05 luglio 2010

Michio Kaku e la nostra civiltà di tipo zero


Michio Kaku è un fisico teorico nippo-americano specializzato nello studio
della teoria delle stringhe. Se lo si ascoltasse per qualche minuto si
capirebbe subito che, con il suo modo di parlare, cerca di rendere il mondo
complesso e spesso incomprensibile della fisica teorica il più semplice
possibile, per raggiungere il più ampio ventaglio di ascoltatori e rendere
alla portata di tutti concetti spiegabili e dimostrabili con complicate
formule matematiche.
Il suo mentore è stato Edward Teller, noto nella storia come "il padre della
bomba all'idrogeno" e per aver partecipato attivamente al programma nucleare
americano come membro del Progetto Manhattan.
Michio Kaku si è laureato in fisica "summa cum laude" ad Harvard, primo fra
tutti nella classe di fisica. Ha gestito il Berkeley Radiation Laboratory,
ottenendo il titolo di "Doctor of Philosophy". Ha scritto un importante
capitolo della teoria delle stringhe, ed è attivamente coinvolto nella
ricerca sulla "Teoria del Tutto".
Al suo attivo ha oltre 170 articoli sulla fisica teorica (superstringhe,
supersimmetria, supergravità), 12 libri tra i quali il best-seller "Fisica
dell'Impossibile", diverse trasmissioni televisive e radiofoniche sulla
scienza e sul futuro dell' umanità.

Michio Kaku è incredibilmente bravo nel rendere semplici alcuni concetti
estremamente complicati. Specialmente quando si tratta di spiegare il futuro
dell' umanità secondo il suo punto di vista.
Secondo Kaku, l'umanità è destinata ad evolversi o a scomparire, seguendo un
modello di sviluppo che ci porterebbe verso l'espansione nello spazio, o
verso una tragica fine senza alcuna menzione nella storia della nostra
galassia.

Quando Kaku parla di livelli di civiltà si riferisce essenzialmente allo
sviluppo energetico. Anche se accenna a discorsi come lingue globali,
culture universali e via dicendo, secondo lui la distinzione netta che si
può fare tra diversi livelli di civiltà è l'osservazione delle fonti di
energia che vengono sfruttate per la sopravvivenza della civiltà stessa.

Abbiamo così 4 livelli di base di civiltà:

- Civiltà di Tipo 0: siamo noi, esseri umani, ma potrebbe esserlo una
qualunque altra civiltà che abbia raggiunto il nostro livello tecnologico o
che sia diversi passi indietro rispetto all'essere umano. La civiltà di Tipo
0 si caratterizza essenzialmente per il fatto di essere frammentaria nella
sua cultura, e per l'utilizzo di fonti di energia esauribili e scarsamente
efficienti come i combustibili fossili. Una civiltà di Tipo 0 ha raggiunto
capacità di esplorazione dello spazio limitate.
- Tipo 1: una civiltà di Tipo 1 è, secondo Kaku, il futuro prossimo
dell'umanità. Secondo il fisico, siamo al livello di transizione tra Tipo 0
e Tipo 1: cultura sempre più globale, nuove fonti energetiche in via di
sviluppo, e via dicendo. Una civiltà di Tipo 1 ha il controllo di tutti gli
elementi del proprio pianeta di origine: è in grado di controllarne il
clima, sfruttarne le risorse energetiche in maniera efficace senza tuttavia
portare all'esaurimento le risorse disponibili. Una civiltà di Tipo 1 è
inoltre in grado di far viaggiare individui nello spazio superando distanze
di minuti, ore o addirittura giorni-luce senza dover impiegare anni per il
raggiungimento di una meta interplanetaria.
- Tipo 2: il vero salto di qualità. Secondo Kaku, una civiltà di tipo 2 è
virtualmente immortale, sia per quanto riguarda l'individuo che per quanto
riguarda l'insieme. C'è un problema sul pianeta di origine? Lo si risolve
senza troppi problemi, anche se significasse spostare il pianeta dalla
propria orbita. Problemi di natura energetica? Non esistono in una civiltà
di tipo 2: questo tipo di evoluzione consentirebbe di estrarre energia
direttamente dagli astri, sfruttare in modo efficace l'antimateria,
esplorare diversi sistemi solari senza problemi di tempo o di distanze.
- Tipo 3: l'evoluzione del tipo 2 è una civiltà che ha il dominio di tutte
le leggi della fisica, e di conseguenza il controllo sullo spazio e
sull'energia prodotta da migliaia, se non milioni di stelle. Esplora la
galassia senza problemi, visita pianeti sfruttando intelligenze robotiche e
macchine di Von Neumann, può eseguire viaggi di migliaia di anni luce nello
stesso tempo che impieghiamo noi per arrivare sulla Luna.

Se tutto questo sembra fantascienza, per Michio Kaku non lo è affatto, è
solo la visione di un futuro sempre più vicino. Secondo lui, molti di questi
processi sono già stati scritti a livello teorico nella fisica, mancano solo
i meccanismi pratici per metterli in atto.
Sappiamo ad esempio che l'antimateria potrebbe fornirci energia pressochè
illimitata ed ultra-efficiente, in grado di farci viaggiare nello spazio a
velocità impensabili, ma ora come ora riusciamo a produrne solo qualche
miliardesimo di grammo attraverso i più potenti acceleratori di particelle
al mondo, niente che possa avere un utilizzo pratico.

Michio Kaku inoltre non esclude la possibilità che, attorno al nostro
Sistema Solare, fioriscano civiltà di tipo 0-1-2-3 senza che ce ne rendiamo
conto.
Un esempio potrebbe essere il seguente:
- Tipo 0: potrebbero esserci migliaia di civiltà di tipo 0 nella sola Via
Lattea. Che siano alla scoperta del fuoco o alla creazione del transistor
poco importa, le possibilità di intercettare messaggi dallo spazio emessi da
civiltà di livello superiore sono pressochè nulle. Le probabilità inoltre
che si possa comunicare nello spazio tra due civiltà di tipo 0 sono
scarsissime, in quanto utilizzano tecnologie inefficaci per le comunicazioni
interplanetarie.
- Tipo 1: le civiltà di tipo 1 hanno superato la fase più critica,
evolvendosi da un livello di tecnologia (tipo 0) che può portare ad un
"nuovo rinascimento" come alla distruzione totale di un'intera civiltà. E'
possibile che solo una parte di civiltà di tipo 0 possano evolversi in tipo
1 invece di autodistruggersi. Le civiltà di tipo 1 inoltre hanno imparato
che per inviare messaggi nello spazio il metodo più efficace è quello di
spedirli lungo una gamma completa di frequenze, spezzandoli in "pacchetti"
ricomposti una volta giunti a destinazione. Questo limita una civiltà di
tipo 0 nell'intercettazione di messaggi: per esempio, il genere umano è in
ascolto su una sola frequenza, aspettandosi un messaggio completo che
probabilmente non intercetterà mai.
- Tipo 2: una volta raggiunto il tipo 1, è solo questione di tempo (e di
fortuna) prima che si arrivi al tipo 2. Una società di tipo 1 può essere
fermata solo da disastri di tipo cosmico o da grossolani errori di
valutazione nello sfruttamento delle risorse planetarie disponibili, ma la
probabilità di distruzione è comunque inferiore al tipo 0. Il tipo 2 invece
è un livello di sviluppo raggiunbibile a tutte le civiltà di tipo 1,
aspettando il giusto tempo per approfondire le dinamiche cosmiche.
Probabilmente i metodi di comunicazione sono oltre l'utilizzo del laser, il
che esclude una civiltà come la nostra, di Tipo 0, dal solo immaginare quale
tecnologia utilizzino per comunicare nello spazio.
- Tipo 3: le civiltà di tipo 2, virtualmene immortali, che non hanno
raggiunto il tipo 3 hanno soltanto bisogno di altro tempo per evolversi, ma
il raggiungimento di questo stadio è la naturale conseguenza del viaggio
interstellare e dello studio sempre più approfondito delle meccaniche
celesti. Una civiltà di tipo 3, in gradi di esplorare intere galassie,
utilizza metodi di comunicazione che di certo civiltà di tipo 0 e 1 non sono
in grado di comprendere, e che forse civiltà di tipo 2 stanno sviluppando a
livello sperimentale.

