28 gennaio 2011

La "sobrietà sostenibile" non è eresia


Destra/Sinistra: dalla Rivoluzione francese in poi, ma soprattutto nell'800 e '900, la schiera delle opzioni politiche si è incardinata attorno a questa polarizzazione. Negli ultimi anni, la cosiddetta fine delle ideologie è poi a sua volta divenuta un'ideologia del «pensiero unico con il prevalere delle logiche puramente amministrative ed economiciste sfumando e riarticolando questa distinzione politica che però continua a rappresentare, magari in forme più attenuate (centrodestra, centrosinistra) un riferimento mediaticamente consueto.» Vi è da chiedersi allora se la persistenza, se pur sbiadita, di questa nomenclatura sia dovuta solo ad abitudini giornalistiche o a residui di affezione dell'elettorato più anziano, oppure se si tratti comunque di categorie dotate di un irrinunciabile valore descrittivo. In quest'ultimo caso occorrerebbe chiedersi se vi siano e quali siano, allora, i principi costitutivi dell'una e dell'altra posizione. Tra i pensatori più anticonformisti in merito, esemplare è il caso del francese Alain de Benoist.

Le sue idee sono sempre state radicali, ma in direzioni cangianti. Un pensatore oltre la destra e la sinistra, allora? Più che altro un intellettuale che è - com'egli stesso preferisce dire - sia di destra che di sinistra; ovvero in grado di pensare la contraddizione. Lo abbiamo incontrato nella sua Parigi, confrontandoci sui temi attuali dell'ecologia e della sostenibilità, oggetto del suo recente Demain, la décroissance! Penser l'écologie jusqu'au bout, a partire dall'idea ereticale della post-crescita, che si basa sulla constatazione che lo sviluppo produttivo non può essere illimitato, date risorse naturali limitate.

Ultimamente le sue analisi hanno approfondito i temi della cosiddetta "decrescita", presentata spesso come un'utopia, o peggio come un ritorno al passato. Ma lo scrittore a questa critica risponde con un ragionamento, andando oltre le polemice. «La teoria della decrescita non solo non promuove un "ritorno al passato", ma neppure ambisce a fermare la storia», spiega. «La constatazione da cui si parte è che le risorse naturali si stanno esaurendo e che non può esservi una crescita materiale infinita in un mondo finito». In altri termini, de Benoist si pone contro la logica del "sempre di più!", contro la dismisura che i greci chiamavano hybris. «In un mondo sempre più impegnato a portare avanti questa deriva, tali proposte possono, ad alcuni, apparire utopiche. Sono tentato di rispondere che l'utopia sta piuttosto nel credere che la fuga in avanti in cui ci siamo imbarcati possa proseguire all'infinito. Gli alberi non possono crescere fino al cielo». De Benoist è anche molto critico le tesi dell'attuale "green economy" che riprendono l'idea ambientalista di "sviluppo sostenibile".

