20 gennaio 2011

2011: una nuova distopia




Due grandi rappresentazioni di un futuro scenario distopico furono “1984” di George Orwell e “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley. Il dibattito, tra coloro che supponevano si stesse andando incontro al totalitarismo corporativo, si incentrava su chi dei due avesse ragione. Saremmo stati, come scriveva Orwell, dominati da repressivi apparati di stato per la sorveglianza e la sicurezza che ricorrevano a forme di controllo dure e violente? Oppure, come immaginava Huxley, ipnotizzati da divertimenti e spettacoli, ammaliati dalla tecnologia e sedotti da consumi sregolati per raggiungere la nostra stessa oppressione? Alla fine sia Orwell, sia Huxley avevano ragione. Huxley aveva previsto il primo stadio della nostra riduzione in schiavitù, Orwell il secondo.

Siamo stati gradualmente espropriati dei nostri diritti da uno stato corporativo che, come previsto da Huxley, ci ha sedotti e manipolati attraverso gratificazione dei sensi, prodotti di massa a buon prezzo, credito sconfinato, teatro della politica e divertimento. Mentre ci distraevamo con intrattenimenti, le regole che prima tenevano sotto controllo il potere predatorio delle corporazioni sono state annientate, le leggi che prima ci tutelavano sono state riscritte e ci siamo ritrovati impoveriti.

Ora che il credito si sta prosciugando, i buoni posti di lavoro per la classe operaia sono finiti per sempre e non ci possiamo più permettere i prodotti di massa, ci ritroviamo trasportati da “Il nuovo mondo” a “1984”. Lo stato, menomato da forti deficit, da una guerra senza fine e dagli atti illeciti delle corporazioni, sta scivolando verso la bancarotta. E’ tempo che il Grande Fratello sorpassi l’universo di Huxley. Stiamo passando da una società in cui veniamo astutamente manipolati da legami ed illusioni ad una in cui siamo apertamente controllati.

Orwell ci metteva in guardia rispetto ad un mondo in cui i libri vengono banditi, mentre Huxley uno in cui nessuno legge libri. Orwell descriveva uno stato di guerra e paura permanenti, Huxley una cultura deviata dal piacere insulso. Orwell dipingeva uno stato in cui conversazioni e pensieri vengono monitorati e il dissenso viene brutalmente punito; Huxley uno stato in cui la popolazione concentrata su banalità e gossip, non si preoccupa più di informarsi e di conoscere la verità. Orwell ci vedeva terrorizzati fino alla sottomissione, Huxley sedotti fino alla sottomissione. Ma la visione di Huxley, stiamo scoprendo, non era che il preludio a quella di Orwell. Huxley aveva capito il processo attraverso il quale noi stessi saremmo stati complici della nostra riduzione in schiavitù. Orwell aveva compreso la schiavitù. Ora che il colpo delle corporazioni è fatto, restiamo nudi ed indifesi. Stiamo iniziando a capire, come aveva intuito Karl Marx, che il capitalismo selvaggio e senza regole è una forza brutale e rivoluzionaria che sfrutta gli esseri umani e le risorse naturali fino all’esaurimento o al collasso.

“Il partito ha solo sete di potere,” scriveva Orwell in “1984.” “Non siamo interessati al bene degli altri; siamo interessati esclusivamente al potere. Non ricchezza, lusso, lunga vita o felicità: solo il puro potere. Cosa significa puro potere, lo comprenderete ora. Siamo diversi rispetto a tutte le oligarchie del passato, perché sappiamo quello che stiamo facendo. Tutti gli altri, persino quelli che ci assomigliavano, erano ipocriti e codardi. I nazisti tedeschi e i comunisti russi si avvicinavano molto a noi nei metodi, ma non ebbero mai il coraggio di riconoscere i veri motivi che li spingevano ad agire. Essi pretendevano, forse persino credevano, di essersi impadroniti del potere di mala voglia e per un tempo limitato, e che appena dietro l’angolo ci fosse un paradiso in cui gli esseri umani sarebbero stati liberi ed uguali. Noi non siamo così. Noi sappiamo che nessuno ottiene il potere con l’intenzione di abbandonarlo. Il potere non è un mezzo; è il fine. Nessuno instaura una dittatura per salvaguardare una rivoluzione; si fa la rivoluzione per stabilire la dittatura. L’oggetto della persecuzione è la persecuzione. L’oggetto della torta è la tortura. L’oggetto del potere è il potere.”

Il filosofo politico Sheldon Wolin usa il termine “totalitarismo invertito” nel suo libro “Democrazia incorporata” per descrivere il nostro sistema politico. E’ un termine che avrebbe senso per Huxley. Nel totalitarismo invertito, le sofisticate tecnologie del controllo corporativo, l’intimidazione e la manipolazione di massa, che superano di gran lunga quelli impiegati dai precedenti totalitarismi, sono effettivamente mascherati dallo scintillio, il rumore e l’abbondanza della società consumistica. La partecipazione politica e le libertà civili decadono gradualmente. Lo stato corporativo, nascondendosi dietro la cortina fumogena dell’industria delle public relations, dell’intrattenimento e dell’appariscente materialismo di una società consumistica, ci divora dall’interno. Non deve fedeltà né a noi, né alla nazione. Banchetta con la nostra carcassa.

Lo stato corporativo non trova la propria espressione in un demagogo o in un leader carismatico. Si definisce per l’anonimato delle sue corporazioni senza volto. Corporazioni, che assoldano rappresentanti attraenti come Barack Obama, controllano la scienza, la tecnologia, l’educazione e la comunicazione di massa. Controllano i messaggi nei film e nella televisione e, così come in “Il mondo nuovo”, usano strumenti di comunicazione per sostenere la tirannia. I nostri sistemi di comunicazione di massa, come scrive Wolin, “bloccano, eliminano tutto ciò che può introdurre qualificazione, ambiguità o dialogo, tutto ciò che rischia di indebolire o mettere in crisi la forza olistica della loro creazione nella sua espressione totale”