Michio Kaku non esclude inoltre che possiamo essere stati visitati, ed
esserlo tutt'ora, da civiltà extraterrestri. Il problema che pone, però, è
quello dello scarso interesse che una civiltà di tipo 2 o 3 possa avere nei
confronti di una civiltà di tipo 0.
L'esempio che si può fare è quello di una formica in relazione con l'essere
umano: che vantaggi deriverebbero all'essere umano dall'insegnare alla
formica a costruire un computer? Che interesse potrebbe avere la formica nel
costruire un computer quando la sua sola logica concepibile è quella di
lavorare per la colonia accumulando cibo?
Allo stesso modo, che interesse potrebbero avere delle civiltà
extraterrestri così evolute nel favorire la nostra evoluzione intervenendo
in un processo che potrebbe farci rinascere come farci autodistruggere per
la nostra incapacità di gestire quest processo di maturazione? E che
interesse potrebbe avere la maggior parte del genere umano, che ha come
unica preoccupazione (ben comprensibile, sia chiaro) quella di sopravvivere
alle problematiche che la sua stessa specie crea di continuo?

Le "visioni" di Michio Kaku in realtà sono molto più complesse di semplici
idee futuristiche: basandosi sulla fisica quantistica, sulla teoria delle
stringhe e la "Teoria del Tutto", le sue previsioni sono sia a breve che a
lungo termine, e contemplano teletrasporto, invisibilità, intelligenza
artificiale, viaggi spaziali, temporali ed dimensionali.

E' altrettanto vero tuttavia che la fisica teorica è spesso molto distante
dall'applicazione pratica delle sue formule, e che molti dei meccanismi che
regolano il nostro universo sono ben lungi dall'essere svelati.
Leggere i suoi libri e le sue idee sul futuro dell' umanità rimane però
un'interessante viaggio ai confini di ciò che riteniamo possibile e la
fantascienza, ci fanno capire che il viaggio evolutivo dell'essere umano è
solo all'inizio, e che le opportunità che la fisica espone nella sua
continua ricerca delle meccaniche universali sono pressochè illimitate.

04 luglio 2010

L'impero britannico organizzò la prima e la seconda guerra mondiale

Il 22 giugno, il 69esimo anniversario dell'Operazione Barbarossa, l'invasione nazista dell'Unione Sovietica, il Prof. Igor Panarin ha aumentato gli attacchi pubblici contro l'impero britannico come avversario storico "e contemporaneo" della Russia. "Ritengo che sia necessario ripetere nuovamente oggi" ha dichiarato Panarin in un'intervista a KM.ru "che i leader dell'impero britannico dovrebbero confessare di aver organizzato sia la prima che la seconda guerra mondiale, e di indire un tribunale pubblico per stabilire che organizzò la prima e la seconda guerra mondiale, e perché". Un simile tribunale verrebbe giustificato per via dell'"olocausto del popolo sovietico" che ne seguì.

Il prof. Panarin è preside della Facoltà di Storia all'Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri russo, ed è rinomato per i suoi pronostici sulla frammentazione degli Stati Uniti. Pochi resoconti rilevano tuttavia il fatto che Panarin attribuisce tale piano anti USA ad un gruppo di finanzieri con sede a Londra.

Ha dichiarato a KM.ru: "Il 22 giugno è una data tragica nella nostra storia. Ma ritengo che l'attacco improvviso all'Unione Sovietica da parte della Germania non sia stato ordito soltanto dalla Germania fascista, ma anche dall'Impero britannico. Potrebbe sembrare un paradosso, perché i due paesi erano avversari in quel momento. Ma è strano solo di primo acchito". Il professore prosegue con l'argomentazione che alcuni bolscevichi, come Leon Trotzky, erano "agenti dei servizi britannici" (come ha documentato in un recente video, in cui evidenzia il rapporti tra Trotzky e le spie britanniche Bruce Lockhart e Sidney Reilly) che furono soppressi da Stalin. Incapace di ottenere il controllo che voleva sull'Unione Sovietica, continua Panarin "l'Impero britannico decise di preparare la seconda guerra mondiale, in cui la Germania fascista avrebbe agito come forza d'attacco in un attacco contro l'Unione Sovietica. Non è un segreto che furono i britannici (la Banca d'Inghilterra, in particolare) a finanziare il Partito Nazista…"

Le formulazioni dell'intervista di Panarin, che chiama l'Impero britannico sul banco degli imputati, bisticciano con l'opinione erronea generale secondo cui i britannici sono solo un partner degli Stati Uniti. Si noti il fatto che i discorsi e articoli di LaRouche sull'Impero britannico (anzi, brutannico) ed i suoi agenti al Cremino quali il consigliere Arkadi Dvorkovich e gran parte della delegazione che ha accompagnato il Presidente Dmitri Medvedev nel suo viaggio a Silicon Valley, la Stanford University e Washington, circolano ampiamente tradotti in russo.

Durante la webcast di LaRouche del 26 giugno un esponente russo gli ha chiesto che ne pensasse del punto di vista di Panarin. LaRouche ha esordito dicendo che Rosa Luxemburg fu l'unica personalità del secolo scorso che comprese correttamente l'Impero britannico. Dopo aver sviluppato il concetto di impero, ha aggiunto che "l'impero britannico non è un'espressione del popolo britannico. È un'imposizione sul popolo britannico da parte di un'organizzazione che assunse la forma della Compagnia Britannica delle Indie Orientali". Un impero sopravvive inducendo altre potenziali nazioni a distruggersi l'un l'altra in guerra, ha proseguito. Lo stato di guerra permanente tra Israele ed i paesi arabi è un esempio di questo. Così come la guerra in Afghanistan, condotta da quell'idiota di Obama e che è "un'operazione di droga da parte dell'Impero britannico".

by Movisol

03 luglio 2010

Il governo delle banche







Il 10 maggio 2010, rassicurati da una nuova immissione di 750 miliardi di euro nella fornace della speculazione, i detentori di titoli di Société Générale hanno guadagnato un 23,89%. Lo stesso giorno, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha annunciato che, a causa di restrizioni nel bilancio, l’incentivo di 150 euro alle famiglie in difficoltà non sarebbe stato prorogato. Così, da una crisi finanziaria all’altra, cresce la convinzione che il potere politico adegui le proprie scelte alla volontà degli azionisti. Ogni volta i rappresentanti eletti chiedono alla popolazione di votare quei partiti che i “mercati” hanno prescelto per la loro innocuità.

Il sospetto di prevaricazioni affonda poco a poco la fiducia nei proclami sul bene pubblico. Quando Obama ha rimproverato la banca Goldman Sachs per meglio giustificare le sue misure per la regolamentazione finanziaria, i repubblicani hanno subito diffuso uno spot (1) che ricorda la lista di donazioni che il presidente e i suoi amici politici hanno ricevuto dalla compagnia durante la campagna elettorale del 2008: “Democratici: 4,5 milioni di dollari. Repubblicani: 1,5 milioni di dollari. I politici attaccano l’industria finanziaria ma accettano milioni da Wall Street.”

Quando il partito conservatore inglese, fingendosi impegnato a proteggere i bilanci delle famiglie povere, si oppose all’introduzione di un prezzo minimo per le bevande alcoliche, i laburisti risposero che l’intenzione era piuttosto quella di compiacere i proprietari dei supermercati, ostili a una tale misura, dal momento che essa ha reso le bevande alcoliche un prodotto civetta per gli adolescenti, affascinati dal fatto di poter pagare la birra meno dell’acqua. Infine, quando Sarkozy eliminò la pubblicità dai canali pubblici, fu facile intuire i guadagni che la televisione privata guidata dai suoi amici Vincent Bolloré e Martin Bouygues avrebbero ottenuto da una situazione che li esime da qualunque competizione nel ricco settore della pubblicità.