Viene allora da chiedere come la sua idea di ecologismo si colleghi alla decrescita. «L'idea di "sviluppo sostenibile" è sicuramente accattivante, ma corrisponde soprattutto a una posizione mediatica», risponde. «All'origine dei problemi con i quali ci confrontiamo c'è la crescita materiale, con il suo seguito di danni all'ambiente, di distruzione degli ecosistemi, di inquinamento. Conciliare la crescita materiale con il rispetto per l'ambiente equivale a voler credere che il cerchio possa essere quadrato. La teoria dello "sviluppo sostenibile", enunciata al Summit della Terra di Rio nel 1992, porta al "capitalismo verde", ovvero all'ecologia di mercato. L'applicazione del principio "chi inquina, paga", ad esempio, ha creato una specie di mercato dell'inquinamento: le grandi imprese multinazionali, che sono quelle che inquinano di più, possono pagare senza problemi i danni da loro causati. Alla fine la spesa ricade sul costo iniziale, e di conseguenza sul prezzo di vendita. È proprio in virtù dell'applicazione della "teoria dello sviluppo sostenibile" che si favorisce oggi la produzione di automobili che inquinano sempre meno. E questo fa dimenticare la realtà dell'"effetto di rimbalzo": dato che si costruiscono sempre più automobili - anche se il consumo di energia diminuisce per unità - il consumo globale continua ad aumentare, in modo che l'aumento delle quantità prodotte, annulla i vantaggi ecologici: un milione di automobili poco inquinanti lo sono molto di più nella totalità di cento auto molto inquinanti! Il filosofo Michel Serres - continua de Benoist -fornisce una immagine molto esemplificativa dello "sviluppo sostenibile" paragonandolo al capitano di una nave che accorgendosi che sta andando dritto contro uno scoglio, decide di ridurre la velocità invece di cambiare rotta. In questa logica dovrebbe cambiare l'idea di natura». È evidente che per favorire la decrescita occorre auspicare un possibile cambio di paradigma. «Gli antichi pensavano che l'uomo appartenesse alla natura, che si trovasse in un rapporto di co-appartenenza con essa. Al contrario, nella Genesi, l'uomo riceve l'ordine di "dominare la natura". Con Cartesio la natura diventa un semplice oggetto e l'uomo vi si erge a "padrone sovrano". Ed è proprio questo rapporto di dominanza che ci interessa rompere. Il mondo naturale non è una semplice tela di fondo su cui si muovono le nostre esistenze, una sorta di magazzino di risorse naturali, erroneamente considerate inesauribili e gratuite all'infinito: è invece una delle condizioni sistemiche della vita. Distruggere la natura non solo significa l'eliminazione del nostro luogo ma anche di noi stessi, come se fossimo a scadenza. Nella prospettiva di una decrescita sostenibile, è necessario riconoscere il valore intrinseco della natura, un valore autonomo rispetto all'uso che noi ne facciamo.»
Nel suo libro de Benoist si sofferma spesso sul concetto di "limite" da opporre alla hybris, la dismisura tipica della civilizzazione industriale. «Ogni cosa ha un limite. Qualsiasi tendenza spinta al suo estremo si trasforma bruscamente nel suo contrario. La logica del profitto, la cui attuazione è accelerata dalla globalizzazione, tende per la sua propria dinamica alla soppressione di tutti i limiti. Il capitalismo si caratterizza per il suo carattere illimitato e del suo tentativo di omogeneizzazione del mondo.»
«È quello che il filosofo tedesco esistenzialista Martin Heidegger definì il Gestell. Ora, tra le realtà che possono ostacolare l'espansione planetaria del capitale e la trasformazione della Terra in un immenso mercato omogeneo, ci sono le culture popolari e i modi di vita ben radicati nel territorio. L'unico modo per restituire al mondo la diversità, che costituisce la sua reale ricchezza, è quello di opporre all'espressione chiave vogliamo "sempre di più!" - che caratterizza un principio fondante della modernità - quella di saper dire, secondo una riflessione critica più audace, ma non meno razionale, ne abbiamo "a sufficienza".» Quali sono allora le misure che si possono adottare per fermare il treno in corsa e adottare uno stile di vita improntato alla sobrietà? Risponde de Benoist: «Si tratta di applicare tutto questo atteggiamento critico di cui ho appena parlato. Di non adottare un qualsiasi gadget, solo per il fatto che è nuovo. Di rompere con l'ossessione produttivistica, con la conseguente ossessione della merce o l'idea che "di più" è sinonimo di "meglio". Si tratta di riconoscere che l'uomo non vive di solo pane. La logica dell'essere non è quella dell'avere e, ancor meno, la qualità non può essere ridotta a quantità. In modo più ampio, si tratta di "decolonizzare l'immaginario simbolico", come sostiene Serge Latouche, ovvero di non dare più dimora alla convinzione che l'uomo è solo produttore-consumatore, o che l'economia è il fine di ogni cosa. Il valore non può essere sempre abbassato al valore di mercato, o di scambio. I prezzi si negoziano, i valori no. È ora di venir fuori da un mondo in cui niente ha più valore, ma tutto ha un prezzo.»
di Alain de Benoist