Il risultato è un sistema di informazione monocromatico. Celebrità allineate, mascherandosi da giornalisti, esperti e specialisti, identificano i nostri problemi e illustrano pazientemente i parametri. Tutti quelli che esprimono opinioni diverse rispetto ai parametri imposti vengono messi da parte in quanto irrilevanti spostati, estremisti o esponenti della sinistra radicale. Sociologi prescienti, come Ralph Nader e Noam Chomsky, vengono messi a tacere. Le opinioni accettabili vanno da A a B. La cultura, sotto il controllo di questi personaggi allineati, diventa, come Huxley aveva evidenziato, un mondo di allegro conformismo e di sconfinato, e infine fatale, ottimismo. Ci impegniamo ad acquistare prodotti che promettono di trasformare le nostre vite, renderci più attraenti, sicuri di noi stessi o capaci di collezionare successi, mentre invece veniamo continuamente privati dei nostri diritti, del nostro denaro e della nostra influenza. Tutti i messaggi che ci arrivano, sia dalle news della notte o dai talk show come “Oprah” (condotto dall’opinion leader Oprah Winfrey, che ha largo seguito negli USA n.d.r.), promettono un futuro felice e meraviglioso. E questo, come sottolinea Wolin, è “la stessa ideologia che induce i funzionari delle corporazioni a esagerare i profitti e celare le perdite, ma sempre con un’espressione solare.” Siamo stati ipnotizzati, come scrive Wolin “da continui progressi tecnologici” che “ci incoraggiano ad elaborare fantasie di valore individuale, eterna giovinezza, bellezza ottenuta tramite chirurgia, azioni misurate in nanosecondi: una cultura illusoria del controllo e delle sempre crescenti possibilità, i cui esponenti lavorano di fantasia, poiché la vasta maggioranza ha una fervida immaginazione, ma ben scarse conoscenze scientifiche”.

La nostra base produttiva è stata distrutta. Speculatori e imbroglioni hanno saccheggiato le finanze statunitensi e rubato miliardi ai piccoli risparmiatori che avevano accantonato denaro per la pensione o il college. Le libertà civili, compreso l’habeas corpus (Norma giudiziaria del diritto inglese e nord-americano, per la quale l'arrestato deve immediatamente comparire davanti al giudice perché questi decida sulla validità dell'arresto e sulla possibilità della sua scarcerazione dietro cauzione n.d.r.) e la protezione dalle intercettazioni telefoniche non autorizzate, sono spariti. I servizi basilari, compresa l’educazione pubblica e la sanità, sono stati trasferiti alle corporazioni affinché ne traggano profitto. I pochi che dissentono, che rifiutano di lasciarsi coinvolgere nell’allegro discorso corporativo, vengono additati dall’establishment corporativo come stravaganti.

Opinioni e caratteri sono stati astutamente costruiti dallo stato corporativo, come per gli influenzabili personaggi di Huxley in “Il nuovo mondo”. Il protagonista del libro, Bernard Marx, si rivolge frustrato alla fidanzata Lenina, chiedendole:

“Non vorresti essere libera, Lenina?”

“Non capisco cosa intendi. Sono libera, libera di spassarmela. Tutti sono felici al giorno d’oggi.”

Rise, “Si, ‘Tutti sono felici al giorno d’oggi’ Questo lasciamo ai figli. Ma non vorresti essere libera di essere felice in qualche altro modo, Lenina? Alla tua maniera, per esempio; non come tutti gli altri.”

“Non capisco cosa intendi,” ripeté.

La facciata si sta sgretolando. Sempre più persone si rendono conto di essere state usate e derubate, stiamo scivolando da “Il mondo nuovo” di Huxley al “1984” di Orwell. L’opinione pubblica, ad un certo punto, si troverà a fronteggiare realtà molto spiacevoli. I lavori ben pagati non torneranno. I grandi deficit nella storia dell’uomo significano che siamo intrappolati in un sistema di lavoro forzato a risarcimento di un debito che lo stato corporativo utilizzerà per sradicare le vestigia della tutela sociale per i cittadini, compresa l’assistenza sociale. Lo stato è passato dalla democrazia capitalistica al neofeudalesimo. E quando queste verità diventeranno palesi, la rabbia sostituirà l’allegro conformismo imposto dallo stato corporativo. La desolazione dei nostri portafogli postindustriali, con 40 milioni di americani che vivono in povertà e altri 10 milioni in uno stato di “semipovertà”, abbinata all’assenza di credito per salvare le famiglie dalle ipoteche, dal reimpossessamento delle banche e dalla bancarotta dovuta ai costi del sistema sanitario, significano che il totalitarismo invertito non potrà funzionare per molto.

Viviamo sempre più nell’Oceania di Orwell piuttosto che nello Stato Mondiale di Huxley. Osama Bin Laden ricopre il ruolo di Emmanuel Goldstein in “1984”. Goldstein, nel romanzo, è la faccia pubblica del terrore. Le sue macchinazioni diaboliche e le azioni clandestine di violenza dominano i tg della sera. L’immagine di Goldstein appare quotidianamente sugli schermi televisivi di Oceania in quanto parte del quotidiano rituale nazionale “due minuti di odio”. E senza l’intervento dello stato, Goldstein, così come Bin Laden, vi ucciderà. Tutti gli eccessi sono giustificati nella lotta titanica contro il male personificato.

La tortura psicologica del soldato Bradley Manning (22enne americano sospettato di essere il responsabile della fuga di notizie dietro le rivelazioni di Wikileaks n.d.r.) – che è imprigionato da sette mesi pur non essendo accusato di alcun crimine – rispecchia la situazione del dissidente Winston Smith alla fine di “1984”. Manning è detenuto in regime di massima sicurezza presso la base dei Marines di Quantico, in Virginia. Trascorre 23 ore al giorno da solo. Non può fare esercizi fisici. Non può avere né cuscino, né lenzuola per il letto. I medici dell’esercito lo imbottiscono di antidepressivi. Le rudi forme di tortura della Gestapo sono state rimpiazzate dalle più fini tecniche orwelliane, sviluppate da psicologi assoldati dai governi per ridurre in vegetali i dissidenti come Manning. Distruggiamo le anime, così come i corpi. E’ più efficace. Ora possiamo essere tutti rinchiusi nella temibile stanza 101 di Orwell per diventare innocui e condiscendenti. Queste “particolari misure amministrative” vengono regolarmente imposte ai nostri dissidenti, compreso Syed Fahad Hashmi, imprigionato in condizioni simili per tre anni prima di essere processato. Queste tecniche hanno menomato la psiche di migliaia di prigionieri nei nostri “black sites” in tutto il mondo. Sono la nostra principale forma di controllo nei carceri di massima sicurezza dove lo stato corporativo combatte il nostro sottoproletariato politicamente più scaltro – gli Afroamericani. Tutto è presagio del passaggio da Huxley a Orwell.

