15 febbraio 2011

Vedi Berlusconi e poi scompari. Caso Sanjust


Virginia Sanjust

Non è facile incontrare Virginia Sanjust e parlare della sua relazione col presidente del Consiglio. Perché, come spiega lei, sono “ondate di ricordi che riportano a galla un dolore che ha rovinato la vita a me e alla mia famiglia”. L’ex annunciatrice di Rai1, che oggi vive in una comunità a Roma, mi riceve tremante e mi descrive Silvio Berlusconi come un uomo che “non si preoccupa dell’effetto che può avere sulle ragazze che fagocita nel suo mondo”. Anche se, ricorda, “una volta mi disse: ‘Virginia, ho paura di farti del male’…”.

Signora Sanjust, in questi giorni si parla di Sara Tommasi, un’altra giovane legata al premier che sembra molto fragile. Cosa ne pensa?
Io non compro i giornali, mi fanno stare male. Ma oggi, per la prima volta, il mio ex marito mi ha letto al telefono tutti gli sms di Sara.

Come mai?
Secondo lui c’è un’analogia tra i messaggi che io scrivevo a Berlusconi e quelli che manda Sara. Ossessivi e pieni di rabbia.

Si identifica?
Non saprei. Secondo il mio ex marito, Berlusconi riesce a fare impazzire le persone. La verità è che lui ti trascina in un mondo insostenibile.

La Tommasi ha raccontato che le mettevano droghe nei bicchieri per stordirla.
Che bisogno c’è? Quell’ambiente ti massacra, non c’è bisogno di alcuna droga. Se non fosse per lui, forse, io avrei ancora una famiglia, l’affidamento di mio figlio. Pensa che i giudici che me l’hanno tolto non siano stati influenzati da tutto quello che scrivevano i giornali, dal vedermi come l’amante di Berlusconi?

Lei ha frequentato il premier dal 2003 al 2006. Se ne pente?
Sì. Chi mi ridarà l’infanzia di mio figlio, che io non ho vissuto con lui? Questo rapporto è costato anche il lavoro a mio marito, e gli chiedo scusa. Per me era già eccessivo stare in televisione. L’incontro con Berlusconi, con quel potere enorme, è stato una cosa più grande di me.

Che cos’è successo?
A lui, nulla. Sembra che possa accadergli di tutto e lui ne esca comunque illeso. Per me invece è stato come fare il bagno in un fiume di fango.

Come mai?
Perdi il benessere, la dignità. Ero troppo giovane e lui mi ha schiacciata, ingannata. Ma oggi so che la responsabilità è anche mia: quando mi mandò le gardenie per complimentarsi del mio lavoro in tv, non avrei dovuto chiamarlo.

Invece lo fece e lui la invitò a pranzo. Si rendeva conto che avrebbe potuto essere rischioso?
Sì. Ma io venivo dalla campagna, non sono riuscita ad avere padronanza degli eventi.

Era lusingata dalle attenzioni del Cavaliere?
No. Non avevo né arte né parte, avevo solo letto il gobbo in tv: di cosa si complimentava? Lui, che è molto pragmatico, mi chiese: “Dimmi di te, raccontami chi sei”. Così venne fuori che avevo delle difficoltà economiche.

E Berlusconi, anche in questo caso, la aiutò.
No. Finché ho potuto, non ho preso un euro. Poi, quando la nostra storia uscì sui giornali, mi disse che dovevo lasciare il lavoro in Rai: ho cominciato ad accettare i suoi soldi e per un anno ho vissuto in casa sua, a Campo dei Fiori: gli avevo chiesto io di comprarla, so che la usa ancora.

Come si sentiva?
Malissimo, anche perché ho un rapporto difficile con il denaro. Sono molto orgogliosa. Lui pensa di aiutare le persone con i soldi: come mai lo fa solo con le ragazzine?

Secondo lei, Berlusconi è una persona buona o cattiva?
Mio nonno diceva che Berlusconi è una persona brava nel suo lavoro. Questo è tutto. Non ha intenzioni né buone né cattive.

Nel senso che fa quello che vuole senza riflettere?
Lui pensa a tutto, è una persona che controlla perfettamente la sua routine. Ma questo non vuol dire che gli interessi se fa del male a qualcuno. È imprigionato da tutto il potere che ha: può troppo.

