05 settembre 2010

Se le borse sono euforiche perchè i capi di Goldman vendono tutto?

Prepariamoci, perché «settembre e ottobre porteranno con sé cattive notizie per il mercato azionario e le banche rimangono pesantemente esposte alla leva, dato ancor più allarmante visto che stiamo entrando nella seconda "gamba" della crisi finanziaria». Parole di Pedro De Noronha, managing partner della Noster Capital di Londra, secondo cuiì

stiamo assistendo ad anni che rappresentano una sfida senza precedenti per gli investitori. I grandi player, semplicemente, stanno fuggendo dal mercato. Ci sono seri problemi che arrivano dal settore della rinegoziazione dei mutui Usa e l'area euro resta una seria e costante preoccupazione. La Germania non ha la minima intenzione di salvare un'altra nazione europea, la Merkel ha già usato una larga parte di capitale politico per salvare la Grecia e il mercato ellenico dei bonds e questo semplicemente per tutelare il sistema bancario francese e tedesco da ulteriori, gravi perdite.

Ci sono quattro o cinque nazioni con grossi problemi strutturali che non dovrebbero nemmeno essere nell'euro. D'altronde, devo ancora vederlo un politico che si spara alla tempia in ossequio dell'austerity. I greci non hanno alternativa se non quella di tagliare, gli altri come la Spagna non stanno affatto facendo a sufficienza: io sono per la scuola austriaca, non accetto alternative keynesiane.

Dovrebbe dirlo alla Fed e al premio Nobel, Paul Krugman, che lunedì scorso ha chiesto a chiare lettere una nuova politica di stimolo fiscale. Per De Noronha la vera preoccupazione a breve sta nel settore bancario, tanto che sta shortando i titoli di cinque grandi istituti: Ubs, Barclays, Unione de banche, Bbva e - udite udite - Intesa Sanpaolo. Il perché è presto detto:

I recenti stress tests mi hanno fatto sbellicare dal ridere. Sotto stress, infatti, i regolatori hanno messo soltanto ciò che le banche ci hanno detto, non ho visto nessuno testare qualcun'altro finché non si è arrivati al punto di non ritorno. Quando guardo alle ratio del Capital Tier 1, vedo cose poste a loro sostegno che non possono essere utilizzate nel corso di una crisi. Il vero Capital 1 ratio di alcune delle maggiori banche è soltanto l'1,7 per cento e per questo motivo sto shortando cinque grandi banche europee. Ho la certezza che la maggioranza degli istituti restino eccessivamente esposti alla leva.

Quindi, avevamo ragione quando definivamo "ridicoli" gli stress test Ue?

I regolatori hanno utilizzato il 6 per cento come soglia per definire il minimo di capital ratio ma quel 6 per cento include assets non cash come tax assets differenziati. Se invece utilizzo solo book equity tangibili quel 6 per cento diventa molto vicino al 2 per cento, un qualcosa che impone una leverage ratio di cinquanta volte. Una situazione poco gestibile nell'attuale situazione economica.

E in tal senso un grosso test per la tenuta dell'eurozona e il suo settore bancario, arriva proprio questo mese di settembre, durante il quale le principali banche irlandesi dovranno ripagare oltre 25 miliardi di debito: i volumi molto bassi delle contrattazioni parlano la lingua di un'attesa carica tanto di speranza quanto di preoccupazione. Insomma, basterà il mercato dei bonds per finanziarsi o sarà necessario ritentare la strada del mercato, fino ad oggi prosciugata da volatilità e mancanza di fiducia?

La crisi del debito di maggio e giugno, d'altronde, ha portato con sé un aumento dei costi per i paesi che vogliono ottenere denaro e anche di quelli del prestito bancario. Il problema è che le preoccupazioni crescenti sulla stato di salute dell'economia irlandese (36 aziende su 100 sono sull'orlo del fallimento, dati riportati dall'Irish Examiner), con tanto di downgrade da parte di Standard&Poor's, hanno fatto schizzare lo spread dei rendimenti tra bond irlandesi e bund tedeschi, situazione che vede quindi le banche costrette a pagare un prezzo maggiore per rifinanziare il loro debito.

«Ora che il mercato obbligazionario sta ripartendo dopo la pausa estiva, c'è grande preoccupazione riguardo la necessità reale per le banche irlandesi e spagnole di emettere durante il mese di settembre e soprattutto riguardo al fatto che quando questo soggetti si presenteranno sul mercato, non è chiaro quale prezzo dovranno pagare», ha dichiarato al Financial Times, Chandra Rajan di Barclays Capital, secondo cui «come tutte le altre banche, anche questi istituti saranno costrette a estendere le scadenze del loro debito ma non si sa quanta estensione sono in grado di gestire».