Questo tipo di sospetti non sono nuovi. La gente si rassegna alle situazioni che dovrebbero causare scandalo. Si dice: “È sempre stato così.” È vero che nel 1887 il genero del presidente francese Kules Grévy usò i propri parenti all’Eliseo per poter negoziare le decorazioni ufficiali; agli inizi del secolo scorso, la Standard Oil dava ordini a diversi governatori degli Stati Uniti. E per quanto riguarda la dittatura della finanza, già nel 1924 si faceva riferimento al “plebiscito quotidiano dei detentori di buoni” – i creditori del debito pubblico -, anche chiamati “il muro di denaro”. Nonostante tutto, venivano emanate leggi per regolare il ruolo del capitale nella vita politica. Questo è capitato anche negli Stati Uniti, durante l’Era Progressista (1880-1920) e poi dopo lo scandalo Watergate, sempre in seguito a qualche agitazione politica. Il “muro di denaro” francese fu messo sotto controllo dopo la Liberazione nel 1944. Le cose possono anche essere sempre andate così, ma sono suscettibili di cambiamento.

E possono cambiare ancora ma in senso opposto. Il 30 gennaio 1976, la Corte Suprema degli Stati Uniti annullava varie disposizioni chiave votate dal Congresso che limitavano il ruolo del denaro nella politica (caso Buckley contro Valeo). I giudici sostenevano che “la libertà di espressione per contribuire al dibattito pubblico non può dipendere dalla capacità finanziaria degli individui”. In altre parole, non ci devono essere limiti alla spesa per potersi esprimere. Lo scorso gennaio, questa causa si è ampliata fino all’estremo di autorizzare le imprese a spendere quel che vogliono per favorire (o attaccare) un candidato.

Negli ultimi 20 anni, con gli antichi apparatchiks sovietici trasformatisi in oligarchi industriali, gli impresari cinesi che occupano un ruolo distaccato in seno al Partito Comunista, i capi dell’Esecutivo, ministri e deputati europei che preparano, stile americano, la propria conversione al “settore privato”, un clero iraniano e i militari pachistani inebriati dagli affari (2), lo scivolamento verso la corruzione è diventato sistematico. Questo influisce sulla vita politica del pianeta.

Nella primavera del 1996, in conclusione di un mandato davvero mediocre, il presidente Bill Clinton preparava la campagna per la sua rielezione. Aveva bisogno di soldi. Per ottenerli, ebbe l’idea di offrire ai donatori più generosi la possibilità di passare una notte alla Casa Bianca, per esempio nella “camera di Lincoln”. Dal momento che avvicinarsi al sogno del “Grande Emancipatore” non era alla portata delle tasche più vuote né era una fantasia obbligata di quelle più piene, si misero all’asta altri piaceri. Come quello di “bere un caffè” alla Casa Bianca con il presidente degli Stati Uniti. Pertanto i potenziali grandi donatori del Partito Democratico incontrarono membri dell’esecutivo il cui lavoro era di regolare le loro attività. Il portavoce di Clinton, Lanny Davis, spiegò ingenuamente che era “un’occasione per i regolatori di imparare di più sui problemi dell’industria in questione”(3). Una di quelle “colazioni di lavoro” può essere costata decine di miliardi di dollari all’economia mondiale, favorendo la crescita del debito degli stati, e può aver provocato la perdita di decine di milioni di posti di lavoro.

Il 13 maggio 1996 alcuni dei principali banchieri degli Stati Uniti sono stati ricevuti per 90 minuti alla Casa Bianca dai principali rappresentanti dell’Amministrazione. Insieme al presidente Clinton partecipava alla riunione anche il segretario del Tesoro, Robert Rubin, il suo aggiunto incaricato degli Affari Monetari, John Hawke e il responsabile della regolamentazione delle banche, Eugene Ludwig. Per una coincidenza sicuramente fortuita partecipava anche il tesoriere del Partito Democratico, Marvin Rosen. Secondo il portavoce di Ludwig, “i banchieri hanno discusso la legislazione futura, incluse le idee che permetterebbero di abbattere la barriera che separa le banche dalle altre istituzioni finanziarie”.

Dopo il crac del 1929, il New Deal aveva proibito alle banche di depositi di rischiare imprudentemente il denaro dei suoi clienti, perché questo obbligava in seguito lo Stato a riscattare quelle istituzioni per il timore che un loro eventuale collasso provocasse la rovina dei numerosi detentori di titoli.. Firmata dal presidente Franklin Roosevelt nel 1933, la regolamentazione ancora vigente nel 1996 (legge Glass-Steagall) dispiaceva fortemente ai banchieri, interessati a diventare parte dei beneficiari dei miracoli della “new economy”. La “colazione di lavoro” aveva come obiettivo ricordare quel dispiacere al capo dell’esecutivo statunitense proprio mentre lui cercava di ottenere un finanziamento da parte delle banche per la sua rielezione.

Alcune settimane dopo l’incontro, i dispacci delle agenzie informavano che il Dipartimento del Tesoro avrebbe inviato al Congresso un pacchetto di leggi “che metteva in discussione le norme bancarie stabilite sei decenni addietro, il che avrebbe permesso alle banche di lanciarsi ampiamente nel mercato delle assicurazioni e nel settore delle banche di affari e investimenti”. Il seguito è ben conosciuto. La deroga alla legge Glass-Steagall è stata firmata nel 1999 da un presidente Clinton rieletto tre anni prima, in parte grazie al suo bottino di guerra elettorale (4). Questa deroga ha attizzato l’orgia speculativa degli anni 2000 (sofisticazione crescente dei prodotti finanziari, come i crediti ipotecari subprime, ecc.) e ha facilitato il crac economico del settembre 2008.

In realtà, la “colazione di lavoro” del 1996 (ce ne sono state 103 dello stesso tipo nello stesso periodo alla Casa Bianca) non ha fatto altro che confermare la forza del peso che faceva inclinare la bilancia verso gli interessi della finanza. Perché è stato un Congresso a maggioranza repubblicana ad affossare la Glass-Steagall, in accordo con la sua ideologia liberale e ai voleri dei suoi mecenati; anche i congressisti repubblicani hanno ricevuto dollari dalle banche. Per quanto riguarda l’Amministrazione Clinton, con o senza “colazioni di lavoro”, non sarebbe stato possibile resistere a lungo alle preferenze di Wall Street: il suo segretario del Tesoro, Robert Rubin, aveva diretto la Goldman Sachs. Così come lo aveva fatto Henry Paulson, a carico del Tesoro statunitense durante il crac del settembre 2008. Dopo aver lasciato morire le banche Bear Stearns e Merryl Lynch – due concorrenti di Goldman Sachs – Paulson ha riscattato la American Insurance Group (AIG), un’agenzia di assicurazioni il cui crollo avrebbe colpito il suo maggior creditore: Goldman Sachs.

Perché un popolo che in maggioranza non è costituito da ricchi, accetta che i suoi rappresentanti abbiano come priorità quella di soddisfare le richieste degli industriali, degli avvocati affaristi, dei banchieri al punto che la politica finisce col consolidare i rapporti delle forze economiche invece di opporre loro la legittimità democratica? Perché quando questi stessi ricchi vengono eletti si sentono autorizzati a esibire la propria fortuna? E a proclamare che l’interesse generale richiede la soddisfazione degli interessi particolari delle classi privilegiate, le uniche col potere di fare (investire) o impedire (delocalizzare), e che pertanto è necessario sedurre (“tranquillizzare i mercati”) o contenere (la logica dello scudo fiscale)?

Queste domande ci riportano al caso dell’Italia. In questo paese, uno degli uomini più ricchi del pianeta non si è aggregato a un partito con la speranza di influenzarlo, ha invece creato il suo, Forza Italia, per difendere i suoi interessi imprenditoriali. Di fatto, il 23 novembre 2009 La Repubblica ha pubblicato la lista delle diciotto leggi che hanno favorito l’impero commerciale di Silvio Berlusconi a partire del 1994, o che gli hanno permesso di sfuggire all’azione della magistratura. Il ministro della giustizia del Costa Rica, Francisco Dall’Anase, ha avvisato quale sarà la prossima tappa. Quella che vedrà in alcuni paesi uno Stato non più solo al servizio delle banche ma anche dei gruppi criminali: “I cartelli della droga si impadroniranno dei partiti politici, finanzieranno le campagne elettorali e infine prenderanno il controllo dell’Esecutivo”. (5).