27 gennaio 2011

Blindato a Davos il governo-ombra del mondo

Cinquemila soldati armati di fucili di precisione, sci e motoslitte in pattuglia tra i boschi innevati, radar militari che spuntano tra le cime imbiancate degli abeti, lunghi rotoli di filo spinato distesi nella neve, elicotteri che sorvegliano dall’alto con telecamere e rivelatori termici. Cartelli con sagome di soldati con su scritto “Stop. State entrando in una zona sorvegliata militarmente. Fermarsi all’alt e seguire gli ordini della truppa, che dispone di poteri di polizia e in caso estremo aprirà il fuoco”. In questi giorni la località sciistica di Davos, in Svizzera, sembra una zona di guerra. O il set cinematografico di uno di quei film di 007 in cui James Bond affronta tra i boschi alpini l’agguerrito esercito privato dispiegato dalla malvagia Spectre a protezione del suo bunker segreto.

In questo caso invece l’esercito è quello della Confederazione Svizzera, mobilitato in forze per tenere lontani curiosi, contestatori ed eventuali Davos cartelloterroristi dall’annuale meeting dell’associazione privata World Economic Forum: la più ‘pubblica’ – e per questo la meno importante, ma anche la più esposta e quindi sorvegliata – tra le periodiche riunioni dell’élite globale. Un insolito articolo anonimo pubblicato proprio in questi giorni sull’Economist, dal titolo traducibile come “Le pause-caffè mondiali – Dove la gente che conta si incontra e parla”, descrive il forum svizzero di Davos, il suo equivalente asiatico di Boao in Cina, le riunioni del Council on Foreign Relations, della Commissione Trilaterale e del Bilderberg Group come importanti occasioni, tutte private ma più o meno riservate, nelle quali i “globocrati” della “élite cosmopolita” possono incontrarsi e dibattere in libertà i grandi temi mondiali e prendere decisioni che poi si traducono pratica, dalle guerre alle crisi finanziare.

L’autore senza nome dell’Economist ironizza sulle teorie della cospirazione globale con il visconte belga Etienne Davignon, presidente del Bilderberg ed ex vicepresidente della Commissione europea, ma poi cita senza commenti l’ex consigliere di Bill Clinton, David Rothkopf, che nel suo libro “Superclasse – L’élite del poteremondiale e il mondo che stanno costruendo” ha scritto che queste riunioni «costituiscono il meccanismo informale del potere globale, perché sono occasione di incontro tra i più elusivi leader del mondo». Incontri che avvengono a porte chiuse, come al Davos forumBilderberg, o in privato a margine delle conferenze pubbliche, come succede invece al forum di Davos.

Lo scopo dell’anonimo articolo del prestigioso settimanale britannico, una delle testate giornalistiche più legate all’élite globale (nello stesso articolo si ricorda la partecipazione del direttore dell’Economist alle riunioni del Bilderberg), è evidentemente quello di sdoganare come normale, ragionevole e accettabile una realtà che finora era stata sempre negata e nascosta. «Tutti i ritrovi globocratici si stanno aprendo – si legge nel pezzo dell’Economist – perfino il Bilderberg ha recentemente iniziato a pubblicare le liste dei partecipanti sul suo sito». Il governo-ombra mondiale, finora denunciato da ‘no-global’ e ‘complottisti’, sembra voler uscire alla luce del sole e rivendicare la propria ragion d’essere e i propri progetti per un nuovo ordine mondiale. Se qualcuno ha qualcosa da ridire, basta dispiegare l’esercito.


di Giacomo Cattaneo

26 gennaio 2011

Grupo Bilderberg: l'Economist conferma, è una cospirazione mondiale




L’agenda per il sistema centralizzato di controllo globale è pubblica

Si è spesso parlato della spinta verso un sistema centralizzato di controllo del governo mondiale come di una “cospirazione pubblica”. Gruppi come Bilderberg, la Commissione Trilaterale e il Council on Foreign Relations sono i perni di questa agenda, stabiliscono le misure prese dai politici e dai brokers del potere che questi gruppi hanno di fatto comprato.

