28 dicembre 2011

La demenza generalizzata del Popolo italiano. Un enigma storico da decifrare







1. Nell’editoriale della rivista Italicum, dicembre 2011, Luigi Tedeschi fa un primo completo bilancio dei provvedimenti della giunta Monti, e ne rintraccia anche correttamente la genesi economica, storica e politica. Alla fine di queste analisi Tedeschi osserva che tutti i partiti, di destra e di sinistra, “volevano che Monti attuasse quelle manovre impopolari che essi non erano in grado di condurre in porto per motivi elettorali”. Mi sembra evidente. E ancora: “Potrebbero un domani tentare di svincolarsi dalle loro responsabilità addossando a Monti la colpa per misure impopolari approvate, contando sulla demenza generalizzata del popolo italiano, che darebbe loro nuovo consenso, non essendoci alternative”.

A livello di filosofia politica, ci si potrebbe chiedere se il popolo in quanto tale è demente (spiegazione nicciana e delle teorie delle élites) oppure se lo è soltanto quando è ridotto a corpo elettorale (spiegazione che risale a Rousseau e ai teorici della democrazia diretta, fra cui anche Lenin).

2. Quindici anni fa scrissi un manifesto filosofico insieme a Massimo Bontempelli, mancato in questo stesso anno 2011 (cfr. Bontempelli-Preve, Nichilismo Verità Storia, CRT, Pistoia 1997). In un capitolo sulla menzogna del linguaggio economico (pp. 23-24), Bontempelli faceva risalire alla generalizzazione della forma di merce la scomparsa della verità delle relazioni sociali. Diagnosi a mio avviso esattissima. E poi elencava una serie incredibile di menzogne del linguaggio economico. Fra di esse si notava che “alcuni decenni orsono, quando la tecnologia e la produzione di merci erano meno sviluppate di oggi, non c’erano difficoltà a finanziare le pensioni e l’assistenza sanitaria dei lavoratori, mentre oggi, dopo tanto sviluppo, gli economisti ci dicono che il sistema economico non può sopportare questo finanziamento”.

Sembrano righe scritte nel dicembre 2011, e invece risalgono ai primi mesi del 1997. Partiamo quindi da questo rilievo.

3. Come tutti gli studiosi di storia e di filosofia, sono attirato dai due estremi complementari della coscienza sociale, la genialità e l’idiozia. E tuttavia l’idiozia è sempre più interessante, anche perché è più divertente. I mezzi di comunicazione di massa ci offrono ogni giorno quantità industriali di idiozia, e con l’arrivo della televisione e dei giornali non c’è neppure bisogno di mescolarsi agli idioti, perché l’idiozia ci viene portata a domicilio in modo semigratuito.

Mi ha colpito una manifestazione di “donne” (una delle maggiori idiozie del nostro tempo è la separazione femminista di donne e di uomini, dopo che c’è voluta tanta fatica per promuoverne la giusta e sacrosanta eguaglianza), in cui una nota regista concionava sostenendo che il nuovo governo Monti almeno “rispettava le donne”, mentre il precedente puttaniere evidentemente non lo faceva. Ora, il precedente puttaniere non era riuscito ad aumentare in un colpo solo l’età pensionabile, mentre Monti, l’uomo che rispetta le donne, lo ha fatto.

Siamo quindi di fronte ad un esempio quasi da manuale di demenza generalizzata. La sua genesi deve essere ancora indagata. A un livello superficiale, per sua natura insoddisfacente, ci si può riferire alla necessità del PD di babbionizzare il suo elettorato, oppure alle conseguenze di vent’anni di antiberlusconismo di “Repubblica”, rinforzato da dosi massicce di Floris e Gad Lerner. E’ senz’altro così. Nello stesso tempo, fermarsi a questo livello è assolutamente insoddisfacente.

4. Partiamo da un dato apparentemente secondario. Scrive il giornalista Stefano Lepri (cfr. “La Stampa”, 14 dicembre 2011): “Colpisce nel Paese, almeno a giudicare dai sondaggi, il contrasto fra gli elevati consensi di cui gode il governo Monti e il diffuso rigetto della sua manovra di austerità. Non sembra esistere nessuna forza capace di convincere i cittadini che quello che gli viene richiesto è uno sforzo solidale”.

Partiamo da questa apparente schizofrenia. Elogi a Monti e al suo burattinaio politico Napolitano, ex comunista riciclato in uomo della NATO e degli USA in Italia, e considerato dalla massa babbiona PD il grande garante e difensore della Costituzione. E nello stesso tempo brontolio contro la manovra sul fatto che “pagano sempre i soliti noti”, “la casta non è abbastanza colpita”, eccetera. Spiegare questa schizofrenia è relativamente facile, ma richiede ugualmente uno sforzo culturale. Facciamolo, tenendo conto che mi limiterò all’Italia, e solo all’Italia, perché altrove i dati culturali egemonici possono essere e sono diversi.

5. Quando al tempo di Pio XII la chiesa cattolica “scomunicò i comunisti” siamo stati in presenza di un episodio, forse l’ultimo, di una strategia controriformistica. La chiesa non aveva mai avuto paura di quella forma di paganesimo estetizzante che era stato un certo Rinascimento, ma aveva avuto veramente paura di una possibile riforma protestante in Italia. La riforma protestante, infatti, non parlava soltanto ai dotti e agli intellettuali del tempo, ma al popolo. Nello stesso modo la chiesa cattolica, pur avendo messo debitamente all’indice le opere filosofiche di Croce e di Gentile, nonostante il loro continuo proclamarsi di “non potersi non dirsi cristiani”, non aveva mai avuto molta paura né della variante liberale del laicismo, né di quella azionista. Sia il liberalismo che l’azionismo erano infatti palesemente fenomeni ristretti di certi intellettuali. Ma con l’arrivo del “comunismo” in Italia (arrivo non precedente la guerra civile 1943-45, almeno nella sua dimensione di massa) le cose cambiavano. Il comunismo italiano, nella versione togliattiano-gramsciana, sfidava invece la chiesa cattolica sul suo stesso terreno, che era l’egemonia culturale sulle classi popolari.

Il segretario di sezione comunista iniziava sempre la sua relazione dalla cosiddetta “situazione internazionale”. Si trattava spesso di una raffigurazione assolutamente mitico-fantasmatica della realtà sociale, basata sulla metafisica storicistica del progresso, su di una immagine antropomorfica del capitalismo come società dei privilegi di mangioni e “forchettoni”, sull’elaborazione dell’invidia sociale dei subalterni, sul presupposto della supposta incapacità del capitalismo di sviluppare le forze produttive, e su altre sciocchezze positivistiche di questo tipo fatte indebitamente risalire a Marx, eccetera. Sarebbe estremamente facile correggere con una matita rossa e blu le ingenuità populistiche di questo messaggio. Sta di fatto che questo messaggio dava pur sempre della realtà un’immagine razionale e coerente, in grado di spiegare con un certo grado di semplificata approssimazione la storia contemporanea, anzi “il presente come storia” per usare una bella espressione di Paul Sweezy.

6. Tutto questo venne progressivamente meno in Italia nel ventennio 1968-1988. Non intendo scendere in una periodizzazione più precisa e analitica perché mi interessa connotare un processo nella sua interezza temporale evolutiva. In questo ventennio le classi popolari italiane restarono semplicemente senza gruppi intellettuali nel senso egemonico gramsciano del termine, e restarono così politicamente mute. Le facili accuse di populismo, leghismo, razzismo, eccetera, con cui vengono ingiuriate da circa un ventennio, nascondono un maestoso processo di spossessamento e di deprivazione culturale complessiva.