A proposito, che impatto ha avuto questa rivelazione di La Repubblica sul risultato elettorale della destra italiana? A giudicare dall’esito delle elezioni regionali di marzo scorso, nessuno. È come se il quotidiano rilassamento della morale pubblica avesse immunizzato la popolazione rassegnata alla corruzione della vita politica. Perché indignarsi allora quando i rappresentati si impegnano continuamente a soddisfare i nuovi oligarchi o a raggiungerli sulla cima della piramide dei guadagni? “I poveri non fanno donazioni pubbliche”, diceva a ragione l’ex candidato repubblicano alla presidenza John McCain, che è diventato lobbista dell’industria finanziaria.

Ad un mese dalla sua uscita dalla Casa Bianca, Bill Clinton ha guadagnato tanto denaro quanto quello guadagnato in 53 anni di vita. Goldman Sachs lo ha retribuito con 650.000 dollari per quattro discorsi. Per un altro discorso, pronunciato in Francia, ha riscosso 250.000 dollari; questa volta a pagare è stato Citigroup. Nell’ultimo anno del mandato, la coppia Clinton ha dichiarato introiti per 357.000 dollari; tra il 2001 e il 2007, il totale del guadagno è stato di 109 milioni di dollari. Oggi giorno, la celebrità e i contatti acquisiti lungo una carriera politica vengono negoziati soprattutto una volta che questa carriera è terminata. I posti di amministratori nel settore privato o di assessore di banche rimpiazzano vantaggiosamente un mandato popolare che si è appena concluso. E siccome governare è prevedere..

Ma il “pantouflage” (6) non si spiega unicamente con l’esigenza di rimanere membri a vita dell’oligarchia. Le aziende private, le istituzioni finanziarie internazionali e le organizzazioni non governative collegate alle multinazionali si sono convertite, a volte più che lo Stato, in luoghi di potere e di egemonia intellettuale. In Francia, il prestigio delle finanze così come il desiderio di forgiarsi un futuro dorato hanno sviato molti iscritti della Scuola Nazionale di Amministrazione (ENA), della Scuola Normale Superiore (ENS) o della Scuola Politecnica dalla loro vocazione di servitori del bene pubblico. L’ex alunno della ENA e della ENS ed ex primo ministro Alain Juppé, ha confessato di aver sperimentato una tentazione del genere: “Tutti siamo rimasti affascinati, perfino i mezzi di comunicazione. I golden boys erano formidabili! Quei giovani che arrivavano a Londra e davanti ai loro pc trasferivano migliaia di milioni di dollari in pochi istanti, che guadagnavano centinaia di milioni di euro ogni mese – eravamo tutti affascinati! – (...) Non sarei del tutto sincero se negassi che anche io ogni tanto mi dicevo: “accidenti, se avessi fatto questo forse oggi sarei in una situazione diversa” (7).

“Nessun pentimento” invece per Yves Galland, ex ministro del Commercio francese diventato presidente di Boeing France, un’azienda in competizione con Airbus. Nessun pentimento nemmeno per Clara Gaymard, moglie di Hervé Gaymard, ex ministro dell’Economia, Finanze e Industria: dopo essere stata una funzionaria a Bercy (sede del ministero) e in seguito ambasciatrice itinerante delegata dall’Agenzia Francese di Investimenti Internazionali, è diventata presidente di General Electric France. Coscienza tranquilla anche per Christine Albanel, che durante tre anni ha occupato il Ministero della Cultura e Comunicazione. Da aprile 2010 è ancora a carico della comunicazione... ma della France Telécom.

La metà degli ex senatori statunitensi diventano lobbisti, spesso al servizio delle aziende che avevano regolato. Lo stesso è successo con 283 ex membri della Amministrazione di Clinton e 310 ex membri della Amministrazione di Bush. Negli Stati Uniti, il volume annuale di affari di lobbying si aggira sugli 8 miliardi di dollari. Somma enorme, ma con una rendita eccezionale. Nel 2003, per esempio, l’imposta sui guadagni ottenuti all’estero da Citigroup, JP Morgan Chase, Morgan Stanley e Merril Lynch si è ridotto dal 35% al 5,25%. Prezzo dell’azione di lobbying: 8,5 milioni di dollari. Beneficio fiscale: 2 miliardi di dollari. Nome della norma in questione: “Legge per la creazione di lavori americani”(8). “Nelle società moderne – conclude Alain Minc, laureato all’ENA, assessore (ad honorem) di Sarkozy e (al soldo) di vari grandi imprenditori francesi – si può servire l’interesse generale in un posto che non sia lo Stato, come nelle aziende” (9). L’interesse generale, è tutto li.

Questa attrazione per le aziende (e le loro remunerazioni) ha causato vittime anche a sinistra. “L’alta borghesia si è rinnovata – così spiegava nel 2006 Francois Hollande, allora primo segretario del Partito Socialista francese – mentre la sinistra si assumeva delle responsabilità, nel 1981. (...) È stato l’apparato statale a proiettare il capitalismo dei suoi nuovi dirigenti. (...) Provenienti da una cultura di servizio pubblico, hanno avuto accesso allo status di nuovi ricchi e si sono rivolti ai politici che li avevano designati come fossero i loro superiori” (10). Politici che sono stati tentati di seguirli.

Settori sempre più estesi della popolazione hanno legato, a volte inconsapevolmente, il proprio destino, attraverso i fondi pensione, i fondi d’investimento, ecc., a quello della finanza. Attualmente è possibile difendere le banche e la Borsa fingendo di interessarsi al destino della vedova senza mezzi, dell’impiegato che ha comprato azioni per migliorare il suo salario o garantirsi una pensione. Nel 2004, il presidente George W. Bush ha basato la propria campagna elettorale su quella “classe di investitori”. The Wall Street Journal spiegava: “Più gli elettori sono azionisti, più appoggiano le politiche liberali associate ai repubblicani. (...) Il 58% degli statunitensi ha un investimento diretto o indiretto nei mercati finanziari, di fronte al 44% di sei anni fa. Ad ogni livello di introiti, gli investitori diretti sono più propensi a dichiararsi repubblicani che i non investitori” (11). Si capisce il sogno di Bush di privatizzare le pensioni.

“Schiavi delle finanze da due decenni, i governi si rivolgeranno contro di loro solo se esse li aggrediranno oltre la soglia di tolleranza”, questo aveva annunciato il mese scorso l’economista Frédéric Lordon (12). La portata delle misure che Germania, Francia, gli Stati Uniti e il G-20 prenderanno contro la speculazione nelle prossime settimane ci dirà se la quotidiana umiliazione che i mercati infliggono agli Stati e la collera popolare istigata dal cinismo delle banche, farà destare una qualche dignità nei governi stanchi di essere trattati come dei lacché.

Note

(1)Video disponibile in: www.monde-diplomatique.fr/19172
(2) Serge Halimi, “Il denaro”; Behrouz Arefi e Behrouz Farahany, “Iran, la resistibile ascesa dei pasdaran” e Ayesha Siddiqa, “I generali saccheggiano le ricchezze del Pakistan”, Le Monde Diplomatique-Il manifesto, rispettivamente gennaio 2009, febbraio 2010 e gennaio 2008
(3) Questa nota, così come le seguenti due, sono state estratte da “Guess who’s coming for coffee?”, The Washington Post, National Weekly Edition, 3 febbraio 1997.
(4) Thomas Ferguson, “Le trésor de guerre du président Clinton”, Le Monde diplomatique, Parigi, agosto 1996.
(5) Citato in London Review of Books, Londra, 25 febbraio 2010.
(6) Termine che in Francia designa la migrazione di alti funzionari dell’Amministrazione pubblica verso confortevoli posti nel settore privato ( N.d.T.)
(7) “Parlons Net”, radio France Info, Parigi, 27 marzo 2009.
(8) Dan Eggen, “Lobbying pays”, The Washington Post, 12 aprile 2009.
(9) Radio France Inter, Parigi, 14 aprile 2010.
(10) François Hollande, Devoirs de vérité, Stock, París, 2006, pagg. 159-161
(11) Claudia Deane e Dan Balz, "‘Investor Class' Gains Political Clout", The Wall Street Journal Europe, 28 ottobre 2003.
(12) "La pompe à phynance", in http://blog.mondediplo.net, 7 maggio 2010.

