nucleare, con un giro di affari che supera i 30 miliardi; la riforma della scuola con gli incentivi agli istituti tecnici, il rilancio dei professionali, e un'università che viene di fatto consegnata ai privati; e poi tutti i tipi di incentivi, la detassazazione degli utili, il fondo di credito per le piccole imprese e altro ancora. Certo, ci sono le delusioni, la riduzione delle tasse che non arriva, grandi opere infrastrutturali che non decollano ma sostanzialmente il programma di governo segue pedissequamente quello di Confindustria. Perché, il punto è questo, il "partito dei padroni" si muove come un vero partito, ha una struttura di oltre 4 mila dipendenti per rappresentare 142 mila imprese, e ha un suo programma politico che resta piuttosto immutato nel tempo, presidente dopo presidente.

Il programma dei padroni

Un programma politico che si riassume in un'ideologia da «far west" in cui l'impresa deve essere liberata da "lacci e lacciuoli", libera nei suoi affari e nel suo profitto, messa al centro della vita politica e sociale. I quattro punti fondamentali di questo programma sono così definiti: «Privatizzare qualunque cosa tranne (per ora) l'aria; abbassare drasticamente le imposte e pertanto la spesa pubblica; riformare radicalmente la contrattazione e il diritto al lavoro per ottenere la massima flessibilità e minori costi; adoperarsi per attuare le riforme indispensabili a un paese moderno» cioè burocrazia più efficiente, infrastrutture, incentivi a ricerca e sviluppo. Questo programma non cambia mai e le richieste ai governi di turno sono sempre le stesse. E, se guardiamo agli ultimi venti anni, ci accorgiamo che questo programma è stato pazientemente applicato con certosina precisione (anche se questo non basta ancora al "partito dei padroni") sia dai governi Berlusconi che da quelli del centrosinistra.
Ma siccome non basta mai, la Confindustria si esercita con foga e determinazione nel "j'accuse" contro la politica, i suoi ritardi, i suoi riti, i suoi costi, additati come responsabili non secondari - i responsabili principali sono sempre i sindacati - dell'impasse italiana. Solo che quando si guarda in casa padronale ci si accorge - e questo il libro di Astone lo permette benissimo - che quei costi, quei ritardi, quelle alchimie sono esaltati all'ennesima potenza. Confindustria gestisce un bilancio complessivo - compresi i bilanci delle Unioni provinciali e regionali - di oltre 500 milioni di euro ma nessuno ne sa nulla (mentre per i bilanci dei sindacati viene chiesta, giustamente, la massima trasparenza); le sue regole interne, per l'elezione del Presidente, della Giunta, del Direttivo, delle svariate strutture che si controllano a vicenda, sono degni «del Partito comunista cinese». La lotta per il controllo delle Unioni provinciali, delle Commissioni nazionali e della Presidenza è senza esclusione di colpi. Al suo interno vivono correnti, cordate - ancora poco noto il "Salotto buono 2" che lega Cordero di Montezemolo, Della Valle, Luigi Abete, Vittorio Merloni - gli sgomitamenti delle ex aziende di Stato oggi colossi energetici come Eni e Enel. In prima fila nella lotta contro le "caste", Confindustria è un fior di casta, con i suoi mandarini e i suoi nepotismi, i costi eccessivi ma soprattutto i danni sociali che le sue scelte politiche provocano.