In termini sintetici, il comunismo italiano fra il 1968 e il 1988 si è trasformato culturalmente in una sorta di “azionismo di massa”, ma trasformandosi in azionismo di massa non poteva che cambiare radicalmente codice comunicativo ed egemonico. L’azionismo di massa, combinato con il sessantottismo dei costumi di cui il femminismo è certamente stato una componente particolarmente degenerativa in senso sociale, ha infine preparato il clima dell’ultimo ventennio, un occidentalismo di massa esplicito (antiberlusconismo moralistico ed estetico, diritti umani a bombardamento imperialistico legittimato, eccetera). Una tragedia, e soprattutto una tragedia rimasta in larga parte incomprensibile alle sue stesse vittime, oggetto di una babbionizzazione pianificata dall’alto cui era praticamente impossibile resistere.

7. Possiamo sommariamente connotare la cultura popolare promossa dal PCI, e subordinatamente anche dal PSI, fra il 1948 e il 1968 come una forma di populismo di massa. Del resto, questo era chiaro a tutti gli studiosi del tempo, basti pensare all’Asor Rosa di Scrittori e Popolo. Soltanto negli ultimi vent’anni il “populismo” è diventato un insulto applicato non solo a Berlusconi, ma anche a Chavez. Ma non si tratta che di un mascheramento linguistico del ceto intellettuale integrato e politicamente corretto, e anzi integrato perché politicamente corretto, o se si vuole politicamente corretto perché integrato.

Al ventennio del populismo di massa 1948-1968, seguì il ventennio dell’azionismo di massa 1968-1988. Non a caso, Norberto Bobbio diventò il principale autore di riferimento dell’ex PCI spodestando completamente Gramsci, diventato autore di cult per i cultural studies delle università anglosassoni. Per comprendere il passaggio dal populismo di massa all’azionismo di massa è utile “rinfrescare” la nostra conoscenza delle fasi di sviluppo del capitalismo.

8. Il principale errore della metafisica di “sinistra” consiste nell’identificazione del capitalismo con la borghesia. In termini spinoziani, questo dà luogo a una antropomorfizzazione del capitalismo, cui sono attribuite di volta in volta caratteristiche antropomorfiche, come la conservazione o il progressismo. In termini hegeliani, questo dà luogo a una esaltazione di tipo weberiano del razionalismo astratto, per cui la razionalizzazione progressiva delle sfere sociali e il loro adattamento al consumo delle merci viene chiamato “modernizzazione”. In termini marxiani, questo significa scambiare la falsa coscienza necessaria dei gruppi intellettuali “modernizzatori” per il fronte scientifico avanzato della coscienza sociale, cui sottomettere con l’educazione i plebei invidiosi rimasti invischiati nel razzismo, nel populismo e nel leghismo.

Secondo la corretta analisi dei sociologi francesi Boltanski e Chiapello, la “sinistra” che conosciamo si è costituita in un ben preciso periodo e in una ormai sorpassata fase dello sviluppo capitalistico. Si è costituita fra il 1870 e il 1968 circa, sulla base di un’alleanza fra la critica sociale alle ingiustizie distributive del capitalismo di cui erano titolari le classi popolari, operaie, salariate e proletarie, e una critica artistico-culturale all’ipocrisia conservatrice della borghesia di cui erano titolari i cosiddetti “intellettuali d’avanguardia”. Questo schema corrisponde abbastanza bene, per quanto concerne l’Italia, al ventennio 1948-1968 e trova ad esempio in Pier Paolo Pasolini un rappresentante significativo.

Con il Sessantotto, una delle date più controrivoluzionarie della storia mondiale comparata, questa alleanza viene meno perché è il capitalismo stesso a liberalizzare i costumi sociali e sessuali in direzione non solo post-borghese , ma addirittura anti-borghese (e ancora una volta il femminismo dei ceti ricchi è solo la punta dell’iceberg).

L’azionismo di massa del ventennio 1968-1988 progressivamente dominante in Italia non è altro che la versione italiana di un fenomeno europeo e mondiale, ma soprattutto europeo, perché Cina, India, Brasile, eccetera, continuano a essere Stati sovrani e non occupati da basi militari USA dotate di armamenti atomici.

Un popolo privato di ogni profilo culturale autonomo è quindi preda di un processo che si può definire sommariamente come “sindrome di demenza generalizzata”. Mi spiace che possa sembrare sprezzante ed offensivo, ma non riesco a trovare altro termine per connotare la perdita totale di un “centro di gravità permanente”, per rifarci all’espressione di un noto compositore.

9. La sindrome di demenza generalizzata insorge quando vengono meno tutti gli schemi dialettici di interpretazione sociale e riguarda tutti, ma assolutamente tutti gli ambiti sociali, in alto e in basso, a destra e a sinistra, anche se ovviamente in forme diverse.

A “destra” la sindrome di demenza generalizzata assume le consuete forme paranoiche. La paranoia è infatti una malattia soprattutto di “destra”, mentre la schizofrenia è invece una malattia soprattutto di “sinistra”. Prestiamo attenzione a fenomeni degenerativi come il pogrom di gruppi di plebei torinesi delle Vallette (non uso infatti mai la nobile parola di “popolo” per plebi decerebrate e imbarbarite) contro un insediamento di nomadi, o addirittura l’uccisione a freddo di due senegalesi a Firenze da parte di un allucinato paranoico. E’ assolutamente evidente che fatti come questi non devono essere giustificati in alcun modo con contorti argomenti sociologici da bar. E tuttavia essi sono soltanto la punte dell’iceberg di una perdita totale di comprensione del mondo, cui si supplisce con la scorciatoia della paranoia. Naturalmente il concerto politicamente corretto non è in grado di spiegare questi fenomeni di alienazione paranoica, perché si culla con i rassicuranti stereotipi del fascismo, nazismo, populismo, leghismo, revisionismo, negazionismo, eccetera. Ma la cura di queste sindromi di demenza generalizzata non può consistere in geremiadi moralistiche.

Ho già notato come la sindrome di demenza assuma a “sinistra” aspetti più simpatici e politicamente corretti perché solo schizofrenici e non paranoici (Monti è buono, ma la manovra è cattiva; Monti è buono perché rispetta le donne a differenza del laido puttaniere, eccetera). Certo, le scemenze non violente sono pur sempre meglio delle scemenze violente, ma scemenze restano e resta il problema della opacità sociale, cioè di un sistema di cui si è completamente perduta la chiave d’interpretazione. Ma non c’è nessuna chiave, dicono gli intellettuali pagliacci di regime alla Umberto Eco, e bisogna abituarsi a vivere gaiamente senza più nessuna chiave. Ma le grandi masse popolari, appunto, non possono vivere a lungo senza alcuna chiave interpretativa della riproduzione sociale, pena la caduta in sindromi di demenza generalizzata. E di questa bisogna quindi parlare.

10. Vi è un interessante passo, credo di John Reed, che può aiutarci a impostare la questione della demenza sociale generalizzata. Reed parla con un “soldato rosso” dopo il 1917 che gli dice: “I bolscevichi sono buoni perché ci hanno dato la terra. Sono invece i cattivi comunisti che ce la vogliono togliere”. Ora, è inutile assumere la spocchia della persona colta che sa che bolscevichi e comunisti sono in realtà le stesse persone. Ciò che invece conta è il modo in cui erano percepite da chi aveva tutto il diritto di non conoscere le teorie di Marx e del conflitto fra tattica bolscevica e strategia comunista.

Monti piace, mentre le sue manovre no, perché si pensa che esse colpiscano sempre i “soliti noti”. Errore. Colpiscono anche le libere professioni “borghesi” consolidate e organizzate da almerno due secoli di civiltà borghese. Naturalmente, Berlusconi si era fatto votare per “fare la rivoluzione liberale”, ma questa rivoluzione liberale, oggi come oggi, colpisce il 95% delle persone e ne salva invece solo il 5%. I vari Giavazzi e Alesina non sono affatto “liberali”, come opinano i lettori ingenui del Corrierone, ma sono solo “maschere di carattere” (le marxiane charaktermasken) di un processo anonimo e impersonale di globalizzazione liberista. Questo processo non può presentarsi apertamente nella sua concreta natura che chiamare “nazista” è dire poco. Si tratta di una società del lavoro flessibile, precario e temporaneo generalizzato, della fine di ogni democrazia e di ogni sovranità nazionale, di un interventismo imperiale continuo fatto in nome di generici “diritti umani” ad arbitrio assoluto, e della stessa fine dell’Europa come centro autonomo di civiltà non ancora del tutto “occidentalizzato”.