“Non sarai mai più in grado di provare sentimenti umani,” dice il suo aguzzino a Winston Smith in “1984”. “E’ tutto morto dentro di te. Non sarai più capace di amare, di provare amicizia, gioia di vivere, allegria, curiosità, coraggio o integrità morale. Sarai svuotato. Potremmo strizzarti e riempirti di noi stessi”

Il nodo scorsoio si sta stringendo. L’era del divertimento sta per essere sostituita da quella della repressione. Decine di milioni di cittadini hanno avuto mail e telefoni controllati dal governo. Siamo i cittadini più monitorati e spiati della storia. Molti di noi vengono ripresi nella loro routine quotidiana da dozzine di telecamere di sicurezza. Le nostre inclinazioni e abitudini vengono registrate su Internet. I nostri profili vengono generati in modalità elettronica. I nostri corpi vengono perquisiti in aeroporto e filmati da scanner. Annunci nei locali pubblici, carte di circolazione, cartelli alle fermate dei mezzi pubblici ci invitano continuamente a denunciare attività sospette. Il nemico è ovunque.

Chi non si conforma con i dettami della guerra al terrore, una guerra che, come notava Orwell, è infinita, viene brutalmente messo a tacere. Le misure di sicurezza draconiane impiegate per sedare le proteste durante il G20 a Pittsburgh e Toronto erano completamente sproporzionate rispetto al livello delle attività in strada. Ma hanno lanciato un messaggio chiaro – NON PROVATECI. Le azioni dell’FBI mirate nei confronti di attivisti palestinesi contrari alla guerra, nelle cui case di Minneapolis e Chicago hanno fatto irruzione gli agenti a fine settembre, sono un presagio di ciò che accadrà a chiunque oserà sfidare la Neolingua ufficiale dello stato. Gli agenti – la nostra Psicopolizia – hanno sequestrato telefoni, computer e altri effetti personali. Sono stati emessi mandati di comparizione per 26 persone che dovranno presentarsi davanti al Grand Jury. Questi mandati di comparizione si rifanno a una legge federale che vieta di “fornire materiale o risorse di supporto a quelle definite come organizzazioni terroristiche straniere”. Il terrore, anche per coloro che non ne sono minimamente coinvolti, diventa il corpo contundente con cui il Grande Fratello ci protegge da noi stessi.

“Inizi a vedere, ora, quale mondo stiamo realizzando?” scriveva Orwell. “E’ esattamente l’opposto della stupida edonistica Utopia che immaginavano i vecchi riformatori. Un mondo di paura, slealtà e tortura, in cui si calpesta e si viene calpestati, un mondo che, nel ridefinirsi, non diminuisce, bensì accresce la propria spietatezza.”
di Chris Hedges


Fonte: www.truthdig.com

19 gennaio 2011

La Cina detta le condizioni per salvare il dollaro


Il pugno: «Il sistema valutario internazionale dominato dal dollaro è un prodotto del passato» . La carezza: «Il renminbi sta dando un grosso contributo allo sviluppo economico mondiale, ma la sua trasformazione in una moneta internazionale comporta un processo dai tempi molto lunghi» . Il ruolo del dollaro come moneta di riserva del mondo, insomma, per ora non è minacciato. Le parole scritte dal presidente cinese Hu Jintao in risposta alle domande dei giornali Usa alla vigilia della sua visita ufficiale a Washington che inizia stasera, accentuano la frustrazione degli americani, la sensazione di essere ormai trattati dalla Cina come una potenza in declino. Siamo veramente alla vigilia di cambiamenti epocali? È vicino il giorno in cui pagheremo il petrolio in yuan (l’altro nome della moneta cinese) anziché in dollari? L’atteggiamento di Pechino non è certamente più quello umile esibito da Deng Xiaoping quando, trent’anni fa, aprì la Cina all’economia di mercato Pechino, né quello, prudente, che lo stesso Hu esibì nella visita ufficiale del 2006 in un’America ancora governata da Bush e non ancora travolta dalla tempesta finanziaria. Ma le sue parole di oggi, benché indigeste per il grande pubblico, non colpiscono più di tanto i mercati e l’amministrazione Obama. Che, dopo aver passato inutilmente tutto il 2010 a chiedere una rapida rivalutazione della moneta cinese, nei prossimi giorni incalzerà Hu soprattutto sulle questioni commerciali, le violazioni della proprietà intellettuale, gli ostacoli frapposti all’attività delle imprese americane che operano in Cina, il sistematico assistenzialismo di Stato di Pechino che altera la concorrenza. Si va facendo strada l’idea che, se non accettano di smettere di sostenere l’export tenendo lo yuan artificialmente basso, i cinesi la riduzione di competitività delle loro merci la subiranno attraverso un aumento dell’inflazione. Già oggi, del resto, a fronte di una rivalutazione delle monete dei Paesi emergenti rispetto al dollaro negli ultimi 24 mesi è stata del 40%per il real brasiliano, del 47%per il rand sudafricano e del 22%per won sudcoreano e rupia indonesiana, lo yuan ha recuperato solo il 3,6%. Ma, se si calcolano anche i differenziali d'inflazione, si arriva a un recupero di competitività a favore degli Usa del 10%. Per questo Obama, al momento di aprire il dossier economico del vertice, insisterà più sulle condizioni di accesso al mercato cinese e sulla creazione di posti di lavoro per le imprese americane, che sullo yuan. Sulle valute i margini d’intervento sono minimi: i mercati sanno che il gigante asiatico vuole diventare una potenza finanziaria capace di sganciarsi gradualmente dal dollaro, valuta nella quale oggi investe gran parte delle sue riserve. Con poco entusiasmo, viste le (criticatissime) politiche espansive della Federal Reserve che tiene bassi tanto i tassi d’interesse (e, quindi, i rendimenti) quanto le quotazioni del biglietto verde. Qui la domanda non è se Pechino cercherà di fare concorrenza a dollaro ed euro con uno yuan pienamente convertibile, ma quando e come. Le prime risposte sono venute nei mesi scorsi con le proposte delle autorità monetarie di Pechino di sostituire gradualmente il dollaro con una «valuta sintetica» , una sorta di paniere composto dalle principali monete mondiali, yuan compreso. Un altro passo è stato fatto la scorsa settimana quando il governo cinese ha autorizzato le sue società a usare lo yuan in transazioni effettuate all’estero per finanziare i loro investimenti. È un passaggio importante, come la creazione a Hong Kong di un mercato basato su prodotti finanziari denominati in yuan aperto agli investitori stranieri. Ma per decollare davvero, questa moneta dovrà non solo essere convertibile, ma dovrà rappresentare un’economia davvero affidabile. Oggi la Cina «fabbrica del mondo» che accumula riserve, finanzia il debito pubblico Usa e si offre di salvare l’euro, sembra solidissima. Molti economisti notano, però, che, in un mondo ormai totalmente interconnesso, il suo modello non è meno fragile di quello americano: «La Cina» spiega Nouriel Roubini su Newsweek, «può crescere rapidamente solo se i Paesi ricchi spendono più di quello che producono e accumulano grandi deficit. Ora che Usa e il resto dell’Occidente spendono meno e cercano di ridurre i debiti, la Cina forza la crescita non sostenendo (come dovrebbe) i consumi dei cittadini, ma spingendo l’acceleratore degli investimenti immobiliari, infrastrutturali e industriali per aumentare ulteriormente la capacità produttiva» . Un modello insostenibile che, se non verrà corretto, porterà allo scoppio di una bolla che certo non invoglierà i risparmiatori a scommettere sulla moneta cinese. Così stando le cose e visto che Hu non vuole o non può fare molto sul piano valutario (l’anno scorso aveva promesso una rivalutazione graduale del renminbi, ma era stato subito «corretto» da altri leader di Pechino, quest’anno ha già messo le mani avanti), a Obama non resta che puntare sulla difesa delle imprese Usa. Usando anche l’arma di un Congresso che minaccia ritorsioni protezioniste. Hu, che nel corso della sia visita andrà anche a Chicago a incontrare i capi della Boeing e a visitare investimenti cinesi negli Usa nel campo del risparmio energetico e dei componenti per auto, sicuramente annuncerà qualche affare come l’acquisto di nuovi aerei, carne e prodotti agricoli. Dovranno essere affari molto grossi per intaccare lo scetticismo americano, visto che il deficit commerciale Usa con la Cina ha superato i 250 miliardi di dollari.
di Massimo Gaggi

