23 maggio 2011

Il decadentismo politico: D'annunzio e Berlusconi


Il termine Decadentismo deriva dalla parola francese décadent, che ha due significati il primo quello negativo che era riferito a giovani poeti che davano scandalo,dopo invece un simbolo di un nuovo modo di pensare. E si riferisce alla rivista creata dai decadenti chiamata così provocatoriamente.
In Italia si è soliti individuare due periodi distinti di decadentismo: il primo, di cui facevano parte D'Annunzio e Pascoli, ancora caratterizzato dalla necessità di costruire miti decadenti. Al contrario nel secondo, di cui occorre ricordare in particolare Pirandello e Svevo, la coscienza della crisi è ormai acquisita e la realtà viene sottoposta ad una critica molto lucida e distruttiva. Il termine "Decadente" fu, in origine usato in senso dispregiativo, per indicare giovani poeti che vivevano fuori dalle norme comuni, considerati appunto simboli di una "decadenza sociale" che disprezzava il progresso e la fede nella scienza del positivismo. Più tardi passò a designare la dilagante "decadenza" della società materialista di fine secolo, orientata verso l'esaltazione delle conquiste tecnologiche e alla quale gli intellettuali si sentivano estranei. Essi, infatti, si considerano decadenti, con un atteggiamento di superiorità spirituale, in quanto inclini a cogliere i segni della raffinatezza e dell'eleganza intellettuale delle epoche e periodi di "decadenza".Il Decadentismo è caratterizzato da una nuova tipologia di poeta: esso non è più il vate che guidava il popolo del Romanticismo, né il promotore della scienza come nell'Illuminismo o cantore della bellezza nel Rinascimento. Diventa così veggente, cioè colui che vede e sente mondi arcani ed invisibili in cui si chiude scoprendo «l'universale corrispondenza e analogia delle cose [...] E in tal modo il Dio perduto vive come una memoria e un desiderio» Il poeta è così un artista solitario, capace di scavare nell'interiorità umana e nel mistero dell'ignoto. Anche la parola poetica cambia: non si usa più per descrivere sentimenti ma, soprattutto, per decifrare sensazioni e per illuminare l'oscuro che è in noi utilizzando un linguaggio polisemico comprensibile solo da spiriti che riescono a percepire le stesse sensazioni. Da qui la grande importanza della poesia come mezzo per esprimere il proprio intimo. Caratteristica generale è quindi un forte senso d'individualismo e soggettivismo. Per la sua oscurità l'argomento della poesia sfugge alla comprensione del lettore che può interpretarla in modi differenti.Il superomismo è l'atteggiarsi a superuomo (definito anche Oltreuomo), ossia ad uomo capace di andare oltre e superare i propri limiti. Il pensiero superomistico è punto saliente della filosofia di Nietzsche. I sentimenti e le volontà del superuomo devono prevalere sulle masse, in modo da potersi elevare sopra le masse. Gabriele D'Annunzio fu uno dei principali sostenitori di questa filosofia.Le dottrine politiche nazionaliste (ad esempio il fascismo ed il nazismo), prendono ad esempio il concetto di superuomo, distorcendolo ed adattandolo, in modo da giustificare discriminazioni razziali. " citazione di Wikipedia"

Basta rileggere sostituendo alle parole poeta con selfmademan (persone fatte da sè) e letteratura con politica e otterrete una chiave di lettura molto ampia.

Mentre sta iniziando nei vari studi televisi il nuovo mantra "Il berlusconismo è finito" la controparte sta dando i colpi di coda con il suo potere di interessi. Adesso, tutti si guardano intorno cercando nuovi padrini pronti a proteggere le spalle dei vari saltibanchi della politica e dell'informazione. Manager, giornalisti, commentatori stanno cercando di manipolare diverse situazioni ma, la sensibilità è in coma profondo. L'anestesizzazione del potere ha prodotto delle ferite profonde anestesizzate dal rumore dei soldi.

C'è una parte che lega i due maggiori esponenti del mio decadentismo D'Annunzio e Berlusconi, il primo ritiratosi in vita privata per dedicarsi a cultura e perversioni scandalose per quell'epoca. Chiuso nel suo Vittoriale, amanti, belle e giovani segnavano un andirivieni nel vittoriale del piccolo e vecchio vate.

Di Berlusconi le cronache hanno vivisezionato le sue debolezze per non usare altri termini. La differenza è che il secondo è il nostro maggior esponente di Governo. Non può raccontare bugie oppure fare una legge per legalizzare o prescrivere un reato. Si chiama conflitto di interessi che neanche D'annunzio nella sua acuta intelligenza avrebbe voluto per il bene dell'Italia. Patriota e soldato. In questo patetico momento la promessa di tutto a tutti rivela una stanchezza ed una debolezza fastidiosa. Il punto è questo, questa democrazia vive sulle sue debolezze. Ti possiamo ricattare quindi prometti di fare questo. Possiamo chiamare questo la democrazia degli scambi o la democrazia delle promesse mancate. Solo lui, può cessare a questo martirio incessante. La storia quanto scriverà di buono su Berlusconi alla guida del Governo. A questo punto dipende solo da lui.





22 maggio 2011

Sesso, potere e giustizia a stelle e strisce



E alla fine Osama bin Laden non sarà il protagonista principale nel processo del secolo; per un gioco del destino, quel ruolo verrà interpretato da Dominique Strauss-Khan (DSK), il direttore plenipotenziario del Fondo Monetario Internazionale (FMI), che sta languendo nella prigione di Rikers Island a New York.