In un simile quadro la demenza sociale riflette l’opacità della riproduzione sociale, e assume toni schizofrenici a sinistra e paranoici a destra, anche se di diverso grado di pericolosità criminale. A sinistra, un antifascismo paranoico in totale assenza di fascismo. A destra, l’ennesima stucchevole tendenza a prendersela con i soliti capri espiatori, i nomadi, i negri, gli immigrati, eccetera. Questa demenza non verrà meno fino a che una nuova credibile interpretazione della natura degli avvenimenti in corso, e cioè del “presente come storia”, sostituirà gli spettacoli schizofrenici e paranoici in corso. I pazzi di Oslo e di Firenze non possono essere previsti. Il casuale in quanto tale è necessario, scrisse Hegel. Ma la reintroduzione della razionalità storica nella politica, questa sì, sarebbe possibile.
di Costanzo Preve

26 dicembre 2011

La congiura dei pazzi





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Dopo l’efferato carnaio estivo che ha scosso la Norvegia, anche il palcoscenico belga ed italiano si è tinto di sangue in seguito ai due attentati di Liegi e Firenze.
Naturalmente, le autorità pubbliche di entrambi i paesi hanno escluso a priori qualsiasi connessione tra i due eventi, che malgrado siano avvenuti quasi in contemporanea e affondino entrambi le radici nel degradato tessuto sociale europeo, andrebbero tuttavia iscritti nel novero delle azioni dettate dalla paranoia individuale che affliggeva i loro diretti responsabili.
La teoria del pazzo che scatena la carneficina per assecondare i demoni che si annidano nel proprio subconscio rappresenta infatti una risorsa di cui la politica si avvale regolarmente allo scopo di difendere l’ordine costituito ed evitare che la base sociale colga l’occasione per sollevare problemi che non trovino la loro spiegazione nell’oscuro ed inestricabile ambito della follia, ma siano invece riconducibili al più logico campo della razionalità.
Appare quindi quantomeno discutibile l’approccio semplicistico e autoconsolatorio, imperniato sulla tesi del “pazzo solitario”, mantenuto dalla maggior parte degli inquirenti e dei principali organi di informazione in relazione agli attentati di Oslo, Utoya, Liegi e Firenze, le cui rispettive ricostruzioni presentano un consistente numero di zone d’ombra e poggiano su fondamenta logiche azzardate e contraddittorie.
Negli istanti immediatamente successivi alla strage di Utoya la autorità norvegesi operarono un conto dei morti incredibilmente superiore alla realtà (almeno 100 morti dichiarati, a fronte dei 69 definitivi) mentre non è ancora chiara la dinamica dei fatti di Firenze e Liegi.
In questo campo minato di indizi ed ipotesi destinate con ogni probabilità a rimanere tali esiste tuttavia un minmo comun denominatore che la politica cerca faticosamente di minimizzare, ovvero il razzismo.
Anders Breivik era un sionista xenofobo animato da un sacro ardore anti – islamico che ha riversato il proprio algido disprezzo omicida contro i giovani simpatizzanti di un partito considerato incoscentemente lassista nei riguardi dell’immigrazione.
Gianluca Casseri era un razzista dichiarato ed ha manifestato il proprio odio nei confronti degli immigrati fiorentini aprendo il fuoco contro alcuni venditori ambulanti senegalesi, uccidendone due.
Il fatto che frequentasse Casa Pound ha suscitato il consueto e sempreverde orgoglio “democratico” in seno a una società afflitta da un grado di timore irrazionale nei confronti del fascismo che supera la paranoia, poiché il fascismo rappresenta un fenomeno ormai concluso, da iscrivere nel campo della Storia e non dell’attualità.
In compenso, l’attentato ha innescato la solita catena di sillogismi che ha portato i più ortodossi esponenti di questo nuovo anti-fascismo del nuovo millennio a criminalizzare Casa Pound come entità, mentre l’ala più “moderata” si è limitata a pretendere la pubblica disapprovazione dell’accaduto da parte di ciascun adepto dell’organizzazione che si richiama al pensiero politico del grande poeta statunitense (come ha fatto Lucia Annunziata con Gianluca Iannone).
Nordine Amrani aveva invece attirato le attenzioni della polizia belga già negli scorsi mesi, quando nella sua abitazione vennero reperite qualcosa come 30.000 (circa) piantine di marijuana oltre a un considerevole arsenale bellico che fu immediatamente posto sotto sequestro.
Appare quindi quantomeno strano che egli abbia potuto tranquillamente riacquistare pistole, fucili, bombe a mano e Kalashnikov per rimettere insieme un arsenale nuovo di zecca che gli ha permesso, tra le altre cose, di uccidere una donna e occultarne il cadavere prima di compiere la strage.
Una “disattenzione” delle forze dell’ordine belghe che ricorda, fatte le debite proporzioni, quella dei loro colleghi italiani che “dimenticarono” di perquisire il covo in cui si nascondeva Salvatore Riina, offendo agli ex sottoposti del corleonese l’immancabile occasione di ripulire tutte le stanze e di riverniciarne addrittura le pareti.
Ad ogni modo Amrani è – al contrario di Breivik e Casseri – un immigrato che ha compiuto una strage di nativi belgi, il che rovescia il rapporto carnefici-vittime ma conferisce al nodo gordiano del razzismo il definitivo ruolo di trait d’union tra le stragi in questione.
Va chiarito, beninteso, che è perfettamente plausibile che non esista alcuna connessione tra le stragi e che la crisi economica e sociale che sta devastando l’Europa abbia esasperato i sentimenti di questi squilibrati armando le loro pericolose mani, ma questa è una lettura assai accomodante che, soprattutto, non costituisce un argomento valido per scartare tesi alternative.
Non è la prima volta, infatti, che l’Europa, e l’Italia in particolare, sono teatro di stragi ed eccidi di massa, che a loro volta non rispondevano ad alcun delirio individuale del pazzo di turno, ma rientravano in una specifica e ben definita strategia politica volta a consolidare i rapporti di forza internazionali.
L’obiettivo finale della cosiddetta “strategia della tensione” – che in Italia si dispiegò attraverso gli attentati di Piazza Fontana del 1969, di Peteano nel 1972, della questura di Milano nel 1973, di Piazza della Loggia e del treno Italicus nel 1974, della stazione di Bologna nel 1980, oltre a quello di Portella della Ginestra nel 1947 che tuttavia viene generalmente (ma non correttamente) considerato come un caso a sé stante – fu correttamente indicato da un terrorista di primo piano come Vincenzo Vinciguerra, il quale affermò che: “Si dovevano uccidere civili, donne, bambini, innocenti, gente sconosciuta, lontana da ogni gioco politico. Il motivo era molto semplice. Si supponeva che questo avrebbe costretto il popolo, l’opinione pubblica italiana, a rivolgersi allo Stato chiedendo più sicurezza. Questa è la logica politica che sta dietro tutte le stragi e le bombe impunite, dato che lo Stato non può dichiararsi colpevole o responsabile di quanto accaduto”.
E se un’autorità del calibro del Generale Gianadelio Maletti giunse al punto di arricchire il quadro dipinto da Vinciguerra sottolineando che “La CIA, seguendo le direttive del suo governo, intendeva suscitare un nazionalismo italiano in grado di fermare quello che veniva visto come un progressivo slittamento del paese a sinistra e a questo scopo può aver fatto uso del terrorismo di destra”, invitando a non sottovalutare il fatto che “Il Presidente [degli Stati Uniti] era Nixon e che Nixon era un uomo molto strano, un politico molto intelligente ma anche un uomo dalle iniziative poco ortodosse”, emerge con sufficiente chiarezza quali interessi si celassero dietro la spinta destabilizzante che non coinvolse soltanto l’Italia, ma anche paesi come la Germania (strage dell’Oktoberfest del 1980) e il Belgio (serie di misteriosi assalti di natura militare operati da sconosciuti esecutori – che produssero efferate stragi nel Brabante entro l’arco temporale che si estende tra il 1982 e il 1985 – condotti attraverso tattiche che somigliano al modus operandi impiegato da Breivik, Casseri e Amrani).
Non fu soltanto il terrorismo di destra, tuttavia, a fungere da braccio armato dei progetti eversivi orchestrati in ambiti ben differenti e assai più influenti rispetto a quello eminentemente italiano, poiché dall’analisi dell’evoluzione della strategia criminale impiegata dalle Brigate Rosse emergono una serie piuttosto eloquente di connessioni con apparati clandestini annidati nella famigerata scuola di lingue Hyperion di Parigi, che si occupava di infiltrare e cooptare i gruppi terroristici europei schierati a sinistra – come appunto le Brigate Rosse o la Rote Armee Fraktion – per conto, molto probabilmente, dei servizi segreti statunitensi ed israeliani.
Il sequestro e il successivo assassinio del democristiano Aldo Moro, che si accingeva ad assegnare incarichi di governo ai più autorevoli esponenti del Partito Comunista, da parte di Mario Moretti, che manteneva stretti legami con il centro Hyperion assume quindi contorni ben precisi alla luce di questi fattori.
Per le Brigate Rosse e per i loro esponenti di punta vale dunque il medesimo concetto indicato da Franco Freda, il quale affermò che “La vita di ognuno risulta manipolata risulta manipolata da coloro che hanno più potere. Per quanto mi riguarda accetto di essere stato un pupazzo nelle mani delle idee, non degli uomini dei servizi segreti italiani o stranieri. Intendo dire di aver combattuto volontariamente la mia guerra, inseguendo un progetto strategico che nasceva dalle mie idee”.
La pur edulcorata ed eufemistica versione resa dal più eminente rappresentante di Ordine Nuovo contiene comunque al proprio interno tutte le coordinate necessarie a spiegare il fenomeno del terrorismo, in cui alcuni gruppi volontari fungono da manovalanza per conto, direttamente o meno, dei grandi organi internazionali i cui interessi coincidevano, nel caso specifico, con la destabilizzazione sociale dell’Europa finalizzata alla sua stabilizzazione politica sotto l’ombrello dell’atlantismo.
L’emersione di un apparato come Gladio costituisce la dimostrazione più evidente di questa equazione, la cui validità era ben nota ad un esponente politico assai navigato come Benazir Bhutto, che nel corso di un’intervista televisiva per la BBC concessa nel 2007 a David Frost non solo aveva candidamente ammesso che Osama Bin Laden era stato ucciso da Omar Sheikh – un personaggio piuttosto oscuro che manteneva alcune connessioni con i fatti dell’11 settembre 2001 – ma aveva pronunciato un discorso che lasciava trapelare una non comune conoscenza dei legami che intercorrono tra i committenti del terrorismo e gli esecutori materiali.
Dinnanzi a simili attentati terroristici è quindi doveroso esaminare il cui prodest, e non è certo un segreto che esistano apparati specifici interessati, come nel corso dei cosiddetti “anni di piombo”, a destabilizzare l’Europa.
Va pertanto annoverata la possibilità che esista una regia, ovvero che la drammatica catena di attentati in Norvegia, Italia e Belgio rientri in un disegno strategico funzionale al conseguimento di obiettivi precisi, che nel caso specifico riguarderebbe l’innalzamento della tensione tra immigrati e popolazione autoctona.