18 gennaio 2011

La Cina gioca la carta dell'Euro




Sepolto a pagina 3 della pagina economica del New York Times del 7 gennaio c'era un articolo che segnalava che la Cina si era impegnata ad acquistare bond spagnoli per un valore di 6 miliardi di euro (7,8 miliardi di dollari). Quel che il giornalista non ha notato è l'ampia portata delle conseguenze politiche ed economiche che quest'evento potrebbe avere.

La Cina attualmente detiene 2700 miliardi di dollari in riserve valutarie, oltre 900 miliardi dei quali sotto forma di debiti del Tesoro americano. Per anni i critici della politica monetaria degli Stati Uniti hanno sostenuto che in risposta ai bassi rendimenti sui titoli del Tesoro statunitense e al rischio di un declino precipitoso del valore del dollaro la Cina potrebbe staccare la spina ai suoi investimenti sulla Tesoreria americana. Altri sostengono che ciò non accadrà mai perché l'economia cinese è così dipendente dalle esportazioni verso gli Stati Uniti che esse potrebbero cessare se la Cina con le proprie azioni dovesse innescare un collasso dell'economia statunitense.

Nel contempo, la Casa Bianca continua ad assillare la Cina riguardo al suo record (di violazione) dei diritti umani, oltre a sostenere che il valore della valuta cinese, lo yuan, sia gonfiato.
Quando la Cina si è rifiutata di permettere al Premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo di andare ad Oslo per ricevere il premio è stata oggetto di numerose critiche da parte di Washington.

In una serie di recenti visite nelle capitali europee il vice primo ministro esecutivo cinese Li Keqiang ha promesso il sostegno cinese alle economie dell'Unione Europea. Promettendo di comprare obbligazioni per miliardi di euro e impegnandosi per altri miliardi in accordi economici con gli europei, Pechino potrebbe star avvisando Washington che la misura è colma. Investendo nelle economie europee, la Cina rafforza uno dei suoi altri mercati di esportazioni più importanti e si rende meno dipendente dagli Stati Uniti.

E' interessante il fatto che i bond spagnoli dovrebbero essere il primo investimento su Stati facenti parte dell'euro fatto dalla Cina. La Spagna è senza dubbio il paese più indipendente dell'Unione Europea. Il suo primo ministro, José Luis Rodriguez Zapatero, è l'unico leader in Europa che ha il coraggio di resistere a Washington, a Tel Aviv e al Vaticano. Il governo socialista spagnolo è anche il più orientato a sinistra nell'Europa di oggi.

La Spagna ha significative partecipazioni strategiche in America Latina e in Africa, due parti del mondo in cui la Cina vorrebbe espandere la sua influenza nel quadro della ricerca di petrolio e di altre risorse naturali. Giocare la carta spagnola è stato un colpo di genio da parte di Pechino.

Credo che ci siano due motivi per cui Washington non abbia ceduto alle pressioni israeliane per smantellare il programma nucleare iraniano. In primo luogo, la Russia potrebbe danneggiare gravemente l'economia europea se dovesse tagliare le forniture di gas naturale verso l'Europa per rappresaglia. In secondo luogo la Cina potrebbe accelerare il collasso dell'economia statunitense abbandonando i buoni del Tesoro americano. Intervenendo per aiutare salvare l'Unione europea, la Cina dimostra che la minaccia di staccare la spina sui propri investimenti in titoli del Tesoro USA è credibile.

L'unica cosa sorprendente della mossa della Cina sull'Europa è che essa non sia avvenuta prima.
Ma il messaggio di Pechino a Washington è forte e chiaro: "Non scherzate con noi, né con l'Iran."

di Thomas H. Naylor

Thomas H. Naylor è professore emerito di economia alla Duke University. E' co-autore di “Ridimensionare degli Stati Uniti” e “La generazione abbandonata: ripensare l'istruzione superiore” nonché co-fondatore dell'Istituto Middlebury.

