20 marzo 2011

Viviamo in una democrazia?


http://www.cdt.ch/files/images/f_59873b658ce8a5c995219d424ea9a1c6.jpg

Signor De Benoist, a suo parere, oggi in Europa ed in occidente in generale, viviamo in una democrazia?
Tutto dipende ovviamente dal modo in cui si definisce la democrazia. I regimi di oggi nella maggior parte dei paesi occidentali sono democrazie parlamentari e liberali, cioè sistemi rappresentativi. Ma, sotto diversi aspetti, c'è una contraddizione di fondo tra la democrazia, il cui principio è l'uguaglianza politica dei cittadini, ed il liberalismo, che privilegia la libertà individuale e tende a mettere la sfera privata al di sopra dello spazio pubblico. La democrazia non è soltanto il regime politico dove la legittimità si basa sulla sovranità del popolo, è anche il regime che in maniera presuntiva dovrebbe mettere il popolo al potere, o almeno permettere al più grande numero dei suoi membri di partecipare agli affari pubblici. In tutta evidenza, non è il caso oggi, poiché vediamo un po' ovunque scavarsi un fossato tra il popolo e la nuova classe politico-mediatica. Carl Schmitt, fedele su questo punto all'opinione di Jean-Jacques Rousseau, riteneva che una democrazia è in egual misura meno democratica di quanto attribuisce importanza alla rappresentanza. In una democrazia rappresentativa, il popolo si disfa infatti della sua sovranità a profitto dei rappresentanti. Una vera democrazia è necessariamente una democrazia, non (soltanto) rappresentativa, ma partecipativa. Più che delle democrazie, i regimi politici occidentali attuali mi sembrano essere oligarchie finanziarie, sostenute da procedure gestionali e di “espertocrazie”.
2. A suo parere è giusto connotare il periodo storico che viviamo come globalizazzione, o sarebbe più corretto parlare di americanizzazione del mondo?
La globalizzazione, prima di tutto, va a vantaggio necessariamente delle potenze dominanti. Americanizzazione e globalizzazione non sono sinonimi, ma vanno oggi insieme: coloro che contestano la globalizzazione pur restando muti sull'americanizzazione farebbero meglio a tacere. Gli Stati Uniti sono oggi la principale base d’ancoraggio del sistema capitalista mondiale, sistema la cui portata va molto al di là della sola sfera economica, nella misura in cui la sua instaurazione su scala mondiale comporta un vero mutamento antropologico (la riduzione di qualsiasi valore al valore mercantile e l'impoverimento dell'immaginario simbolico che ne risulta). La globalizzazione, può definirsi come la trasformazione del pianeta in un mercato gigantesco. È ciò che ho chiamato il regno della forma-Capitale. Gli Stati Uniti sono loro stessi oggetto della forma-Capitale, ma ne sono anche il principale vettore ed i principali beneficiari. Non è dunque possibile denunciare la globalizzazione senza denunciare anche l’imperialismo americano.
3. Quali cambiamenti geopolitici possono delinearsi con la crisi economica in corso?
È ancora molto difficile sapere quali saranno le conseguenze della crisi di "subprimes". Si vede bene tuttavia che nell'epoca della globalizzazione, che è anche quella dell’autonomizzazione e della istantaneità dei trasferimenti finanziari, ogni crisi economica locale tende a propagarsi da un capo all'altro del mondo. Il capitalismo è conosciuto per la sua capacità di trionfare sulle sue crisi, ed anche di nutrirsi di esse. Non credo che questa capacità sia infinita. Il divorzio crescente dell'economia produttiva e dell'economia speculativa immateriale, la fuga in avanti del sistema del credito, l'approfondimento delle diseguaglianze economiche (tanto tra paesi che all'interno di ogni paese), l'incertezza sul futuro, tutto ciò fa sì che il sistema finanziario di oggi sia oggetto di una navigazione vista. La mia sensazione è che il sistema del denaro perirà con il denaro.
4. Lei è critico dell’occidentalismo e di ogni forma d'universalismo, mentre sostiene il politeismo relativistico, al contrario di filosofi come Preve, che sostengono una forma d'universalismo democratico. Potrebbe meglio spiegare le sue posizioni?
Non credo che le mie posizioni a tale riguardo differiscano da quelle di Costanzo Preve. Non faccio l'errore, in particolare, di confondere l’universale con l’universalismo. L’universalismo politico mi sembra discutibile, poiché si basa sull'idea implicita che ciò che vale in un posto deve così necessariamente valere ovunque, senza considerazione dei contesti particolari. Occorrerebbe discutere nel dettaglio, ma ciò mi sembra essere un errore. L'universale non è per me l'opposto della singolarità. È al contrario a partire da una singolarità portata ad un certo grado d'eccellenza o d'intensità che si può raggiungere l'universale. Si potrebbe dire, ad esempio, che Dante è tanto più universale in quanto è prima di tutto italiano. Non dimentico neppure che la nozione d'umanità non è una nozione politica, e che inoltre nessuno appartiene all'umanità in modo immediato: apparteniamo all'umanità in maniera mediata, cioè con la mediazione di una cultura particolare. Le varie forme di universalismo politico mi sembrano essere semplici trasposizioni profane di credenze metafisiche o religiose.
5. È attualizzabile oggi in Europa una forma di democrazia diretta simile alla proposta degli anarchici di fine ottocento?
La democrazia diretta (o la democrazia partecipativa) mi sembra oggi completamente applicabile, a condizione non di cadere nell’angelico o aspettarci più di quello che ci può dare. Occorre qui concepire la globalizzazione come una dialettica: da un lato, omogeneizza ed unifica, dell'altro suscita, per reazione, frammentazioni nuove. L'epoca postmoderna è d'altra parte quella del deterioramento dello stato nazione e delle grandi istituzioni sospese ed astratte che avevano trionfato nell'epoca della modernità. Viviamo oggi in un mondo in cui le Comunità e le reti conoscono una rinnovata importanza. Lo sviluppo delle attività associative, l'emergenza lenta di un'economica più interdipendente, ridà un posto essenziale a tutto ciò che dipende dal localismo. È nelle piccole unità o Comunità locali che è più facile mettere in opera delle pratiche di democrazia diretta, cosa che permette allo stesso tempo di rimediare allo scollamento sociale ed alla scomparsa delle solidarietà organiche.