Un articolo piuttosto eccentrico apparso da poco sull’Economist fa riferimento a questa struttura di potere non come a una teoria della cospirazione, ma semplicemente confermando che ‘l’élite cosmopolita” si ritrova effettivamente in quei meeting in club esclusivi per forgiare il mondo nel quale la “superclasse” desidera abitare.

Ovviamente, l’Economist è il posto ideale dove ostentare una cospirazione, dato che il suo editore è un abituale frequentatore della conferenza annuale del gruppo Bilderberg, un’ammissione che l’articolo rivendica con orgoglio nei primi paragrafi.

In modo ironico, l’articolo descrive Bilderberg come “una cospirazione del male tesa a dominare il mondo” e poi finisce con l’affermare che sì, il gruppo effettivamente domina gli eventi nel mondo.



È stato responsabile della moneta unica europea, ospita gli affaristi e l’aristocrazia più influente al mondo, così come un piccolo gruppo di giornalisti, in rappresentanza delle più grandi corporazioni mondiali di media, che hanno aderito alle regole della Chatham House, ovvero che non possono rivelare le “grandi idee” ordite dal gruppo.

“Il mondo è un posto complicato, con oceani di informazioni rovesciate dappertutto”.
“ Dirigere una multinazionale può aiutare a farsi una discreta idea di come vanno le cose. Aiuta anche a trovarsi a stretto contatto con altri globocrati. Quindi l’élite cosmopolita – finanzieri internazionali, burocrati, studiosi e proprietari di istituti di beneficenza – si incontrano regolarmente e discutono. Fanno gruppo nei meeting elitari...Formano dei club”.


I più influenti tra questi club, secondo l’articolo, sono il gruppo Bilderberg,il Council on Foreign Relations, la Commissione Trilaterale, il Carnegie Endowment for International Peace e il Gruppo dei Trenta. Ora stanno abbandonando la loro natura segreta e si rivelano al mondo. “L’accesso al grande party globocratico ora è libero”, sostiene l’articolo.

Il pezzo prosegue fornendo alcuni esempi di alcuni grandi eventi internazionali che sono stati preparati per gli incontri delle élite lungo gli anni, inclusi accordi diplomatici e anche decisioni su importanti guerre.

“Questi meetings sono ‘una parte importante della storia della superclasse’, sostiene l’Economist citando le parole di David Rothkopf, elitarista internazionale e passato consigliere di Kissinger, autore del libro Superclass. La nuova élite globale e il mondo che sta realizzando.

“Quel che offrono in realtà è l’accesso ad ‘alcuni dei leader più sfuggevoli ed isolati’. In questo senso, questi meeting fungono anche da ‘meccanismi informali di potere [globale], aggiunge Rothkopf.

Ma non condanniamo l’élite globocratica internazionale, implora l’articolo, sostenendo che la superclasse è stata “sorpresa a sonnecchiare”. E, se da una parte, il pezzo ammette che alcuni banchieri internazionali sono responsabili del saccheggio del sistema, dall’altro tenta di convincere i lettori che di fatto la presenza di una élite internazionale interconnessa ha salvato il mondo dal crollo finanziario, quindi possiamo dormire sonni tranquilli.

Ovviamente, chi segue con attenzione l’attività di questi gruppi di élite può confermare che questi non sono stati presi alla sprovvista ed erano pienamente consapevoli che la crisi era stata meticolosamente veicolata nel 2006. Le relazioni uscite dai meeting di Bilderberg in Canada nel 2006 e in Turchia nel 2007 predicevano il crollo dei mutui globale e il conseguente crollo finanziario di lunga durata. Fin da allora il gruppo ha discusso esattamente di come deve muoversi nel condizionare la situazione economica per estendere il proprio controllo globale e quello della “superclasse” (in tutta onestà, noi non siamo il male).