20 gennaio 2011

2011: una nuova distopia




Due grandi rappresentazioni di un futuro scenario distopico furono “1984” di George Orwell e “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley. Il dibattito, tra coloro che supponevano si stesse andando incontro al totalitarismo corporativo, si incentrava su chi dei due avesse ragione. Saremmo stati, come scriveva Orwell, dominati da repressivi apparati di stato per la sorveglianza e la sicurezza che ricorrevano a forme di controllo dure e violente? Oppure, come immaginava Huxley, ipnotizzati da divertimenti e spettacoli, ammaliati dalla tecnologia e sedotti da consumi sregolati per raggiungere la nostra stessa oppressione? Alla fine sia Orwell, sia Huxley avevano ragione. Huxley aveva previsto il primo stadio della nostra riduzione in schiavitù, Orwell il secondo.

Siamo stati gradualmente espropriati dei nostri diritti da uno stato corporativo che, come previsto da Huxley, ci ha sedotti e manipolati attraverso gratificazione dei sensi, prodotti di massa a buon prezzo, credito sconfinato, teatro della politica e divertimento. Mentre ci distraevamo con intrattenimenti, le regole che prima tenevano sotto controllo il potere predatorio delle corporazioni sono state annientate, le leggi che prima ci tutelavano sono state riscritte e ci siamo ritrovati impoveriti.

Ora che il credito si sta prosciugando, i buoni posti di lavoro per la classe operaia sono finiti per sempre e non ci possiamo più permettere i prodotti di massa, ci ritroviamo trasportati da “Il nuovo mondo” a “1984”. Lo stato, menomato da forti deficit, da una guerra senza fine e dagli atti illeciti delle corporazioni, sta scivolando verso la bancarotta. E’ tempo che il Grande Fratello sorpassi l’universo di Huxley. Stiamo passando da una società in cui veniamo astutamente manipolati da legami ed illusioni ad una in cui siamo apertamente controllati.

Orwell ci metteva in guardia rispetto ad un mondo in cui i libri vengono banditi, mentre Huxley uno in cui nessuno legge libri. Orwell descriveva uno stato di guerra e paura permanenti, Huxley una cultura deviata dal piacere insulso. Orwell dipingeva uno stato in cui conversazioni e pensieri vengono monitorati e il dissenso viene brutalmente punito; Huxley uno stato in cui la popolazione concentrata su banalità e gossip, non si preoccupa più di informarsi e di conoscere la verità. Orwell ci vedeva terrorizzati fino alla sottomissione, Huxley sedotti fino alla sottomissione. Ma la visione di Huxley, stiamo scoprendo, non era che il preludio a quella di Orwell. Huxley aveva capito il processo attraverso il quale noi stessi saremmo stati complici della nostra riduzione in schiavitù. Orwell aveva compreso la schiavitù. Ora che il colpo delle corporazioni è fatto, restiamo nudi ed indifesi. Stiamo iniziando a capire, come aveva intuito Karl Marx, che il capitalismo selvaggio e senza regole è una forza brutale e rivoluzionaria che sfrutta gli esseri umani e le risorse naturali fino all’esaurimento o al collasso.

“Il partito ha solo sete di potere,” scriveva Orwell in “1984.” “Non siamo interessati al bene degli altri; siamo interessati esclusivamente al potere. Non ricchezza, lusso, lunga vita o felicità: solo il puro potere. Cosa significa puro potere, lo comprenderete ora. Siamo diversi rispetto a tutte le oligarchie del passato, perché sappiamo quello che stiamo facendo. Tutti gli altri, persino quelli che ci assomigliavano, erano ipocriti e codardi. I nazisti tedeschi e i comunisti russi si avvicinavano molto a noi nei metodi, ma non ebbero mai il coraggio di riconoscere i veri motivi che li spingevano ad agire. Essi pretendevano, forse persino credevano, di essersi impadroniti del potere di mala voglia e per un tempo limitato, e che appena dietro l’angolo ci fosse un paradiso in cui gli esseri umani sarebbero stati liberi ed uguali. Noi non siamo così. Noi sappiamo che nessuno ottiene il potere con l’intenzione di abbandonarlo. Il potere non è un mezzo; è il fine. Nessuno instaura una dittatura per salvaguardare una rivoluzione; si fa la rivoluzione per stabilire la dittatura. L’oggetto della persecuzione è la persecuzione. L’oggetto della torta è la tortura. L’oggetto del potere è il potere.”

Il filosofo politico Sheldon Wolin usa il termine “totalitarismo invertito” nel suo libro “Democrazia incorporata” per descrivere il nostro sistema politico. E’ un termine che avrebbe senso per Huxley. Nel totalitarismo invertito, le sofisticate tecnologie del controllo corporativo, l’intimidazione e la manipolazione di massa, che superano di gran lunga quelli impiegati dai precedenti totalitarismi, sono effettivamente mascherati dallo scintillio, il rumore e l’abbondanza della società consumistica. La partecipazione politica e le libertà civili decadono gradualmente. Lo stato corporativo, nascondendosi dietro la cortina fumogena dell’industria delle public relations, dell’intrattenimento e dell’appariscente materialismo di una società consumistica, ci divora dall’interno. Non deve fedeltà né a noi, né alla nazione. Banchetta con la nostra carcassa.

Lo stato corporativo non trova la propria espressione in un demagogo o in un leader carismatico. Si definisce per l’anonimato delle sue corporazioni senza volto. Corporazioni, che assoldano rappresentanti attraenti come Barack Obama, controllano la scienza, la tecnologia, l’educazione e la comunicazione di massa. Controllano i messaggi nei film e nella televisione e, così come in “Il mondo nuovo”, usano strumenti di comunicazione per sostenere la tirannia. I nostri sistemi di comunicazione di massa, come scrive Wolin, “bloccano, eliminano tutto ciò che può introdurre qualificazione, ambiguità o dialogo, tutto ciò che rischia di indebolire o mettere in crisi la forza olistica della loro creazione nella sua espressione totale”