Per Robert Crossley, analista sui tassi a Citigroup, lo spread che l'Irlanda si trova a pagare potrebbe ulteriormente allargarsi e potrebbe innescare un effetto domino su altri soggetti:

Il potenziale e immediato pericolo è rappresentato dal fatto che le notizie si autoalimentano e noi già intravediamo una nuova spirale sull'Europa periferica. E un ampliamento dello spread, nelle condizioni attuali, potrebbe distribuirsi nei paesi a rischio molto facilmente. Molte banche hanno tratto vantaggio dalla forte domanda e dai bassi costi dei prestiti per vendere bonds negli Stati Uniti ma i banchieri stessi dicono che questa opzione era praticabile solo per le istituzioni più grandi.

Insomma, i giorni che ci dividono dal secondo anniversario del crollo di Lehman Brothers si prospettano tesi. E pericolosamente decisivi. Anche perché, da Oltreoceano, arrivano segnali ulteriormente preoccupanti per la ripresa globale. Come anticipato martedì, il pieno recovery dell'economia americano potrebbe richiedere una decina di anni, stando all'analisi di Carmen M. Reinhart, economista alla Maryland University e storica delle crisi economiche, che ha reso nota la sua tesi nel corso dell'annuale simposio di economia di Jackson Hole, organizzato dalla Fed di Kansas City e che ha visto riuniti 110 tra banchieri centrali e studiosi.

Allen Sinai, co-fondatore dell'azienda di consulenza Decision Economics e decano dell'incontro nel Wyoming, si è definito

preoccupato oggi come non mai per il futuro dell'economia americana. La sfida infatti è unica nel suo genere: bassa crescita in ulteriore diminuzione, tasso di disoccupazione allarmante, un deficit iperbolico e un debito sovrano che ci rende una delle nazioni più fiscalmente irresponsabili del mondo.

In occasione del simposio, Carmen M. Reinhart ha preparato uno studio dal titolo "This time is different: otto secoli di follia finanziaria" nel quale ha esaminato quindici severe crisi finanziarie dalla Seconda Guerra mondiale in poi, oltre alle contrazioni economiche che hanno seguito il crash del 1929, lo shock petrolifero del 1973 e l'esplosione della bolla subprime del 2007. Da questo studio si evince che la decade successiva ad ogni singola crisi ha visto tassi di crescita significativamente bassi e livelli di disoccupazione molto alti.

I prezzi degli immobili hanno avuto bisogno di anno per tornare a livelli di normalità e mediamente ci sono voluti sette anni per cittadini e aziende per ridurre il loro debito e recuperare nei bilanci. Quasi scientificamente, le crisi sono anticipate da un decennio di espansione del credito e del prestito e seguite da periodi di rintracciamento più o meno della stessa durata.

Eventi largamente destabilizzanti come quelli analizzati nel mio studio, producono evidentemente cambiamenti nelle prestazioni degli indicatori macroeconomici chiave sul lungo termine, un periodo che si prolungo molto dalla fine del picco della crisi stessa». Per la Reinhart «il rischio maggiore che stiamo correndo è quello di un'errata percezione che potrebbe essere molto costoso se compiuta dalle autorità fiscale che sovrastimano le prospettive di entrata e dai banchieri centrali che tentano di riportare l'occupazione a un livello irrealisticamente alto».

Le sfide davanti a noi, quindi, sono decisamente epocali. E il margine di errore, questa volta, è davvero ristretto.

P.S. Ieri le Borse hanno festeggiato con rialzi euforici l'inaspettato aumento dell'indice ISM dell'attività manifatturiera Usa,salito al 56,3 punti in agosto dopo il calo nel mese di luglio che aveva fatto parlare di crescita rallentata e rischio di "double-dip". Il livello che potrebbe far scattare i crolli borsistici è a 50 punti, livello che molti analisti e gestori di fondi vedono probabile per ottobre, massimo novembre. In compenso, mentre i trader brindavano, gli insiders - ovvero i grandi investitori - confermavano i timori per crollo a breve: è di oltre 100 milioni di dollari di controvalore, infatti, il numero di azioni vendute dai manager di grandi aziende di Wall Street, 64 dei quali solo dei tre dirigenti principali di Goldman Sachs. Investimenti personali, non per clienti: quelli possono anche andare a schiantarsi contro il muro dei mercati. Chi vede le cose dall'interno, vende e scappa.
di Mauro Bottarelli

04 settembre 2010

Attenzione: allarme economico

E’ da tempo che avverto i lettori sul vicino crollo dell’Economia Statunitense. Il timore di una recessione a doppio picco era già alto dopo l’avvertimento sulla lentezza della crescita dell’economia da parte della Federal Reserve: mancanza di spesa da parte del consumatore bassi profitti delle imprese a Wall Street. E questo avvertimento non tiene neanche conto delle preoccupazioni su una crisi del debito europeo, debito che è sempre più grande, o di un rallentamento dell'economia cinese.