Serge Halimi è il direttore di “Le Monde Diplomatique”

05 luglio 2010

Michio Kaku e la nostra civiltà di tipo zero


Michio Kaku è un fisico teorico nippo-americano specializzato nello studio
della teoria delle stringhe. Se lo si ascoltasse per qualche minuto si
capirebbe subito che, con il suo modo di parlare, cerca di rendere il mondo
complesso e spesso incomprensibile della fisica teorica il più semplice
possibile, per raggiungere il più ampio ventaglio di ascoltatori e rendere
alla portata di tutti concetti spiegabili e dimostrabili con complicate
formule matematiche.
Il suo mentore è stato Edward Teller, noto nella storia come "il padre della
bomba all'idrogeno" e per aver partecipato attivamente al programma nucleare
americano come membro del Progetto Manhattan.
Michio Kaku si è laureato in fisica "summa cum laude" ad Harvard, primo fra
tutti nella classe di fisica. Ha gestito il Berkeley Radiation Laboratory,
ottenendo il titolo di "Doctor of Philosophy". Ha scritto un importante
capitolo della teoria delle stringhe, ed è attivamente coinvolto nella
ricerca sulla "Teoria del Tutto".
Al suo attivo ha oltre 170 articoli sulla fisica teorica (superstringhe,
supersimmetria, supergravità), 12 libri tra i quali il best-seller "Fisica
dell'Impossibile", diverse trasmissioni televisive e radiofoniche sulla
scienza e sul futuro dell' umanità.

Michio Kaku è incredibilmente bravo nel rendere semplici alcuni concetti
estremamente complicati. Specialmente quando si tratta di spiegare il futuro
dell' umanità secondo il suo punto di vista.
Secondo Kaku, l'umanità è destinata ad evolversi o a scomparire, seguendo un
modello di sviluppo che ci porterebbe verso l'espansione nello spazio, o
verso una tragica fine senza alcuna menzione nella storia della nostra
galassia.

Quando Kaku parla di livelli di civiltà si riferisce essenzialmente allo
sviluppo energetico. Anche se accenna a discorsi come lingue globali,
culture universali e via dicendo, secondo lui la distinzione netta che si
può fare tra diversi livelli di civiltà è l'osservazione delle fonti di
energia che vengono sfruttate per la sopravvivenza della civiltà stessa.

Abbiamo così 4 livelli di base di civiltà:

- Civiltà di Tipo 0: siamo noi, esseri umani, ma potrebbe esserlo una
qualunque altra civiltà che abbia raggiunto il nostro livello tecnologico o
che sia diversi passi indietro rispetto all'essere umano. La civiltà di Tipo
0 si caratterizza essenzialmente per il fatto di essere frammentaria nella
sua cultura, e per l'utilizzo di fonti di energia esauribili e scarsamente
efficienti come i combustibili fossili. Una civiltà di Tipo 0 ha raggiunto
capacità di esplorazione dello spazio limitate.
- Tipo 1: una civiltà di Tipo 1 è, secondo Kaku, il futuro prossimo
dell'umanità. Secondo il fisico, siamo al livello di transizione tra Tipo 0
e Tipo 1: cultura sempre più globale, nuove fonti energetiche in via di
sviluppo, e via dicendo. Una civiltà di Tipo 1 ha il controllo di tutti gli
elementi del proprio pianeta di origine: è in grado di controllarne il
clima, sfruttarne le risorse energetiche in maniera efficace senza tuttavia
portare all'esaurimento le risorse disponibili. Una civiltà di Tipo 1 è
inoltre in grado di far viaggiare individui nello spazio superando distanze
di minuti, ore o addirittura giorni-luce senza dover impiegare anni per il
raggiungimento di una meta interplanetaria.
- Tipo 2: il vero salto di qualità. Secondo Kaku, una civiltà di tipo 2 è
virtualmente immortale, sia per quanto riguarda l'individuo che per quanto
riguarda l'insieme. C'è un problema sul pianeta di origine? Lo si risolve
senza troppi problemi, anche se significasse spostare il pianeta dalla
propria orbita. Problemi di natura energetica? Non esistono in una civiltà
di tipo 2: questo tipo di evoluzione consentirebbe di estrarre energia
direttamente dagli astri, sfruttare in modo efficace l'antimateria,
esplorare diversi sistemi solari senza problemi di tempo o di distanze.
- Tipo 3: l'evoluzione del tipo 2 è una civiltà che ha il dominio di tutte
le leggi della fisica, e di conseguenza il controllo sullo spazio e
sull'energia prodotta da migliaia, se non milioni di stelle. Esplora la
galassia senza problemi, visita pianeti sfruttando intelligenze robotiche e
macchine di Von Neumann, può eseguire viaggi di migliaia di anni luce nello
stesso tempo che impieghiamo noi per arrivare sulla Luna.

Se tutto questo sembra fantascienza, per Michio Kaku non lo è affatto, è
solo la visione di un futuro sempre più vicino. Secondo lui, molti di questi
processi sono già stati scritti a livello teorico nella fisica, mancano solo
i meccanismi pratici per metterli in atto.
Sappiamo ad esempio che l'antimateria potrebbe fornirci energia pressochè
illimitata ed ultra-efficiente, in grado di farci viaggiare nello spazio a
velocità impensabili, ma ora come ora riusciamo a produrne solo qualche
miliardesimo di grammo attraverso i più potenti acceleratori di particelle
al mondo, niente che possa avere un utilizzo pratico.

Michio Kaku inoltre non esclude la possibilità che, attorno al nostro
Sistema Solare, fioriscano civiltà di tipo 0-1-2-3 senza che ce ne rendiamo
conto.
Un esempio potrebbe essere il seguente:
- Tipo 0: potrebbero esserci migliaia di civiltà di tipo 0 nella sola Via
Lattea. Che siano alla scoperta del fuoco o alla creazione del transistor
poco importa, le possibilità di intercettare messaggi dallo spazio emessi da
civiltà di livello superiore sono pressochè nulle. Le probabilità inoltre
che si possa comunicare nello spazio tra due civiltà di tipo 0 sono
scarsissime, in quanto utilizzano tecnologie inefficaci per le comunicazioni
interplanetarie.
- Tipo 1: le civiltà di tipo 1 hanno superato la fase più critica,
evolvendosi da un livello di tecnologia (tipo 0) che può portare ad un
"nuovo rinascimento" come alla distruzione totale di un'intera civiltà. E'
possibile che solo una parte di civiltà di tipo 0 possano evolversi in tipo
1 invece di autodistruggersi. Le civiltà di tipo 1 inoltre hanno imparato
che per inviare messaggi nello spazio il metodo più efficace è quello di
spedirli lungo una gamma completa di frequenze, spezzandoli in "pacchetti"
ricomposti una volta giunti a destinazione. Questo limita una civiltà di
tipo 0 nell'intercettazione di messaggi: per esempio, il genere umano è in
ascolto su una sola frequenza, aspettandosi un messaggio completo che
probabilmente non intercetterà mai.
- Tipo 2: una volta raggiunto il tipo 1, è solo questione di tempo (e di
fortuna) prima che si arrivi al tipo 2. Una società di tipo 1 può essere
fermata solo da disastri di tipo cosmico o da grossolani errori di
valutazione nello sfruttamento delle risorse planetarie disponibili, ma la
probabilità di distruzione è comunque inferiore al tipo 0. Il tipo 2 invece
è un livello di sviluppo raggiunbibile a tutte le civiltà di tipo 1,
aspettando il giusto tempo per approfondire le dinamiche cosmiche.
Probabilmente i metodi di comunicazione sono oltre l'utilizzo del laser, il
che esclude una civiltà come la nostra, di Tipo 0, dal solo immaginare quale
tecnologia utilizzino per comunicare nello spazio.
- Tipo 3: le civiltà di tipo 2, virtualmene immortali, che non hanno
raggiunto il tipo 3 hanno soltanto bisogno di altro tempo per evolversi, ma
il raggiungimento di questo stadio è la naturale conseguenza del viaggio
interstellare e dello studio sempre più approfondito delle meccaniche
celesti. Una civiltà di tipo 3, in gradi di esplorare intere galassie,
utilizza metodi di comunicazione che di certo civiltà di tipo 0 e 1 non sono
in grado di comprendere, e che forse civiltà di tipo 2 stanno sviluppando a
livello sperimentale.