di Giacomo Gabellini

E se i debitori si rifiutassero di pagare?


Il Vicepresidente del Partito Socialista Portoghese si è appellato alla propria e alle altre nazioni sotto il tallone dell'Unione Europea affinché usino la "bomba del debito" contro i banchieri. Ad una manifestazione di partito il 10 dicembre Pedro Nuno Santos ha dichiarato: "Possediamo una bomba atomica che possiamo puntare contro i tedeschi e i francesi: questa bomba atomica è la decisione che semplicemente non paghiamo. Il debito è la nostra unica arma e dovremmo usarla per imporre migliori condizioni, perché proprio la recessione è ciò che ci impedisce di rispettare gli impegni presi (con la Troika UE-FMI-BCE). Dovremmo far tremare le ginocchia dei banchieri tedeschi".

La "bomba del debito" è un concetto sviluppato dal movimento di LaRouche all'inizio degli anni ottanta, quando la crisi del debito messicano minacciava di esplodere. Recentemente è stata rilanciata da economisti come Loretta Napoleoni, che ha aggiornato la versione e-book del suo Contagio con le seguenti parole: "Il deficit dei paesi a rischio default è una loro grande forza, non un punto di debolezza. Perché i paesi creditori hanno tutto l'interesse di farsi restituire il denaro che hanno prestato".

Santos ha chiesto ai membri periferici dell'Unione Europea di unirsi contro i diktat di Bruxelles e Francoforte. "E' incomprensibile che i paesi periferici non fanno ciò che fanno il Presidente francese e il Cancelliere tedesco. Dovrebbero unirsi".

Santos ha fatto la sua dichiarazione lo stesso giorno in cui migliaia di dimostranti sfilavano lungo le strade di Lisbona protestando contro le misure di austerità, tra cui l'aumento della settimana lavorativa a 42 ore e il taglio del 16% per la fascia alta e dell'8% per la fascia bassa degli stipendi del pubblico impiego.

In tutta Europa sta crescendo un movimento per ripudiare il debito, facendo proseliti soprattutto tra le giovani generazioni indignate per essere private di un futuro mentre le banche centrali prestano centinaia di miliardi di denaro a buon mercato alle banche. Tuttavia, un semplice ripudio del debito non funzionerà.

Il 17 dicembre il segretario generale di MoviSol Andrew Spannaus è intervenuto all'assemblea nazionale del "Comitato No Debito" a Roma il 17 dicembre, organizzazione nata dalla sinistra vicina al sindacalista della Fiom Giorgio Cremaschi, all'insegna dello slogan "contro il governo Monti, contro il governo della BCE, contro la manovra". Davanti ad oltre 500 persone presenti al Teatro Tendastrisce di Roma e collegate al livestream via internet, Spannaus ha esordito affermando: "Sono americano, non sono comunista, ma sono d'accordo con chi si batte contro il governo delle banche". Ha poi detto che "non basta battersi per i diritti, bisogna sapere come siamo arrivati nella situazione di oggi, e avere proposte chiare per uscirne".

Il segretario di MoviSol ha poi tracciato brevemente la trasformazione delle economie industrializzate in società "post-industriali" e i punti salienti della deregulation finanziaria che ha portato alla crisi di oggi. La risposta alla situazione di oggi, in cui vengono creati dei governi antidemocratici per imporre una politica a favore degli interessi della grande finanza internazionale è chiara: riprendersi la sovranità nazionale e riorganizzare il sistema finanziario. Serve la separazione delle funzioni bancarie (Glass-Steagall), e una banca nazionale per finanziare lo sviluppo industriale ed infrastrutturale. In conclusione, Spannaus ha ammonito del pericolo di guerra che si sta creando con le avventure militari dell'occidente nel medio oriente, e specificamente con le minacce di un attacco all'Iran e alla Siria, a cui Cina e Russia hanno già reagito in modo pubblico.

L'intervento di Spannaus è stato apprezzato da molti per la sua chiarezza, e il giornalista Giulietto Chiesa ne ha fatto riferimento nel proprio intervento, preoccupandosi però del fatto che è stato l'unico tra le decine di persone a parlare che ha fatto riferimento al pericolo di guerra in questo momento.