Il fatto che l’uomo indicato da questo acronimo abbia già fatto un provino, suo malgrado, al Dipartimento di Polizia di New York, che sia stato portato via all’ultimo momento dalla sua cabina di prima classe di un volo transatlantico, e poi lo schieramento delle forze di polizia per far sfilare il colpevole, tutto questo lo rende lo scandalo sociopolitico definitivo.

Scendendo al livello dei peggiori tabloid newyorchesi, è difficile sfuggire dalla brillante metafora che vede il FMI – che si porta dietro la nomea di essere solo capace di fottere la povera gente - che applica alla lettera un aggiustamento strutturale in una suite di un albergo a Manhattan nei confronti di una vedova taciturna, immigrante musulmana dall’Africa, che vive nel Bronx con la sua figlia adolescente. La condotta senza pietà dei media doveva essere stupefacente quanto l'evento in sé.

A parte tutto, DSK è più fortunato del leader libico, il colonnello Muammar Gheddafi, perché dovrà presentarsi di fronte a una giuria di New York e non davanti alla Corte Penale Internazionale dell’Aia. Al contrario di Gheddafi, DSK - almeno in teoria – è innocente fino alla sentenza definitiva, anche se è già stato condannato dalla stampa scandalistica.

Molto meno pubblicizzate, ci sono comunque state delle teste pensanti che hanno evidenziato che gli imbroglioni di Wall Street che hanno truffato la gente comune per somme pari a trilioni di dollari, che i dirigenti della BP hanno distrutto il Golfo del Messico e, a ben dire, l’amministrazione di George W Bush che ha mandato al fallimento gli Stati Uniti scatenando un conflitto che ha ucciso più di un milioni di civili iracheni non sfileranno mai in manette davanti alle macchine fotografiche.

Questo è poco ma sicuro: per quanto concerne la "giustizia a stelle e strisce ", la possibilità di vedere l’amministrazione Bush o gli irresponsabili di Goldman Sachs in manette è uguale a zero.

Urlare dalla soddisfazione

Seguire in dettaglio l’isteria dei media su entrambe le sponde dell’Atlantico è stato più affascinante di un viaggio su Marte. In Francia era oramai certo che DSK sarebbe diventato il nuovo presidente nelle elezioni del 2012, con la sconfitta del floscio neo-Napoleonico liberatore della Libia, Nicolas Sarkozy. DSK – lo strumento del cambiamento dei poteri finanziari che rimangono dietro al trono - doveva annunciare la sua candidatura in questo mese.

La vulgata dei media mainstream francesi – sempre servizievoli con Sarkozy e i suoi tirapiedi – è quella secondo cui gli Americani - e in questo si confermano tutti gli stereotipi che abbiamo contro i francesi - hanno umiliato la loro nazione facendo sfilare DSK in manette in una perp walk(illegale in Francia) e rifiutandosi di concedere il rilascio dietro la cauzione di un milione di dollari.

La giustizia americana, sulla falsa di riga di Law and Order, è stata trascinata nel fango tanto quanto il puritanismo americano. Nel frattempo, le teorie cospirazioniste si sono moltiplicate tra i catatonici simpatizzanti del Partito Socialista francese.

Di sicuro la maggior parte dei francesi si è fatto un’idea che la cameriera della Guinea che lavorava al Sofitel non era una Mata Hari. Ma forse poteva essere un’agente della CIA. E poi c’è stato l’assillante cinguettio (ndt: allusione a Twitter) – amplificato dai lacché di Sarkozy – che hanno annunciato l’arresto di DSK ancor prima che la polizia di New York facesse ancora la sua comparsa: uno scoop mondiale. Almeno il 57% degli elettori francesi e il 70% dei socialisti crede che DSK sia stato incastrato.

Cui bono, se ci fosse stata una cospirazione? Certamente Sarkozy, la sua campagna per la rielezione a Presidente della Repubblica e le sue relazioni con gli ultra-conservatori negli Stati Uniti; i neofascisti del Fronte Nazionale, la cui candidata, l’efficiente Marine Le Pen, ha una grossa possibilità di arrivare al secondo turno nel 2012; e gli squali della finanza globale che non erano contenti dell’atteggiamento possibilista del FMI sotto DSK.

L’ultracarismatico DSK è un socialista che incarna un soave Moet & Chandon. Se fosse una banca, DSK sarebbe nella categoria "too big to fail". Alla fine è crollato, ma non era una banca.

Se fosse stato un politico americano, sarebbe stato come l’ex presidente Bill Clinton, appendice per gridare di gioia inclusa. "Bubba" fu quasi scalzato dal potere supremo grazie a una cricca di puritani rabbiosi solo a causa di un semplice pompino ricevuto alla Casa Bianca. Il giro dei parigini che frequentano le sale da cocktail non riesce a comprendere come il noto sciupafemmine DSK sia stato così idiota da rischiare la presidenza per una cameriera, che malgrado sapesse il francese, era musulmana e africana.
Da qui viene l’ipotesi che sia tutto un equivoco; DSK stava aspettando una escort dei quartieri bene quando l’ignara cameriera è entrata nella fossa dei leoni e ha trovato il leone totalmente su di giri.
Quest’incontro ravvicinato tra il FMI e un’economia sub-sahariana in via di sviluppo non implica che DSK sia un paladino dei poveri o della classe lavoratrice. Ben lontano dall’essere socialista, DSK è stato un fedele compagno dell’élite finanziaria globale e del capitale transfrontaliero. Ma poi c’è stata una bella svolta.