6. Praticamente ogni partito politico europeo sostiene il sionismo, o in qualunque caso il diritto d’Israele ad esistere benché sia uno stato fondato su basi etnico-religiose. Come può essere spiegata dal suo punto di vista l’adesione di massa al sionismo in Europa e nell’occidente in generale?
Le persecuzioni antisemite intraprese dalla Germania nazista hanno conferito al popolo ebreo un credito morale evidente. Il problema è che questo credito non può essere illimitato. Il conformismo, il peso dei gruppi di pressione, conducono molti ad approvare per principio tutto ciò che fa lo Stato d’Israele. I difensori di quest'ultimo non esitano, per parte loro, a tentare di intimidire i loro avversari presentando ogni forma di antisionismo o tutte le critiche allo Stato di Israele come "antisemite", cosa che è ovviamente assurda. Per quanto riguarda il sionismo come tale, sono personalmente agnostico. Riconosco volentieri al popolo ebreo il diritto di costituirsi in Stato. Il problema comincia soltanto quando questo Stato si stabilisce in un posto già occupato da altri. Occorrerebbe anche chiedersi se uno Stato "etnico" è ancora concepibile nel mondo attuale. Aggiungo che secondo me, non è esagerato parlare di fallimento del progetto sionista, nella misura in cui quest'ultimo si prefiggeva come primo obiettivo di raccogliere gli ebrei in un luogo in cui sarebbero infine stati al sicuro, mentre è evidente che proprio in Israele sono oggi in stato d'insicurezza. Quanto al conflitto Israeliano-palestinese, non vedo per il momento alcuna possibilità ragionevole di soluzione.
7. Quale è la sua opinione sul pensiero di Karl Marx, e sul neomarxismo di Lukacs, di Bloch o di Althusser?
Marx non è stato soltanto uno dei primi ad esporre in modo convincente come il capitalismo organizza l'espropriazione dei produttori sul quale si fonda, è stato soprattutto colui che, in modo veramente brillante, ha capito che il sistema capitalista è un sistema antropologico più ancora che un sistema puramente economico. Le pagine insuperabili che ha dedicato al "feticismo della merce", dalle quali Georg Lukács ha potuto formulare nel 1923 il concetto di "reificazione" (Verdinglichung), illustrano perfettamente il modo in cui l'appropriazione della Terra con il capitale introduce una vera "cosificazione" delle relazioni sociali, dove l'uomo stesso non è soltanto sottoposto alla merce, ma si trasforma in merce. Questo dispositivo di aggiustamento enorme ricorda ciò che Heidegger ha scritto a proposito della Gestell, come sistema di fuga in avanti nell'illimitato. Accanto a ciò, Marx tende a sopra valorizzare la sola economia, cosa che porta ad attendere l’avvento di un'altra forma d'organizzazione economica, anziché mettere in dubbio l'economia stessa come valore (è un punto sul quale, attraverso Ricardo, resta dipendente della scuola classica). Egli vuole anche liberare il lavoro, dove sarebbe stato necessario prevedere di liberarsi dal lavoro stesso. Sviluppa una filosofia lineare della storia che è soltanto una trasposizione profana dello storicismo cristiano. Sottolinea giustamente la realtà delle lotte di classe, ma ha il torto di fare di esse il solo motore della storia umana. Ha molto ben capito che la borghesia, detentrice del capitale - ed alla quale riconosce di avere liquidato il sistema feudale perché vi vede in ciò un presupposto indispensabile per l’avvento di una società senza classi -, trova nell'accumulazione di questo capitale la fonte del suo potere e che le forze produttive si sviluppano nella scia della sua sovranità di classe. Ma ha avuto torto nel caratterizzare la borghesia soltanto come la classe detentrice dei mezzi di produzione, senza vedere che era anche e soprattutto portatrice di valori nuovi. Quanto a Lukács, Bloch ed Althusser, essi sono ovviamente fra i suoi interpreti più importanti.
8. Lei è un sostenitore della decrescita e sostiene che ciò non significa ritornare al passato quanto pensare ad sistema economico che si equilibri con la natura. Tuttavia alcuni pensatori, tra i quali Professor La Grassa, sostengono che se l'Italia o l'Europa intraprendessero la decrescita sarebbero schiacciate militarmente degli USA ed economicamente della Cina. È possibile secondo lei conciliare geopolitica e decrescita?
La potenza non passa soltanto per la crescita. Se, per non essere schiacciati militarmente dagli Stati Uniti o economicamente dalla Cina, occorre impegnarsi in una corsa senza fine verso sempre più armamenti e sempre più crescita, non penso che saremo mai vincenti. Vivremo soltanto in un mondo che diventerà ancora più intollerabile. La teoria della decrescita si fonda sulla presa in considerazione della nozione dei limiti, ed in particolare su questa constatazione che non si può avere una crescita materiale infinita in un mondo finito. Di fronte al capitalismo, l'obiettivo non è di ottenere migliori risultati rispetto ai concorrenti restando nello stesso sistema, ma al contrario di uscire da questo sistema. Piuttosto che rientrare nella rivalità mimetica, sono dunque favorevole ad una strategia di rottura. Essere "più forte" degli Stati Uniti, deve significare in primo luogo: essere capaci di opporre loro un altro modello di società e di civilizzazione.
9. Qual è la sua opinione sul razzismo e la xenofobia?
Ho pubblicato numerosi scritti contro il razzismo e contro la xenofobia. Detto ciò, esprimere sul razzismo un giudizio morale non mi interessa. Trovo più proficuo smontare i preconcetti e farne apparire gli errori intellettuali o teorici. Il razzismo è una forma di alter-fobia, cioè di rifiuto di ammettere, non soltanto l'altro, ma la nozione anche di diversità. Ci sono secondo me due forme di razzismo, molto diverse ma convergenti. La prima è quella del razzismo classico, brutale e discriminatorio, che mira a dividere, a predominare, o sradicare gli altri per la sola ragione che sono diversi. La seconda, più sottile, consiste nel non ammettere l’Altro fino a che non sia stato riportato allo “Stesso”. Dire che "gli uomini sono tutti gli stessi", che ci sono "soltanto uomini come gli altri", può sembrare generoso. È effettivamente soltanto un modo di mostrare che si è incapaci di comprendere e riconoscere la diversità. Il punto comune di questi due razzismi è l'allergia alla differenza.