Alcuni indicatori supplementari che avvertono che le cose andranno molto in salita e molto velocemente:

1-L’indice della Federal Reserve di Philadelphia sulla manifatturiera è appena crollato, un 7,7%!. Questo non è solo indicativo di un rallentamento nella crescita della produzione. Per la prima volta in più di un anno, la produzione delle fabbriche negli USA si sta riducendo!

2-Il denaro del governo sta finendo e non ci saranno più “stimoli” per continuare ad iniettarli nell’economia. Nel frattempo, le città e gli stati della nazione stanno navigando in numeri rossi, le città e stati in tutto il paese stanno nuotando in rosso, tanto che per pareggiare i conti stanno chiudendo molte scuole, stazioni dei pompieri e intere divisioni della polizia (caserme NDT). Non è il miglior modoper porre fine alla crisi.

Inoltre, la maggior parte degli economisti sono altrettanto attoniti. Non avevano neanche idea che il numero di disoccupati avrebbe battuto tutti i record in questo momento del “recupero”.

Un esempio: Due settimane fa, tra i 42 economisti interpellati da Bloomerberg, neanche uno solo aveva predetto un grande aumento di richieste degli assegni per la disoccupazione. Ed è che l’aumento avuto la settimana scorsa in termini reali è stata apocalittica: le richieste di tali assegni sono saliti a 500.000, i peggiori numeri in nove mesi.
Per dirlo in un altro modo, oltre ai milioni di disoccupati che ancora non hanno trovato lavoro-anche un anno e più dopo il gran crollo dell’economia- un’ondata completamente nuova di lavoratori licenziati stanno adesso inondando gli uffici di collocamento del governo.

Consigli pratici

In primo luogo, se si hanno soldi, spostare la maggior parte del denaro in luoghi sicuri, in particolare nel breve termine e contanti.
In secondo luogo, non pensare che qualunque banca è sicura o che il governo aiuterà un numero indefinito di banche. Fare affari strettamente con le banche che abbiano le risorse liquide per sopravvivere in tempi difficili, anche senza l’aiuto del governo.

Collasso bancario

Se c’è un settore del mercato di valori che odora di morte, è il settore finanziario. Le azioni bancarie semplicemente non rialzano la testa. Prendi l’indice delle banche KWB(BKX), di 24 delle principali banche degli Stati Uniti. Sono affondate in aprile e maggio e non sono riuscite a recuperare da allora. Di fatto, settimana scorsa, è caduto a nuovi minimi.

Mercati dei bond

Per coloro che desiderino ascoltare, il mercato dei bond sta trasmettendo un messaggio economico importante. Ad esempio, la resa dei buoni del Tesoro a 10 anni è diminuito drasticamente da inizio aprile. Di fatto i rendimenti a 10 anni sono così bassi come a dicembre del 2008, durante il periodo più profondo della grave crisi economica e finanziaria. Questa caduta pronunciata dei rendimenti sta inviando un messaggio terrificante: è l’anticipazione di un’economia in libera caduta.

Crollo del settore immobiliare negli USA

La vendita delle case di seconda mano negli USA è appena stata colpita dal peggior crollo nella storia di mesi, il 27,2%, in quanto l'inventario di case invendute è così grande e la pressione al ribasso sui prezzi delle case così forte che sta provocando uno “sciopero” da parte di compratori in tutto il paese.

Il settore immobiliare è castigato dal cattivo umore dei consumatori statunitensi e degli investitori. L’accesso ad una casa, inoltre, è tagliato dalla scarsità di credito più cronica che si sia mai vista nella nostra vita. Lo stesso succederà con la maggior parte delle aziende nazionali che erano quotate nella borsa negli USA.

Un altro dei fattori che giocano un ruolo importante nel crollo immobiliare e della maggior parte delle aziende degli USA è l’aumento del tasso di disoccupazione. Conclusioni: Il denaro degli investitori di Wall Street è in serio pericolo.