L’aspetto più triste della squallida vicenda è che DSK stava veramente tentando di riformare il FMI per portare quest’ippopotamo autoreferenziale verso una linea più progressista. Era un top manager molto considerato. La sua sostituzione ad interim con John Lipsky, ex vicepresidente di JP Morgan, è evidentemente un passo indietro.

DSK stava cercando di deviare la politica del FMI da quella praticata durante la crisi finanziaria asiatica. Nel 1997 la cattiva ricetta del FMI, ispirata dal Dipartimento del Tesoro USA, fu incredibilmente proficua per i creditori, quasi totalmente distruttiva per le economie della zona, dalla Thailandia all’Indonesia. Anche il Brasile e la Russia ne furono colpiti.

Poi venne il tempo per "mettere in riga" l’Argentina, ma questa andò in default alla fine del 2001. Il FMI fece di tutto per sabotare questo paese, ma l’economia argentina ritornò in carreggiata e la nazione iniziò di nuovo a crescere nel 2002.

I mercati emergenti non ne possono più che il FMI venga sempre diretto da europei. Un francese è stato a capo di quest’istituzione in 26 degli ultimi 33 anni. La ripartizione del potere è di stampo medievale; ci sono 9 direttori europei su 24; il direttore brasiliano rappresenta nove Stati, ma il suo voto pesa solo per il 2,4%; il voto degli USA conta quattro volte di più.

Questi 24 amministratori dovranno scegliere il nuovo capo del FMI. Gli europei hanno già iniziato a sbranarsi tra loro e non vogliono mollare la preda. Ma le prospettive stanno diventando rosee per Kemal Dervis dalla Turchia e per i candidati dall’India e dal Sud Africa.

La Cina è ancora in dubbio se entrare nella lotta. Se la caduta di DSK spalancherà la porta a un leader del FMI che faccia parte di un’economia emergente, questo atto di giustizia, poetico tanto quanto spettacolare, sarà merito di un’immigrante musulmana che viene dall’Africa.

di Pepe Escobar


Fonte: http://www.atimes.com/atimes/Global_Economy/ME19Dj02.html

21 maggio 2011

Tutti i vizi e i segreti che internet sa di noi


A TRADIMENTO Expedia mi chiede se voglio andare in vacanza con l'ex fidanzata. Non lo dice proprio così, ma mi suggerisce il suo nome per il secondo biglietto d'aereo. Se lo ricorda da un vecchio acquisto, l'impertinente sito di viaggi. Lo stesso fa Amazon per la consegna dei libri. Se li hai fatti spedire a un indirizzo che non frequenti più, lui insiste. Persino il sito delle contravvenzioni del comune di Roma prova a inchiodarti al passato. Vado a controllare una multa e, accanto al verbale, ora hanno messo la foto dell'infrazione. In bianco e nero, sgranata, ma ineluttabile: sono proprio io in sella. Con la compagna di allora. Dio perdona, Internet no. Soprattutto non dimentica niente. Ci conosce meglio di una madre, di un amico, di uno psicanalista. Ed è in grado di mettere insieme così tante tessere di quel mosaico caotico che è la vita da ricostruirlo a un livello di dettaglio impensabile nell'èra Pre-Web. Così ho chiesto alla rete di scrivere la mia biografia, non per il suo trascurabile interesse, ma per quello enorme che a redigerla sia un algoritmo. Utilizzando fonti aperte, informazioni a disposizione di tutti. Avessi interpellato i Servizi segreti avrei ottenuto un ritratto meno vivido. Provare per credere.

Se fai il giornalista, in teoria, sei più esposto di un impiegato del catasto. Ma non è detto, perché l’impiegato potrebbe avere una pirotecnica doppia vita telematica: condividere tutto su Facebook, commentare i blog altrui, affidare a Twitter in tempo reale la propria opinione
sull’universo mondo. Insomma, cose che io non faccio. Perché alla fine i pixel con cui la rete comporrà il nostro ritratto digitale, ad alta o a bassissima risoluzione, siamo noi a fornirglieli. Talvolta in maniera attiva, riempendo questionari, firmando petizioni, e così via. Più spesso in modo passivo, semplicemente navigando, comprando o essendo taggati in foto altrui. Per cominciare, dunque, c’è Google. Il grado zero è l’egosurfing, ovvero controllare ciò che in rete si dice di noi digitando «nome cognome». Nel mio caso escono 102 mila risultati, ma le quotazioni cambiano con i giorni. Ai primi posti una voce di Wikipedia in inglese che fino a qualche tempo fa sosteneva erroneamente che fossi il capo di Repubblica.it (approfitto per scusarmi col titolare). Verso il fondo spunta invece un messaggio che spedii il 27 maggio 1996 a un gruppo di discussione sulla pubblicità online. Per quel che ne sapevo allora era come attaccare un annuncio in una bacheca dell’università. Quel che ho imparato poi è che nessuno l’avrebbe mai rimosso e anzi sarebbe stato imbalsamato a futura memoria. Avessi chiesto istruzioni per confezionare una bomba sarebbe stato lo stesso.