di Alain de Benoist - Giacomo Repaci -

19 marzo 2011

Celentano no nuke: tocca ai cittadini. Ora o mai più


Il cantante e showman scrive al Corriere della Sera e dice la sua sul nucleare. Una dura requisitoria contro i politici alla Berlusconi e alla Casini. Un vero e proprio appello a partecipare al referendum e a votare contro i programmi governativi che spacciano le centrali atomiche come una risposta indispensabile al problema dell’energia


In Giappone l’incubo continua. Terremoto, tsunami ed ora la catastrofe nucleare. Eventi terribili, che uno dopo l’altro hanno messo in ginocchio quella che fino a pochi giorni fa era una potenza economica e tecnologica. Anche l’Unione Europea, ormai, non può che ammettere che si è a «rischio apocalisse», rimettendo così in discussione il suo stesso futuro atomico. Il governo italiano, invece, si limita a qualche ripensamento di facciata in attesa di tornare alla carica. Il nuovo referendum per evitare il ritorno al nucleare risulta così essere l’ultima speranza per gli italiani: «Non votare sarebbe un suicidio», afferma Adriano Celentano dalle pagine del Corriere della Sera.

«Settantamila case distrutte, un milione di sfollati e cinquemila dispersi in quel florido Giappone, che nel giro di 6 minuti è improvvisamente precipitato nel buio più scuro, fra terremoto e tsunami». Sono queste le parole dello showman che, in una lettera al direttore del quotidiano milanese, ricorda come il Paese del Sol levante si trovi ora a dovere affrontare l’incubo delle radiazioni letali pendenti sulla testa dei giapponesi. E sembra non credere alla malafede di Chicco Testa, ex presidente di Legambiente ed attuale presidente del Forum nucleare italiano, quando spavaldo ha tuonato sulla “tenuta” della centrale di Fukushima (per poi fare penosamente marcia indietro, travolto sia dalle critiche che soprattutto dagli eventi). Ma «La cosa più incredibile – scrive il “Molleggiato” – è lo stato di ipnosi in cui versano gli italiani di fronte ai fatti sconcertanti di una politica che non è più neanche politica, ma piuttosto un qualcosa di maleodorante e che di proposito vorrebbe trastullarci in uno stato confusionale».

Un Paese “narcotizzato”, denuncia l’ex Ragazzo della via Gluck, in cui «sempre di meno si potrà distinguere il bene dal male, le cose giuste da quelle ingiuste». Una caratteristica, quella del Belpaese, che permette a Berlusconi di andare avanti imperterrito con il suo programma nucleare, mentre il mondo intero (Cina inclusa), si interroga seriamente sul dramma che sta investendo non solo il Giappone, ma il mondo intero. «Chi se ne frega della sovranità popolare!» che nell’87 decretò la chiusura delle centrali italiane, commenta con amaro sarcasmo l’attore e cantante milanese.

Ma di critiche Celentano non ne fa solo a Berlusconi, e si rivolge anche a Casini ed il Terzo Polo: «Caro Casini, che tu fossi un nuclearista convinto lo sapevamo tutti e io rispetto la tua opinione, anche se è orribile. Ma a dirlo proprio in questo momento, non pensi che tu abbia dato una sberla sui denti al tuo elettorato?». Ed aggiunge: «Tralasciando il piccolo particolare che l’Italia è uno dei Paesi a maggior rischio sismico, come tu sai, le radiazioni sono pericolose non soltanto perché si muore, ma per il modo in cui si muore: una sofferenza di una atrocità inimmaginabile». Ed accusa, come ormai in pochi si prenderebbero la briga di fare: «La verità è che tu e Berlusconi siete degli ipocriti marci. Lo sapete benissimo che, per quanto sicure possono essere le centrali atomiche, anche di decima o di undicesima generazione, il vero pericolo sono soprattutto le scorie radioattive, che nessuno sa come distruggere e che già più di mezzo mondo ne è impestato». «Lo sapete benissimo – insiste il “Molleggiato” – e ciò nonostante continuate a ingannare i popoli promettendo loro quel falso benessere che serve solo a gonfiarvi di Potere e ad arricchire le vostre tasche».

Ora, questo non significa che Celentano debba diventare il nuovo idolo delle masse. Ma sentire una persona con la sua notorietà, e la sua popolarità, prendere fermamente posizione contro l’arroganza e l’ottusità del governo e dei nuclearisti italiani (oltre che citare il Forum italiano Movimenti per l'acqua, “di cui nessuno parla, tranne illoro sito”), fa stare decisamente meglio, nel surreale contesto italiano. Almeno per un po’, ossia fino a quando, nella stessa lettera, l’attore “promuove” il sindaco fiorentino Matteo Renzi. Che sì, ha messo la sua città sotto la tutela ambientale di “Casa Clima”, l’autorità di Bolzano per l’edilizia ecologica, ma come “nuovo che avanza” lascia parecchio a desiderare. Anche solo per essersi già recato a cena nella villa di Arcore di Berlusconi.