Per i lettori statunitensi:

Disfattevi delle vostre proprietà immobiliari e vendete le azioni delle aziende nordamericane nella Borsa.


di Daniel Estulin

Fonte: www.danielestulin.com

03 settembre 2010

Nessun complottismo ma sul Club Bilderberg serve chiarezza






http://revista-amauta.org/wp-content/uploads/2009/05/bilderberg2.jpg

Questa è la storia di un piccolo, significativo equivoco. Riguarda un’associazione di cui la maggior parte dei lettori non conosce nemmeno l’esistenza: il Bilderberg Group. Sul Corriere della Sera di ieri, Alberto Melloni, recensendo il bel libro di Andrea Tornielli e Paolo Rodari Attacco a Ratzinger (Piemme), mi ha accusato di aver sostenuto tesi complottiste ovvero che la campagna mediatica contro il Papa sia stata orchestrata dal Bilderberg Group.
L’accusa è ingiustificata e fuorviante. Per ragioni che non riesco nemmeno ad immaginare, Melloni ha estrapolato una mia citazione, pubblicata nel saggio di Tornielli e Rodari, senza contestualizzarla e omettendo altre citazioni, più significative. Ad esempio quella in cui, sostengo che è impossibile valutare le tesi sul Bilderberg in quanto «mancano studi credibili su questo misterioso gruppo». L’ho scritto e lo ribadisco: non credo all’esistenza di un Grande Fratello.
Ma non posso non osservare che non appena si affronta l’argomento del Bilderberg scattano dei meccanismi quasi pavloviani. Da un lato c’è chi si esalta nella persuasione di aver scoperto il governo occulto del mondo; d’altro canto c’è chi si indigna e alza muri preventivi, talvolta senza nemmeno sapere cosa sia davvero il Bilderberg e nella presunzione che le élite politiche, finanziarie ed economiche siano composte solo da persone integerrime, disinteressate, esemplari nella difesa delle istituzioni.
La realtà è molto complessa. La globalizzazione provoca la continua erosione della sovranità degli Stati e di istituzioni antiche come la Chiesa cattolica. In quale misura questi fenomeni sono indotti e in quale provocati? Non lo sappiamo. Negli anni Novanta due studiosi cinesi pubblicarono un saggio, Guerra senza limiti, segnalato dal generale Fabio Mini, in cui spiegavano l’importanza cruciale delle «guerre asimmetriche» ovvero del terrorismo, della pirateria sul web e dell’arte di influenzare i media. Chi vuol fare buon giornalismo deve conoscere lo spin, ovvero le tecniche di comunicazione capaci di condizionare non un giornale, ma l’insieme dei mezzi di informazione. Nel saggio Gli stregoni della notizia (Guerini editore, 2006), sostengo la tesi che i giornalisti non sono preparati per capire e neutralizzare lo spin. Per questo Tornielli e Rodari mi hanno interpellato. Una penna autorevole come Nick Davies del Guardian, nel suo Flat Earth news, sostiene la stessa tesi.
Né Davies, né io condividiamo le tesi cospirazioniste. Ma non possiamo nemmeno chiudere gli occhi. Ricordate il Millenium bug? E l’influenza suina? E l’aviaria? False notizie (tra tante altre) che hanno condizionato il mondo, pur essendo montate ad arte. Chi le ha orchestrate? Ancora oggi non lo sappiamo. Ma interrogarsi è doveroso.
Lo stesso approccio dovrebbe valere per il Bilderberg, un club fondato nel 1954 dalla famiglia Rockefeller e che riunisce una volta all’anno alte personalità americane ed europee del mondo della politica, dell’economia e della finanza per analizzare la situazione internazionale. Nulla di anomalo, altre organizzazioni fanno altrettanto. Ma il Bilderberg ha una particolarità: opera nel segreto assoluto. Per cinquant’anni non si è saputo nemmeno che esistesse. Solo di recente ha aperto un sito, anodino peraltro. Non si conoscono le sue finalità, i suoi membri, curiosamente, non vantano l’appartenenza nei curriculum vitae. E quando il Club si riunisce in seduta plenaria i giornalisti che tentano di avvicinarsi vengono cacciati brutalmente.
Sia chiaro: l’ipotesi che sia il vero centro del potere mondiale non regge. È improbabile che circa 150 leader decidano le sorti del pianeta vedendosi una volta all’anno. Ma nell’era della comunicazione non si può nemmeno credere che ministri, banchieri centrali, finanzieri, grandi manager, opinon leader si riuniscano per bere il tè assieme.
È verosimile che il Bilderberg serva soprattutto a creare una rete di contatti tra chi promuove e ha interesse nella globalizzazione. Ma la riservatezza maniacale alimenta il sospetto. E il mistero. Che in democrazia è malsano. È davvero così scandaloso, in un’ottica autenticamente liberale, chiedere di saperne di più?

di Marcello Foa

05 settembre 2010

Se le borse sono euforiche perchè i capi di Goldman vendono tutto?