Se poi, come me e altri 170 milioni di persone nel mondo, usate la posta di Gmail, le cose si complicano. Nel senso che tutto quello che scrivete potrà essere usato, pubblicitariamente parlando, contro di voi perché il sistema analizza i testi per accoppiarci pubblicità pertinenti. Dunque se dite a un amico che sarebbe bello trascorrere un finesettimana a Palermo aspettatevi, per dire, annunci su una suite scontata all’hotel Delle Palme. Per vedere come vi hanno etichettato c’è Google Ads Preferences. Di me il software ha capito che sono un maschio e tra gli interessi desunti dal mio comportamento online ci sono cinema, spartiti musicali, giornalismo. E in tv mi piacerebbero «crime stories e legal show» (nego l’addebito). Ma Google è ormai un mondo. Mette a disposizione un programma per scrivere, un calendario, un sistema di notifiche personalizzate e tanto altro. Gratis, o meglio, pagando in moneta di privacy. Lui ti offre un servizio, tu gli affidi la tua vita digitale. Ciò che scrivi, dove vai e quando, quello che ti interessa sapere. Così, seppure in forma anonima, il cyber-leviatano riutilizzerà quella messe di dati per recapitarti l’inserzione giusta. Sono andato a verificare nel Dashboard, la «scatola nera» di tutti i miei rapporti con il motore di ricerca. Ed è come guardarsi l’anima allo specchio. Dal momento che ho attivato anche la Cronologia, ovvero il registro storico di ogni ricerca eseguita, sanno esattamente cosa ho visto in questi anni. Il resoconto inizia alle 18.16 del 22 maggio 2007 e le parole chiave, credeteci o no, erano «nietzsche memoria troppo buona» (magari mi sono fatto suggestionare e volevo sancire con una citazione del filosofo l’aver attivato quella specie di panopticon volontario).

Ogni singola query è stata messa a verbale. Ci sono anche tutti gli indirizzi che ho cercato su Mappe. I video che ho guardato, dalla clip di The Ballad of John and Yoko all’ultimo disco dei Virginiana Miller. Per non dire di quelli che ho caricato su YouTube. Così come le foto che, tanto tempo fa, ho condiviso sugli album digitali Picasa. E i titoli che ho scaricato su Libri. Ce n’è già abbastanza per ricostruire la mia esistenza, avendo del gran tempo da perdere, minuto per minuto.

Per accedere al sancta sanctorum però bisogna possedere la parola chiave. Serve un hacker bravo o, banalmente, averla lasciata memorizzata nel pc. Tuttavia, anche limitandosi alle informazioni aperte i risultati sono stupefacenti. Se non avete familiarità con la sintassi dei motori di ricerca ci sono compagnie specializzate in web listening. Di solito lo fanno per le aziende, per capire che «reputazione» ha un marchio o un certo prodotto. Li ho sfidati a sguinzagliare i loro software specializzati perché portassero a casa i dati più succosi sul mio conto. Dopo meno di un giorno l’emiliana TheDotCompany mi ha recapitato un rapportino che sembra vergato da un funzionario della Digos. Contiene: luogo e data di nascita, numeri di telefono di lavoro e di casa, qualifica professionale esatta, il nome di mio padre e l’annotazione che «I genitori e il nipote vivono a Viareggio». Un’impeccabile biografia lavorativa e poi «Il sistema di correlazione di keyword e contenuti suggerisce orientamento politico Pd/Rifondazione Comunista e forti legami con il mondo sindacale», credo desunti dal fatto che ho scritto un libro sugli immigrati e l’ho presentato in varie feste dell’Unità. In parallelo anche Expert System di Modena, specialista nella tecnologia semantiche per la comprensione e l’analisi delle informazioni, era sulle mie tracce. In una decina di slide riassume le organizzazioni, le persone (vince il mio amico Raffaele Oriani, con 319 ricorrenze), le località, gli argomenti con cui ho più a che fare (Internet 206, immigrazione 150, editoria 137, etc.) e un’enoteca che frequento. I segugi milanesi della FreedataLabs ricavano addirittura profili psicologici dalle parole che uso. Dicono che solo il 6% appartiene a categorie emozionali e mi dipingono come uno molto «teso all’obiettivo», «curioso» ma anche «introverso», con venature di «tristezza». Così parlò lo strizzacervelli automatico.

Joel Stein, un collega di Time che ha fatto lo stesso esperimento, è stato più bravo nel rinvenire tracce economiche di sé. La Alliance Data, società di marketing digitale, sa che è un ebreo di 39 anni, con laurea e stipendio da oltre 125 mila dollari. Che ne spende in media 25 per ogni acquisto online ma il 10 ottobre 2010 ne ha sborsati 180 per biancheria intima. «Sono dati che in Italia sarebbe impossibile avere senza l’ordine di un magistrato» mi tranquillizza Andrea Santagata, numero due di Banzai, tra le più grandi web company nazionali, «perché abbiamo una legge sulla privacy molto più stringente. In ogni caso alla pubblicità non interessa sapere come ti chiami, ma conoscere il tuo profilo per mirare i messaggi». Tutto vero, e da tenere a mente per non finire arruolati nel già affollato partito delle teorie della cospirazione. Ma quanto detto sin qui lo è altrettanto. Anzi, non c’è stato neppure tempo di parlare di Last. fm che sa che musica ascolto (se ti piacciono i Wilco ti piaceranno anche i Golden Smog e The Autumn Defense). O di Ibs che, sapendo quali libri acquisto me ne consiglia altri, per proprietà transitiva: se David Foster Wallace, allora George Saunders. O di infinite altre destinazioni online che, per il solo fatto di aver interagito con loro, hanno creato dei dossier da cui inferire la mia personalità. È una tragedia? Neanche per sogno. Internet è l’invenzione più strepitosa e benemerita dell’ultimo secolo. Basta essere consapevoli e comportarsi di conseguenza. Per quanto riguarda infine la sconveniente insistenza di Expedia ho estirpato il cookie, il pezzetto di codice che ricordava al sito i miei viaggi precedenti. E adesso il computer non si impiccia più in cose che non lo riguardano.

di RICCARDO STAGLIANO'