Lei ne era innamorata?
Sì, a modo mio. Lo vedevo come un padre, mi proteggeva. E lui da me prendeva energia, entusiasmo. Gli raccontavo cosa diceva di lui la gente al bar.

Berlusconi, davanti a lei, ha mai frequentato altre ragazze?
Una sera mi invitò a cena e c’erano altre donne, bellissime. Mi rimase una sensazione di squallore addosso. Glielo chiesi, lui negò. Fu una delle ultime volte che lo vidi. Poi lo chiamai tante volte, gli mandai molte lettere: non mi ha mai risposto. Allora ho cercato di sopravvivere.

Oltre alle donne, anche i suoi fedelissimi, da Marcello Dell’Utri a Cesare Previti, hanno pagato al posto suo. Perché tutti quelli che gli stanno intorno ne escono così male?
Per preservare quello che ha, Berlusconi deve sacrificare gli altri. E continua a farlo, ne distrugge uno dopo l’altro. Lui è il contrario di Re Mida: tutto quello che tocca diventa cenere.
di Beatrice Borromeo

14 febbraio 2011

L'euro, il rapporto FCIC e la BCE

La discussione più importante al recente Forum di Davos è stata quella che i media non vi hanno raccontato. Dedicata al futuro dell'euro, si è tenuta il 28 gennaio nella forma di un confronto tra il presidente della BCE Jean-Claude Trichet e il prof. Wilhelm Hankel, uno dei cinque moschettieri che hanno presentato il ricorso alla Corte Costituzionale tedesca contro il fondo UE "salva-stati". Di fronte ad un pubblico straripante, Hankel ha riscosso più volte applausi (unico a riceverne) quando ha affermato che l'euro è un "cadavere ambulante" e che i tentativi di salvarlo affosseranno la democrazia in Europa. Trichet e gli altri relatori, tra cui il famoso Nouriel Roubini, non hanno saputo contrapporre argomenti convincenti ad Hankel, nella loro difesa dell'euro.

"Io vengo da un paese", ha esordito Hankel, "che soffre ancora, dopo 80 anni, degli errori compiuti da un governo che tentò contemporaneamente di pagare i debiti e tagliare il bilancio. Fu il governo che precedette Hitler". E comunque, ha aggiunto, "la mia non è solo la critica di un tedesco, ma di un democratico". I meccanismi di sorveglianza e "governance" che si vogliono introdurre nell'UE sono infatti misure di "svuotamento della democrazia". Esse sono il tentativo sbagliato di rimediare al peccato originale dell'euro, quello di aver separato la moneta dalla gestione del bilancio. La soluzione della crisi dell'eurozona, evidente se consideriamo che "i due terzi dei paesi membri sono in bancarotta", ha incalzato Hankel, è ovvia: riportare moneta e bilancio sotto una sola autorità. Ma attenti: le sole istituzioni legittimate a fare ciò sono i parlamenti e i governi nazionali. Invece, "abbiamo messo la moneta nelle mani di gente che non è stata eletta", ha scandito Hankel guardando fisso Trichet, "gente che manca della legittimizzazione democratica. In Europa c'è un grave problema di costituzionalità".

La soluzione è "molto semplice": o i paesi deboli escono dall'Euro, o – "e questa è la soluzione che preferisco" – torniamo ad "un sistema monetario in cui l'euro rimane solo come unità di conto, come lo era l'ecu in precedenza. Questa mi sembra essere la formula migliore per un'Europa prospera e democratica".

Trichet si è difeso con il solito argomento, che usa come una litania, secondo cui l'euro è una success-story grazie alla stabilità dei prezzi garantita dalla nascita fino ad oggi. Tuttavia, pochi giorni dopo, alla conferenza stampa mensile della BCE il 3 febbraio, Trichet ha distrutto il suo solo ed unico argomento annunciando che la BCE prevede un tasso d'inflazione superiore al "target" del 2 per cento per i prossimi 12 mesi!

Il condirettore dello Strategic Alert Claudio Celani ha chiesto a Trichet un commento sulle conclusioni del rapporto Angelides, leggendo un passaggio del rapporto. Sapendo bene che i banchieri centrali sono indicati tra i responsabili della crisi, per non aver saputo prevederla, per non aver saputo impedirla e per aver permesso la condotta criminale di molti operatori del mercato, Trichet ha cercato di sfilare la testa dalla ghigliottina sostenendo che la BCE e le altre banche centrali già nel 2007 avevano lanciato avvertimenti. E da impunito banchiere centrale, ha messo in guardia: tenersi pronti perché c'è ancora "molto duro lavoro da fare" – cioè, altri salvataggi.