La casta confindustriale

Messe di fila, nel capitolo titolato "La casta di lorsignori", le principali gesta confindustriali smentiscono platealmente quell'ideologia a base di meritocrazia e modernità, di flessibilità e crescita economica che pure professano. Anzi, descrivono «una foresta pietrificata» che ha grandi responsabilità nell'edificazione del "caso italiano". Il modo con cui Tronchetti Provera ha spennato gli azionisti Pirelli e poi quelli Telecom; il modo con cui Geronzi è stato portato alla presidenza di Generali senza essersi mai occupato di Assicurazioni in vita sua; il gioco delle scatole cinesi che permette a John Elkann di decidere i destini della Fiat possedendone direttamente solo il 6%; gli stipendi e le stock options che intascano i proprietari-manager delle imprese anche quando producono perdite favolose e senza alcun principio meritocratico; il caso Alitalia, Fastweb, senza dimenticare Parmalat e Cirio. Una carrellata che permette a Astone di concludere il libro con questa considerazione: «All'inizio ci siamo chiesti se, e in quale misura, i protagonisti del capitalismo nostrano abbiano corresponsabilità nella deriva italiana. A partire da una domanda: ma Marco Tronchetti Provera, Emma Marcegaglia, Luca Cordero di Montezemolo sono poi così diversi da Antonio Bassolino, Rossa Russo Jervolino e Mara Carfagna? Alla fine del viaggio la risposta è no». Le similitudini posso essere ampliate ma la sostanza è quella: una classe dirigente dedita a bacchettare tutto e tutti, a dispensare consigli all'universo mondo, si è arricchita grazie a quello Stato che vuole abbattere e grazie a sacrifici enormi di lavoratori e lavoratrici. Eppure è ancora lì, intoccabile, impunita che si erge a grande moralizzatrice, foraggiata e sostenuta dal cuore dell'ideologia berlusconiana che vuole l'imprenditoria come modello sociale di riferimento contro la politica parassitaria. Un modello che ha plasmato la società italiana e che costituisce oggi forse il vero lascito degli ultimi venti anni

14 giugno 2010

Berlino verso la stangata sui ricchi. L'Italia non la prevede

Siamo anche uno dei pochissimi Paesi a non colpire le rendite di tipo finanziario


L´euroausterity non è fatta solo di tagli alla spesa pubblica e sacrifici per gli statali, ma arriva anche l´aumento delle tasse. Per ora solo l´Italia sembra smarcarsi dalla nuova tendenza continentale, che attraversa trasversalmente destra e sinistra, e che per recuperare risorse e per dare il senso dell´equità alle manovre di bilancio, non esita a ritoccare le aliquote per i redditi alti, ad elevare il prelievo su rendite finanziarie, stock option e superstipendi. A rompere il tabu anche il governo di centrodestra tedesco di Angela Merkel: proprio ieri il ministro delle Finanze Schaeuble non ha escluso un aumento dell´aliquota Irpef più alta oggi ferma al 42%. Gordon Brown, prima di cedere il passo al conservatore Cameron, nei mesi scorsi aveva già provveduto ad introdurre una nuova aliquota massima del 50% oltre le 150 mila sterline di reddito e il nuovo governo non sembra intenzionato a fare retromarcia. I due leader socialisti di Spagna e Portogallo, Zapatero e Socrates, hanno già applicato o stanno per varare nuove aliquote sui redditi alti. Sarkozy, in Francia, ha dovuto annunciare un prelievo straordinario sui più ricchi. Solo in Italia l´aliquota sopra i 75 mila euro resta inchiodata al 43%.
In un periodo in cui la finanza è nel mirino per il ruolo avuto nella recente crisi internazionale, le grandi banche e i manager dagli stipendi d´oro non potevano rimanere fuori. La Francia e il Regno Unito hanno annunciato tasse straordinarie sulle banche, il Portogallo ha già varato un´imposta del 2,5% sugli utili degli istituti di credito. La Germania ha tassato le società energetiche: anche in questo caso il nostro paese, spiegando che il nostro sistema bancario non ha avuto bisogno di aiuti durante il crac del 2007-2009, ha evitato nuove addizionali sul credito.
Quanto alle remunerazioni speciali di banchieri e uomini della finanza, l´Italia - come dimostra un rapporto dello Studio Maisto di Milano - ha agito: nella manovra è stata introdotta una addizionale del 10% su bonus e stock options che superino di tre volte lo stipendio base ma che molti giudicano un´arma destinata a colpire solo una manciata di manager. Più dura la mano della Francia (che ha varato un´imposta straordinaria del 50% per i bonus oltre il tetto di 27.500 euro), del Regno Unito (che ha deciso un tassa del 50% oltre 25 mila sterline per i dirigenti di banche) e della Germania (che ha imposto un tetto ai compensi manager di banche salvate dallo Stato).
Mentre in Italia ancora si discute se uniformare al 20% le tasse su titoli di Stato e rendite finanziarie, in Europa i governi sull´onda della crisi si sono già mossi: in Spagna è stato varato un aumento dell´aliquota sui redditi da capitale dal 18 al 19-21%. In Portogallo è stata introdotta una tassa del 20% sulle plusvalenze azionarie, e una stretta è in atto in Inghilterra. Mentre in Francia si è preferito adottare una ritenuta alla fonte del 50% per chi si stabilisce nei paradisi fiscali.
Infine i redditi dei pubblici funzionari. In Italia i funzionari dello Stato sono stati sottoposti ad un prelievo del 5-10% oltre i 90 mila euro di stipendio annui. In Spagna, in Portogallo e Francia sono state introdotte misure simili. Forse non è finita qui e i tempi della Thatcher oggi sembrano preistoria.
di Roberto Pietrini -