23 maggio 2011

Il decadentismo politico: D'annunzio e Berlusconi


Il termine Decadentismo deriva dalla parola francese décadent, che ha due significati il primo quello negativo che era riferito a giovani poeti che davano scandalo,dopo invece un simbolo di un nuovo modo di pensare. E si riferisce alla rivista creata dai decadenti chiamata così provocatoriamente.
In Italia si è soliti individuare due periodi distinti di decadentismo: il primo, di cui facevano parte D'Annunzio e Pascoli, ancora caratterizzato dalla necessità di costruire miti decadenti. Al contrario nel secondo, di cui occorre ricordare in particolare Pirandello e Svevo, la coscienza della crisi è ormai acquisita e la realtà viene sottoposta ad una critica molto lucida e distruttiva. Il termine "Decadente" fu, in origine usato in senso dispregiativo, per indicare giovani poeti che vivevano fuori dalle norme comuni, considerati appunto simboli di una "decadenza sociale" che disprezzava il progresso e la fede nella scienza del positivismo. Più tardi passò a designare la dilagante "decadenza" della società materialista di fine secolo, orientata verso l'esaltazione delle conquiste tecnologiche e alla quale gli intellettuali si sentivano estranei. Essi, infatti, si considerano decadenti, con un atteggiamento di superiorità spirituale, in quanto inclini a cogliere i segni della raffinatezza e dell'eleganza intellettuale delle epoche e periodi di "decadenza".Il Decadentismo è caratterizzato da una nuova tipologia di poeta: esso non è più il vate che guidava il popolo del Romanticismo, né il promotore della scienza come nell'Illuminismo o cantore della bellezza nel Rinascimento. Diventa così veggente, cioè colui che vede e sente mondi arcani ed invisibili in cui si chiude scoprendo «l'universale corrispondenza e analogia delle cose [...] E in tal modo il Dio perduto vive come una memoria e un desiderio» Il poeta è così un artista solitario, capace di scavare nell'interiorità umana e nel mistero dell'ignoto. Anche la parola poetica cambia: non si usa più per descrivere sentimenti ma, soprattutto, per decifrare sensazioni e per illuminare l'oscuro che è in noi utilizzando un linguaggio polisemico comprensibile solo da spiriti che riescono a percepire le stesse sensazioni. Da qui la grande importanza della poesia come mezzo per esprimere il proprio intimo. Caratteristica generale è quindi un forte senso d'individualismo e soggettivismo. Per la sua oscurità l'argomento della poesia sfugge alla comprensione del lettore che può interpretarla in modi differenti.Il superomismo è l'atteggiarsi a superuomo (definito anche Oltreuomo), ossia ad uomo capace di andare oltre e superare i propri limiti. Il pensiero superomistico è punto saliente della filosofia di Nietzsche. I sentimenti e le volontà del superuomo devono prevalere sulle masse, in modo da potersi elevare sopra le masse. Gabriele D'Annunzio fu uno dei principali sostenitori di questa filosofia.Le dottrine politiche nazionaliste (ad esempio il fascismo ed il nazismo), prendono ad esempio il concetto di superuomo, distorcendolo ed adattandolo, in modo da giustificare discriminazioni razziali. " citazione di Wikipedia"

Basta rileggere sostituendo alle parole poeta con selfmademan (persone fatte da sè) e letteratura con politica e otterrete una chiave di lettura molto ampia.

Mentre sta iniziando nei vari studi televisi il nuovo mantra "Il berlusconismo è finito" la controparte sta dando i colpi di coda con il suo potere di interessi. Adesso, tutti si guardano intorno cercando nuovi padrini pronti a proteggere le spalle dei vari saltibanchi della politica e dell'informazione. Manager, giornalisti, commentatori stanno cercando di manipolare diverse situazioni ma, la sensibilità è in coma profondo. L'anestesizzazione del potere ha prodotto delle ferite profonde anestesizzate dal rumore dei soldi.

C'è una parte che lega i due maggiori esponenti del mio decadentismo D'Annunzio e Berlusconi, il primo ritiratosi in vita privata per dedicarsi a cultura e perversioni scandalose per quell'epoca. Chiuso nel suo Vittoriale, amanti, belle e giovani segnavano un andirivieni nel vittoriale del piccolo e vecchio vate.

Di Berlusconi le cronache hanno vivisezionato le sue debolezze per non usare altri termini. La differenza è che il secondo è il nostro maggior esponente di Governo. Non può raccontare bugie oppure fare una legge per legalizzare o prescrivere un reato. Si chiama conflitto di interessi che neanche D'annunzio nella sua acuta intelligenza avrebbe voluto per il bene dell'Italia. Patriota e soldato. In questo patetico momento la promessa di tutto a tutti rivela una stanchezza ed una debolezza fastidiosa. Il punto è questo, questa democrazia vive sulle sue debolezze. Ti possiamo ricattare quindi prometti di fare questo. Possiamo chiamare questo la democrazia degli scambi o la democrazia delle promesse mancate. Solo lui, può cessare a questo martirio incessante. La storia quanto scriverà di buono su Berlusconi alla guida del Governo. A questo punto dipende solo da lui.





22 maggio 2011

Sesso, potere e giustizia a stelle e strisce



E alla fine Osama bin Laden non sarà il protagonista principale nel processo del secolo; per un gioco del destino, quel ruolo verrà interpretato da Dominique Strauss-Khan (DSK), il direttore plenipotenziario del Fondo Monetario Internazionale (FMI), che sta languendo nella prigione di Rikers Island a New York.