Come nel caso della discussione sull'euro a Davos, i media non vi racconteranno questa presa di posizione ufficiale della BCE sulle conclusioni dell'inchiesta del governo USA sulle cause della crisi finanziaria.

by Movisol

13 febbraio 2011

Strapazzati dalle straniere

“A forza di passare le sue notti a toccare il culo alle ragazze davanti a tutti, mi chiedo come faccia il giorno dopo a lavorare”, si domanda il quotidiano francese l’”Express”, riprendendo le parole di una delle signorine presenti alle feste di Berlusconi. La stampa internazionale, in queste settimane, si è scatenata contro il capo del governo italiano, alternando la derisione all’indignazione. Sul “Pais”, Almudena Grandes, che pure è una scrittrice nota per romanzi che, un millennio fa, si sarebbero definiti scabrosi, non riesce a trattenere il suo sdegno: “I capelli tinti ed il viso coperto di trucco, le sue disperate ostentazioni giovanili di seduttore senile battono ogni giorno i suoi record di indecenza, senza che molti suoi concittadini trovino motivi per smettere di celebrare le sue pagliacciate”.
Come è ovvio, il disprezzo per Berlusconi finisce per estendersi anche agli italiani che più volte l’hanno votato. Il “New York Times” ne fa una questione antropologica e culturale: “In questi anni Berlusconi ha confuso la linea tra immagine e realtà. O meglio, ha fondato una brillante carriera sulla fondamentale verità italiana che l’immagine è la realtà”. E qui siamo al giudizio definitivo sul nostro carattere nazionale: solo in Italia, Paese barocco dove le forme di una fantasia morbosa ottenebrano la percezione della squallida realtà, può esistere un capo di governo che è un personaggio da operetta. Le surreali vicende erotiche di Berlusconi, insomma, rilanciano alla grande la mai estinta immagine degli italiani come popolo inaffidabile, brillante in superficie ma corrotto moralmente, sul quale non si può fare conto per la sua innata doppiezza e per la sua avversione ad ogni disciplina.
Lo stereotipo dell’italiano mandolinaro e traditore –che, anche se arriva da lontano, fu inchiodato nell’immaginario collettivo a causa dell’Otto settembre, da molti nemici di Berlusconi identificato invece come il giorno della riscossa nazionale- è presente in tanti articoli dei giornali stranieri. Quanto può costare all’Italia, intesa come Stato nazionale che collabora e compete con gli altri Stati negli scenari politici ed economici globali, questa ulteriore caduta di immagine? Dopo il rifiuto di estradare nel nostro Paese Cesare Battisti, Ernesto Galli della Loggia ha scritto che Francia e Brasile ci hanno trattati alla stregua di una Macedonia o di una Colombia, impartendoci ex cathedra delle lezioni sugli anni di piombo. A giudizio dell’editorialista del “Corriere della Sera”, ciò dipende dal fatto che la rappresentazione dell’Italia all’estero è falsa: “pressoché sconosciuti sono il tono della nostra vita pubblica e politica, la variegata qualità delle nostre relazioni sociali, dei nostri costumi e comportamenti collettivi”.
Nonostante tutte le magagne, siamo comunque meglio di come pensa la maggioranza degli stranieri, ma ha ragione Galli della Loggia a dire che la colpa dell’ignoranza sul nostro Paese è soprattutto degli italiani e dei governi che, per esempio, fanno i micragnosi con i pochi istituti culturali italiani all’estero e si disinteressano degli studiosi che si occupano dell’Italia. Una mancanza, aggiungiamo noi, che il “Berlusconi imprenditore, alieno da fumisterie culturalistiche”, ha accentuato. Pensiamo solo che ci si divide persino sul fatto di proclamare giornata di festa l’anniversario dell’unita nazionale, come se astenersi, ogni 150 anni, dal lavoro, portasse in rovina l’economia. Se non si rispetta la propria storia è difficile che si venga rispettati.