13 giugno 2010

L’agenda 2010 del Bilderberg



bilderbergIl Bilderberg è il club più esclusivo del mondo, a cui partecipano grandi leader politici e dell’economia americani ed europei. Quel che caratterizza questo club è l’assoluta segretezza. Esistono altri consessi di potenti, come il Forum di Davos; ma nessuno di questi agisce nel riserbo totale e a nessuno dei partecipanti è imposto di non svelare nulla degli argomenti discussi durante i lavori.

Al Bilderberg invece vige la regola del silenzio assoluto: non solo non si può riferire niente, ma non si può nemmeno ammettere di farne parte.

Da qualche anno,però, le liste dei partecipanti escono grazie a qualche talpa. Se volete sapere chi c’era al vertice che si è appena svolto in Spagna potete cliccare qui. Troverete l’élite mondiali e molti nomi italiani importanti:

- Franco Bernabé,amministratore delegato Telecom Italia, ex presidente Eni

- Fulvio Conti, numero uno dell’Enel

- John Elkann, presidente della Fiat

- Mario Monti, presidente della Bocconi ed commissario Ue

- Tommaso Padoa Schioppa, ex ministro del Tesoro

- Gianfelice Rocca, presidente di Techint

- Paolo Scaroni, Ceo dell’Eni

Secondo i cospirazionisti il Bilderberg è il vero governo del mondo, composto di due organismi, lo Steering Commitee, formato da 33 persone, e l’assemblea plenaria.

Io penso invece che il Bilderberg sia il luogo dove le élite vengono selezionate e dove vengono trasmesse idee e programmi. Questa mia impressione è rafforzata dalla citazione più importante che ho trovato in questi giorni, sul Guardian, l’unico quotidiano di rilevanza internazionale che ha tentato di seguire il vertice.Impresa difficile, perché il summit era protetto da un dispositivo di sicrezza impressionante.

Come riferisce l’inviato Charlie Skelton , l’ex segretario della Nato, Willy Claes, membro del Bilderberg negli anni Novanta, si è scoperto, forse involontariamente. Parlando a una radio belga pochi giorni fa ha dichiarato che “ogni partecipante riceve un documento e si ritiene che i membri lo usino per determinare le politiche nelle rispettive aree di influenza”.

Ovvero: il Bilderberg stabilisce un’agenda e impartisce direttive ai suoi membri. Un segretario generale della Nato mi sembra una fonte credibile e l’ammissione è inquietante. Sorgono alcuni dubbi:

Quali indicazioni contiene il report distribuito quest’anno?

I membri sono obbligati ad applicarne le direttive o si tratta soltanto di un auspicio?

E’ emersa una linea comune al vertice in Spagna?

A chi viene dato il documento oltre ai presenti?

Sono domande doverose per un giornalista, tanto più se riguardano personaggi importanti, come i numeri uno delle principali società italiane e il presidente della Banca d’Italia, Mario Draghi, da tempo membro del Bilderberg (anche se, a quanto pare, in Spagna era assente). Ma credo che nessuno risponderà e che nessuno dei giornalisti membri del club (della Washington Post, del Financial Times, dell’Economist, del New York Times), violerà le consegne.

Eppure l’opinione pubblica dovrebbe sapere. O sbaglio?

AGGIORNAMENTO In queste ore è emersa una novità importante. Il Bilderberg ha aperto un sito ufficiale. E’ minimalista, fatto in grande economia (hanno chiaramente adottato un template gratuito) e dice di fatto pochissimo. Probabilmente sono stati spaventati dal fatto che il Guardian si sia occupato per due anni di fila di loro e tentano di apparire meno chiusi e misteriosi.