Il fatto che l’uomo indicato da questo acronimo abbia già fatto un provino, suo malgrado, al Dipartimento di Polizia di New York, che sia stato portato via all’ultimo momento dalla sua cabina di prima classe di un volo transatlantico, e poi lo schieramento delle forze di polizia per far sfilare il colpevole, tutto questo lo rende lo scandalo sociopolitico definitivo.

Scendendo al livello dei peggiori tabloid newyorchesi, è difficile sfuggire dalla brillante metafora che vede il FMI – che si porta dietro la nomea di essere solo capace di fottere la povera gente - che applica alla lettera un aggiustamento strutturale in una suite di un albergo a Manhattan nei confronti di una vedova taciturna, immigrante musulmana dall’Africa, che vive nel Bronx con la sua figlia adolescente. La condotta senza pietà dei media doveva essere stupefacente quanto l'evento in sé.

A parte tutto, DSK è più fortunato del leader libico, il colonnello Muammar Gheddafi, perché dovrà presentarsi di fronte a una giuria di New York e non davanti alla Corte Penale Internazionale dell’Aia. Al contrario di Gheddafi, DSK - almeno in teoria – è innocente fino alla sentenza definitiva, anche se è già stato condannato dalla stampa scandalistica.

Molto meno pubblicizzate, ci sono comunque state delle teste pensanti che hanno evidenziato che gli imbroglioni di Wall Street che hanno truffato la gente comune per somme pari a trilioni di dollari, che i dirigenti della BP hanno distrutto il Golfo del Messico e, a ben dire, l’amministrazione di George W Bush che ha mandato al fallimento gli Stati Uniti scatenando un conflitto che ha ucciso più di un milioni di civili iracheni non sfileranno mai in manette davanti alle macchine fotografiche.

Questo è poco ma sicuro: per quanto concerne la "giustizia a stelle e strisce ", la possibilità di vedere l’amministrazione Bush o gli irresponsabili di Goldman Sachs in manette è uguale a zero.

Urlare dalla soddisfazione

Seguire in dettaglio l’isteria dei media su entrambe le sponde dell’Atlantico è stato più affascinante di un viaggio su Marte. In Francia era oramai certo che DSK sarebbe diventato il nuovo presidente nelle elezioni del 2012, con la sconfitta del floscio neo-Napoleonico liberatore della Libia, Nicolas Sarkozy. DSK – lo strumento del cambiamento dei poteri finanziari che rimangono dietro al trono - doveva annunciare la sua candidatura in questo mese.

La vulgata dei media mainstream francesi – sempre servizievoli con Sarkozy e i suoi tirapiedi – è quella secondo cui gli Americani - e in questo si confermano tutti gli stereotipi che abbiamo contro i francesi - hanno umiliato la loro nazione facendo sfilare DSK in manette in una perp walk(illegale in Francia) e rifiutandosi di concedere il rilascio dietro la cauzione di un milione di dollari.

La giustizia americana, sulla falsa di riga di Law and Order, è stata trascinata nel fango tanto quanto il puritanismo americano. Nel frattempo, le teorie cospirazioniste si sono moltiplicate tra i catatonici simpatizzanti del Partito Socialista francese.

Di sicuro la maggior parte dei francesi si è fatto un’idea che la cameriera della Guinea che lavorava al Sofitel non era una Mata Hari. Ma forse poteva essere un’agente della CIA. E poi c’è stato l’assillante cinguettio (ndt: allusione a Twitter) – amplificato dai lacché di Sarkozy – che hanno annunciato l’arresto di DSK ancor prima che la polizia di New York facesse ancora la sua comparsa: uno scoop mondiale. Almeno il 57% degli elettori francesi e il 70% dei socialisti crede che DSK sia stato incastrato.

Cui bono, se ci fosse stata una cospirazione? Certamente Sarkozy, la sua campagna per la rielezione a Presidente della Repubblica e le sue relazioni con gli ultra-conservatori negli Stati Uniti; i neofascisti del Fronte Nazionale, la cui candidata, l’efficiente Marine Le Pen, ha una grossa possibilità di arrivare al secondo turno nel 2012; e gli squali della finanza globale che non erano contenti dell’atteggiamento possibilista del FMI sotto DSK.

L’ultracarismatico DSK è un socialista che incarna un soave Moet & Chandon. Se fosse una banca, DSK sarebbe nella categoria "too big to fail". Alla fine è crollato, ma non era una banca.

Se fosse stato un politico americano, sarebbe stato come l’ex presidente Bill Clinton, appendice per gridare di gioia inclusa. "Bubba" fu quasi scalzato dal potere supremo grazie a una cricca di puritani rabbiosi solo a causa di un semplice pompino ricevuto alla Casa Bianca. Il giro dei parigini che frequentano le sale da cocktail non riesce a comprendere come il noto sciupafemmine DSK sia stato così idiota da rischiare la presidenza per una cameriera, che malgrado sapesse il francese, era musulmana e africana.
Da qui viene l’ipotesi che sia tutto un equivoco; DSK stava aspettando una escort dei quartieri bene quando l’ignara cameriera è entrata nella fossa dei leoni e ha trovato il leone totalmente su di giri.
Quest’incontro ravvicinato tra il FMI e un’economia sub-sahariana in via di sviluppo non implica che DSK sia un paladino dei poveri o della classe lavoratrice. Ben lontano dall’essere socialista, DSK è stato un fedele compagno dell’élite finanziaria globale e del capitale transfrontaliero. Ma poi c’è stata una bella svolta.