Berlusconi è convinto che il rango dell’Italia sia cresciuto: “Oggi il Paese è ascoltato, grazie anche al fatto che ha un leader anziano, un tycoon, il che è molto, molto importante”. Grazie a lui le tensioni tra Russia e Stati Uniti sarebbero svanite e, sempre per merito della sua saggia mediazione, Obama avrebbe rinunciato a piazzare i missili in Cechia e Polonia, senza considerare l’apporto decisivo nel convincere l’amico Putin a non invadere la Georgia dopo l’attacco di Saakashvili all’Ossezia del Sud. Al netto della vanagloria, qualcosa di vero c’è nel ruolo di Berlusconi come intermediario tra Mosca e l’Occidente. Ci sembra abbia ragione Paolo Quercia che, sulla rivista “Limes”, descrive l’azione diplomatica del presidente del Consiglio con la metafora dei due piatti della bilancia: “Nel primo il premier isola Usa e Israele e la loro domanda di sicurezza globale; sull’altro piatto della bilancia Berlusconi mette Russia e Libia e la loro offerta di energia diretta verso l’Europa”.
Gli stretti rapporti con la Russia hanno suscitato ostilità nell’Amministrazione Usa, come hanno confermato le rivelazioni di Wikileaks, ma Washington si è vista offrire, nel contempo, la massima collaborazione sull’Afghanistan e su Israele. Tranquillizzando l’alleato su alcune questioni scottanti, Berlusconi si è concesso, in altri scacchieri, di giocare in proprio. E’ difficile dire quanto ciò sia il frutto di una strategia, mai peraltro dichiarata, oppure una semplice pesca delle occasioni, suggerita dal fiuto commerciale. In ogni caso, queste decisioni hanno lasciato un segno: alcuni Paesi sono stati scelti come interlocutori principali, altri sono stati lasciati in secondo piano. La volontà di appoggiare il progetto di gasdotto South Stream, finendo poi con il coinvolgere anche Francia e Germania, invece del Nabucco, sponsorizzato da Washington e Bruxelles, crea una divisione di campo, aprendo uno spazio importante alla Russia in Europa contro la volontà statunitense.
E’ significativo che Berlusconi abbia compiuto ben cinque visite ufficiali in Libia e quattro in Russia, mentre grandi realtà come Cina, Brasile e India non gli abbiano suscitato il medesimo interesse. Non si è mai recato, a differenza dei suoi colleghi occidentali, in Afghanistan per visitare le truppe. Come se l’impegno, pur considerevole per le nostre forze, in quel teatro di guerra rappresentasse solo un’assicurazione da pagare. Con Israele Berlusconi si è mostrato allineato fino all’assurdo di dichiarare di non avere visto il cosiddetto muro di separazione quando vi era passato accanto. E’ riuscito poi a promettere un piano Marshall per la Palestina, ma in realtà ha ridotto il contributo italiano ai fondi Onu per i rifugiati palestinesi. L’interscambio italiano con l’Iran, nonostante le solenne promesse di Berlusconi a Netanyauh, è addirittura aumentato, per il momento. In questi casi, il confine tra scaltrezza diplomatica e inaffidabilità si fa labile, non migliorando certo la nostra fama.
Tornando alla questione del peso della caduta di immagine del presidente del Consiglio sull’intero Paese, premettiamo che non siamo fra quanti attribuiscono valore oracolare a ogni sospiro della stampa estera sull’Italia. Perfino sul mitizzato “Economist” ci è capitato di leggere una serie di inesattezze dettate dalla faciloneria. Il danno, comunque, c’è: la credibilità è una premessa fondamentale in politica come nell’economia. L’uscita di scena di Berlusconi, da questo punto di vista, potrebbe rappresentare un medicamento. Non però con le modalità con le quali sembra oggi avvenire. Ovvero per mezzo di una magistratura oggettivamente partigiana e incurante dei limiti delle sue prerogative e di una opposizione tenuta insieme solo da un antiberlusconismo moralistico e impolitico. Il rischio è che al “sultano” succeda un uomo più “temperante” che, in mancanza di un programma politico, abbandoni le poche intuizioni positive di politica estera di Berlusconi, per presentare un’Italia più virtuosa agli occhi di quei Paesi che ci fanno la morale, ma sono pronti ad approfittare di una nostra eventuale arrendevolezza.
di Roberto Zavaglia