Un decennio fa chiunque avesse parlato dell’esistenza di Bilderberg, suggerendo la sua immensa responsabilità nella manipolazione degli eventi nel mondo, veniva semplicemente considerato un cospirazionista paranoide. Oggi, con la stessa affermazione, i grandi media stendono i loro articoli.

di Steve Watson

Fonte: www.prisonplanet.com

28 gennaio 2011

La "sobrietà sostenibile" non è eresia


Destra/Sinistra: dalla Rivoluzione francese in poi, ma soprattutto nell'800 e '900, la schiera delle opzioni politiche si è incardinata attorno a questa polarizzazione. Negli ultimi anni, la cosiddetta fine delle ideologie è poi a sua volta divenuta un'ideologia del «pensiero unico con il prevalere delle logiche puramente amministrative ed economiciste sfumando e riarticolando questa distinzione politica che però continua a rappresentare, magari in forme più attenuate (centrodestra, centrosinistra) un riferimento mediaticamente consueto.» Vi è da chiedersi allora se la persistenza, se pur sbiadita, di questa nomenclatura sia dovuta solo ad abitudini giornalistiche o a residui di affezione dell'elettorato più anziano, oppure se si tratti comunque di categorie dotate di un irrinunciabile valore descrittivo. In quest'ultimo caso occorrerebbe chiedersi se vi siano e quali siano, allora, i principi costitutivi dell'una e dell'altra posizione. Tra i pensatori più anticonformisti in merito, esemplare è il caso del francese Alain de Benoist.

Le sue idee sono sempre state radicali, ma in direzioni cangianti. Un pensatore oltre la destra e la sinistra, allora? Più che altro un intellettuale che è - com'egli stesso preferisce dire - sia di destra che di sinistra; ovvero in grado di pensare la contraddizione. Lo abbiamo incontrato nella sua Parigi, confrontandoci sui temi attuali dell'ecologia e della sostenibilità, oggetto del suo recente Demain, la décroissance! Penser l'écologie jusqu'au bout, a partire dall'idea ereticale della post-crescita, che si basa sulla constatazione che lo sviluppo produttivo non può essere illimitato, date risorse naturali limitate.

Ultimamente le sue analisi hanno approfondito i temi della cosiddetta "decrescita", presentata spesso come un'utopia, o peggio come un ritorno al passato. Ma lo scrittore a questa critica risponde con un ragionamento, andando oltre le polemice. «La teoria della decrescita non solo non promuove un "ritorno al passato", ma neppure ambisce a fermare la storia», spiega. «La constatazione da cui si parte è che le risorse naturali si stanno esaurendo e che non può esservi una crescita materiale infinita in un mondo finito». In altri termini, de Benoist si pone contro la logica del "sempre di più!", contro la dismisura che i greci chiamavano hybris. «In un mondo sempre più impegnato a portare avanti questa deriva, tali proposte possono, ad alcuni, apparire utopiche. Sono tentato di rispondere che l'utopia sta piuttosto nel credere che la fuga in avanti in cui ci siamo imbarcati possa proseguire all'infinito. Gli alberi non possono crescere fino al cielo». De Benoist è anche molto critico le tesi dell'attuale "green economy" che riprendono l'idea ambientalista di "sviluppo sostenibile".