L’aspetto più triste della squallida vicenda è che DSK stava veramente tentando di riformare il FMI per portare quest’ippopotamo autoreferenziale verso una linea più progressista. Era un top manager molto considerato. La sua sostituzione ad interim con John Lipsky, ex vicepresidente di JP Morgan, è evidentemente un passo indietro.

DSK stava cercando di deviare la politica del FMI da quella praticata durante la crisi finanziaria asiatica. Nel 1997 la cattiva ricetta del FMI, ispirata dal Dipartimento del Tesoro USA, fu incredibilmente proficua per i creditori, quasi totalmente distruttiva per le economie della zona, dalla Thailandia all’Indonesia. Anche il Brasile e la Russia ne furono colpiti.

Poi venne il tempo per "mettere in riga" l’Argentina, ma questa andò in default alla fine del 2001. Il FMI fece di tutto per sabotare questo paese, ma l’economia argentina ritornò in carreggiata e la nazione iniziò di nuovo a crescere nel 2002.

I mercati emergenti non ne possono più che il FMI venga sempre diretto da europei. Un francese è stato a capo di quest’istituzione in 26 degli ultimi 33 anni. La ripartizione del potere è di stampo medievale; ci sono 9 direttori europei su 24; il direttore brasiliano rappresenta nove Stati, ma il suo voto pesa solo per il 2,4%; il voto degli USA conta quattro volte di più.

Questi 24 amministratori dovranno scegliere il nuovo capo del FMI. Gli europei hanno già iniziato a sbranarsi tra loro e non vogliono mollare la preda. Ma le prospettive stanno diventando rosee per Kemal Dervis dalla Turchia e per i candidati dall’India e dal Sud Africa.

La Cina è ancora in dubbio se entrare nella lotta. Se la caduta di DSK spalancherà la porta a un leader del FMI che faccia parte di un’economia emergente, questo atto di giustizia, poetico tanto quanto spettacolare, sarà merito di un’immigrante musulmana che viene dall’Africa.

di Pepe Escobar


Fonte: http://www.atimes.com/atimes/Global_Economy/ME19Dj02.html

21 maggio 2011

Tutti i vizi e i segreti che internet sa di noi


A TRADIMENTO Expedia mi chiede se voglio andare in vacanza con l'ex fidanzata. Non lo dice proprio così, ma mi suggerisce il suo nome per il secondo biglietto d'aereo. Se lo ricorda da un vecchio acquisto, l'impertinente sito di viaggi. Lo stesso fa Amazon per la consegna dei libri. Se li hai fatti spedire a un indirizzo che non frequenti più, lui insiste. Persino il sito delle contravvenzioni del comune di Roma prova a inchiodarti al passato. Vado a controllare una multa e, accanto al verbale, ora hanno messo la foto dell'infrazione. In bianco e nero, sgranata, ma ineluttabile: sono proprio io in sella. Con la compagna di allora. Dio perdona, Internet no. Soprattutto non dimentica niente. Ci conosce meglio di una madre, di un amico, di uno psicanalista. Ed è in grado di mettere insieme così tante tessere di quel mosaico caotico che è la vita da ricostruirlo a un livello di dettaglio impensabile nell'èra Pre-Web. Così ho chiesto alla rete di scrivere la mia biografia, non per il suo trascurabile interesse, ma per quello enorme che a redigerla sia un algoritmo. Utilizzando fonti aperte, informazioni a disposizione di tutti. Avessi interpellato i Servizi segreti avrei ottenuto un ritratto meno vivido. Provare per credere.

Se fai il giornalista, in teoria, sei più esposto di un impiegato del catasto. Ma non è detto, perché l’impiegato potrebbe avere una pirotecnica doppia vita telematica: condividere tutto su Facebook, commentare i blog altrui, affidare a Twitter in tempo reale la propria opinione
sull’universo mondo. Insomma, cose che io non faccio. Perché alla fine i pixel con cui la rete comporrà il nostro ritratto digitale, ad alta o a bassissima risoluzione, siamo noi a fornirglieli. Talvolta in maniera attiva, riempendo questionari, firmando petizioni, e così via. Più spesso in modo passivo, semplicemente navigando, comprando o essendo taggati in foto altrui. Per cominciare, dunque, c’è Google. Il grado zero è l’egosurfing, ovvero controllare ciò che in rete si dice di noi digitando «nome cognome». Nel mio caso escono 102 mila risultati, ma le quotazioni cambiano con i giorni. Ai primi posti una voce di Wikipedia in inglese che fino a qualche tempo fa sosteneva erroneamente che fossi il capo di Repubblica.it (approfitto per scusarmi col titolare). Verso il fondo spunta invece un messaggio che spedii il 27 maggio 1996 a un gruppo di discussione sulla pubblicità online. Per quel che ne sapevo allora era come attaccare un annuncio in una bacheca dell’università. Quel che ho imparato poi è che nessuno l’avrebbe mai rimosso e anzi sarebbe stato imbalsamato a futura memoria. Avessi chiesto istruzioni per confezionare una bomba sarebbe stato lo stesso.