Nel corso dell'assemblea è emersa la varietà di posizioni dei membri del comitato, dal comunismo e il socialismo, alle posizioni più aperte verso persone di altre estrazioni culturali e politiche. La proposta di MoviSol è di lanciare una mobilitazione intorno alla questione della riforma del sistema finanziario internazionale, a partire dal ripristino di Glass-Steagall e la fine del sistema dell'euro.

by (MoviSol)

28 dicembre 2011

La demenza generalizzata del Popolo italiano. Un enigma storico da decifrare







1. Nell’editoriale della rivista Italicum, dicembre 2011, Luigi Tedeschi fa un primo completo bilancio dei provvedimenti della giunta Monti, e ne rintraccia anche correttamente la genesi economica, storica e politica. Alla fine di queste analisi Tedeschi osserva che tutti i partiti, di destra e di sinistra, “volevano che Monti attuasse quelle manovre impopolari che essi non erano in grado di condurre in porto per motivi elettorali”. Mi sembra evidente. E ancora: “Potrebbero un domani tentare di svincolarsi dalle loro responsabilità addossando a Monti la colpa per misure impopolari approvate, contando sulla demenza generalizzata del popolo italiano, che darebbe loro nuovo consenso, non essendoci alternative”.

A livello di filosofia politica, ci si potrebbe chiedere se il popolo in quanto tale è demente (spiegazione nicciana e delle teorie delle élites) oppure se lo è soltanto quando è ridotto a corpo elettorale (spiegazione che risale a Rousseau e ai teorici della democrazia diretta, fra cui anche Lenin).

2. Quindici anni fa scrissi un manifesto filosofico insieme a Massimo Bontempelli, mancato in questo stesso anno 2011 (cfr. Bontempelli-Preve, Nichilismo Verità Storia, CRT, Pistoia 1997). In un capitolo sulla menzogna del linguaggio economico (pp. 23-24), Bontempelli faceva risalire alla generalizzazione della forma di merce la scomparsa della verità delle relazioni sociali. Diagnosi a mio avviso esattissima. E poi elencava una serie incredibile di menzogne del linguaggio economico. Fra di esse si notava che “alcuni decenni orsono, quando la tecnologia e la produzione di merci erano meno sviluppate di oggi, non c’erano difficoltà a finanziare le pensioni e l’assistenza sanitaria dei lavoratori, mentre oggi, dopo tanto sviluppo, gli economisti ci dicono che il sistema economico non può sopportare questo finanziamento”.

Sembrano righe scritte nel dicembre 2011, e invece risalgono ai primi mesi del 1997. Partiamo quindi da questo rilievo.

3. Come tutti gli studiosi di storia e di filosofia, sono attirato dai due estremi complementari della coscienza sociale, la genialità e l’idiozia. E tuttavia l’idiozia è sempre più interessante, anche perché è più divertente. I mezzi di comunicazione di massa ci offrono ogni giorno quantità industriali di idiozia, e con l’arrivo della televisione e dei giornali non c’è neppure bisogno di mescolarsi agli idioti, perché l’idiozia ci viene portata a domicilio in modo semigratuito.

Mi ha colpito una manifestazione di “donne” (una delle maggiori idiozie del nostro tempo è la separazione femminista di donne e di uomini, dopo che c’è voluta tanta fatica per promuoverne la giusta e sacrosanta eguaglianza), in cui una nota regista concionava sostenendo che il nuovo governo Monti almeno “rispettava le donne”, mentre il precedente puttaniere evidentemente non lo faceva. Ora, il precedente puttaniere non era riuscito ad aumentare in un colpo solo l’età pensionabile, mentre Monti, l’uomo che rispetta le donne, lo ha fatto.

Siamo quindi di fronte ad un esempio quasi da manuale di demenza generalizzata. La sua genesi deve essere ancora indagata. A un livello superficiale, per sua natura insoddisfacente, ci si può riferire alla necessità del PD di babbionizzare il suo elettorato, oppure alle conseguenze di vent’anni di antiberlusconismo di “Repubblica”, rinforzato da dosi massicce di Floris e Gad Lerner. E’ senz’altro così. Nello stesso tempo, fermarsi a questo livello è assolutamente insoddisfacente.

4. Partiamo da un dato apparentemente secondario. Scrive il giornalista Stefano Lepri (cfr. “La Stampa”, 14 dicembre 2011): “Colpisce nel Paese, almeno a giudicare dai sondaggi, il contrasto fra gli elevati consensi di cui gode il governo Monti e il diffuso rigetto della sua manovra di austerità. Non sembra esistere nessuna forza capace di convincere i cittadini che quello che gli viene richiesto è uno sforzo solidale”.

Partiamo da questa apparente schizofrenia. Elogi a Monti e al suo burattinaio politico Napolitano, ex comunista riciclato in uomo della NATO e degli USA in Italia, e considerato dalla massa babbiona PD il grande garante e difensore della Costituzione. E nello stesso tempo brontolio contro la manovra sul fatto che “pagano sempre i soliti noti”, “la casta non è abbastanza colpita”, eccetera. Spiegare questa schizofrenia è relativamente facile, ma richiede ugualmente uno sforzo culturale. Facciamolo, tenendo conto che mi limiterò all’Italia, e solo all’Italia, perché altrove i dati culturali egemonici possono essere e sono diversi.

5. Quando al tempo di Pio XII la chiesa cattolica “scomunicò i comunisti” siamo stati in presenza di un episodio, forse l’ultimo, di una strategia controriformistica. La chiesa non aveva mai avuto paura di quella forma di paganesimo estetizzante che era stato un certo Rinascimento, ma aveva avuto veramente paura di una possibile riforma protestante in Italia. La riforma protestante, infatti, non parlava soltanto ai dotti e agli intellettuali del tempo, ma al popolo. Nello stesso modo la chiesa cattolica, pur avendo messo debitamente all’indice le opere filosofiche di Croce e di Gentile, nonostante il loro continuo proclamarsi di “non potersi non dirsi cristiani”, non aveva mai avuto molta paura né della variante liberale del laicismo, né di quella azionista. Sia il liberalismo che l’azionismo erano infatti palesemente fenomeni ristretti di certi intellettuali. Ma con l’arrivo del “comunismo” in Italia (arrivo non precedente la guerra civile 1943-45, almeno nella sua dimensione di massa) le cose cambiavano. Il comunismo italiano, nella versione togliattiano-gramsciana, sfidava invece la chiesa cattolica sul suo stesso terreno, che era l’egemonia culturale sulle classi popolari.

Il segretario di sezione comunista iniziava sempre la sua relazione dalla cosiddetta “situazione internazionale”. Si trattava spesso di una raffigurazione assolutamente mitico-fantasmatica della realtà sociale, basata sulla metafisica storicistica del progresso, su di una immagine antropomorfica del capitalismo come società dei privilegi di mangioni e “forchettoni”, sull’elaborazione dell’invidia sociale dei subalterni, sul presupposto della supposta incapacità del capitalismo di sviluppare le forze produttive, e su altre sciocchezze positivistiche di questo tipo fatte indebitamente risalire a Marx, eccetera. Sarebbe estremamente facile correggere con una matita rossa e blu le ingenuità populistiche di questo messaggio. Sta di fatto che questo messaggio dava pur sempre della realtà un’immagine razionale e coerente, in grado di spiegare con un certo grado di semplificata approssimazione la storia contemporanea, anzi “il presente come storia” per usare una bella espressione di Paul Sweezy.

6. Tutto questo venne progressivamente meno in Italia nel ventennio 1968-1988. Non intendo scendere in una periodizzazione più precisa e analitica perché mi interessa connotare un processo nella sua interezza temporale evolutiva. In questo ventennio le classi popolari italiane restarono semplicemente senza gruppi intellettuali nel senso egemonico gramsciano del termine, e restarono così politicamente mute. Le facili accuse di populismo, leghismo, razzismo, eccetera, con cui vengono ingiuriate da circa un ventennio, nascondono un maestoso processo di spossessamento e di deprivazione culturale complessiva.