Viene allora da chiedere come la sua idea di ecologismo si colleghi alla decrescita. «L'idea di "sviluppo sostenibile" è sicuramente accattivante, ma corrisponde soprattutto a una posizione mediatica», risponde. «All'origine dei problemi con i quali ci confrontiamo c'è la crescita materiale, con il suo seguito di danni all'ambiente, di distruzione degli ecosistemi, di inquinamento. Conciliare la crescita materiale con il rispetto per l'ambiente equivale a voler credere che il cerchio possa essere quadrato. La teoria dello "sviluppo sostenibile", enunciata al Summit della Terra di Rio nel 1992, porta al "capitalismo verde", ovvero all'ecologia di mercato. L'applicazione del principio "chi inquina, paga", ad esempio, ha creato una specie di mercato dell'inquinamento: le grandi imprese multinazionali, che sono quelle che inquinano di più, possono pagare senza problemi i danni da loro causati. Alla fine la spesa ricade sul costo iniziale, e di conseguenza sul prezzo di vendita. È proprio in virtù dell'applicazione della "teoria dello sviluppo sostenibile" che si favorisce oggi la produzione di automobili che inquinano sempre meno. E questo fa dimenticare la realtà dell'"effetto di rimbalzo": dato che si costruiscono sempre più automobili - anche se il consumo di energia diminuisce per unità - il consumo globale continua ad aumentare, in modo che l'aumento delle quantità prodotte, annulla i vantaggi ecologici: un milione di automobili poco inquinanti lo sono molto di più nella totalità di cento auto molto inquinanti! Il filosofo Michel Serres - continua de Benoist -fornisce una immagine molto esemplificativa dello "sviluppo sostenibile" paragonandolo al capitano di una nave che accorgendosi che sta andando dritto contro uno scoglio, decide di ridurre la velocità invece di cambiare rotta. In questa logica dovrebbe cambiare l'idea di natura». È evidente che per favorire la decrescita occorre auspicare un possibile cambio di paradigma. «Gli antichi pensavano che l'uomo appartenesse alla natura, che si trovasse in un rapporto di co-appartenenza con essa. Al contrario, nella Genesi, l'uomo riceve l'ordine di "dominare la natura". Con Cartesio la natura diventa un semplice oggetto e l'uomo vi si erge a "padrone sovrano". Ed è proprio questo rapporto di dominanza che ci interessa rompere. Il mondo naturale non è una semplice tela di fondo su cui si muovono le nostre esistenze, una sorta di magazzino di risorse naturali, erroneamente considerate inesauribili e gratuite all'infinito: è invece una delle condizioni sistemiche della vita. Distruggere la natura non solo significa l'eliminazione del nostro luogo ma anche di noi stessi, come se fossimo a scadenza. Nella prospettiva di una decrescita sostenibile, è necessario riconoscere il valore intrinseco della natura, un valore autonomo rispetto all'uso che noi ne facciamo.»
Nel suo libro de Benoist si sofferma spesso sul concetto di "limite" da opporre alla hybris, la dismisura tipica della civilizzazione industriale. «Ogni cosa ha un limite. Qualsiasi tendenza spinta al suo estremo si trasforma bruscamente nel suo contrario. La logica del profitto, la cui attuazione è accelerata dalla globalizzazione, tende per la sua propria dinamica alla soppressione di tutti i limiti. Il capitalismo si caratterizza per il suo carattere illimitato e del suo tentativo di omogeneizzazione del mondo.»
«È quello che il filosofo tedesco esistenzialista Martin Heidegger definì il Gestell. Ora, tra le realtà che possono ostacolare l'espansione planetaria del capitale e la trasformazione della Terra in un immenso mercato omogeneo, ci sono le culture popolari e i modi di vita ben radicati nel territorio. L'unico modo per restituire al mondo la diversità, che costituisce la sua reale ricchezza, è quello di opporre all'espressione chiave vogliamo "sempre di più!" - che caratterizza un principio fondante della modernità - quella di saper dire, secondo una riflessione critica più audace, ma non meno razionale, ne abbiamo "a sufficienza".» Quali sono allora le misure che si possono adottare per fermare il treno in corsa e adottare uno stile di vita improntato alla sobrietà? Risponde de Benoist: «Si tratta di applicare tutto questo atteggiamento critico di cui ho appena parlato. Di non adottare un qualsiasi gadget, solo per il fatto che è nuovo. Di rompere con l'ossessione produttivistica, con la conseguente ossessione della merce o l'idea che "di più" è sinonimo di "meglio". Si tratta di riconoscere che l'uomo non vive di solo pane. La logica dell'essere non è quella dell'avere e, ancor meno, la qualità non può essere ridotta a quantità. In modo più ampio, si tratta di "decolonizzare l'immaginario simbolico", come sostiene Serge Latouche, ovvero di non dare più dimora alla convinzione che l'uomo è solo produttore-consumatore, o che l'economia è il fine di ogni cosa. Il valore non può essere sempre abbassato al valore di mercato, o di scambio. I prezzi si negoziano, i valori no. È ora di venir fuori da un mondo in cui niente ha più valore, ma tutto ha un prezzo.»
di Alain de Benoist