Il governo cerca di ostacolare questo referendum, indetto solo a giugno, «quando la gente va al mare», mettendo così in pericolo il raggiungimento del quorum. È per questo, però, che Celentano conclude opportunamente il suo messaggio, rivolgendo agli italiani «non un appello, ma una preghiera» perché si vada a votare: «Una preghiera che non è rivolta ai politici. Loro non sanno quello che fanno. Per cui mi rivolgo a tutti quelli che invece li votano i politici. Di destra, di sinistra, studenti, leghisti, fascisti e comunisti, per il vostro bene, non disertate il referendum». «Questa volta sarebbe un suicidio», avverte Celentano: «Dobbiamo andare a votare anche se il governo spostasse la data del referendum al giorno di Natale. Non sia mai che prendiate sotto gamba questi referendum: saremmo spacciati».

Tocca quindi ai cittadini. A noi cittadini: ora o mai più.

di Andrea Bertaglio

18 marzo 2011

Nucleare: porci domande o porci comodi?




Come si può produrre occupazione stabile? Come si può salvaguardare l'ambiente? Come si possono evitare disastri prevedendoli prima di arrivare alle emergenze? Sono alcune delle domande che Michele Dotti si pone e pone a tutti nella speranza che le eventuali risposte siano un po' più sagge delle attuali politiche energetiche vigent
i.


domande nucleare occupazione italia
Di una cosa sono certo: è sempre un bene continuare a porci domande, a prescindere dal fatto di poter trovare subito le risposte o meno

Di una cosa sono certo: è sempre un bene continuare a porci domande, a prescindere dal fatto di poter trovare subito le risposte o meno.

Anzi, forse è meglio non trovarle affatto!!! Il dubbio infatti alimenta la curiosità e fa progredire la conoscenza, mentre le certezze la paralizzano. Chiediamoci allora seriamente:

- come produrre occupazione stabile?

- come salvaguardare l'ambiente, anche per le future generazioni?

- come evitare disastri, prevenendoli prima di arrivare alle emergenze?

Qualche giorno fa, in un mio articolo ho provato a rispondere a queste domande, senza alcuna pretesa di esaustività ma semplicemente per cercare di offrire un piccolo contributo costruttivo e andare oltre le sterili polemiche a cui spesso assistiamo su questi temi.

Le domande rimangono comunque aperte e le risposte vanno cercate tutti insieme. Tuttavia, mentre noi ci poniamo queste domande e riflettiamo con pazienza sulle possibili risposte, c'è chi si muove con molta più disinvoltura. Grazie al Decreto Romani che taglia gli incentivi per il fotovoltaico 120.000 occupati rischiano di rimanere a casa; si tratta di oltre 1.000 imprese a rischio chiusura, per un ammontare di 13 miliardi di investimenti già effettuati che potrebbero andare in fumo.

Un po' come chiudere la FIAT con un decreto. Senza contare poi il danno ambientale...

E tutto questo per che cosa???

Mi pare legittimo il sospetto che sia semplicemente per l'interesse di pochi, che vogliono continuare a proporre sfrontatamente il nucleare, nonostante tutto e tutti. Non è forse sufficiente quello che sta succedendo in Giappone? Cosa deve succedere ancora perché si possa dire che il nucleare è una pura follia, da tutti i punti di vista?

Il nostro governo sostiene che occorre con urgenza rendersi indipendenti dai combustibili fossili e ridurre il costo dell'energia. Peccato però che i nuovi impianti che si vorrebbero costruire sarebbero forse produttivi soltanto tra 15 anni; e per la "modica cifra" di trenta miliardi di euro, coprirebbero solo il 4% del nostro fabbisogno energetico.

Senza neppure ridurre i costi, oltretutto.

E' davvero questa la strada da intraprendere per il nostro futuro? Non sarebbe già sufficiente un serio piano di risparmio energetico per andare oltre questa percentuale? Continuiamo a porci domande, dunque, come sano antidoto per contrastare quanti continuano ostinatamente e sfacciatamente a farsi i propri porci comodi.

Per approfondire questo tema vi consiglio di continuare a leggere qui di seguito queste interessanti analisi di Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento.

Quattro idee sul nucleare

di Mao Valpiana

1. Le centrali nucleari forniscono energia elettrica. In Italia non ne abbiamo bisogno: negli ultimi anni la potenza installata è aumentata, mentre la domanda è diminuita: la domanda è di circa 60 GW (gigawatt). La potenza elettrica installata in Italia all’inizio 2010 è pari a 94 GW. Quindi non c'è nessun bisogno reale di nuova energia elettrica (per trasporti e riscaldamento usiamo petrolio o gas).

2. Si dice che le centrali nucleari ci garantiranno l'indipendenza energetica. Falso. Le centrali utilizzano come combustibile l'uranio. Le principali miniere di uranio sono in Australia e in Africa, oggi sotto controllo cinese, o in Ucraina, Uzbekistan, Kazakistan, oggi sotto controllo russo. Quindi il nucleare è una fonte che crea dipendenza da Cina o da Russia.

3. Ma quanto costa l'energia prodotta dalle centrali? Troppo. Il costo Kwh (kilowatt/ora) del nucleare è maggiore di quello di ogni altra fonte (i costi ufficiali in centesimi di dollaro sono: nucleare: 10,2 – eolico: 9,9 – carbone: 9,8 – gas: 8,2 ), questo perché oltre agli investimenti per la costruzione di una centrale, bisogna calcolare anche il costo di smantellamento, che può persino raddoppiare.

4. Il governo italiano ha previsto 4 nuove centrali nucleari, con un costo di 30 miliardi di lire. Queste 4 centrali, se tutto va bene, entrerebbero in funzione fra 15/20 anni, e produrrebbero il 5% dell'energia nazionale. È del tutto evidente la sproporzione tra investimento e risultato. Il 5% è quanto si può ottenere da subito con una seria politica di risparmio e di efficienza degli impianti già esistenti.

Bastano queste 4 cifre per dimostrare che il nucleare in Italia non ha senso e serve solo ad assicurare affari ad un ristretta lobby. A questo aggiungiamo che il governo propone il nucleare senza aver presentato al paese un serio piano energetico (fabbisogno, previsioni, consumi, costi, ecc.) e che il problema delle scorie radioattive non è ancora stato risolto.