Se poi, come me e altri 170 milioni di persone nel mondo, usate la posta di Gmail, le cose si complicano. Nel senso che tutto quello che scrivete potrà essere usato, pubblicitariamente parlando, contro di voi perché il sistema analizza i testi per accoppiarci pubblicità pertinenti. Dunque se dite a un amico che sarebbe bello trascorrere un finesettimana a Palermo aspettatevi, per dire, annunci su una suite scontata all’hotel Delle Palme. Per vedere come vi hanno etichettato c’è Google Ads Preferences. Di me il software ha capito che sono un maschio e tra gli interessi desunti dal mio comportamento online ci sono cinema, spartiti musicali, giornalismo. E in tv mi piacerebbero «crime stories e legal show» (nego l’addebito). Ma Google è ormai un mondo. Mette a disposizione un programma per scrivere, un calendario, un sistema di notifiche personalizzate e tanto altro. Gratis, o meglio, pagando in moneta di privacy. Lui ti offre un servizio, tu gli affidi la tua vita digitale. Ciò che scrivi, dove vai e quando, quello che ti interessa sapere. Così, seppure in forma anonima, il cyber-leviatano riutilizzerà quella messe di dati per recapitarti l’inserzione giusta. Sono andato a verificare nel Dashboard, la «scatola nera» di tutti i miei rapporti con il motore di ricerca. Ed è come guardarsi l’anima allo specchio. Dal momento che ho attivato anche la Cronologia, ovvero il registro storico di ogni ricerca eseguita, sanno esattamente cosa ho visto in questi anni. Il resoconto inizia alle 18.16 del 22 maggio 2007 e le parole chiave, credeteci o no, erano «nietzsche memoria troppo buona» (magari mi sono fatto suggestionare e volevo sancire con una citazione del filosofo l’aver attivato quella specie di panopticon volontario).

Ogni singola query è stata messa a verbale. Ci sono anche tutti gli indirizzi che ho cercato su Mappe. I video che ho guardato, dalla clip di The Ballad of John and Yoko all’ultimo disco dei Virginiana Miller. Per non dire di quelli che ho caricato su YouTube. Così come le foto che, tanto tempo fa, ho condiviso sugli album digitali Picasa. E i titoli che ho scaricato su Libri. Ce n’è già abbastanza per ricostruire la mia esistenza, avendo del gran tempo da perdere, minuto per minuto.

Per accedere al sancta sanctorum però bisogna possedere la parola chiave. Serve un hacker bravo o, banalmente, averla lasciata memorizzata nel pc. Tuttavia, anche limitandosi alle informazioni aperte i risultati sono stupefacenti. Se non avete familiarità con la sintassi dei motori di ricerca ci sono compagnie specializzate in web listening. Di solito lo fanno per le aziende, per capire che «reputazione» ha un marchio o un certo prodotto. Li ho sfidati a sguinzagliare i loro software specializzati perché portassero a casa i dati più succosi sul mio conto. Dopo meno di un giorno l’emiliana TheDotCompany mi ha recapitato un rapportino che sembra vergato da un funzionario della Digos. Contiene: luogo e data di nascita, numeri di telefono di lavoro e di casa, qualifica professionale esatta, il nome di mio padre e l’annotazione che «I genitori e il nipote vivono a Viareggio». Un’impeccabile biografia lavorativa e poi «Il sistema di correlazione di keyword e contenuti suggerisce orientamento politico Pd/Rifondazione Comunista e forti legami con il mondo sindacale», credo desunti dal fatto che ho scritto un libro sugli immigrati e l’ho presentato in varie feste dell’Unità. In parallelo anche Expert System di Modena, specialista nella tecnologia semantiche per la comprensione e l’analisi delle informazioni, era sulle mie tracce. In una decina di slide riassume le organizzazioni, le persone (vince il mio amico Raffaele Oriani, con 319 ricorrenze), le località, gli argomenti con cui ho più a che fare (Internet 206, immigrazione 150, editoria 137, etc.) e un’enoteca che frequento. I segugi milanesi della FreedataLabs ricavano addirittura profili psicologici dalle parole che uso. Dicono che solo il 6% appartiene a categorie emozionali e mi dipingono come uno molto «teso all’obiettivo», «curioso» ma anche «introverso», con venature di «tristezza». Così parlò lo strizzacervelli automatico.

Joel Stein, un collega di Time che ha fatto lo stesso esperimento, è stato più bravo nel rinvenire tracce economiche di sé. La Alliance Data, società di marketing digitale, sa che è un ebreo di 39 anni, con laurea e stipendio da oltre 125 mila dollari. Che ne spende in media 25 per ogni acquisto online ma il 10 ottobre 2010 ne ha sborsati 180 per biancheria intima. «Sono dati che in Italia sarebbe impossibile avere senza l’ordine di un magistrato» mi tranquillizza Andrea Santagata, numero due di Banzai, tra le più grandi web company nazionali, «perché abbiamo una legge sulla privacy molto più stringente. In ogni caso alla pubblicità non interessa sapere come ti chiami, ma conoscere il tuo profilo per mirare i messaggi». Tutto vero, e da tenere a mente per non finire arruolati nel già affollato partito delle teorie della cospirazione. Ma quanto detto sin qui lo è altrettanto. Anzi, non c’è stato neppure tempo di parlare di Last. fm che sa che musica ascolto (se ti piacciono i Wilco ti piaceranno anche i Golden Smog e The Autumn Defense). O di Ibs che, sapendo quali libri acquisto me ne consiglia altri, per proprietà transitiva: se David Foster Wallace, allora George Saunders. O di infinite altre destinazioni online che, per il solo fatto di aver interagito con loro, hanno creato dei dossier da cui inferire la mia personalità. È una tragedia? Neanche per sogno. Internet è l’invenzione più strepitosa e benemerita dell’ultimo secolo. Basta essere consapevoli e comportarsi di conseguenza. Per quanto riguarda infine la sconveniente insistenza di Expedia ho estirpato il cookie, il pezzetto di codice che ricordava al sito i miei viaggi precedenti. E adesso il computer non si impiccia più in cose che non lo riguardano.

di RICCARDO STAGLIANO'