Michio Kaku non esclude inoltre che possiamo essere stati visitati, ed
esserlo tutt'ora, da civiltà extraterrestri. Il problema che pone, però, è
quello dello scarso interesse che una civiltà di tipo 2 o 3 possa avere nei
confronti di una civiltà di tipo 0.
L'esempio che si può fare è quello di una formica in relazione con l'essere
umano: che vantaggi deriverebbero all'essere umano dall'insegnare alla
formica a costruire un computer? Che interesse potrebbe avere la formica nel
costruire un computer quando la sua sola logica concepibile è quella di
lavorare per la colonia accumulando cibo?
Allo stesso modo, che interesse potrebbero avere delle civiltà
extraterrestri così evolute nel favorire la nostra evoluzione intervenendo
in un processo che potrebbe farci rinascere come farci autodistruggere per
la nostra incapacità di gestire quest processo di maturazione? E che
interesse potrebbe avere la maggior parte del genere umano, che ha come
unica preoccupazione (ben comprensibile, sia chiaro) quella di sopravvivere
alle problematiche che la sua stessa specie crea di continuo?

Le "visioni" di Michio Kaku in realtà sono molto più complesse di semplici
idee futuristiche: basandosi sulla fisica quantistica, sulla teoria delle
stringhe e la "Teoria del Tutto", le sue previsioni sono sia a breve che a
lungo termine, e contemplano teletrasporto, invisibilità, intelligenza
artificiale, viaggi spaziali, temporali ed dimensionali.

E' altrettanto vero tuttavia che la fisica teorica è spesso molto distante
dall'applicazione pratica delle sue formule, e che molti dei meccanismi che
regolano il nostro universo sono ben lungi dall'essere svelati.
Leggere i suoi libri e le sue idee sul futuro dell' umanità rimane però
un'interessante viaggio ai confini di ciò che riteniamo possibile e la
fantascienza, ci fanno capire che il viaggio evolutivo dell'essere umano è
solo all'inizio, e che le opportunità che la fisica espone nella sua
continua ricerca delle meccaniche universali sono pressochè illimitate.

04 luglio 2010

L'impero britannico organizzò la prima e la seconda guerra mondiale

Il 22 giugno, il 69esimo anniversario dell'Operazione Barbarossa, l'invasione nazista dell'Unione Sovietica, il Prof. Igor Panarin ha aumentato gli attacchi pubblici contro l'impero britannico come avversario storico "e contemporaneo" della Russia. "Ritengo che sia necessario ripetere nuovamente oggi" ha dichiarato Panarin in un'intervista a KM.ru "che i leader dell'impero britannico dovrebbero confessare di aver organizzato sia la prima che la seconda guerra mondiale, e di indire un tribunale pubblico per stabilire che organizzò la prima e la seconda guerra mondiale, e perché". Un simile tribunale verrebbe giustificato per via dell'"olocausto del popolo sovietico" che ne seguì.

Il prof. Panarin è preside della Facoltà di Storia all'Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri russo, ed è rinomato per i suoi pronostici sulla frammentazione degli Stati Uniti. Pochi resoconti rilevano tuttavia il fatto che Panarin attribuisce tale piano anti USA ad un gruppo di finanzieri con sede a Londra.

Ha dichiarato a KM.ru: "Il 22 giugno è una data tragica nella nostra storia. Ma ritengo che l'attacco improvviso all'Unione Sovietica da parte della Germania non sia stato ordito soltanto dalla Germania fascista, ma anche dall'Impero britannico. Potrebbe sembrare un paradosso, perché i due paesi erano avversari in quel momento. Ma è strano solo di primo acchito". Il professore prosegue con l'argomentazione che alcuni bolscevichi, come Leon Trotzky, erano "agenti dei servizi britannici" (come ha documentato in un recente video, in cui evidenzia il rapporti tra Trotzky e le spie britanniche Bruce Lockhart e Sidney Reilly) che furono soppressi da Stalin. Incapace di ottenere il controllo che voleva sull'Unione Sovietica, continua Panarin "l'Impero britannico decise di preparare la seconda guerra mondiale, in cui la Germania fascista avrebbe agito come forza d'attacco in un attacco contro l'Unione Sovietica. Non è un segreto che furono i britannici (la Banca d'Inghilterra, in particolare) a finanziare il Partito Nazista…"

Le formulazioni dell'intervista di Panarin, che chiama l'Impero britannico sul banco degli imputati, bisticciano con l'opinione erronea generale secondo cui i britannici sono solo un partner degli Stati Uniti. Si noti il fatto che i discorsi e articoli di LaRouche sull'Impero britannico (anzi, brutannico) ed i suoi agenti al Cremino quali il consigliere Arkadi Dvorkovich e gran parte della delegazione che ha accompagnato il Presidente Dmitri Medvedev nel suo viaggio a Silicon Valley, la Stanford University e Washington, circolano ampiamente tradotti in russo.

Durante la webcast di LaRouche del 26 giugno un esponente russo gli ha chiesto che ne pensasse del punto di vista di Panarin. LaRouche ha esordito dicendo che Rosa Luxemburg fu l'unica personalità del secolo scorso che comprese correttamente l'Impero britannico. Dopo aver sviluppato il concetto di impero, ha aggiunto che "l'impero britannico non è un'espressione del popolo britannico. È un'imposizione sul popolo britannico da parte di un'organizzazione che assunse la forma della Compagnia Britannica delle Indie Orientali". Un impero sopravvive inducendo altre potenziali nazioni a distruggersi l'un l'altra in guerra, ha proseguito. Lo stato di guerra permanente tra Israele ed i paesi arabi è un esempio di questo. Così come la guerra in Afghanistan, condotta da quell'idiota di Obama e che è "un'operazione di droga da parte dell'Impero britannico".

by Movisol

03 luglio 2010

Il governo delle banche







Il 10 maggio 2010, rassicurati da una nuova immissione di 750 miliardi di euro nella fornace della speculazione, i detentori di titoli di Société Générale hanno guadagnato un 23,89%. Lo stesso giorno, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha annunciato che, a causa di restrizioni nel bilancio, l’incentivo di 150 euro alle famiglie in difficoltà non sarebbe stato prorogato. Così, da una crisi finanziaria all’altra, cresce la convinzione che il potere politico adegui le proprie scelte alla volontà degli azionisti. Ogni volta i rappresentanti eletti chiedono alla popolazione di votare quei partiti che i “mercati” hanno prescelto per la loro innocuità.

Il sospetto di prevaricazioni affonda poco a poco la fiducia nei proclami sul bene pubblico. Quando Obama ha rimproverato la banca Goldman Sachs per meglio giustificare le sue misure per la regolamentazione finanziaria, i repubblicani hanno subito diffuso uno spot (1) che ricorda la lista di donazioni che il presidente e i suoi amici politici hanno ricevuto dalla compagnia durante la campagna elettorale del 2008: “Democratici: 4,5 milioni di dollari. Repubblicani: 1,5 milioni di dollari. I politici attaccano l’industria finanziaria ma accettano milioni da Wall Street.”

Quando il partito conservatore inglese, fingendosi impegnato a proteggere i bilanci delle famiglie povere, si oppose all’introduzione di un prezzo minimo per le bevande alcoliche, i laburisti risposero che l’intenzione era piuttosto quella di compiacere i proprietari dei supermercati, ostili a una tale misura, dal momento che essa ha reso le bevande alcoliche un prodotto civetta per gli adolescenti, affascinati dal fatto di poter pagare la birra meno dell’acqua. Infine, quando Sarkozy eliminò la pubblicità dai canali pubblici, fu facile intuire i guadagni che la televisione privata guidata dai suoi amici Vincent Bolloré e Martin Bouygues avrebbero ottenuto da una situazione che li esime da qualunque competizione nel ricco settore della pubblicità.