La conclusione è semplice, ed è la stessa di tanti anni fa: Energia nucleare? No, grazie.

di Michele Dotti

20 marzo 2011

Viviamo in una democrazia?


http://www.cdt.ch/files/images/f_59873b658ce8a5c995219d424ea9a1c6.jpg

Signor De Benoist, a suo parere, oggi in Europa ed in occidente in generale, viviamo in una democrazia?
Tutto dipende ovviamente dal modo in cui si definisce la democrazia. I regimi di oggi nella maggior parte dei paesi occidentali sono democrazie parlamentari e liberali, cioè sistemi rappresentativi. Ma, sotto diversi aspetti, c'è una contraddizione di fondo tra la democrazia, il cui principio è l'uguaglianza politica dei cittadini, ed il liberalismo, che privilegia la libertà individuale e tende a mettere la sfera privata al di sopra dello spazio pubblico. La democrazia non è soltanto il regime politico dove la legittimità si basa sulla sovranità del popolo, è anche il regime che in maniera presuntiva dovrebbe mettere il popolo al potere, o almeno permettere al più grande numero dei suoi membri di partecipare agli affari pubblici. In tutta evidenza, non è il caso oggi, poiché vediamo un po' ovunque scavarsi un fossato tra il popolo e la nuova classe politico-mediatica. Carl Schmitt, fedele su questo punto all'opinione di Jean-Jacques Rousseau, riteneva che una democrazia è in egual misura meno democratica di quanto attribuisce importanza alla rappresentanza. In una democrazia rappresentativa, il popolo si disfa infatti della sua sovranità a profitto dei rappresentanti. Una vera democrazia è necessariamente una democrazia, non (soltanto) rappresentativa, ma partecipativa. Più che delle democrazie, i regimi politici occidentali attuali mi sembrano essere oligarchie finanziarie, sostenute da procedure gestionali e di “espertocrazie”.
2. A suo parere è giusto connotare il periodo storico che viviamo come globalizazzione, o sarebbe più corretto parlare di americanizzazione del mondo?
La globalizzazione, prima di tutto, va a vantaggio necessariamente delle potenze dominanti. Americanizzazione e globalizzazione non sono sinonimi, ma vanno oggi insieme: coloro che contestano la globalizzazione pur restando muti sull'americanizzazione farebbero meglio a tacere. Gli Stati Uniti sono oggi la principale base d’ancoraggio del sistema capitalista mondiale, sistema la cui portata va molto al di là della sola sfera economica, nella misura in cui la sua instaurazione su scala mondiale comporta un vero mutamento antropologico (la riduzione di qualsiasi valore al valore mercantile e l'impoverimento dell'immaginario simbolico che ne risulta). La globalizzazione, può definirsi come la trasformazione del pianeta in un mercato gigantesco. È ciò che ho chiamato il regno della forma-Capitale. Gli Stati Uniti sono loro stessi oggetto della forma-Capitale, ma ne sono anche il principale vettore ed i principali beneficiari. Non è dunque possibile denunciare la globalizzazione senza denunciare anche l’imperialismo americano.
3. Quali cambiamenti geopolitici possono delinearsi con la crisi economica in corso?
È ancora molto difficile sapere quali saranno le conseguenze della crisi di "subprimes". Si vede bene tuttavia che nell'epoca della globalizzazione, che è anche quella dell’autonomizzazione e della istantaneità dei trasferimenti finanziari, ogni crisi economica locale tende a propagarsi da un capo all'altro del mondo. Il capitalismo è conosciuto per la sua capacità di trionfare sulle sue crisi, ed anche di nutrirsi di esse. Non credo che questa capacità sia infinita. Il divorzio crescente dell'economia produttiva e dell'economia speculativa immateriale, la fuga in avanti del sistema del credito, l'approfondimento delle diseguaglianze economiche (tanto tra paesi che all'interno di ogni paese), l'incertezza sul futuro, tutto ciò fa sì che il sistema finanziario di oggi sia oggetto di una navigazione vista. La mia sensazione è che il sistema del denaro perirà con il denaro.
4. Lei è critico dell’occidentalismo e di ogni forma d'universalismo, mentre sostiene il politeismo relativistico, al contrario di filosofi come Preve, che sostengono una forma d'universalismo democratico. Potrebbe meglio spiegare le sue posizioni?
Non credo che le mie posizioni a tale riguardo differiscano da quelle di Costanzo Preve. Non faccio l'errore, in particolare, di confondere l’universale con l’universalismo. L’universalismo politico mi sembra discutibile, poiché si basa sull'idea implicita che ciò che vale in un posto deve così necessariamente valere ovunque, senza considerazione dei contesti particolari. Occorrerebbe discutere nel dettaglio, ma ciò mi sembra essere un errore. L'universale non è per me l'opposto della singolarità. È al contrario a partire da una singolarità portata ad un certo grado d'eccellenza o d'intensità che si può raggiungere l'universale. Si potrebbe dire, ad esempio, che Dante è tanto più universale in quanto è prima di tutto italiano. Non dimentico neppure che la nozione d'umanità non è una nozione politica, e che inoltre nessuno appartiene all'umanità in modo immediato: apparteniamo all'umanità in maniera mediata, cioè con la mediazione di una cultura particolare. Le varie forme di universalismo politico mi sembrano essere semplici trasposizioni profane di credenze metafisiche o religiose.
5. È attualizzabile oggi in Europa una forma di democrazia diretta simile alla proposta degli anarchici di fine ottocento?
La democrazia diretta (o la democrazia partecipativa) mi sembra oggi completamente applicabile, a condizione non di cadere nell’angelico o aspettarci più di quello che ci può dare. Occorre qui concepire la globalizzazione come una dialettica: da un lato, omogeneizza ed unifica, dell'altro suscita, per reazione, frammentazioni nuove. L'epoca postmoderna è d'altra parte quella del deterioramento dello stato nazione e delle grandi istituzioni sospese ed astratte che avevano trionfato nell'epoca della modernità. Viviamo oggi in un mondo in cui le Comunità e le reti conoscono una rinnovata importanza. Lo sviluppo delle attività associative, l'emergenza lenta di un'economica più interdipendente, ridà un posto essenziale a tutto ciò che dipende dal localismo. È nelle piccole unità o Comunità locali che è più facile mettere in opera delle pratiche di democrazia diretta, cosa che permette allo stesso tempo di rimediare allo scollamento sociale ed alla scomparsa delle solidarietà organiche.