Il risultato è un sistema di informazione monocromatico. Celebrità allineate, mascherandosi da giornalisti, esperti e specialisti, identificano i nostri problemi e illustrano pazientemente i parametri. Tutti quelli che esprimono opinioni diverse rispetto ai parametri imposti vengono messi da parte in quanto irrilevanti spostati, estremisti o esponenti della sinistra radicale. Sociologi prescienti, come Ralph Nader e Noam Chomsky, vengono messi a tacere. Le opinioni accettabili vanno da A a B. La cultura, sotto il controllo di questi personaggi allineati, diventa, come Huxley aveva evidenziato, un mondo di allegro conformismo e di sconfinato, e infine fatale, ottimismo. Ci impegniamo ad acquistare prodotti che promettono di trasformare le nostre vite, renderci più attraenti, sicuri di noi stessi o capaci di collezionare successi, mentre invece veniamo continuamente privati dei nostri diritti, del nostro denaro e della nostra influenza. Tutti i messaggi che ci arrivano, sia dalle news della notte o dai talk show come “Oprah” (condotto dall’opinion leader Oprah Winfrey, che ha largo seguito negli USA n.d.r.), promettono un futuro felice e meraviglioso. E questo, come sottolinea Wolin, è “la stessa ideologia che induce i funzionari delle corporazioni a esagerare i profitti e celare le perdite, ma sempre con un’espressione solare.” Siamo stati ipnotizzati, come scrive Wolin “da continui progressi tecnologici” che “ci incoraggiano ad elaborare fantasie di valore individuale, eterna giovinezza, bellezza ottenuta tramite chirurgia, azioni misurate in nanosecondi: una cultura illusoria del controllo e delle sempre crescenti possibilità, i cui esponenti lavorano di fantasia, poiché la vasta maggioranza ha una fervida immaginazione, ma ben scarse conoscenze scientifiche”.

La nostra base produttiva è stata distrutta. Speculatori e imbroglioni hanno saccheggiato le finanze statunitensi e rubato miliardi ai piccoli risparmiatori che avevano accantonato denaro per la pensione o il college. Le libertà civili, compreso l’habeas corpus (Norma giudiziaria del diritto inglese e nord-americano, per la quale l'arrestato deve immediatamente comparire davanti al giudice perché questi decida sulla validità dell'arresto e sulla possibilità della sua scarcerazione dietro cauzione n.d.r.) e la protezione dalle intercettazioni telefoniche non autorizzate, sono spariti. I servizi basilari, compresa l’educazione pubblica e la sanità, sono stati trasferiti alle corporazioni affinché ne traggano profitto. I pochi che dissentono, che rifiutano di lasciarsi coinvolgere nell’allegro discorso corporativo, vengono additati dall’establishment corporativo come stravaganti.

Opinioni e caratteri sono stati astutamente costruiti dallo stato corporativo, come per gli influenzabili personaggi di Huxley in “Il nuovo mondo”. Il protagonista del libro, Bernard Marx, si rivolge frustrato alla fidanzata Lenina, chiedendole:

“Non vorresti essere libera, Lenina?”

“Non capisco cosa intendi. Sono libera, libera di spassarmela. Tutti sono felici al giorno d’oggi.”

Rise, “Si, ‘Tutti sono felici al giorno d’oggi’ Questo lasciamo ai figli. Ma non vorresti essere libera di essere felice in qualche altro modo, Lenina? Alla tua maniera, per esempio; non come tutti gli altri.”

“Non capisco cosa intendi,” ripeté.

La facciata si sta sgretolando. Sempre più persone si rendono conto di essere state usate e derubate, stiamo scivolando da “Il mondo nuovo” di Huxley al “1984” di Orwell. L’opinione pubblica, ad un certo punto, si troverà a fronteggiare realtà molto spiacevoli. I lavori ben pagati non torneranno. I grandi deficit nella storia dell’uomo significano che siamo intrappolati in un sistema di lavoro forzato a risarcimento di un debito che lo stato corporativo utilizzerà per sradicare le vestigia della tutela sociale per i cittadini, compresa l’assistenza sociale. Lo stato è passato dalla democrazia capitalistica al neofeudalesimo. E quando queste verità diventeranno palesi, la rabbia sostituirà l’allegro conformismo imposto dallo stato corporativo. La desolazione dei nostri portafogli postindustriali, con 40 milioni di americani che vivono in povertà e altri 10 milioni in uno stato di “semipovertà”, abbinata all’assenza di credito per salvare le famiglie dalle ipoteche, dal reimpossessamento delle banche e dalla bancarotta dovuta ai costi del sistema sanitario, significano che il totalitarismo invertito non potrà funzionare per molto.

Viviamo sempre più nell’Oceania di Orwell piuttosto che nello Stato Mondiale di Huxley. Osama Bin Laden ricopre il ruolo di Emmanuel Goldstein in “1984”. Goldstein, nel romanzo, è la faccia pubblica del terrore. Le sue macchinazioni diaboliche e le azioni clandestine di violenza dominano i tg della sera. L’immagine di Goldstein appare quotidianamente sugli schermi televisivi di Oceania in quanto parte del quotidiano rituale nazionale “due minuti di odio”. E senza l’intervento dello stato, Goldstein, così come Bin Laden, vi ucciderà. Tutti gli eccessi sono giustificati nella lotta titanica contro il male personificato.

La tortura psicologica del soldato Bradley Manning (22enne americano sospettato di essere il responsabile della fuga di notizie dietro le rivelazioni di Wikileaks n.d.r.) – che è imprigionato da sette mesi pur non essendo accusato di alcun crimine – rispecchia la situazione del dissidente Winston Smith alla fine di “1984”. Manning è detenuto in regime di massima sicurezza presso la base dei Marines di Quantico, in Virginia. Trascorre 23 ore al giorno da solo. Non può fare esercizi fisici. Non può avere né cuscino, né lenzuola per il letto. I medici dell’esercito lo imbottiscono di antidepressivi. Le rudi forme di tortura della Gestapo sono state rimpiazzate dalle più fini tecniche orwelliane, sviluppate da psicologi assoldati dai governi per ridurre in vegetali i dissidenti come Manning. Distruggiamo le anime, così come i corpi. E’ più efficace. Ora possiamo essere tutti rinchiusi nella temibile stanza 101 di Orwell per diventare innocui e condiscendenti. Queste “particolari misure amministrative” vengono regolarmente imposte ai nostri dissidenti, compreso Syed Fahad Hashmi, imprigionato in condizioni simili per tre anni prima di essere processato. Queste tecniche hanno menomato la psiche di migliaia di prigionieri nei nostri “black sites” in tutto il mondo. Sono la nostra principale forma di controllo nei carceri di massima sicurezza dove lo stato corporativo combatte il nostro sottoproletariato politicamente più scaltro – gli Afroamericani. Tutto è presagio del passaggio da Huxley a Orwell.