Questo tipo di sospetti non sono nuovi. La gente si rassegna alle situazioni che dovrebbero causare scandalo. Si dice: “È sempre stato così.” È vero che nel 1887 il genero del presidente francese Kules Grévy usò i propri parenti all’Eliseo per poter negoziare le decorazioni ufficiali; agli inizi del secolo scorso, la Standard Oil dava ordini a diversi governatori degli Stati Uniti. E per quanto riguarda la dittatura della finanza, già nel 1924 si faceva riferimento al “plebiscito quotidiano dei detentori di buoni” – i creditori del debito pubblico -, anche chiamati “il muro di denaro”. Nonostante tutto, venivano emanate leggi per regolare il ruolo del capitale nella vita politica. Questo è capitato anche negli Stati Uniti, durante l’Era Progressista (1880-1920) e poi dopo lo scandalo Watergate, sempre in seguito a qualche agitazione politica. Il “muro di denaro” francese fu messo sotto controllo dopo la Liberazione nel 1944. Le cose possono anche essere sempre andate così, ma sono suscettibili di cambiamento.

E possono cambiare ancora ma in senso opposto. Il 30 gennaio 1976, la Corte Suprema degli Stati Uniti annullava varie disposizioni chiave votate dal Congresso che limitavano il ruolo del denaro nella politica (caso Buckley contro Valeo). I giudici sostenevano che “la libertà di espressione per contribuire al dibattito pubblico non può dipendere dalla capacità finanziaria degli individui”. In altre parole, non ci devono essere limiti alla spesa per potersi esprimere. Lo scorso gennaio, questa causa si è ampliata fino all’estremo di autorizzare le imprese a spendere quel che vogliono per favorire (o attaccare) un candidato.

Negli ultimi 20 anni, con gli antichi apparatchiks sovietici trasformatisi in oligarchi industriali, gli impresari cinesi che occupano un ruolo distaccato in seno al Partito Comunista, i capi dell’Esecutivo, ministri e deputati europei che preparano, stile americano, la propria conversione al “settore privato”, un clero iraniano e i militari pachistani inebriati dagli affari (2), lo scivolamento verso la corruzione è diventato sistematico. Questo influisce sulla vita politica del pianeta.

Nella primavera del 1996, in conclusione di un mandato davvero mediocre, il presidente Bill Clinton preparava la campagna per la sua rielezione. Aveva bisogno di soldi. Per ottenerli, ebbe l’idea di offrire ai donatori più generosi la possibilità di passare una notte alla Casa Bianca, per esempio nella “camera di Lincoln”. Dal momento che avvicinarsi al sogno del “Grande Emancipatore” non era alla portata delle tasche più vuote né era una fantasia obbligata di quelle più piene, si misero all’asta altri piaceri. Come quello di “bere un caffè” alla Casa Bianca con il presidente degli Stati Uniti. Pertanto i potenziali grandi donatori del Partito Democratico incontrarono membri dell’esecutivo il cui lavoro era di regolare le loro attività. Il portavoce di Clinton, Lanny Davis, spiegò ingenuamente che era “un’occasione per i regolatori di imparare di più sui problemi dell’industria in questione”(3). Una di quelle “colazioni di lavoro” può essere costata decine di miliardi di dollari all’economia mondiale, favorendo la crescita del debito degli stati, e può aver provocato la perdita di decine di milioni di posti di lavoro.

Il 13 maggio 1996 alcuni dei principali banchieri degli Stati Uniti sono stati ricevuti per 90 minuti alla Casa Bianca dai principali rappresentanti dell’Amministrazione. Insieme al presidente Clinton partecipava alla riunione anche il segretario del Tesoro, Robert Rubin, il suo aggiunto incaricato degli Affari Monetari, John Hawke e il responsabile della regolamentazione delle banche, Eugene Ludwig. Per una coincidenza sicuramente fortuita partecipava anche il tesoriere del Partito Democratico, Marvin Rosen. Secondo il portavoce di Ludwig, “i banchieri hanno discusso la legislazione futura, incluse le idee che permetterebbero di abbattere la barriera che separa le banche dalle altre istituzioni finanziarie”.

Dopo il crac del 1929, il New Deal aveva proibito alle banche di depositi di rischiare imprudentemente il denaro dei suoi clienti, perché questo obbligava in seguito lo Stato a riscattare quelle istituzioni per il timore che un loro eventuale collasso provocasse la rovina dei numerosi detentori di titoli.. Firmata dal presidente Franklin Roosevelt nel 1933, la regolamentazione ancora vigente nel 1996 (legge Glass-Steagall) dispiaceva fortemente ai banchieri, interessati a diventare parte dei beneficiari dei miracoli della “new economy”. La “colazione di lavoro” aveva come obiettivo ricordare quel dispiacere al capo dell’esecutivo statunitense proprio mentre lui cercava di ottenere un finanziamento da parte delle banche per la sua rielezione.

Alcune settimane dopo l’incontro, i dispacci delle agenzie informavano che il Dipartimento del Tesoro avrebbe inviato al Congresso un pacchetto di leggi “che metteva in discussione le norme bancarie stabilite sei decenni addietro, il che avrebbe permesso alle banche di lanciarsi ampiamente nel mercato delle assicurazioni e nel settore delle banche di affari e investimenti”. Il seguito è ben conosciuto. La deroga alla legge Glass-Steagall è stata firmata nel 1999 da un presidente Clinton rieletto tre anni prima, in parte grazie al suo bottino di guerra elettorale (4). Questa deroga ha attizzato l’orgia speculativa degli anni 2000 (sofisticazione crescente dei prodotti finanziari, come i crediti ipotecari subprime, ecc.) e ha facilitato il crac economico del settembre 2008.

In realtà, la “colazione di lavoro” del 1996 (ce ne sono state 103 dello stesso tipo nello stesso periodo alla Casa Bianca) non ha fatto altro che confermare la forza del peso che faceva inclinare la bilancia verso gli interessi della finanza. Perché è stato un Congresso a maggioranza repubblicana ad affossare la Glass-Steagall, in accordo con la sua ideologia liberale e ai voleri dei suoi mecenati; anche i congressisti repubblicani hanno ricevuto dollari dalle banche. Per quanto riguarda l’Amministrazione Clinton, con o senza “colazioni di lavoro”, non sarebbe stato possibile resistere a lungo alle preferenze di Wall Street: il suo segretario del Tesoro, Robert Rubin, aveva diretto la Goldman Sachs. Così come lo aveva fatto Henry Paulson, a carico del Tesoro statunitense durante il crac del settembre 2008. Dopo aver lasciato morire le banche Bear Stearns e Merryl Lynch – due concorrenti di Goldman Sachs – Paulson ha riscattato la American Insurance Group (AIG), un’agenzia di assicurazioni il cui crollo avrebbe colpito il suo maggior creditore: Goldman Sachs.

Perché un popolo che in maggioranza non è costituito da ricchi, accetta che i suoi rappresentanti abbiano come priorità quella di soddisfare le richieste degli industriali, degli avvocati affaristi, dei banchieri al punto che la politica finisce col consolidare i rapporti delle forze economiche invece di opporre loro la legittimità democratica? Perché quando questi stessi ricchi vengono eletti si sentono autorizzati a esibire la propria fortuna? E a proclamare che l’interesse generale richiede la soddisfazione degli interessi particolari delle classi privilegiate, le uniche col potere di fare (investire) o impedire (delocalizzare), e che pertanto è necessario sedurre (“tranquillizzare i mercati”) o contenere (la logica dello scudo fiscale)?

Queste domande ci riportano al caso dell’Italia. In questo paese, uno degli uomini più ricchi del pianeta non si è aggregato a un partito con la speranza di influenzarlo, ha invece creato il suo, Forza Italia, per difendere i suoi interessi imprenditoriali. Di fatto, il 23 novembre 2009 La Repubblica ha pubblicato la lista delle diciotto leggi che hanno favorito l’impero commerciale di Silvio Berlusconi a partire del 1994, o che gli hanno permesso di sfuggire all’azione della magistratura. Il ministro della giustizia del Costa Rica, Francisco Dall’Anase, ha avvisato quale sarà la prossima tappa. Quella che vedrà in alcuni paesi uno Stato non più solo al servizio delle banche ma anche dei gruppi criminali: “I cartelli della droga si impadroniranno dei partiti politici, finanzieranno le campagne elettorali e infine prenderanno il controllo dell’Esecutivo”. (5).