Al contempo ho scoperto un altro dettaglio importante: la lista degli invitati non è esaustiva. A molti membri è consentito di non apparire in alcun modo, nemmeno nei documenti interni. Arrivano, partecipano ma della loro presenza non rimane traccia. Ad esempio, secondo fonti credibili nel 2008 sia Hillary Clinton che Barack Obama parteciparono al summit che si svolse a Chantily, in Virginia; ma negli elenchi i loro nomi non appare. Così è molto probabile che molti altri personaggi abbiano partecipato al vertice in Spagna. Secondo liste informali ci sarebbero stati anche Mario Draghi, Domenico Siniscalco e Romano Prodi o comunque sarebbero stati invitati.

di Marcello Foa -

Il vero volto della casta dei padroni




Un altro segno della crisi della sinistra è il libro di Filippo Astone "Il partito dei padroni" (Longanesi, 383 pg., 17,60 euro).
Un giornalista in forza al Mondo, il settimanale della Rcs, il giornale del salotto buono; una casa editrice che non sta nella tradizione della sinistra culturale italiana anche se oggi è un tassello di quel gruppo Mauri Spagnol che rappresenta l'outsider principale contro Mondadori e Rizzoli. Eppure il libro costituisce un'analisi impietosa, di quelle che la sinistra non riesce a fare, di quello che è oggi la classe padronale italiana, dei suoi equilibri politici interni e dei suoi comportamenti in diretta sul campo, a volte al limite del voltastomaco. Come il caso che Astone sceglie di mettere in apertura del libro per presentare "la faccia truce dei padroni" quella della Umbria Olii, distrutta da un incendio nel quale persero la vita cinque operai, bruciati vivi. Giorgio Del Papa, amministratore delegato e principale azionista dell'azienda, ha citato le famiglie degli operai morti chiedendo un risarcimento di 35 milioni di euro perché l'incendio sarebbe stato provocato dalla noncuranza di quei poveri lavoratori. Un'infamia oltre che un'ingiustizia, hanno risposto le famiglie, che si sono rivolte anche al Capo dello Stato (cosa ha risposto?) e che piene di rabbia e di dolore sono costrette a sostenere un vero e proprio processo giudiziario.

La faccia truce

Faccia truce o vero volto? A fronte di un caso come questo, il libro mette in evidenza come invece Condindustria, il partito dei padroni, cerchi invece di presentarsi con un volto moderno, riformatore, in cerca di una stabilizzazione del paese e di un clima politico meno rissoso. Il volto "cool" di Luca Cordero di Montezemolo, cresciuto in casa Fiat, uomo dalle mille poltrone e dalle ambizioni politiche soffocate a fatica, leader dell'associazione imprenditoriale e poi, dopo la successione di Emma Margegaglia, presidente di una Fondazione, Italia Futura, con la quale provare a tessere una strategia politica. Oppure il volto più ruspante e pragmatico dell'imprenditrice mantovana che a differenza dell'ex presidente Fiat, ha dislocato la Confindustria decisamente dalla parte del governo Berlusconi in cambio di favori, piccoli privilegi, vere e proprie prebende (anche per la propria famiglia, come dimostra il caso dei lavori alla Maddalena per il G8).
Se il caso della Umbria Olii è certamente il più estremo, è anche vero che dietro il volto suadente e moralizzatore, si nasconde un incessante lavorìo per ottenere risultati concreti da questo o quel governo. E dal governo Berlusconi Confindustria di risultati ne ha ottenuti non pochi come Astone scrive: la privatizzazione dei servizi pubblici locali con una possibile «grande abbuffata» da circa 100 miliardi di euro; la promessa del nucleare, con un giro di affari che supera i 30 miliardi; la riforma della scuola con gli incentivi agli istituti tecnici, il rilancio dei professionali, e un'università che viene di fatto consegnata ai privati; e poi tutti i tipi di incentivi, la detassazazione degli utili, il fondo di credito per le piccole imprese e altro ancora. Certo, ci sono le delusioni, la riduzione delle tasse che non arriva, grandi opere infrastrutturali che non decollano ma sostanzialmente il programma di governo segue pedissequamente quello di Confindustria. Perché, il punto è questo, il "partito dei padroni" si muove come un vero partito, ha una struttura di oltre 4 mila dipendenti per rappresentare 142 mila imprese, e ha un suo programma politico che resta piuttosto immutato nel tempo, presidente dopo presidente.