15 febbraio 2011

Vedi Berlusconi e poi scompari. Caso Sanjust


Virginia Sanjust

Non è facile incontrare Virginia Sanjust e parlare della sua relazione col presidente del Consiglio. Perché, come spiega lei, sono “ondate di ricordi che riportano a galla un dolore che ha rovinato la vita a me e alla mia famiglia”. L’ex annunciatrice di Rai1, che oggi vive in una comunità a Roma, mi riceve tremante e mi descrive Silvio Berlusconi come un uomo che “non si preoccupa dell’effetto che può avere sulle ragazze che fagocita nel suo mondo”. Anche se, ricorda, “una volta mi disse: ‘Virginia, ho paura di farti del male’…”.

Signora Sanjust, in questi giorni si parla di Sara Tommasi, un’altra giovane legata al premier che sembra molto fragile. Cosa ne pensa?
Io non compro i giornali, mi fanno stare male. Ma oggi, per la prima volta, il mio ex marito mi ha letto al telefono tutti gli sms di Sara.

Come mai?
Secondo lui c’è un’analogia tra i messaggi che io scrivevo a Berlusconi e quelli che manda Sara. Ossessivi e pieni di rabbia.

Si identifica?
Non saprei. Secondo il mio ex marito, Berlusconi riesce a fare impazzire le persone. La verità è che lui ti trascina in un mondo insostenibile.

La Tommasi ha raccontato che le mettevano droghe nei bicchieri per stordirla.
Che bisogno c’è? Quell’ambiente ti massacra, non c’è bisogno di alcuna droga. Se non fosse per lui, forse, io avrei ancora una famiglia, l’affidamento di mio figlio. Pensa che i giudici che me l’hanno tolto non siano stati influenzati da tutto quello che scrivevano i giornali, dal vedermi come l’amante di Berlusconi?

Lei ha frequentato il premier dal 2003 al 2006. Se ne pente?
Sì. Chi mi ridarà l’infanzia di mio figlio, che io non ho vissuto con lui? Questo rapporto è costato anche il lavoro a mio marito, e gli chiedo scusa. Per me era già eccessivo stare in televisione. L’incontro con Berlusconi, con quel potere enorme, è stato una cosa più grande di me.

Che cos’è successo?
A lui, nulla. Sembra che possa accadergli di tutto e lui ne esca comunque illeso. Per me invece è stato come fare il bagno in un fiume di fango.

Come mai?
Perdi il benessere, la dignità. Ero troppo giovane e lui mi ha schiacciata, ingannata. Ma oggi so che la responsabilità è anche mia: quando mi mandò le gardenie per complimentarsi del mio lavoro in tv, non avrei dovuto chiamarlo.

Invece lo fece e lui la invitò a pranzo. Si rendeva conto che avrebbe potuto essere rischioso?
Sì. Ma io venivo dalla campagna, non sono riuscita ad avere padronanza degli eventi.

Era lusingata dalle attenzioni del Cavaliere?
No. Non avevo né arte né parte, avevo solo letto il gobbo in tv: di cosa si complimentava? Lui, che è molto pragmatico, mi chiese: “Dimmi di te, raccontami chi sei”. Così venne fuori che avevo delle difficoltà economiche.

E Berlusconi, anche in questo caso, la aiutò.
No. Finché ho potuto, non ho preso un euro. Poi, quando la nostra storia uscì sui giornali, mi disse che dovevo lasciare il lavoro in Rai: ho cominciato ad accettare i suoi soldi e per un anno ho vissuto in casa sua, a Campo dei Fiori: gli avevo chiesto io di comprarla, so che la usa ancora.

Come si sentiva?
Malissimo, anche perché ho un rapporto difficile con il denaro. Sono molto orgogliosa. Lui pensa di aiutare le persone con i soldi: come mai lo fa solo con le ragazzine?

Secondo lei, Berlusconi è una persona buona o cattiva?
Mio nonno diceva che Berlusconi è una persona brava nel suo lavoro. Questo è tutto. Non ha intenzioni né buone né cattive.

Nel senso che fa quello che vuole senza riflettere?
Lui pensa a tutto, è una persona che controlla perfettamente la sua routine. Ma questo non vuol dire che gli interessi se fa del male a qualcuno. È imprigionato da tutto il potere che ha: può troppo.