In termini sintetici, il comunismo italiano fra il 1968 e il 1988 si è trasformato culturalmente in una sorta di “azionismo di massa”, ma trasformandosi in azionismo di massa non poteva che cambiare radicalmente codice comunicativo ed egemonico. L’azionismo di massa, combinato con il sessantottismo dei costumi di cui il femminismo è certamente stato una componente particolarmente degenerativa in senso sociale, ha infine preparato il clima dell’ultimo ventennio, un occidentalismo di massa esplicito (antiberlusconismo moralistico ed estetico, diritti umani a bombardamento imperialistico legittimato, eccetera). Una tragedia, e soprattutto una tragedia rimasta in larga parte incomprensibile alle sue stesse vittime, oggetto di una babbionizzazione pianificata dall’alto cui era praticamente impossibile resistere.

7. Possiamo sommariamente connotare la cultura popolare promossa dal PCI, e subordinatamente anche dal PSI, fra il 1948 e il 1968 come una forma di populismo di massa. Del resto, questo era chiaro a tutti gli studiosi del tempo, basti pensare all’Asor Rosa di Scrittori e Popolo. Soltanto negli ultimi vent’anni il “populismo” è diventato un insulto applicato non solo a Berlusconi, ma anche a Chavez. Ma non si tratta che di un mascheramento linguistico del ceto intellettuale integrato e politicamente corretto, e anzi integrato perché politicamente corretto, o se si vuole politicamente corretto perché integrato.

Al ventennio del populismo di massa 1948-1968, seguì il ventennio dell’azionismo di massa 1968-1988. Non a caso, Norberto Bobbio diventò il principale autore di riferimento dell’ex PCI spodestando completamente Gramsci, diventato autore di cult per i cultural studies delle università anglosassoni. Per comprendere il passaggio dal populismo di massa all’azionismo di massa è utile “rinfrescare” la nostra conoscenza delle fasi di sviluppo del capitalismo.

8. Il principale errore della metafisica di “sinistra” consiste nell’identificazione del capitalismo con la borghesia. In termini spinoziani, questo dà luogo a una antropomorfizzazione del capitalismo, cui sono attribuite di volta in volta caratteristiche antropomorfiche, come la conservazione o il progressismo. In termini hegeliani, questo dà luogo a una esaltazione di tipo weberiano del razionalismo astratto, per cui la razionalizzazione progressiva delle sfere sociali e il loro adattamento al consumo delle merci viene chiamato “modernizzazione”. In termini marxiani, questo significa scambiare la falsa coscienza necessaria dei gruppi intellettuali “modernizzatori” per il fronte scientifico avanzato della coscienza sociale, cui sottomettere con l’educazione i plebei invidiosi rimasti invischiati nel razzismo, nel populismo e nel leghismo.

Secondo la corretta analisi dei sociologi francesi Boltanski e Chiapello, la “sinistra” che conosciamo si è costituita in un ben preciso periodo e in una ormai sorpassata fase dello sviluppo capitalistico. Si è costituita fra il 1870 e il 1968 circa, sulla base di un’alleanza fra la critica sociale alle ingiustizie distributive del capitalismo di cui erano titolari le classi popolari, operaie, salariate e proletarie, e una critica artistico-culturale all’ipocrisia conservatrice della borghesia di cui erano titolari i cosiddetti “intellettuali d’avanguardia”. Questo schema corrisponde abbastanza bene, per quanto concerne l’Italia, al ventennio 1948-1968 e trova ad esempio in Pier Paolo Pasolini un rappresentante significativo.

Con il Sessantotto, una delle date più controrivoluzionarie della storia mondiale comparata, questa alleanza viene meno perché è il capitalismo stesso a liberalizzare i costumi sociali e sessuali in direzione non solo post-borghese , ma addirittura anti-borghese (e ancora una volta il femminismo dei ceti ricchi è solo la punta dell’iceberg).

L’azionismo di massa del ventennio 1968-1988 progressivamente dominante in Italia non è altro che la versione italiana di un fenomeno europeo e mondiale, ma soprattutto europeo, perché Cina, India, Brasile, eccetera, continuano a essere Stati sovrani e non occupati da basi militari USA dotate di armamenti atomici.

Un popolo privato di ogni profilo culturale autonomo è quindi preda di un processo che si può definire sommariamente come “sindrome di demenza generalizzata”. Mi spiace che possa sembrare sprezzante ed offensivo, ma non riesco a trovare altro termine per connotare la perdita totale di un “centro di gravità permanente”, per rifarci all’espressione di un noto compositore.

9. La sindrome di demenza generalizzata insorge quando vengono meno tutti gli schemi dialettici di interpretazione sociale e riguarda tutti, ma assolutamente tutti gli ambiti sociali, in alto e in basso, a destra e a sinistra, anche se ovviamente in forme diverse.

A “destra” la sindrome di demenza generalizzata assume le consuete forme paranoiche. La paranoia è infatti una malattia soprattutto di “destra”, mentre la schizofrenia è invece una malattia soprattutto di “sinistra”. Prestiamo attenzione a fenomeni degenerativi come il pogrom di gruppi di plebei torinesi delle Vallette (non uso infatti mai la nobile parola di “popolo” per plebi decerebrate e imbarbarite) contro un insediamento di nomadi, o addirittura l’uccisione a freddo di due senegalesi a Firenze da parte di un allucinato paranoico. E’ assolutamente evidente che fatti come questi non devono essere giustificati in alcun modo con contorti argomenti sociologici da bar. E tuttavia essi sono soltanto la punte dell’iceberg di una perdita totale di comprensione del mondo, cui si supplisce con la scorciatoia della paranoia. Naturalmente il concerto politicamente corretto non è in grado di spiegare questi fenomeni di alienazione paranoica, perché si culla con i rassicuranti stereotipi del fascismo, nazismo, populismo, leghismo, revisionismo, negazionismo, eccetera. Ma la cura di queste sindromi di demenza generalizzata non può consistere in geremiadi moralistiche.

Ho già notato come la sindrome di demenza assuma a “sinistra” aspetti più simpatici e politicamente corretti perché solo schizofrenici e non paranoici (Monti è buono, ma la manovra è cattiva; Monti è buono perché rispetta le donne a differenza del laido puttaniere, eccetera). Certo, le scemenze non violente sono pur sempre meglio delle scemenze violente, ma scemenze restano e resta il problema della opacità sociale, cioè di un sistema di cui si è completamente perduta la chiave d’interpretazione. Ma non c’è nessuna chiave, dicono gli intellettuali pagliacci di regime alla Umberto Eco, e bisogna abituarsi a vivere gaiamente senza più nessuna chiave. Ma le grandi masse popolari, appunto, non possono vivere a lungo senza alcuna chiave interpretativa della riproduzione sociale, pena la caduta in sindromi di demenza generalizzata. E di questa bisogna quindi parlare.

10. Vi è un interessante passo, credo di John Reed, che può aiutarci a impostare la questione della demenza sociale generalizzata. Reed parla con un “soldato rosso” dopo il 1917 che gli dice: “I bolscevichi sono buoni perché ci hanno dato la terra. Sono invece i cattivi comunisti che ce la vogliono togliere”. Ora, è inutile assumere la spocchia della persona colta che sa che bolscevichi e comunisti sono in realtà le stesse persone. Ciò che invece conta è il modo in cui erano percepite da chi aveva tutto il diritto di non conoscere le teorie di Marx e del conflitto fra tattica bolscevica e strategia comunista.

Monti piace, mentre le sue manovre no, perché si pensa che esse colpiscano sempre i “soliti noti”. Errore. Colpiscono anche le libere professioni “borghesi” consolidate e organizzate da almerno due secoli di civiltà borghese. Naturalmente, Berlusconi si era fatto votare per “fare la rivoluzione liberale”, ma questa rivoluzione liberale, oggi come oggi, colpisce il 95% delle persone e ne salva invece solo il 5%. I vari Giavazzi e Alesina non sono affatto “liberali”, come opinano i lettori ingenui del Corrierone, ma sono solo “maschere di carattere” (le marxiane charaktermasken) di un processo anonimo e impersonale di globalizzazione liberista. Questo processo non può presentarsi apertamente nella sua concreta natura che chiamare “nazista” è dire poco. Si tratta di una società del lavoro flessibile, precario e temporaneo generalizzato, della fine di ogni democrazia e di ogni sovranità nazionale, di un interventismo imperiale continuo fatto in nome di generici “diritti umani” ad arbitrio assoluto, e della stessa fine dell’Europa come centro autonomo di civiltà non ancora del tutto “occidentalizzato”.