Il programma dei padroni

Un programma politico che si riassume in un'ideologia da «far west" in cui l'impresa deve essere liberata da "lacci e lacciuoli", libera nei suoi affari e nel suo profitto, messa al centro della vita politica e sociale. I quattro punti fondamentali di questo programma sono così definiti: «Privatizzare qualunque cosa tranne (per ora) l'aria; abbassare drasticamente le imposte e pertanto la spesa pubblica; riformare radicalmente la contrattazione e il diritto al lavoro per ottenere la massima flessibilità e minori costi; adoperarsi per attuare le riforme indispensabili a un paese moderno» cioè burocrazia più efficiente, infrastrutture, incentivi a ricerca e sviluppo. Questo programma non cambia mai e le richieste ai governi di turno sono sempre le stesse. E, se guardiamo agli ultimi venti anni, ci accorgiamo che questo programma è stato pazientemente applicato con certosina precisione (anche se questo non basta ancora al "partito dei padroni") sia dai governi Berlusconi che da quelli del centrosinistra.
Ma siccome non basta mai, la Confindustria si esercita con foga e determinazione nel "j'accuse" contro la politica, i suoi ritardi, i suoi riti, i suoi costi, additati come responsabili non secondari - i responsabili principali sono sempre i sindacati - dell'impasse italiana. Solo che quando si guarda in casa padronale ci si accorge - e questo il libro di Astone lo permette benissimo - che quei costi, quei ritardi, quelle alchimie sono esaltati all'ennesima potenza. Confindustria gestisce un bilancio complessivo - compresi i bilanci delle Unioni provinciali e regionali - di oltre 500 milioni di euro ma nessuno ne sa nulla (mentre per i bilanci dei sindacati viene chiesta, giustamente, la massima trasparenza); le sue regole interne, per l'elezione del Presidente, della Giunta, del Direttivo, delle svariate strutture che si controllano a vicenda, sono degni «del Partito comunista cinese». La lotta per il controllo delle Unioni provinciali, delle Commissioni nazionali e della Presidenza è senza esclusione di colpi. Al suo interno vivono correnti, cordate - ancora poco noto il "Salotto buono 2" che lega Cordero di Montezemolo, Della Valle, Luigi Abete, Vittorio Merloni - gli sgomitamenti delle ex aziende di Stato oggi colossi energetici come Eni e Enel. In prima fila nella lotta contro le "caste", Confindustria è un fior di casta, con i suoi mandarini e i suoi nepotismi, i costi eccessivi ma soprattutto i danni sociali che le sue scelte politiche provocano.

La casta confindustriale

Messe di fila, nel capitolo titolato "La casta di lorsignori", le principali gesta confindustriali smentiscono platealmente quell'ideologia a base di meritocrazia e modernità, di flessibilità e crescita economica che pure professano. Anzi, descrivono «una foresta pietrificata» che ha grandi responsabilità nell'edificazione del "caso italiano". Il modo con cui Tronchetti Provera ha spennato gli azionisti Pirelli e poi quelli Telecom; il modo con cui Geronzi è stato portato alla presidenza di Generali senza essersi mai occupato di Assicurazioni in vita sua; il gioco delle scatole cinesi che permette a John Elkann di decidere i destini della Fiat possedendone direttamente solo il 6%; gli stipendi e le stock options che intascano i proprietari-manager delle imprese anche quando producono perdite favolose e senza alcun principio meritocratico; il caso Alitalia, Fastweb, senza dimenticare Parmalat e Cirio. Una carrellata che permette a Astone di concludere il libro con questa considerazione: «All'inizio ci siamo chiesti se, e in quale misura, i protagonisti del capitalismo nostrano abbiano corresponsabilità nella deriva italiana. A partire da una domanda: ma Marco Tronchetti Provera, Emma Marcegaglia, Luca Cordero di Montezemolo sono poi così diversi da Antonio Bassolino, Rossa Russo Jervolino e Mara Carfagna? Alla fine del viaggio la risposta è no». Le similitudini posso essere ampliate ma la sostanza è quella: una classe dirigente dedita a bacchettare tutto e tutti, a dispensare consigli all'universo mondo, si è arricchita grazie a quello Stato che vuole abbattere e grazie a sacrifici enormi di lavoratori e lavoratrici. Eppure è ancora lì, intoccabile, impunita che si erge a grande moralizzatrice, foraggiata e sostenuta dal cuore dell'ideologia berlusconiana che vuole l'imprenditoria come modello sociale di riferimento contro la politica parassitaria. Un modello che ha plasmato la società italiana e che costituisce oggi forse il vero lascito degli ultimi venti anni