Lei ne era innamorata?
Sì, a modo mio. Lo vedevo come un padre, mi proteggeva. E lui da me prendeva energia, entusiasmo. Gli raccontavo cosa diceva di lui la gente al bar.

Berlusconi, davanti a lei, ha mai frequentato altre ragazze?
Una sera mi invitò a cena e c’erano altre donne, bellissime. Mi rimase una sensazione di squallore addosso. Glielo chiesi, lui negò. Fu una delle ultime volte che lo vidi. Poi lo chiamai tante volte, gli mandai molte lettere: non mi ha mai risposto. Allora ho cercato di sopravvivere.

Oltre alle donne, anche i suoi fedelissimi, da Marcello Dell’Utri a Cesare Previti, hanno pagato al posto suo. Perché tutti quelli che gli stanno intorno ne escono così male?
Per preservare quello che ha, Berlusconi deve sacrificare gli altri. E continua a farlo, ne distrugge uno dopo l’altro. Lui è il contrario di Re Mida: tutto quello che tocca diventa cenere.
di Beatrice Borromeo

14 febbraio 2011

L'euro, il rapporto FCIC e la BCE

La discussione più importante al recente Forum di Davos è stata quella che i media non vi hanno raccontato. Dedicata al futuro dell'euro, si è tenuta il 28 gennaio nella forma di un confronto tra il presidente della BCE Jean-Claude Trichet e il prof. Wilhelm Hankel, uno dei cinque moschettieri che hanno presentato il ricorso alla Corte Costituzionale tedesca contro il fondo UE "salva-stati". Di fronte ad un pubblico straripante, Hankel ha riscosso più volte applausi (unico a riceverne) quando ha affermato che l'euro è un "cadavere ambulante" e che i tentativi di salvarlo affosseranno la democrazia in Europa. Trichet e gli altri relatori, tra cui il famoso Nouriel Roubini, non hanno saputo contrapporre argomenti convincenti ad Hankel, nella loro difesa dell'euro.

"Io vengo da un paese", ha esordito Hankel, "che soffre ancora, dopo 80 anni, degli errori compiuti da un governo che tentò contemporaneamente di pagare i debiti e tagliare il bilancio. Fu il governo che precedette Hitler". E comunque, ha aggiunto, "la mia non è solo la critica di un tedesco, ma di un democratico". I meccanismi di sorveglianza e "governance" che si vogliono introdurre nell'UE sono infatti misure di "svuotamento della democrazia". Esse sono il tentativo sbagliato di rimediare al peccato originale dell'euro, quello di aver separato la moneta dalla gestione del bilancio. La soluzione della crisi dell'eurozona, evidente se consideriamo che "i due terzi dei paesi membri sono in bancarotta", ha incalzato Hankel, è ovvia: riportare moneta e bilancio sotto una sola autorità. Ma attenti: le sole istituzioni legittimate a fare ciò sono i parlamenti e i governi nazionali. Invece, "abbiamo messo la moneta nelle mani di gente che non è stata eletta", ha scandito Hankel guardando fisso Trichet, "gente che manca della legittimizzazione democratica. In Europa c'è un grave problema di costituzionalità".

La soluzione è "molto semplice": o i paesi deboli escono dall'Euro, o – "e questa è la soluzione che preferisco" – torniamo ad "un sistema monetario in cui l'euro rimane solo come unità di conto, come lo era l'ecu in precedenza. Questa mi sembra essere la formula migliore per un'Europa prospera e democratica".

Trichet si è difeso con il solito argomento, che usa come una litania, secondo cui l'euro è una success-story grazie alla stabilità dei prezzi garantita dalla nascita fino ad oggi. Tuttavia, pochi giorni dopo, alla conferenza stampa mensile della BCE il 3 febbraio, Trichet ha distrutto il suo solo ed unico argomento annunciando che la BCE prevede un tasso d'inflazione superiore al "target" del 2 per cento per i prossimi 12 mesi!

Il condirettore dello Strategic Alert Claudio Celani ha chiesto a Trichet un commento sulle conclusioni del rapporto Angelides, leggendo un passaggio del rapporto. Sapendo bene che i banchieri centrali sono indicati tra i responsabili della crisi, per non aver saputo prevederla, per non aver saputo impedirla e per aver permesso la condotta criminale di molti operatori del mercato, Trichet ha cercato di sfilare la testa dalla ghigliottina sostenendo che la BCE e le altre banche centrali già nel 2007 avevano lanciato avvertimenti. E da impunito banchiere centrale, ha messo in guardia: tenersi pronti perché c'è ancora "molto duro lavoro da fare" – cioè, altri salvataggi.