Prepariamoci, perché «settembre e ottobre porteranno con sé cattive notizie per il mercato azionario e le banche rimangono pesantemente esposte alla leva, dato ancor più allarmante visto che stiamo entrando nella seconda "gamba" della crisi finanziaria». Parole di Pedro De Noronha, managing partner della Noster Capital di Londra, secondo cuiì

stiamo assistendo ad anni che rappresentano una sfida senza precedenti per gli investitori. I grandi player, semplicemente, stanno fuggendo dal mercato. Ci sono seri problemi che arrivano dal settore della rinegoziazione dei mutui Usa e l'area euro resta una seria e costante preoccupazione. La Germania non ha la minima intenzione di salvare un'altra nazione europea, la Merkel ha già usato una larga parte di capitale politico per salvare la Grecia e il mercato ellenico dei bonds e questo semplicemente per tutelare il sistema bancario francese e tedesco da ulteriori, gravi perdite.

Ci sono quattro o cinque nazioni con grossi problemi strutturali che non dovrebbero nemmeno essere nell'euro. D'altronde, devo ancora vederlo un politico che si spara alla tempia in ossequio dell'austerity. I greci non hanno alternativa se non quella di tagliare, gli altri come la Spagna non stanno affatto facendo a sufficienza: io sono per la scuola austriaca, non accetto alternative keynesiane.

Dovrebbe dirlo alla Fed e al premio Nobel, Paul Krugman, che lunedì scorso ha chiesto a chiare lettere una nuova politica di stimolo fiscale. Per De Noronha la vera preoccupazione a breve sta nel settore bancario, tanto che sta shortando i titoli di cinque grandi istituti: Ubs, Barclays, Unione de banche, Bbva e - udite udite - Intesa Sanpaolo. Il perché è presto detto:

I recenti stress tests mi hanno fatto sbellicare dal ridere. Sotto stress, infatti, i regolatori hanno messo soltanto ciò che le banche ci hanno detto, non ho visto nessuno testare qualcun'altro finché non si è arrivati al punto di non ritorno. Quando guardo alle ratio del Capital Tier 1, vedo cose poste a loro sostegno che non possono essere utilizzate nel corso di una crisi. Il vero Capital 1 ratio di alcune delle maggiori banche è soltanto l'1,7 per cento e per questo motivo sto shortando cinque grandi banche europee. Ho la certezza che la maggioranza degli istituti restino eccessivamente esposti alla leva.

Quindi, avevamo ragione quando definivamo "ridicoli" gli stress test Ue?

I regolatori hanno utilizzato il 6 per cento come soglia per definire il minimo di capital ratio ma quel 6 per cento include assets non cash come tax assets differenziati. Se invece utilizzo solo book equity tangibili quel 6 per cento diventa molto vicino al 2 per cento, un qualcosa che impone una leverage ratio di cinquanta volte. Una situazione poco gestibile nell'attuale situazione economica.

E in tal senso un grosso test per la tenuta dell'eurozona e il suo settore bancario, arriva proprio questo mese di settembre, durante il quale le principali banche irlandesi dovranno ripagare oltre 25 miliardi di debito: i volumi molto bassi delle contrattazioni parlano la lingua di un'attesa carica tanto di speranza quanto di preoccupazione. Insomma, basterà il mercato dei bonds per finanziarsi o sarà necessario ritentare la strada del mercato, fino ad oggi prosciugata da volatilità e mancanza di fiducia?

La crisi del debito di maggio e giugno, d'altronde, ha portato con sé un aumento dei costi per i paesi che vogliono ottenere denaro e anche di quelli del prestito bancario. Il problema è che le preoccupazioni crescenti sulla stato di salute dell'economia irlandese (36 aziende su 100 sono sull'orlo del fallimento, dati riportati dall'Irish Examiner), con tanto di downgrade da parte di Standard&Poor's, hanno fatto schizzare lo spread dei rendimenti tra bond irlandesi e bund tedeschi, situazione che vede quindi le banche costrette a pagare un prezzo maggiore per rifinanziare il loro debito.

«Ora che il mercato obbligazionario sta ripartendo dopo la pausa estiva, c'è grande preoccupazione riguardo la necessità reale per le banche irlandesi e spagnole di emettere durante il mese di settembre e soprattutto riguardo al fatto che quando questo soggetti si presenteranno sul mercato, non è chiaro quale prezzo dovranno pagare», ha dichiarato al Financial Times, Chandra Rajan di Barclays Capital, secondo cui «come tutte le altre banche, anche questi istituti saranno costrette a estendere le scadenze del loro debito ma non si sa quanta estensione sono in grado di gestire».