“Non sarai mai più in grado di provare sentimenti umani,” dice il suo aguzzino a Winston Smith in “1984”. “E’ tutto morto dentro di te. Non sarai più capace di amare, di provare amicizia, gioia di vivere, allegria, curiosità, coraggio o integrità morale. Sarai svuotato. Potremmo strizzarti e riempirti di noi stessi”

Il nodo scorsoio si sta stringendo. L’era del divertimento sta per essere sostituita da quella della repressione. Decine di milioni di cittadini hanno avuto mail e telefoni controllati dal governo. Siamo i cittadini più monitorati e spiati della storia. Molti di noi vengono ripresi nella loro routine quotidiana da dozzine di telecamere di sicurezza. Le nostre inclinazioni e abitudini vengono registrate su Internet. I nostri profili vengono generati in modalità elettronica. I nostri corpi vengono perquisiti in aeroporto e filmati da scanner. Annunci nei locali pubblici, carte di circolazione, cartelli alle fermate dei mezzi pubblici ci invitano continuamente a denunciare attività sospette. Il nemico è ovunque.

Chi non si conforma con i dettami della guerra al terrore, una guerra che, come notava Orwell, è infinita, viene brutalmente messo a tacere. Le misure di sicurezza draconiane impiegate per sedare le proteste durante il G20 a Pittsburgh e Toronto erano completamente sproporzionate rispetto al livello delle attività in strada. Ma hanno lanciato un messaggio chiaro – NON PROVATECI. Le azioni dell’FBI mirate nei confronti di attivisti palestinesi contrari alla guerra, nelle cui case di Minneapolis e Chicago hanno fatto irruzione gli agenti a fine settembre, sono un presagio di ciò che accadrà a chiunque oserà sfidare la Neolingua ufficiale dello stato. Gli agenti – la nostra Psicopolizia – hanno sequestrato telefoni, computer e altri effetti personali. Sono stati emessi mandati di comparizione per 26 persone che dovranno presentarsi davanti al Grand Jury. Questi mandati di comparizione si rifanno a una legge federale che vieta di “fornire materiale o risorse di supporto a quelle definite come organizzazioni terroristiche straniere”. Il terrore, anche per coloro che non ne sono minimamente coinvolti, diventa il corpo contundente con cui il Grande Fratello ci protegge da noi stessi.

“Inizi a vedere, ora, quale mondo stiamo realizzando?” scriveva Orwell. “E’ esattamente l’opposto della stupida edonistica Utopia che immaginavano i vecchi riformatori. Un mondo di paura, slealtà e tortura, in cui si calpesta e si viene calpestati, un mondo che, nel ridefinirsi, non diminuisce, bensì accresce la propria spietatezza.”
di Chris Hedges


Fonte: www.truthdig.com

19 gennaio 2011

La Cina detta le condizioni per salvare il dollaro


Il pugno: «Il sistema valutario internazionale dominato dal dollaro è un prodotto del passato» . La carezza: «Il renminbi sta dando un grosso contributo allo sviluppo economico mondiale, ma la sua trasformazione in una moneta internazionale comporta un processo dai tempi molto lunghi» . Il ruolo del dollaro come moneta di riserva del mondo, insomma, per ora non è minacciato. Le parole scritte dal presidente cinese Hu Jintao in risposta alle domande dei giornali Usa alla vigilia della sua visita ufficiale a Washington che inizia stasera, accentuano la frustrazione degli americani, la sensazione di essere ormai trattati dalla Cina come una potenza in declino. Siamo veramente alla vigilia di cambiamenti epocali? È vicino il giorno in cui pagheremo il petrolio in yuan (l’altro nome della moneta cinese) anziché in dollari? L’atteggiamento di Pechino non è certamente più quello umile esibito da Deng Xiaoping quando, trent’anni fa, aprì la Cina all’economia di mercato Pechino, né quello, prudente, che lo stesso Hu esibì nella visita ufficiale del 2006 in un’America ancora governata da Bush e non ancora travolta dalla tempesta finanziaria. Ma le sue parole di oggi, benché indigeste per il grande pubblico, non colpiscono più di tanto i mercati e l’amministrazione Obama. Che, dopo aver passato inutilmente tutto il 2010 a chiedere una rapida rivalutazione della moneta cinese, nei prossimi giorni incalzerà Hu soprattutto sulle questioni commerciali, le violazioni della proprietà intellettuale, gli ostacoli frapposti all’attività delle imprese americane che operano in Cina, il sistematico assistenzialismo di Stato di Pechino che altera la concorrenza. Si va facendo strada l’idea che, se non accettano di smettere di sostenere l’export tenendo lo yuan artificialmente basso, i cinesi la riduzione di competitività delle loro merci la subiranno attraverso un aumento dell’inflazione. Già oggi, del resto, a fronte di una rivalutazione delle monete dei Paesi emergenti rispetto al dollaro negli ultimi 24 mesi è stata del 40%per il real brasiliano, del 47%per il rand sudafricano e del 22%per won sudcoreano e rupia indonesiana, lo yuan ha recuperato solo il 3,6%. Ma, se si calcolano anche i differenziali d'inflazione, si arriva a un recupero di competitività a favore degli Usa del 10%. Per questo Obama, al momento di aprire il dossier economico del vertice, insisterà più sulle condizioni di accesso al mercato cinese e sulla creazione di posti di lavoro per le imprese americane, che sullo yuan. Sulle valute i margini d’intervento sono minimi: i mercati sanno che il gigante asiatico vuole diventare una potenza finanziaria capace di sganciarsi gradualmente dal dollaro, valuta nella quale oggi investe gran parte delle sue riserve. Con poco entusiasmo, viste le (criticatissime) politiche espansive della Federal Reserve che tiene bassi tanto i tassi d’interesse (e, quindi, i rendimenti) quanto le quotazioni del biglietto verde. Qui la domanda non è se Pechino cercherà di fare concorrenza a dollaro ed euro con uno yuan pienamente convertibile, ma quando e come. Le prime risposte sono venute nei mesi scorsi con le proposte delle autorità monetarie di Pechino di sostituire gradualmente il dollaro con una «valuta sintetica» , una sorta di paniere composto dalle principali monete mondiali, yuan compreso. Un altro passo è stato fatto la scorsa settimana quando il governo cinese ha autorizzato le sue società a usare lo yuan in transazioni effettuate all’estero per finanziare i loro investimenti. È un passaggio importante, come la creazione a Hong Kong di un mercato basato su prodotti finanziari denominati in yuan aperto agli investitori stranieri. Ma per decollare davvero, questa moneta dovrà non solo essere convertibile, ma dovrà rappresentare un’economia davvero affidabile. Oggi la Cina «fabbrica del mondo» che accumula riserve, finanzia il debito pubblico Usa e si offre di salvare l’euro, sembra solidissima. Molti economisti notano, però, che, in un mondo ormai totalmente interconnesso, il suo modello non è meno fragile di quello americano: «La Cina» spiega Nouriel Roubini su Newsweek, «può crescere rapidamente solo se i Paesi ricchi spendono più di quello che producono e accumulano grandi deficit. Ora che Usa e il resto dell’Occidente spendono meno e cercano di ridurre i debiti, la Cina forza la crescita non sostenendo (come dovrebbe) i consumi dei cittadini, ma spingendo l’acceleratore degli investimenti immobiliari, infrastrutturali e industriali per aumentare ulteriormente la capacità produttiva» . Un modello insostenibile che, se non verrà corretto, porterà allo scoppio di una bolla che certo non invoglierà i risparmiatori a scommettere sulla moneta cinese. Così stando le cose e visto che Hu non vuole o non può fare molto sul piano valutario (l’anno scorso aveva promesso una rivalutazione graduale del renminbi, ma era stato subito «corretto» da altri leader di Pechino, quest’anno ha già messo le mani avanti), a Obama non resta che puntare sulla difesa delle imprese Usa. Usando anche l’arma di un Congresso che minaccia ritorsioni protezioniste. Hu, che nel corso della sia visita andrà anche a Chicago a incontrare i capi della Boeing e a visitare investimenti cinesi negli Usa nel campo del risparmio energetico e dei componenti per auto, sicuramente annuncerà qualche affare come l’acquisto di nuovi aerei, carne e prodotti agricoli. Dovranno essere affari molto grossi per intaccare lo scetticismo americano, visto che il deficit commerciale Usa con la Cina ha superato i 250 miliardi di dollari.
di Massimo Gaggi