6. Praticamente ogni partito politico europeo sostiene il sionismo, o in qualunque caso il diritto d’Israele ad esistere benché sia uno stato fondato su basi etnico-religiose. Come può essere spiegata dal suo punto di vista l’adesione di massa al sionismo in Europa e nell’occidente in generale?
Le persecuzioni antisemite intraprese dalla Germania nazista hanno conferito al popolo ebreo un credito morale evidente. Il problema è che questo credito non può essere illimitato. Il conformismo, il peso dei gruppi di pressione, conducono molti ad approvare per principio tutto ciò che fa lo Stato d’Israele. I difensori di quest'ultimo non esitano, per parte loro, a tentare di intimidire i loro avversari presentando ogni forma di antisionismo o tutte le critiche allo Stato di Israele come "antisemite", cosa che è ovviamente assurda. Per quanto riguarda il sionismo come tale, sono personalmente agnostico. Riconosco volentieri al popolo ebreo il diritto di costituirsi in Stato. Il problema comincia soltanto quando questo Stato si stabilisce in un posto già occupato da altri. Occorrerebbe anche chiedersi se uno Stato "etnico" è ancora concepibile nel mondo attuale. Aggiungo che secondo me, non è esagerato parlare di fallimento del progetto sionista, nella misura in cui quest'ultimo si prefiggeva come primo obiettivo di raccogliere gli ebrei in un luogo in cui sarebbero infine stati al sicuro, mentre è evidente che proprio in Israele sono oggi in stato d'insicurezza. Quanto al conflitto Israeliano-palestinese, non vedo per il momento alcuna possibilità ragionevole di soluzione.
7. Quale è la sua opinione sul pensiero di Karl Marx, e sul neomarxismo di Lukacs, di Bloch o di Althusser?
Marx non è stato soltanto uno dei primi ad esporre in modo convincente come il capitalismo organizza l'espropriazione dei produttori sul quale si fonda, è stato soprattutto colui che, in modo veramente brillante, ha capito che il sistema capitalista è un sistema antropologico più ancora che un sistema puramente economico. Le pagine insuperabili che ha dedicato al "feticismo della merce", dalle quali Georg Lukács ha potuto formulare nel 1923 il concetto di "reificazione" (Verdinglichung), illustrano perfettamente il modo in cui l'appropriazione della Terra con il capitale introduce una vera "cosificazione" delle relazioni sociali, dove l'uomo stesso non è soltanto sottoposto alla merce, ma si trasforma in merce. Questo dispositivo di aggiustamento enorme ricorda ciò che Heidegger ha scritto a proposito della Gestell, come sistema di fuga in avanti nell'illimitato. Accanto a ciò, Marx tende a sopra valorizzare la sola economia, cosa che porta ad attendere l’avvento di un'altra forma d'organizzazione economica, anziché mettere in dubbio l'economia stessa come valore (è un punto sul quale, attraverso Ricardo, resta dipendente della scuola classica). Egli vuole anche liberare il lavoro, dove sarebbe stato necessario prevedere di liberarsi dal lavoro stesso. Sviluppa una filosofia lineare della storia che è soltanto una trasposizione profana dello storicismo cristiano. Sottolinea giustamente la realtà delle lotte di classe, ma ha il torto di fare di esse il solo motore della storia umana. Ha molto ben capito che la borghesia, detentrice del capitale - ed alla quale riconosce di avere liquidato il sistema feudale perché vi vede in ciò un presupposto indispensabile per l’avvento di una società senza classi -, trova nell'accumulazione di questo capitale la fonte del suo potere e che le forze produttive si sviluppano nella scia della sua sovranità di classe. Ma ha avuto torto nel caratterizzare la borghesia soltanto come la classe detentrice dei mezzi di produzione, senza vedere che era anche e soprattutto portatrice di valori nuovi. Quanto a Lukács, Bloch ed Althusser, essi sono ovviamente fra i suoi interpreti più importanti.
8. Lei è un sostenitore della decrescita e sostiene che ciò non significa ritornare al passato quanto pensare ad sistema economico che si equilibri con la natura. Tuttavia alcuni pensatori, tra i quali Professor La Grassa, sostengono che se l'Italia o l'Europa intraprendessero la decrescita sarebbero schiacciate militarmente degli USA ed economicamente della Cina. È possibile secondo lei conciliare geopolitica e decrescita?
La potenza non passa soltanto per la crescita. Se, per non essere schiacciati militarmente dagli Stati Uniti o economicamente dalla Cina, occorre impegnarsi in una corsa senza fine verso sempre più armamenti e sempre più crescita, non penso che saremo mai vincenti. Vivremo soltanto in un mondo che diventerà ancora più intollerabile. La teoria della decrescita si fonda sulla presa in considerazione della nozione dei limiti, ed in particolare su questa constatazione che non si può avere una crescita materiale infinita in un mondo finito. Di fronte al capitalismo, l'obiettivo non è di ottenere migliori risultati rispetto ai concorrenti restando nello stesso sistema, ma al contrario di uscire da questo sistema. Piuttosto che rientrare nella rivalità mimetica, sono dunque favorevole ad una strategia di rottura. Essere "più forte" degli Stati Uniti, deve significare in primo luogo: essere capaci di opporre loro un altro modello di società e di civilizzazione.
9. Qual è la sua opinione sul razzismo e la xenofobia?
Ho pubblicato numerosi scritti contro il razzismo e contro la xenofobia. Detto ciò, esprimere sul razzismo un giudizio morale non mi interessa. Trovo più proficuo smontare i preconcetti e farne apparire gli errori intellettuali o teorici. Il razzismo è una forma di alter-fobia, cioè di rifiuto di ammettere, non soltanto l'altro, ma la nozione anche di diversità. Ci sono secondo me due forme di razzismo, molto diverse ma convergenti. La prima è quella del razzismo classico, brutale e discriminatorio, che mira a dividere, a predominare, o sradicare gli altri per la sola ragione che sono diversi. La seconda, più sottile, consiste nel non ammettere l’Altro fino a che non sia stato riportato allo “Stesso”. Dire che "gli uomini sono tutti gli stessi", che ci sono "soltanto uomini come gli altri", può sembrare generoso. È effettivamente soltanto un modo di mostrare che si è incapaci di comprendere e riconoscere la diversità. Il punto comune di questi due razzismi è l'allergia alla differenza.