In un simile quadro la demenza sociale riflette l’opacità della riproduzione sociale, e assume toni schizofrenici a sinistra e paranoici a destra, anche se di diverso grado di pericolosità criminale. A sinistra, un antifascismo paranoico in totale assenza di fascismo. A destra, l’ennesima stucchevole tendenza a prendersela con i soliti capri espiatori, i nomadi, i negri, gli immigrati, eccetera. Questa demenza non verrà meno fino a che una nuova credibile interpretazione della natura degli avvenimenti in corso, e cioè del “presente come storia”, sostituirà gli spettacoli schizofrenici e paranoici in corso. I pazzi di Oslo e di Firenze non possono essere previsti. Il casuale in quanto tale è necessario, scrisse Hegel. Ma la reintroduzione della razionalità storica nella politica, questa sì, sarebbe possibile.
di Costanzo Preve

26 dicembre 2011

La congiura dei pazzi





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Dopo l’efferato carnaio estivo che ha scosso la Norvegia, anche il palcoscenico belga ed italiano si è tinto di sangue in seguito ai due attentati di Liegi e Firenze.
Naturalmente, le autorità pubbliche di entrambi i paesi hanno escluso a priori qualsiasi connessione tra i due eventi, che malgrado siano avvenuti quasi in contemporanea e affondino entrambi le radici nel degradato tessuto sociale europeo, andrebbero tuttavia iscritti nel novero delle azioni dettate dalla paranoia individuale che affliggeva i loro diretti responsabili.
La teoria del pazzo che scatena la carneficina per assecondare i demoni che si annidano nel proprio subconscio rappresenta infatti una risorsa di cui la politica si avvale regolarmente allo scopo di difendere l’ordine costituito ed evitare che la base sociale colga l’occasione per sollevare problemi che non trovino la loro spiegazione nell’oscuro ed inestricabile ambito della follia, ma siano invece riconducibili al più logico campo della razionalità.
Appare quindi quantomeno discutibile l’approccio semplicistico e autoconsolatorio, imperniato sulla tesi del “pazzo solitario”, mantenuto dalla maggior parte degli inquirenti e dei principali organi di informazione in relazione agli attentati di Oslo, Utoya, Liegi e Firenze, le cui rispettive ricostruzioni presentano un consistente numero di zone d’ombra e poggiano su fondamenta logiche azzardate e contraddittorie.
Negli istanti immediatamente successivi alla strage di Utoya la autorità norvegesi operarono un conto dei morti incredibilmente superiore alla realtà (almeno 100 morti dichiarati, a fronte dei 69 definitivi) mentre non è ancora chiara la dinamica dei fatti di Firenze e Liegi.
In questo campo minato di indizi ed ipotesi destinate con ogni probabilità a rimanere tali esiste tuttavia un minmo comun denominatore che la politica cerca faticosamente di minimizzare, ovvero il razzismo.
Anders Breivik era un sionista xenofobo animato da un sacro ardore anti – islamico che ha riversato il proprio algido disprezzo omicida contro i giovani simpatizzanti di un partito considerato incoscentemente lassista nei riguardi dell’immigrazione.
Gianluca Casseri era un razzista dichiarato ed ha manifestato il proprio odio nei confronti degli immigrati fiorentini aprendo il fuoco contro alcuni venditori ambulanti senegalesi, uccidendone due.
Il fatto che frequentasse Casa Pound ha suscitato il consueto e sempreverde orgoglio “democratico” in seno a una società afflitta da un grado di timore irrazionale nei confronti del fascismo che supera la paranoia, poiché il fascismo rappresenta un fenomeno ormai concluso, da iscrivere nel campo della Storia e non dell’attualità.
In compenso, l’attentato ha innescato la solita catena di sillogismi che ha portato i più ortodossi esponenti di questo nuovo anti-fascismo del nuovo millennio a criminalizzare Casa Pound come entità, mentre l’ala più “moderata” si è limitata a pretendere la pubblica disapprovazione dell’accaduto da parte di ciascun adepto dell’organizzazione che si richiama al pensiero politico del grande poeta statunitense (come ha fatto Lucia Annunziata con Gianluca Iannone).
Nordine Amrani aveva invece attirato le attenzioni della polizia belga già negli scorsi mesi, quando nella sua abitazione vennero reperite qualcosa come 30.000 (circa) piantine di marijuana oltre a un considerevole arsenale bellico che fu immediatamente posto sotto sequestro.
Appare quindi quantomeno strano che egli abbia potuto tranquillamente riacquistare pistole, fucili, bombe a mano e Kalashnikov per rimettere insieme un arsenale nuovo di zecca che gli ha permesso, tra le altre cose, di uccidere una donna e occultarne il cadavere prima di compiere la strage.
Una “disattenzione” delle forze dell’ordine belghe che ricorda, fatte le debite proporzioni, quella dei loro colleghi italiani che “dimenticarono” di perquisire il covo in cui si nascondeva Salvatore Riina, offendo agli ex sottoposti del corleonese l’immancabile occasione di ripulire tutte le stanze e di riverniciarne addrittura le pareti.
Ad ogni modo Amrani è – al contrario di Breivik e Casseri – un immigrato che ha compiuto una strage di nativi belgi, il che rovescia il rapporto carnefici-vittime ma conferisce al nodo gordiano del razzismo il definitivo ruolo di trait d’union tra le stragi in questione.
Va chiarito, beninteso, che è perfettamente plausibile che non esista alcuna connessione tra le stragi e che la crisi economica e sociale che sta devastando l’Europa abbia esasperato i sentimenti di questi squilibrati armando le loro pericolose mani, ma questa è una lettura assai accomodante che, soprattutto, non costituisce un argomento valido per scartare tesi alternative.
Non è la prima volta, infatti, che l’Europa, e l’Italia in particolare, sono teatro di stragi ed eccidi di massa, che a loro volta non rispondevano ad alcun delirio individuale del pazzo di turno, ma rientravano in una specifica e ben definita strategia politica volta a consolidare i rapporti di forza internazionali.
L’obiettivo finale della cosiddetta “strategia della tensione” – che in Italia si dispiegò attraverso gli attentati di Piazza Fontana del 1969, di Peteano nel 1972, della questura di Milano nel 1973, di Piazza della Loggia e del treno Italicus nel 1974, della stazione di Bologna nel 1980, oltre a quello di Portella della Ginestra nel 1947 che tuttavia viene generalmente (ma non correttamente) considerato come un caso a sé stante – fu correttamente indicato da un terrorista di primo piano come Vincenzo Vinciguerra, il quale affermò che: “Si dovevano uccidere civili, donne, bambini, innocenti, gente sconosciuta, lontana da ogni gioco politico. Il motivo era molto semplice. Si supponeva che questo avrebbe costretto il popolo, l’opinione pubblica italiana, a rivolgersi allo Stato chiedendo più sicurezza. Questa è la logica politica che sta dietro tutte le stragi e le bombe impunite, dato che lo Stato non può dichiararsi colpevole o responsabile di quanto accaduto”.
E se un’autorità del calibro del Generale Gianadelio Maletti giunse al punto di arricchire il quadro dipinto da Vinciguerra sottolineando che “La CIA, seguendo le direttive del suo governo, intendeva suscitare un nazionalismo italiano in grado di fermare quello che veniva visto come un progressivo slittamento del paese a sinistra e a questo scopo può aver fatto uso del terrorismo di destra”, invitando a non sottovalutare il fatto che “Il Presidente [degli Stati Uniti] era Nixon e che Nixon era un uomo molto strano, un politico molto intelligente ma anche un uomo dalle iniziative poco ortodosse”, emerge con sufficiente chiarezza quali interessi si celassero dietro la spinta destabilizzante che non coinvolse soltanto l’Italia, ma anche paesi come la Germania (strage dell’Oktoberfest del 1980) e il Belgio (serie di misteriosi assalti di natura militare operati da sconosciuti esecutori – che produssero efferate stragi nel Brabante entro l’arco temporale che si estende tra il 1982 e il 1985 – condotti attraverso tattiche che somigliano al modus operandi impiegato da Breivik, Casseri e Amrani).
Non fu soltanto il terrorismo di destra, tuttavia, a fungere da braccio armato dei progetti eversivi orchestrati in ambiti ben differenti e assai più influenti rispetto a quello eminentemente italiano, poiché dall’analisi dell’evoluzione della strategia criminale impiegata dalle Brigate Rosse emergono una serie piuttosto eloquente di connessioni con apparati clandestini annidati nella famigerata scuola di lingue Hyperion di Parigi, che si occupava di infiltrare e cooptare i gruppi terroristici europei schierati a sinistra – come appunto le Brigate Rosse o la Rote Armee Fraktion – per conto, molto probabilmente, dei servizi segreti statunitensi ed israeliani.
Il sequestro e il successivo assassinio del democristiano Aldo Moro, che si accingeva ad assegnare incarichi di governo ai più autorevoli esponenti del Partito Comunista, da parte di Mario Moretti, che manteneva stretti legami con il centro Hyperion assume quindi contorni ben precisi alla luce di questi fattori.
Per le Brigate Rosse e per i loro esponenti di punta vale dunque il medesimo concetto indicato da Franco Freda, il quale affermò che “La vita di ognuno risulta manipolata risulta manipolata da coloro che hanno più potere. Per quanto mi riguarda accetto di essere stato un pupazzo nelle mani delle idee, non degli uomini dei servizi segreti italiani o stranieri. Intendo dire di aver combattuto volontariamente la mia guerra, inseguendo un progetto strategico che nasceva dalle mie idee”.
La pur edulcorata ed eufemistica versione resa dal più eminente rappresentante di Ordine Nuovo contiene comunque al proprio interno tutte le coordinate necessarie a spiegare il fenomeno del terrorismo, in cui alcuni gruppi volontari fungono da manovalanza per conto, direttamente o meno, dei grandi organi internazionali i cui interessi coincidevano, nel caso specifico, con la destabilizzazione sociale dell’Europa finalizzata alla sua stabilizzazione politica sotto l’ombrello dell’atlantismo.
L’emersione di un apparato come Gladio costituisce la dimostrazione più evidente di questa equazione, la cui validità era ben nota ad un esponente politico assai navigato come Benazir Bhutto, che nel corso di un’intervista televisiva per la BBC concessa nel 2007 a David Frost non solo aveva candidamente ammesso che Osama Bin Laden era stato ucciso da Omar Sheikh – un personaggio piuttosto oscuro che manteneva alcune connessioni con i fatti dell’11 settembre 2001 – ma aveva pronunciato un discorso che lasciava trapelare una non comune conoscenza dei legami che intercorrono tra i committenti del terrorismo e gli esecutori materiali.
Dinnanzi a simili attentati terroristici è quindi doveroso esaminare il cui prodest, e non è certo un segreto che esistano apparati specifici interessati, come nel corso dei cosiddetti “anni di piombo”, a destabilizzare l’Europa.
Va pertanto annoverata la possibilità che esista una regia, ovvero che la drammatica catena di attentati in Norvegia, Italia e Belgio rientri in un disegno strategico funzionale al conseguimento di obiettivi precisi, che nel caso specifico riguarderebbe l’innalzamento della tensione tra immigrati e popolazione autoctona.