A proposito, che impatto ha avuto questa rivelazione di La Repubblica sul risultato elettorale della destra italiana? A giudicare dall’esito delle elezioni regionali di marzo scorso, nessuno. È come se il quotidiano rilassamento della morale pubblica avesse immunizzato la popolazione rassegnata alla corruzione della vita politica. Perché indignarsi allora quando i rappresentati si impegnano continuamente a soddisfare i nuovi oligarchi o a raggiungerli sulla cima della piramide dei guadagni? “I poveri non fanno donazioni pubbliche”, diceva a ragione l’ex candidato repubblicano alla presidenza John McCain, che è diventato lobbista dell’industria finanziaria.

Ad un mese dalla sua uscita dalla Casa Bianca, Bill Clinton ha guadagnato tanto denaro quanto quello guadagnato in 53 anni di vita. Goldman Sachs lo ha retribuito con 650.000 dollari per quattro discorsi. Per un altro discorso, pronunciato in Francia, ha riscosso 250.000 dollari; questa volta a pagare è stato Citigroup. Nell’ultimo anno del mandato, la coppia Clinton ha dichiarato introiti per 357.000 dollari; tra il 2001 e il 2007, il totale del guadagno è stato di 109 milioni di dollari. Oggi giorno, la celebrità e i contatti acquisiti lungo una carriera politica vengono negoziati soprattutto una volta che questa carriera è terminata. I posti di amministratori nel settore privato o di assessore di banche rimpiazzano vantaggiosamente un mandato popolare che si è appena concluso. E siccome governare è prevedere..

Ma il “pantouflage” (6) non si spiega unicamente con l’esigenza di rimanere membri a vita dell’oligarchia. Le aziende private, le istituzioni finanziarie internazionali e le organizzazioni non governative collegate alle multinazionali si sono convertite, a volte più che lo Stato, in luoghi di potere e di egemonia intellettuale. In Francia, il prestigio delle finanze così come il desiderio di forgiarsi un futuro dorato hanno sviato molti iscritti della Scuola Nazionale di Amministrazione (ENA), della Scuola Normale Superiore (ENS) o della Scuola Politecnica dalla loro vocazione di servitori del bene pubblico. L’ex alunno della ENA e della ENS ed ex primo ministro Alain Juppé, ha confessato di aver sperimentato una tentazione del genere: “Tutti siamo rimasti affascinati, perfino i mezzi di comunicazione. I golden boys erano formidabili! Quei giovani che arrivavano a Londra e davanti ai loro pc trasferivano migliaia di milioni di dollari in pochi istanti, che guadagnavano centinaia di milioni di euro ogni mese – eravamo tutti affascinati! – (...) Non sarei del tutto sincero se negassi che anche io ogni tanto mi dicevo: “accidenti, se avessi fatto questo forse oggi sarei in una situazione diversa” (7).

“Nessun pentimento” invece per Yves Galland, ex ministro del Commercio francese diventato presidente di Boeing France, un’azienda in competizione con Airbus. Nessun pentimento nemmeno per Clara Gaymard, moglie di Hervé Gaymard, ex ministro dell’Economia, Finanze e Industria: dopo essere stata una funzionaria a Bercy (sede del ministero) e in seguito ambasciatrice itinerante delegata dall’Agenzia Francese di Investimenti Internazionali, è diventata presidente di General Electric France. Coscienza tranquilla anche per Christine Albanel, che durante tre anni ha occupato il Ministero della Cultura e Comunicazione. Da aprile 2010 è ancora a carico della comunicazione... ma della France Telécom.

La metà degli ex senatori statunitensi diventano lobbisti, spesso al servizio delle aziende che avevano regolato. Lo stesso è successo con 283 ex membri della Amministrazione di Clinton e 310 ex membri della Amministrazione di Bush. Negli Stati Uniti, il volume annuale di affari di lobbying si aggira sugli 8 miliardi di dollari. Somma enorme, ma con una rendita eccezionale. Nel 2003, per esempio, l’imposta sui guadagni ottenuti all’estero da Citigroup, JP Morgan Chase, Morgan Stanley e Merril Lynch si è ridotto dal 35% al 5,25%. Prezzo dell’azione di lobbying: 8,5 milioni di dollari. Beneficio fiscale: 2 miliardi di dollari. Nome della norma in questione: “Legge per la creazione di lavori americani”(8). “Nelle società moderne – conclude Alain Minc, laureato all’ENA, assessore (ad honorem) di Sarkozy e (al soldo) di vari grandi imprenditori francesi – si può servire l’interesse generale in un posto che non sia lo Stato, come nelle aziende” (9). L’interesse generale, è tutto li.

Questa attrazione per le aziende (e le loro remunerazioni) ha causato vittime anche a sinistra. “L’alta borghesia si è rinnovata – così spiegava nel 2006 Francois Hollande, allora primo segretario del Partito Socialista francese – mentre la sinistra si assumeva delle responsabilità, nel 1981. (...) È stato l’apparato statale a proiettare il capitalismo dei suoi nuovi dirigenti. (...) Provenienti da una cultura di servizio pubblico, hanno avuto accesso allo status di nuovi ricchi e si sono rivolti ai politici che li avevano designati come fossero i loro superiori” (10). Politici che sono stati tentati di seguirli.

Settori sempre più estesi della popolazione hanno legato, a volte inconsapevolmente, il proprio destino, attraverso i fondi pensione, i fondi d’investimento, ecc., a quello della finanza. Attualmente è possibile difendere le banche e la Borsa fingendo di interessarsi al destino della vedova senza mezzi, dell’impiegato che ha comprato azioni per migliorare il suo salario o garantirsi una pensione. Nel 2004, il presidente George W. Bush ha basato la propria campagna elettorale su quella “classe di investitori”. The Wall Street Journal spiegava: “Più gli elettori sono azionisti, più appoggiano le politiche liberali associate ai repubblicani. (...) Il 58% degli statunitensi ha un investimento diretto o indiretto nei mercati finanziari, di fronte al 44% di sei anni fa. Ad ogni livello di introiti, gli investitori diretti sono più propensi a dichiararsi repubblicani che i non investitori” (11). Si capisce il sogno di Bush di privatizzare le pensioni.

“Schiavi delle finanze da due decenni, i governi si rivolgeranno contro di loro solo se esse li aggrediranno oltre la soglia di tolleranza”, questo aveva annunciato il mese scorso l’economista Frédéric Lordon (12). La portata delle misure che Germania, Francia, gli Stati Uniti e il G-20 prenderanno contro la speculazione nelle prossime settimane ci dirà se la quotidiana umiliazione che i mercati infliggono agli Stati e la collera popolare istigata dal cinismo delle banche, farà destare una qualche dignità nei governi stanchi di essere trattati come dei lacché.

Note

(1)Video disponibile in: www.monde-diplomatique.fr/19172
(2) Serge Halimi, “Il denaro”; Behrouz Arefi e Behrouz Farahany, “Iran, la resistibile ascesa dei pasdaran” e Ayesha Siddiqa, “I generali saccheggiano le ricchezze del Pakistan”, Le Monde Diplomatique-Il manifesto, rispettivamente gennaio 2009, febbraio 2010 e gennaio 2008
(3) Questa nota, così come le seguenti due, sono state estratte da “Guess who’s coming for coffee?”, The Washington Post, National Weekly Edition, 3 febbraio 1997.
(4) Thomas Ferguson, “Le trésor de guerre du président Clinton”, Le Monde diplomatique, Parigi, agosto 1996.
(5) Citato in London Review of Books, Londra, 25 febbraio 2010.
(6) Termine che in Francia designa la migrazione di alti funzionari dell’Amministrazione pubblica verso confortevoli posti nel settore privato ( N.d.T.)
(7) “Parlons Net”, radio France Info, Parigi, 27 marzo 2009.
(8) Dan Eggen, “Lobbying pays”, The Washington Post, 12 aprile 2009.
(9) Radio France Inter, Parigi, 14 aprile 2010.
(10) François Hollande, Devoirs de vérité, Stock, París, 2006, pagg. 159-161
(11) Claudia Deane e Dan Balz, "‘Investor Class' Gains Political Clout", The Wall Street Journal Europe, 28 ottobre 2003.
(12) "La pompe à phynance", in http://blog.mondediplo.net, 7 maggio 2010.

Serge Halimi è il direttore di “Le Monde Diplomatique”