27 gennaio 2011

Blindato a Davos il governo-ombra del mondo

Cinquemila soldati armati di fucili di precisione, sci e motoslitte in pattuglia tra i boschi innevati, radar militari che spuntano tra le cime imbiancate degli abeti, lunghi rotoli di filo spinato distesi nella neve, elicotteri che sorvegliano dall’alto con telecamere e rivelatori termici. Cartelli con sagome di soldati con su scritto “Stop. State entrando in una zona sorvegliata militarmente. Fermarsi all’alt e seguire gli ordini della truppa, che dispone di poteri di polizia e in caso estremo aprirà il fuoco”. In questi giorni la località sciistica di Davos, in Svizzera, sembra una zona di guerra. O il set cinematografico di uno di quei film di 007 in cui James Bond affronta tra i boschi alpini l’agguerrito esercito privato dispiegato dalla malvagia Spectre a protezione del suo bunker segreto.

In questo caso invece l’esercito è quello della Confederazione Svizzera, mobilitato in forze per tenere lontani curiosi, contestatori ed eventuali Davos cartelloterroristi dall’annuale meeting dell’associazione privata World Economic Forum: la più ‘pubblica’ – e per questo la meno importante, ma anche la più esposta e quindi sorvegliata – tra le periodiche riunioni dell’élite globale. Un insolito articolo anonimo pubblicato proprio in questi giorni sull’Economist, dal titolo traducibile come “Le pause-caffè mondiali – Dove la gente che conta si incontra e parla”, descrive il forum svizzero di Davos, il suo equivalente asiatico di Boao in Cina, le riunioni del Council on Foreign Relations, della Commissione Trilaterale e del Bilderberg Group come importanti occasioni, tutte private ma più o meno riservate, nelle quali i “globocrati” della “élite cosmopolita” possono incontrarsi e dibattere in libertà i grandi temi mondiali e prendere decisioni che poi si traducono pratica, dalle guerre alle crisi finanziare.

L’autore senza nome dell’Economist ironizza sulle teorie della cospirazione globale con il visconte belga Etienne Davignon, presidente del Bilderberg ed ex vicepresidente della Commissione europea, ma poi cita senza commenti l’ex consigliere di Bill Clinton, David Rothkopf, che nel suo libro “Superclasse – L’élite del poteremondiale e il mondo che stanno costruendo” ha scritto che queste riunioni «costituiscono il meccanismo informale del potere globale, perché sono occasione di incontro tra i più elusivi leader del mondo». Incontri che avvengono a porte chiuse, come al Davos forumBilderberg, o in privato a margine delle conferenze pubbliche, come succede invece al forum di Davos.

Lo scopo dell’anonimo articolo del prestigioso settimanale britannico, una delle testate giornalistiche più legate all’élite globale (nello stesso articolo si ricorda la partecipazione del direttore dell’Economist alle riunioni del Bilderberg), è evidentemente quello di sdoganare come normale, ragionevole e accettabile una realtà che finora era stata sempre negata e nascosta. «Tutti i ritrovi globocratici si stanno aprendo – si legge nel pezzo dell’Economist – perfino il Bilderberg ha recentemente iniziato a pubblicare le liste dei partecipanti sul suo sito». Il governo-ombra mondiale, finora denunciato da ‘no-global’ e ‘complottisti’, sembra voler uscire alla luce del sole e rivendicare la propria ragion d’essere e i propri progetti per un nuovo ordine mondiale. Se qualcuno ha qualcosa da ridire, basta dispiegare l’esercito.


di Giacomo Cattaneo

26 gennaio 2011

Grupo Bilderberg: l'Economist conferma, è una cospirazione mondiale




L’agenda per il sistema centralizzato di controllo globale è pubblica

Si è spesso parlato della spinta verso un sistema centralizzato di controllo del governo mondiale come di una “cospirazione pubblica”. Gruppi come Bilderberg, la Commissione Trilaterale e il Council on Foreign Relations sono i perni di questa agenda, stabiliscono le misure prese dai politici e dai brokers del potere che questi gruppi hanno di fatto comprato.