di Alain de Benoist - Giacomo Repaci -

19 marzo 2011

Celentano no nuke: tocca ai cittadini. Ora o mai più


Il cantante e showman scrive al Corriere della Sera e dice la sua sul nucleare. Una dura requisitoria contro i politici alla Berlusconi e alla Casini. Un vero e proprio appello a partecipare al referendum e a votare contro i programmi governativi che spacciano le centrali atomiche come una risposta indispensabile al problema dell’energia


In Giappone l’incubo continua. Terremoto, tsunami ed ora la catastrofe nucleare. Eventi terribili, che uno dopo l’altro hanno messo in ginocchio quella che fino a pochi giorni fa era una potenza economica e tecnologica. Anche l’Unione Europea, ormai, non può che ammettere che si è a «rischio apocalisse», rimettendo così in discussione il suo stesso futuro atomico. Il governo italiano, invece, si limita a qualche ripensamento di facciata in attesa di tornare alla carica. Il nuovo referendum per evitare il ritorno al nucleare risulta così essere l’ultima speranza per gli italiani: «Non votare sarebbe un suicidio», afferma Adriano Celentano dalle pagine del Corriere della Sera.

«Settantamila case distrutte, un milione di sfollati e cinquemila dispersi in quel florido Giappone, che nel giro di 6 minuti è improvvisamente precipitato nel buio più scuro, fra terremoto e tsunami». Sono queste le parole dello showman che, in una lettera al direttore del quotidiano milanese, ricorda come il Paese del Sol levante si trovi ora a dovere affrontare l’incubo delle radiazioni letali pendenti sulla testa dei giapponesi. E sembra non credere alla malafede di Chicco Testa, ex presidente di Legambiente ed attuale presidente del Forum nucleare italiano, quando spavaldo ha tuonato sulla “tenuta” della centrale di Fukushima (per poi fare penosamente marcia indietro, travolto sia dalle critiche che soprattutto dagli eventi). Ma «La cosa più incredibile – scrive il “Molleggiato” – è lo stato di ipnosi in cui versano gli italiani di fronte ai fatti sconcertanti di una politica che non è più neanche politica, ma piuttosto un qualcosa di maleodorante e che di proposito vorrebbe trastullarci in uno stato confusionale».

Un Paese “narcotizzato”, denuncia l’ex Ragazzo della via Gluck, in cui «sempre di meno si potrà distinguere il bene dal male, le cose giuste da quelle ingiuste». Una caratteristica, quella del Belpaese, che permette a Berlusconi di andare avanti imperterrito con il suo programma nucleare, mentre il mondo intero (Cina inclusa), si interroga seriamente sul dramma che sta investendo non solo il Giappone, ma il mondo intero. «Chi se ne frega della sovranità popolare!» che nell’87 decretò la chiusura delle centrali italiane, commenta con amaro sarcasmo l’attore e cantante milanese.

Ma di critiche Celentano non ne fa solo a Berlusconi, e si rivolge anche a Casini ed il Terzo Polo: «Caro Casini, che tu fossi un nuclearista convinto lo sapevamo tutti e io rispetto la tua opinione, anche se è orribile. Ma a dirlo proprio in questo momento, non pensi che tu abbia dato una sberla sui denti al tuo elettorato?». Ed aggiunge: «Tralasciando il piccolo particolare che l’Italia è uno dei Paesi a maggior rischio sismico, come tu sai, le radiazioni sono pericolose non soltanto perché si muore, ma per il modo in cui si muore: una sofferenza di una atrocità inimmaginabile». Ed accusa, come ormai in pochi si prenderebbero la briga di fare: «La verità è che tu e Berlusconi siete degli ipocriti marci. Lo sapete benissimo che, per quanto sicure possono essere le centrali atomiche, anche di decima o di undicesima generazione, il vero pericolo sono soprattutto le scorie radioattive, che nessuno sa come distruggere e che già più di mezzo mondo ne è impestato». «Lo sapete benissimo – insiste il “Molleggiato” – e ciò nonostante continuate a ingannare i popoli promettendo loro quel falso benessere che serve solo a gonfiarvi di Potere e ad arricchire le vostre tasche».

Ora, questo non significa che Celentano debba diventare il nuovo idolo delle masse. Ma sentire una persona con la sua notorietà, e la sua popolarità, prendere fermamente posizione contro l’arroganza e l’ottusità del governo e dei nuclearisti italiani (oltre che citare il Forum italiano Movimenti per l'acqua, “di cui nessuno parla, tranne illoro sito”), fa stare decisamente meglio, nel surreale contesto italiano. Almeno per un po’, ossia fino a quando, nella stessa lettera, l’attore “promuove” il sindaco fiorentino Matteo Renzi. Che sì, ha messo la sua città sotto la tutela ambientale di “Casa Clima”, l’autorità di Bolzano per l’edilizia ecologica, ma come “nuovo che avanza” lascia parecchio a desiderare. Anche solo per essersi già recato a cena nella villa di Arcore di Berlusconi.