Per Robert Crossley, analista sui tassi a Citigroup, lo spread che l'Irlanda si trova a pagare potrebbe ulteriormente allargarsi e potrebbe innescare un effetto domino su altri soggetti:

Il potenziale e immediato pericolo è rappresentato dal fatto che le notizie si autoalimentano e noi già intravediamo una nuova spirale sull'Europa periferica. E un ampliamento dello spread, nelle condizioni attuali, potrebbe distribuirsi nei paesi a rischio molto facilmente. Molte banche hanno tratto vantaggio dalla forte domanda e dai bassi costi dei prestiti per vendere bonds negli Stati Uniti ma i banchieri stessi dicono che questa opzione era praticabile solo per le istituzioni più grandi.

Insomma, i giorni che ci dividono dal secondo anniversario del crollo di Lehman Brothers si prospettano tesi. E pericolosamente decisivi. Anche perché, da Oltreoceano, arrivano segnali ulteriormente preoccupanti per la ripresa globale. Come anticipato martedì, il pieno recovery dell'economia americano potrebbe richiedere una decina di anni, stando all'analisi di Carmen M. Reinhart, economista alla Maryland University e storica delle crisi economiche, che ha reso nota la sua tesi nel corso dell'annuale simposio di economia di Jackson Hole, organizzato dalla Fed di Kansas City e che ha visto riuniti 110 tra banchieri centrali e studiosi.

Allen Sinai, co-fondatore dell'azienda di consulenza Decision Economics e decano dell'incontro nel Wyoming, si è definito

preoccupato oggi come non mai per il futuro dell'economia americana. La sfida infatti è unica nel suo genere: bassa crescita in ulteriore diminuzione, tasso di disoccupazione allarmante, un deficit iperbolico e un debito sovrano che ci rende una delle nazioni più fiscalmente irresponsabili del mondo.

In occasione del simposio, Carmen M. Reinhart ha preparato uno studio dal titolo "This time is different: otto secoli di follia finanziaria" nel quale ha esaminato quindici severe crisi finanziarie dalla Seconda Guerra mondiale in poi, oltre alle contrazioni economiche che hanno seguito il crash del 1929, lo shock petrolifero del 1973 e l'esplosione della bolla subprime del 2007. Da questo studio si evince che la decade successiva ad ogni singola crisi ha visto tassi di crescita significativamente bassi e livelli di disoccupazione molto alti.

I prezzi degli immobili hanno avuto bisogno di anno per tornare a livelli di normalità e mediamente ci sono voluti sette anni per cittadini e aziende per ridurre il loro debito e recuperare nei bilanci. Quasi scientificamente, le crisi sono anticipate da un decennio di espansione del credito e del prestito e seguite da periodi di rintracciamento più o meno della stessa durata.

Eventi largamente destabilizzanti come quelli analizzati nel mio studio, producono evidentemente cambiamenti nelle prestazioni degli indicatori macroeconomici chiave sul lungo termine, un periodo che si prolungo molto dalla fine del picco della crisi stessa». Per la Reinhart «il rischio maggiore che stiamo correndo è quello di un'errata percezione che potrebbe essere molto costoso se compiuta dalle autorità fiscale che sovrastimano le prospettive di entrata e dai banchieri centrali che tentano di riportare l'occupazione a un livello irrealisticamente alto».

Le sfide davanti a noi, quindi, sono decisamente epocali. E il margine di errore, questa volta, è davvero ristretto.

P.S. Ieri le Borse hanno festeggiato con rialzi euforici l'inaspettato aumento dell'indice ISM dell'attività manifatturiera Usa,salito al 56,3 punti in agosto dopo il calo nel mese di luglio che aveva fatto parlare di crescita rallentata e rischio di "double-dip". Il livello che potrebbe far scattare i crolli borsistici è a 50 punti, livello che molti analisti e gestori di fondi vedono probabile per ottobre, massimo novembre. In compenso, mentre i trader brindavano, gli insiders - ovvero i grandi investitori - confermavano i timori per crollo a breve: è di oltre 100 milioni di dollari di controvalore, infatti, il numero di azioni vendute dai manager di grandi aziende di Wall Street, 64 dei quali solo dei tre dirigenti principali di Goldman Sachs. Investimenti personali, non per clienti: quelli possono anche andare a schiantarsi contro il muro dei mercati. Chi vede le cose dall'interno, vende e scappa.
di Mauro Bottarelli

04 settembre 2010

Attenzione: allarme economico

E’ da tempo che avverto i lettori sul vicino crollo dell’Economia Statunitense. Il timore di una recessione a doppio picco era già alto dopo l’avvertimento sulla lentezza della crescita dell’economia da parte della Federal Reserve: mancanza di spesa da parte del consumatore bassi profitti delle imprese a Wall Street. E questo avvertimento non tiene neanche conto delle preoccupazioni su una crisi del debito europeo, debito che è sempre più grande, o di un rallentamento dell'economia cinese.