Come nel caso della discussione sull'euro a Davos, i media non vi racconteranno questa presa di posizione ufficiale della BCE sulle conclusioni dell'inchiesta del governo USA sulle cause della crisi finanziaria.

by Movisol

13 febbraio 2011

Strapazzati dalle straniere

“A forza di passare le sue notti a toccare il culo alle ragazze davanti a tutti, mi chiedo come faccia il giorno dopo a lavorare”, si domanda il quotidiano francese l’”Express”, riprendendo le parole di una delle signorine presenti alle feste di Berlusconi. La stampa internazionale, in queste settimane, si è scatenata contro il capo del governo italiano, alternando la derisione all’indignazione. Sul “Pais”, Almudena Grandes, che pure è una scrittrice nota per romanzi che, un millennio fa, si sarebbero definiti scabrosi, non riesce a trattenere il suo sdegno: “I capelli tinti ed il viso coperto di trucco, le sue disperate ostentazioni giovanili di seduttore senile battono ogni giorno i suoi record di indecenza, senza che molti suoi concittadini trovino motivi per smettere di celebrare le sue pagliacciate”.
Come è ovvio, il disprezzo per Berlusconi finisce per estendersi anche agli italiani che più volte l’hanno votato. Il “New York Times” ne fa una questione antropologica e culturale: “In questi anni Berlusconi ha confuso la linea tra immagine e realtà. O meglio, ha fondato una brillante carriera sulla fondamentale verità italiana che l’immagine è la realtà”. E qui siamo al giudizio definitivo sul nostro carattere nazionale: solo in Italia, Paese barocco dove le forme di una fantasia morbosa ottenebrano la percezione della squallida realtà, può esistere un capo di governo che è un personaggio da operetta. Le surreali vicende erotiche di Berlusconi, insomma, rilanciano alla grande la mai estinta immagine degli italiani come popolo inaffidabile, brillante in superficie ma corrotto moralmente, sul quale non si può fare conto per la sua innata doppiezza e per la sua avversione ad ogni disciplina.
Lo stereotipo dell’italiano mandolinaro e traditore –che, anche se arriva da lontano, fu inchiodato nell’immaginario collettivo a causa dell’Otto settembre, da molti nemici di Berlusconi identificato invece come il giorno della riscossa nazionale- è presente in tanti articoli dei giornali stranieri. Quanto può costare all’Italia, intesa come Stato nazionale che collabora e compete con gli altri Stati negli scenari politici ed economici globali, questa ulteriore caduta di immagine? Dopo il rifiuto di estradare nel nostro Paese Cesare Battisti, Ernesto Galli della Loggia ha scritto che Francia e Brasile ci hanno trattati alla stregua di una Macedonia o di una Colombia, impartendoci ex cathedra delle lezioni sugli anni di piombo. A giudizio dell’editorialista del “Corriere della Sera”, ciò dipende dal fatto che la rappresentazione dell’Italia all’estero è falsa: “pressoché sconosciuti sono il tono della nostra vita pubblica e politica, la variegata qualità delle nostre relazioni sociali, dei nostri costumi e comportamenti collettivi”.
Nonostante tutte le magagne, siamo comunque meglio di come pensa la maggioranza degli stranieri, ma ha ragione Galli della Loggia a dire che la colpa dell’ignoranza sul nostro Paese è soprattutto degli italiani e dei governi che, per esempio, fanno i micragnosi con i pochi istituti culturali italiani all’estero e si disinteressano degli studiosi che si occupano dell’Italia. Una mancanza, aggiungiamo noi, che il “Berlusconi imprenditore, alieno da fumisterie culturalistiche”, ha accentuato. Pensiamo solo che ci si divide persino sul fatto di proclamare giornata di festa l’anniversario dell’unita nazionale, come se astenersi, ogni 150 anni, dal lavoro, portasse in rovina l’economia. Se non si rispetta la propria storia è difficile che si venga rispettati.