Il governo cerca di ostacolare questo referendum, indetto solo a giugno, «quando la gente va al mare», mettendo così in pericolo il raggiungimento del quorum. È per questo, però, che Celentano conclude opportunamente il suo messaggio, rivolgendo agli italiani «non un appello, ma una preghiera» perché si vada a votare: «Una preghiera che non è rivolta ai politici. Loro non sanno quello che fanno. Per cui mi rivolgo a tutti quelli che invece li votano i politici. Di destra, di sinistra, studenti, leghisti, fascisti e comunisti, per il vostro bene, non disertate il referendum». «Questa volta sarebbe un suicidio», avverte Celentano: «Dobbiamo andare a votare anche se il governo spostasse la data del referendum al giorno di Natale. Non sia mai che prendiate sotto gamba questi referendum: saremmo spacciati».

Tocca quindi ai cittadini. A noi cittadini: ora o mai più.

di Andrea Bertaglio

18 marzo 2011

Nucleare: porci domande o porci comodi?




Come si può produrre occupazione stabile? Come si può salvaguardare l'ambiente? Come si possono evitare disastri prevedendoli prima di arrivare alle emergenze? Sono alcune delle domande che Michele Dotti si pone e pone a tutti nella speranza che le eventuali risposte siano un po' più sagge delle attuali politiche energetiche vigent
i.


domande nucleare occupazione italia
Di una cosa sono certo: è sempre un bene continuare a porci domande, a prescindere dal fatto di poter trovare subito le risposte o meno

Di una cosa sono certo: è sempre un bene continuare a porci domande, a prescindere dal fatto di poter trovare subito le risposte o meno.

Anzi, forse è meglio non trovarle affatto!!! Il dubbio infatti alimenta la curiosità e fa progredire la conoscenza, mentre le certezze la paralizzano. Chiediamoci allora seriamente:

- come produrre occupazione stabile?

- come salvaguardare l'ambiente, anche per le future generazioni?

- come evitare disastri, prevenendoli prima di arrivare alle emergenze?

Qualche giorno fa, in un mio articolo ho provato a rispondere a queste domande, senza alcuna pretesa di esaustività ma semplicemente per cercare di offrire un piccolo contributo costruttivo e andare oltre le sterili polemiche a cui spesso assistiamo su questi temi.

Le domande rimangono comunque aperte e le risposte vanno cercate tutti insieme. Tuttavia, mentre noi ci poniamo queste domande e riflettiamo con pazienza sulle possibili risposte, c'è chi si muove con molta più disinvoltura. Grazie al Decreto Romani che taglia gli incentivi per il fotovoltaico 120.000 occupati rischiano di rimanere a casa; si tratta di oltre 1.000 imprese a rischio chiusura, per un ammontare di 13 miliardi di investimenti già effettuati che potrebbero andare in fumo.

Un po' come chiudere la FIAT con un decreto. Senza contare poi il danno ambientale...

E tutto questo per che cosa???

Mi pare legittimo il sospetto che sia semplicemente per l'interesse di pochi, che vogliono continuare a proporre sfrontatamente il nucleare, nonostante tutto e tutti. Non è forse sufficiente quello che sta succedendo in Giappone? Cosa deve succedere ancora perché si possa dire che il nucleare è una pura follia, da tutti i punti di vista?

Il nostro governo sostiene che occorre con urgenza rendersi indipendenti dai combustibili fossili e ridurre il costo dell'energia. Peccato però che i nuovi impianti che si vorrebbero costruire sarebbero forse produttivi soltanto tra 15 anni; e per la "modica cifra" di trenta miliardi di euro, coprirebbero solo il 4% del nostro fabbisogno energetico.

Senza neppure ridurre i costi, oltretutto.

E' davvero questa la strada da intraprendere per il nostro futuro? Non sarebbe già sufficiente un serio piano di risparmio energetico per andare oltre questa percentuale? Continuiamo a porci domande, dunque, come sano antidoto per contrastare quanti continuano ostinatamente e sfacciatamente a farsi i propri porci comodi.

Per approfondire questo tema vi consiglio di continuare a leggere qui di seguito queste interessanti analisi di Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento.

Quattro idee sul nucleare

di Mao Valpiana

1. Le centrali nucleari forniscono energia elettrica. In Italia non ne abbiamo bisogno: negli ultimi anni la potenza installata è aumentata, mentre la domanda è diminuita: la domanda è di circa 60 GW (gigawatt). La potenza elettrica installata in Italia all’inizio 2010 è pari a 94 GW. Quindi non c'è nessun bisogno reale di nuova energia elettrica (per trasporti e riscaldamento usiamo petrolio o gas).

2. Si dice che le centrali nucleari ci garantiranno l'indipendenza energetica. Falso. Le centrali utilizzano come combustibile l'uranio. Le principali miniere di uranio sono in Australia e in Africa, oggi sotto controllo cinese, o in Ucraina, Uzbekistan, Kazakistan, oggi sotto controllo russo. Quindi il nucleare è una fonte che crea dipendenza da Cina o da Russia.

3. Ma quanto costa l'energia prodotta dalle centrali? Troppo. Il costo Kwh (kilowatt/ora) del nucleare è maggiore di quello di ogni altra fonte (i costi ufficiali in centesimi di dollaro sono: nucleare: 10,2 – eolico: 9,9 – carbone: 9,8 – gas: 8,2 ), questo perché oltre agli investimenti per la costruzione di una centrale, bisogna calcolare anche il costo di smantellamento, che può persino raddoppiare.

4. Il governo italiano ha previsto 4 nuove centrali nucleari, con un costo di 30 miliardi di lire. Queste 4 centrali, se tutto va bene, entrerebbero in funzione fra 15/20 anni, e produrrebbero il 5% dell'energia nazionale. È del tutto evidente la sproporzione tra investimento e risultato. Il 5% è quanto si può ottenere da subito con una seria politica di risparmio e di efficienza degli impianti già esistenti.

Bastano queste 4 cifre per dimostrare che il nucleare in Italia non ha senso e serve solo ad assicurare affari ad un ristretta lobby. A questo aggiungiamo che il governo propone il nucleare senza aver presentato al paese un serio piano energetico (fabbisogno, previsioni, consumi, costi, ecc.) e che il problema delle scorie radioattive non è ancora stato risolto.

La conclusione è semplice, ed è la stessa di tanti anni fa: Energia nucleare? No, grazie.

di Michele Dotti