di Giacomo Gabellini

E se i debitori si rifiutassero di pagare?


Il Vicepresidente del Partito Socialista Portoghese si è appellato alla propria e alle altre nazioni sotto il tallone dell'Unione Europea affinché usino la "bomba del debito" contro i banchieri. Ad una manifestazione di partito il 10 dicembre Pedro Nuno Santos ha dichiarato: "Possediamo una bomba atomica che possiamo puntare contro i tedeschi e i francesi: questa bomba atomica è la decisione che semplicemente non paghiamo. Il debito è la nostra unica arma e dovremmo usarla per imporre migliori condizioni, perché proprio la recessione è ciò che ci impedisce di rispettare gli impegni presi (con la Troika UE-FMI-BCE). Dovremmo far tremare le ginocchia dei banchieri tedeschi".

La "bomba del debito" è un concetto sviluppato dal movimento di LaRouche all'inizio degli anni ottanta, quando la crisi del debito messicano minacciava di esplodere. Recentemente è stata rilanciata da economisti come Loretta Napoleoni, che ha aggiornato la versione e-book del suo Contagio con le seguenti parole: "Il deficit dei paesi a rischio default è una loro grande forza, non un punto di debolezza. Perché i paesi creditori hanno tutto l'interesse di farsi restituire il denaro che hanno prestato".

Santos ha chiesto ai membri periferici dell'Unione Europea di unirsi contro i diktat di Bruxelles e Francoforte. "E' incomprensibile che i paesi periferici non fanno ciò che fanno il Presidente francese e il Cancelliere tedesco. Dovrebbero unirsi".

Santos ha fatto la sua dichiarazione lo stesso giorno in cui migliaia di dimostranti sfilavano lungo le strade di Lisbona protestando contro le misure di austerità, tra cui l'aumento della settimana lavorativa a 42 ore e il taglio del 16% per la fascia alta e dell'8% per la fascia bassa degli stipendi del pubblico impiego.

In tutta Europa sta crescendo un movimento per ripudiare il debito, facendo proseliti soprattutto tra le giovani generazioni indignate per essere private di un futuro mentre le banche centrali prestano centinaia di miliardi di denaro a buon mercato alle banche. Tuttavia, un semplice ripudio del debito non funzionerà.

Il 17 dicembre il segretario generale di MoviSol Andrew Spannaus è intervenuto all'assemblea nazionale del "Comitato No Debito" a Roma il 17 dicembre, organizzazione nata dalla sinistra vicina al sindacalista della Fiom Giorgio Cremaschi, all'insegna dello slogan "contro il governo Monti, contro il governo della BCE, contro la manovra". Davanti ad oltre 500 persone presenti al Teatro Tendastrisce di Roma e collegate al livestream via internet, Spannaus ha esordito affermando: "Sono americano, non sono comunista, ma sono d'accordo con chi si batte contro il governo delle banche". Ha poi detto che "non basta battersi per i diritti, bisogna sapere come siamo arrivati nella situazione di oggi, e avere proposte chiare per uscirne".

Il segretario di MoviSol ha poi tracciato brevemente la trasformazione delle economie industrializzate in società "post-industriali" e i punti salienti della deregulation finanziaria che ha portato alla crisi di oggi. La risposta alla situazione di oggi, in cui vengono creati dei governi antidemocratici per imporre una politica a favore degli interessi della grande finanza internazionale è chiara: riprendersi la sovranità nazionale e riorganizzare il sistema finanziario. Serve la separazione delle funzioni bancarie (Glass-Steagall), e una banca nazionale per finanziare lo sviluppo industriale ed infrastrutturale. In conclusione, Spannaus ha ammonito del pericolo di guerra che si sta creando con le avventure militari dell'occidente nel medio oriente, e specificamente con le minacce di un attacco all'Iran e alla Siria, a cui Cina e Russia hanno già reagito in modo pubblico.

L'intervento di Spannaus è stato apprezzato da molti per la sua chiarezza, e il giornalista Giulietto Chiesa ne ha fatto riferimento nel proprio intervento, preoccupandosi però del fatto che è stato l'unico tra le decine di persone a parlare che ha fatto riferimento al pericolo di guerra in questo momento.

Nel corso dell'assemblea è emersa la varietà di posizioni dei membri del comitato, dal comunismo e il socialismo, alle posizioni più aperte verso persone di altre estrazioni culturali e politiche. La proposta di MoviSol è di lanciare una mobilitazione intorno alla questione della riforma del sistema finanziario internazionale, a partire dal ripristino di Glass-Steagall e la fine del sistema dell'euro.

by (MoviSol)