Alcuni indicatori supplementari che avvertono che le cose andranno molto in salita e molto velocemente:

1-L’indice della Federal Reserve di Philadelphia sulla manifatturiera è appena crollato, un 7,7%!. Questo non è solo indicativo di un rallentamento nella crescita della produzione. Per la prima volta in più di un anno, la produzione delle fabbriche negli USA si sta riducendo!

2-Il denaro del governo sta finendo e non ci saranno più “stimoli” per continuare ad iniettarli nell’economia. Nel frattempo, le città e gli stati della nazione stanno navigando in numeri rossi, le città e stati in tutto il paese stanno nuotando in rosso, tanto che per pareggiare i conti stanno chiudendo molte scuole, stazioni dei pompieri e intere divisioni della polizia (caserme NDT). Non è il miglior modoper porre fine alla crisi.

Inoltre, la maggior parte degli economisti sono altrettanto attoniti. Non avevano neanche idea che il numero di disoccupati avrebbe battuto tutti i record in questo momento del “recupero”.

Un esempio: Due settimane fa, tra i 42 economisti interpellati da Bloomerberg, neanche uno solo aveva predetto un grande aumento di richieste degli assegni per la disoccupazione. Ed è che l’aumento avuto la settimana scorsa in termini reali è stata apocalittica: le richieste di tali assegni sono saliti a 500.000, i peggiori numeri in nove mesi.
Per dirlo in un altro modo, oltre ai milioni di disoccupati che ancora non hanno trovato lavoro-anche un anno e più dopo il gran crollo dell’economia- un’ondata completamente nuova di lavoratori licenziati stanno adesso inondando gli uffici di collocamento del governo.

Consigli pratici

In primo luogo, se si hanno soldi, spostare la maggior parte del denaro in luoghi sicuri, in particolare nel breve termine e contanti.
In secondo luogo, non pensare che qualunque banca è sicura o che il governo aiuterà un numero indefinito di banche. Fare affari strettamente con le banche che abbiano le risorse liquide per sopravvivere in tempi difficili, anche senza l’aiuto del governo.

Collasso bancario

Se c’è un settore del mercato di valori che odora di morte, è il settore finanziario. Le azioni bancarie semplicemente non rialzano la testa. Prendi l’indice delle banche KWB(BKX), di 24 delle principali banche degli Stati Uniti. Sono affondate in aprile e maggio e non sono riuscite a recuperare da allora. Di fatto, settimana scorsa, è caduto a nuovi minimi.

Mercati dei bond

Per coloro che desiderino ascoltare, il mercato dei bond sta trasmettendo un messaggio economico importante. Ad esempio, la resa dei buoni del Tesoro a 10 anni è diminuito drasticamente da inizio aprile. Di fatto i rendimenti a 10 anni sono così bassi come a dicembre del 2008, durante il periodo più profondo della grave crisi economica e finanziaria. Questa caduta pronunciata dei rendimenti sta inviando un messaggio terrificante: è l’anticipazione di un’economia in libera caduta.

Crollo del settore immobiliare negli USA

La vendita delle case di seconda mano negli USA è appena stata colpita dal peggior crollo nella storia di mesi, il 27,2%, in quanto l'inventario di case invendute è così grande e la pressione al ribasso sui prezzi delle case così forte che sta provocando uno “sciopero” da parte di compratori in tutto il paese.

Il settore immobiliare è castigato dal cattivo umore dei consumatori statunitensi e degli investitori. L’accesso ad una casa, inoltre, è tagliato dalla scarsità di credito più cronica che si sia mai vista nella nostra vita. Lo stesso succederà con la maggior parte delle aziende nazionali che erano quotate nella borsa negli USA.

Un altro dei fattori che giocano un ruolo importante nel crollo immobiliare e della maggior parte delle aziende degli USA è l’aumento del tasso di disoccupazione. Conclusioni: Il denaro degli investitori di Wall Street è in serio pericolo.