18 gennaio 2011

La Cina gioca la carta dell'Euro




Sepolto a pagina 3 della pagina economica del New York Times del 7 gennaio c'era un articolo che segnalava che la Cina si era impegnata ad acquistare bond spagnoli per un valore di 6 miliardi di euro (7,8 miliardi di dollari). Quel che il giornalista non ha notato è l'ampia portata delle conseguenze politiche ed economiche che quest'evento potrebbe avere.

La Cina attualmente detiene 2700 miliardi di dollari in riserve valutarie, oltre 900 miliardi dei quali sotto forma di debiti del Tesoro americano. Per anni i critici della politica monetaria degli Stati Uniti hanno sostenuto che in risposta ai bassi rendimenti sui titoli del Tesoro statunitense e al rischio di un declino precipitoso del valore del dollaro la Cina potrebbe staccare la spina ai suoi investimenti sulla Tesoreria americana. Altri sostengono che ciò non accadrà mai perché l'economia cinese è così dipendente dalle esportazioni verso gli Stati Uniti che esse potrebbero cessare se la Cina con le proprie azioni dovesse innescare un collasso dell'economia statunitense.

Nel contempo, la Casa Bianca continua ad assillare la Cina riguardo al suo record (di violazione) dei diritti umani, oltre a sostenere che il valore della valuta cinese, lo yuan, sia gonfiato.
Quando la Cina si è rifiutata di permettere al Premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo di andare ad Oslo per ricevere il premio è stata oggetto di numerose critiche da parte di Washington.

In una serie di recenti visite nelle capitali europee il vice primo ministro esecutivo cinese Li Keqiang ha promesso il sostegno cinese alle economie dell'Unione Europea. Promettendo di comprare obbligazioni per miliardi di euro e impegnandosi per altri miliardi in accordi economici con gli europei, Pechino potrebbe star avvisando Washington che la misura è colma. Investendo nelle economie europee, la Cina rafforza uno dei suoi altri mercati di esportazioni più importanti e si rende meno dipendente dagli Stati Uniti.

E' interessante il fatto che i bond spagnoli dovrebbero essere il primo investimento su Stati facenti parte dell'euro fatto dalla Cina. La Spagna è senza dubbio il paese più indipendente dell'Unione Europea. Il suo primo ministro, José Luis Rodriguez Zapatero, è l'unico leader in Europa che ha il coraggio di resistere a Washington, a Tel Aviv e al Vaticano. Il governo socialista spagnolo è anche il più orientato a sinistra nell'Europa di oggi.

La Spagna ha significative partecipazioni strategiche in America Latina e in Africa, due parti del mondo in cui la Cina vorrebbe espandere la sua influenza nel quadro della ricerca di petrolio e di altre risorse naturali. Giocare la carta spagnola è stato un colpo di genio da parte di Pechino.

Credo che ci siano due motivi per cui Washington non abbia ceduto alle pressioni israeliane per smantellare il programma nucleare iraniano. In primo luogo, la Russia potrebbe danneggiare gravemente l'economia europea se dovesse tagliare le forniture di gas naturale verso l'Europa per rappresaglia. In secondo luogo la Cina potrebbe accelerare il collasso dell'economia statunitense abbandonando i buoni del Tesoro americano. Intervenendo per aiutare salvare l'Unione europea, la Cina dimostra che la minaccia di staccare la spina sui propri investimenti in titoli del Tesoro USA è credibile.

L'unica cosa sorprendente della mossa della Cina sull'Europa è che essa non sia avvenuta prima.
Ma il messaggio di Pechino a Washington è forte e chiaro: "Non scherzate con noi, né con l'Iran."

di Thomas H. Naylor

Thomas H. Naylor è professore emerito di economia alla Duke University. E' co-autore di “Ridimensionare degli Stati Uniti” e “La generazione abbandonata: ripensare l'istruzione superiore” nonché co-fondatore dell'Istituto Middlebury.