Un articolo piuttosto eccentrico apparso da poco sull’Economist fa riferimento a questa struttura di potere non come a una teoria della cospirazione, ma semplicemente confermando che ‘l’élite cosmopolita” si ritrova effettivamente in quei meeting in club esclusivi per forgiare il mondo nel quale la “superclasse” desidera abitare.

Ovviamente, l’Economist è il posto ideale dove ostentare una cospirazione, dato che il suo editore è un abituale frequentatore della conferenza annuale del gruppo Bilderberg, un’ammissione che l’articolo rivendica con orgoglio nei primi paragrafi.

In modo ironico, l’articolo descrive Bilderberg come “una cospirazione del male tesa a dominare il mondo” e poi finisce con l’affermare che sì, il gruppo effettivamente domina gli eventi nel mondo.



È stato responsabile della moneta unica europea, ospita gli affaristi e l’aristocrazia più influente al mondo, così come un piccolo gruppo di giornalisti, in rappresentanza delle più grandi corporazioni mondiali di media, che hanno aderito alle regole della Chatham House, ovvero che non possono rivelare le “grandi idee” ordite dal gruppo.

“Il mondo è un posto complicato, con oceani di informazioni rovesciate dappertutto”.
“ Dirigere una multinazionale può aiutare a farsi una discreta idea di come vanno le cose. Aiuta anche a trovarsi a stretto contatto con altri globocrati. Quindi l’élite cosmopolita – finanzieri internazionali, burocrati, studiosi e proprietari di istituti di beneficenza – si incontrano regolarmente e discutono. Fanno gruppo nei meeting elitari...Formano dei club”.


I più influenti tra questi club, secondo l’articolo, sono il gruppo Bilderberg,il Council on Foreign Relations, la Commissione Trilaterale, il Carnegie Endowment for International Peace e il Gruppo dei Trenta. Ora stanno abbandonando la loro natura segreta e si rivelano al mondo. “L’accesso al grande party globocratico ora è libero”, sostiene l’articolo.

Il pezzo prosegue fornendo alcuni esempi di alcuni grandi eventi internazionali che sono stati preparati per gli incontri delle élite lungo gli anni, inclusi accordi diplomatici e anche decisioni su importanti guerre.

“Questi meetings sono ‘una parte importante della storia della superclasse’, sostiene l’Economist citando le parole di David Rothkopf, elitarista internazionale e passato consigliere di Kissinger, autore del libro Superclass. La nuova élite globale e il mondo che sta realizzando.

“Quel che offrono in realtà è l’accesso ad ‘alcuni dei leader più sfuggevoli ed isolati’. In questo senso, questi meeting fungono anche da ‘meccanismi informali di potere [globale], aggiunge Rothkopf.

Ma non condanniamo l’élite globocratica internazionale, implora l’articolo, sostenendo che la superclasse è stata “sorpresa a sonnecchiare”. E, se da una parte, il pezzo ammette che alcuni banchieri internazionali sono responsabili del saccheggio del sistema, dall’altro tenta di convincere i lettori che di fatto la presenza di una élite internazionale interconnessa ha salvato il mondo dal crollo finanziario, quindi possiamo dormire sonni tranquilli.

Ovviamente, chi segue con attenzione l’attività di questi gruppi di élite può confermare che questi non sono stati presi alla sprovvista ed erano pienamente consapevoli che la crisi era stata meticolosamente veicolata nel 2006. Le relazioni uscite dai meeting di Bilderberg in Canada nel 2006 e in Turchia nel 2007 predicevano il crollo dei mutui globale e il conseguente crollo finanziario di lunga durata. Fin da allora il gruppo ha discusso esattamente di come deve muoversi nel condizionare la situazione economica per estendere il proprio controllo globale e quello della “superclasse” (in tutta onestà, noi non siamo il male).

Un decennio fa chiunque avesse parlato dell’esistenza di Bilderberg, suggerendo la sua immensa responsabilità nella manipolazione degli eventi nel mondo, veniva semplicemente considerato un cospirazionista paranoide. Oggi, con la stessa affermazione, i grandi media stendono i loro articoli.

di Steve Watson

Fonte: www.prisonplanet.com