Per i lettori statunitensi:

Disfattevi delle vostre proprietà immobiliari e vendete le azioni delle aziende nordamericane nella Borsa.


di Daniel Estulin

Fonte: www.danielestulin.com

03 settembre 2010

Nessun complottismo ma sul Club Bilderberg serve chiarezza






http://revista-amauta.org/wp-content/uploads/2009/05/bilderberg2.jpg

Questa è la storia di un piccolo, significativo equivoco. Riguarda un’associazione di cui la maggior parte dei lettori non conosce nemmeno l’esistenza: il Bilderberg Group. Sul Corriere della Sera di ieri, Alberto Melloni, recensendo il bel libro di Andrea Tornielli e Paolo Rodari Attacco a Ratzinger (Piemme), mi ha accusato di aver sostenuto tesi complottiste ovvero che la campagna mediatica contro il Papa sia stata orchestrata dal Bilderberg Group.
L’accusa è ingiustificata e fuorviante. Per ragioni che non riesco nemmeno ad immaginare, Melloni ha estrapolato una mia citazione, pubblicata nel saggio di Tornielli e Rodari, senza contestualizzarla e omettendo altre citazioni, più significative. Ad esempio quella in cui, sostengo che è impossibile valutare le tesi sul Bilderberg in quanto «mancano studi credibili su questo misterioso gruppo». L’ho scritto e lo ribadisco: non credo all’esistenza di un Grande Fratello.
Ma non posso non osservare che non appena si affronta l’argomento del Bilderberg scattano dei meccanismi quasi pavloviani. Da un lato c’è chi si esalta nella persuasione di aver scoperto il governo occulto del mondo; d’altro canto c’è chi si indigna e alza muri preventivi, talvolta senza nemmeno sapere cosa sia davvero il Bilderberg e nella presunzione che le élite politiche, finanziarie ed economiche siano composte solo da persone integerrime, disinteressate, esemplari nella difesa delle istituzioni.
La realtà è molto complessa. La globalizzazione provoca la continua erosione della sovranità degli Stati e di istituzioni antiche come la Chiesa cattolica. In quale misura questi fenomeni sono indotti e in quale provocati? Non lo sappiamo. Negli anni Novanta due studiosi cinesi pubblicarono un saggio, Guerra senza limiti, segnalato dal generale Fabio Mini, in cui spiegavano l’importanza cruciale delle «guerre asimmetriche» ovvero del terrorismo, della pirateria sul web e dell’arte di influenzare i media. Chi vuol fare buon giornalismo deve conoscere lo spin, ovvero le tecniche di comunicazione capaci di condizionare non un giornale, ma l’insieme dei mezzi di informazione. Nel saggio Gli stregoni della notizia (Guerini editore, 2006), sostengo la tesi che i giornalisti non sono preparati per capire e neutralizzare lo spin. Per questo Tornielli e Rodari mi hanno interpellato. Una penna autorevole come Nick Davies del Guardian, nel suo Flat Earth news, sostiene la stessa tesi.
Né Davies, né io condividiamo le tesi cospirazioniste. Ma non possiamo nemmeno chiudere gli occhi. Ricordate il Millenium bug? E l’influenza suina? E l’aviaria? False notizie (tra tante altre) che hanno condizionato il mondo, pur essendo montate ad arte. Chi le ha orchestrate? Ancora oggi non lo sappiamo. Ma interrogarsi è doveroso.
Lo stesso approccio dovrebbe valere per il Bilderberg, un club fondato nel 1954 dalla famiglia Rockefeller e che riunisce una volta all’anno alte personalità americane ed europee del mondo della politica, dell’economia e della finanza per analizzare la situazione internazionale. Nulla di anomalo, altre organizzazioni fanno altrettanto. Ma il Bilderberg ha una particolarità: opera nel segreto assoluto. Per cinquant’anni non si è saputo nemmeno che esistesse. Solo di recente ha aperto un sito, anodino peraltro. Non si conoscono le sue finalità, i suoi membri, curiosamente, non vantano l’appartenenza nei curriculum vitae. E quando il Club si riunisce in seduta plenaria i giornalisti che tentano di avvicinarsi vengono cacciati brutalmente.
Sia chiaro: l’ipotesi che sia il vero centro del potere mondiale non regge. È improbabile che circa 150 leader decidano le sorti del pianeta vedendosi una volta all’anno. Ma nell’era della comunicazione non si può nemmeno credere che ministri, banchieri centrali, finanzieri, grandi manager, opinon leader si riuniscano per bere il tè assieme.
È verosimile che il Bilderberg serva soprattutto a creare una rete di contatti tra chi promuove e ha interesse nella globalizzazione. Ma la riservatezza maniacale alimenta il sospetto. E il mistero. Che in democrazia è malsano. È davvero così scandaloso, in un’ottica autenticamente liberale, chiedere di saperne di più?

di Marcello Foa