Berlusconi è convinto che il rango dell’Italia sia cresciuto: “Oggi il Paese è ascoltato, grazie anche al fatto che ha un leader anziano, un tycoon, il che è molto, molto importante”. Grazie a lui le tensioni tra Russia e Stati Uniti sarebbero svanite e, sempre per merito della sua saggia mediazione, Obama avrebbe rinunciato a piazzare i missili in Cechia e Polonia, senza considerare l’apporto decisivo nel convincere l’amico Putin a non invadere la Georgia dopo l’attacco di Saakashvili all’Ossezia del Sud. Al netto della vanagloria, qualcosa di vero c’è nel ruolo di Berlusconi come intermediario tra Mosca e l’Occidente. Ci sembra abbia ragione Paolo Quercia che, sulla rivista “Limes”, descrive l’azione diplomatica del presidente del Consiglio con la metafora dei due piatti della bilancia: “Nel primo il premier isola Usa e Israele e la loro domanda di sicurezza globale; sull’altro piatto della bilancia Berlusconi mette Russia e Libia e la loro offerta di energia diretta verso l’Europa”.
Gli stretti rapporti con la Russia hanno suscitato ostilità nell’Amministrazione Usa, come hanno confermato le rivelazioni di Wikileaks, ma Washington si è vista offrire, nel contempo, la massima collaborazione sull’Afghanistan e su Israele. Tranquillizzando l’alleato su alcune questioni scottanti, Berlusconi si è concesso, in altri scacchieri, di giocare in proprio. E’ difficile dire quanto ciò sia il frutto di una strategia, mai peraltro dichiarata, oppure una semplice pesca delle occasioni, suggerita dal fiuto commerciale. In ogni caso, queste decisioni hanno lasciato un segno: alcuni Paesi sono stati scelti come interlocutori principali, altri sono stati lasciati in secondo piano. La volontà di appoggiare il progetto di gasdotto South Stream, finendo poi con il coinvolgere anche Francia e Germania, invece del Nabucco, sponsorizzato da Washington e Bruxelles, crea una divisione di campo, aprendo uno spazio importante alla Russia in Europa contro la volontà statunitense.
E’ significativo che Berlusconi abbia compiuto ben cinque visite ufficiali in Libia e quattro in Russia, mentre grandi realtà come Cina, Brasile e India non gli abbiano suscitato il medesimo interesse. Non si è mai recato, a differenza dei suoi colleghi occidentali, in Afghanistan per visitare le truppe. Come se l’impegno, pur considerevole per le nostre forze, in quel teatro di guerra rappresentasse solo un’assicurazione da pagare. Con Israele Berlusconi si è mostrato allineato fino all’assurdo di dichiarare di non avere visto il cosiddetto muro di separazione quando vi era passato accanto. E’ riuscito poi a promettere un piano Marshall per la Palestina, ma in realtà ha ridotto il contributo italiano ai fondi Onu per i rifugiati palestinesi. L’interscambio italiano con l’Iran, nonostante le solenne promesse di Berlusconi a Netanyauh, è addirittura aumentato, per il momento. In questi casi, il confine tra scaltrezza diplomatica e inaffidabilità si fa labile, non migliorando certo la nostra fama.
Tornando alla questione del peso della caduta di immagine del presidente del Consiglio sull’intero Paese, premettiamo che non siamo fra quanti attribuiscono valore oracolare a ogni sospiro della stampa estera sull’Italia. Perfino sul mitizzato “Economist” ci è capitato di leggere una serie di inesattezze dettate dalla faciloneria. Il danno, comunque, c’è: la credibilità è una premessa fondamentale in politica come nell’economia. L’uscita di scena di Berlusconi, da questo punto di vista, potrebbe rappresentare un medicamento. Non però con le modalità con le quali sembra oggi avvenire. Ovvero per mezzo di una magistratura oggettivamente partigiana e incurante dei limiti delle sue prerogative e di una opposizione tenuta insieme solo da un antiberlusconismo moralistico e impolitico. Il rischio è che al “sultano” succeda un uomo più “temperante” che, in mancanza di un programma politico, abbandoni le poche intuizioni positive di politica estera di Berlusconi, per presentare un’Italia più virtuosa agli occhi di quei Paesi che ci fanno la morale, ma sono pronti ad approfittare di una nostra eventuale arrendevolezza.
di Roberto Zavaglia