16 febbraio 2012

Il Tribunale delle imprese





Governo e politica dell'immagine e dell'apparenza sono una definizione adeguata del governo Monti e della sua politica. Naturalmente non siamo così sciocchi da cre4dere che nel nostro mondo l'immagine e l'apparenza non valgano nulla. Tutt'al contrario contano molto tanto in bene quanto in male ed è singolare che un uomo di televisione come Silvio Berlusconi non lo abbia compreso

L'annuncio di grandi riforme, la copertina di Time, gli apprezzamenti di Obama, le comparsate Tv al fianco della Merkerl e Sarkozy, il tè a Downing Streeet con la possibile ipotesi di un contraltare italo-britannico al duopolio franco-germanico hanno immensamente giovato all'immagine di Monti e, in misura minore, anche all'Italia. Lo spread , pur restando altissimo, è sceso a livelli più accettabili e l'immagine del nostro paese si è allontanata da quella (sempre più drammatica) della Grecia, dove l'altro uomo della Goldman Sachs, Lucas Papademos, non ha avuto un ritorno d'immagine paragonabile a quello di Mario Monti.

Tuttavia non tutto è oro quello che luccica. Se l'immagine negativa è, quasi senza eccezioni, per sempre, non così quella positiva. Quanto meno nel mondo della politica e, ancor più, in quello dell'economia, nel quale, come dimostra la terribile crisi che stiamo vivendo, gli effetti positivi dileguano e tutto crolla se sotto l'immagine non spunta la sostanza. E purtroppo è appunto la sostanza quella che manca nella politica del governo Monti.

Molto si è detto delle liberalizzazioni che non hanno liberalizzato nulla di ciò che andava davvero liberalizzato, dei nuovi carrozzoni burocratici, dei costi della politica che è tanto se non aumentano. Un po' meno a fondo si è andati, tranne che fra gli addetti a lavori, che però stentano a farsi ascoltare dall'opinione pubblica, sui provvedimenti in tema di giustizia civile, nonostante che, per comune consenso, sia proprio questa che, col suo mal funzionamento e i suoi ritardi, danneggia l'industria nazionale, allontana dal nostro paese g,li investimenti stranieri e spinge alla fuga molte delle aziende che già vi operano.

In realtà il governo e i mass-media del coro hanno annunciato con molto trionfalismo il varo di un miracoloso toccasana: i tribunali delle imprese, che con la loro specifica competenza, la loro professionalità, la loro concentrazione, la rapidità del loro lavoro renderanno l'Italia la Mecca di tutti gli imprenditori.

Indovinatissimo il nome, “Tribunale delle imprese”, che lascia immaginare (ecco l'apparenza) una giustizia civile del tutto diversa, più tecnica ed efficiente, di quella riservata ai comuni cittadini.

In realtà nulla di tutto questo. I cosiddetti Tribunali delle Imprese non sono che le “Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale” esistenti ed operanti in Italia dal 2003. Il governo Monti si è limitato a cambiarne il nome in “Sezioni specializzate in materia di imprese” e ad allargarne la competenza ad un buon numero di materie prima attribuite ad altri organi giudiziari (rapporti societari, appalti pubblici, class action).

Di conseguenza, non solo nessuna speranza di accelerazioni, ma anzi forti probabilità di nuovi ritardi. Come si è detto, queste sezioni, con gli stessi locali, le stesse strutture, gli stessi organici di personale amministrativo, erano già in funzione di vari anni e operavano, dal più al meno, con la stessa efficienza, gli stessi tempi e gli stessi arretrati di tutti i tribunali italiani. Di conseguenza l'aumento di competenze si tradurrà in un minor carico di lavoro per gli uffici che vengono liberati delle relative procedure, ma comporterà un notevolissimo aumento di quello dei cosiddetti Tribunali delle Imprese, tanto più notevole in quanto queste sezioni, dodici in tutta Italia, hanno una competenza territoriale vastissima (a titolo di esempio, quella bolognese si occuperà delle imprese dell'Emilia -Romagna e delle Marche; la romana addirittura di quelle del Lazio dell'Abruzzo e della Sardegna). La celerità dei procedimenti non potrà che diminuire anche una volta superati gli adempimenti e le inevitabili lentezze della (lunga) fase iniziale, dedicata allo spostamento di decine di migliaia di processi con tutti gli annessi e connessi.

Se qualche ingenuo investitore estero si sarà lasciato attirare non tarderà ad accorgersi che di nuovo ci sono soltanto le belle parole di una politica che ha un'unica carta da giocare: l'apparenza.

Siamo onesti. Non è esatto: qualcosa di nuovo c'è. Il governo alla riforma ha dato anche un contenuto quanto mai sostanziale. Difatti proprio per le imprese, che di solito le cause le fanno solo se non possono evitarle, sicché il ricorso alla giustizia è uno strumento del loro lavoro, è stato quadruplicato il “contributo unificato” (in pratica la tassa che deve pagare chi vuole iniziare una causa civile). Si conta di ricavarne poco meno di otto milioni di euro.

C'è sostanza. C'è.

Un gruppo di magistrati ha commentato: “Il governo ha scelto di fare cassa cambiando la targa sulla porta di 12 uffici”.

di Francesco Mario Agnoli

15 febbraio 2012

Papademos condanna a morte la Grecia





Mentre Atene brucia nel fuoco della protesta popolare, un parlamento incartapecorito, capeggiato da un banchiere di scuola statunitense approva il nuovo pacchetto lacrime e sangue imposto da Bruxelles e di fatto condanna la Grecia ad un futuro di miseria progressiva, che andrà ad innescarsi in senso peggiorativo sulla già drammatica situazione attuale.
Con 199 voti a favore e 79 contrari il parlamento greco, prono al diktat della mafia finanziaria europea, ha dispensato ai cittadini una bastonata senza pari che fra le altre cose comporterà una diminuzione del 20% del salario minimo garantito, una raffica di nuovi licenziamenti (che si sommeranno ai precedenti) un taglio delle pensioni, un ulteriore ridimensionamento del servizio sanitario e degli ospedali, oltre alla dismissione di sempre ulteriori quote del patrimonio statale….


Nelle fiamme di questa notte ateniese, dove la disperazione ha portato in strada centinaia di migliaia di persone, liquidate dai pennivendoli nostrani come black blok e facinorosi, la Grecia si ritrova una volta ancora più povera, più allo sbando, più umiliata nella sua dignità.


Le facili promesse di Papademos, svendute un tanto al chilo come il pesce quando inizia a puzzare, non potrebbero convincere neppure un bambino delle elementari. Promettere crescita ed occupazione, come sono soliti fare i banchieri calati sugli scranni di governo (noi in Italia ne sappiamo qualcosa), mentre si licenzia e si attuano politiche di pura recessione, costituisce solamente un puro esercizio sillabico senza costrutto alcuno.

Se il popolo greco non riuscirà a trovare la forza per mandare a casa a calci la banda di cialtroni che li governa e le banche che ne dirigono le gesta, il futuro in Grecia risulterà per forze di cose drammatico e si tratterà di un dramma senza fine. Fra qualche mese la stessa scena si ripeterà e il parlamento approverà nuove lacrime e nuovo sangue, da immolare sull’altare di Bruxelles.

Dall’Italia guardiamo atterriti l’anteprima su quello che sarà il nostro futuro, Napolitano pronuncia frasi razziste di quelle che ci fanno vergognare di essere italiani, i servi mainstream tentano maldestramente di camuffare il proprio imbarazzo, mentre l’usuraio si gira dall’altra parte, consapevole di avere ancora molta strada da fare.
Atene brucia e mentre le fiamme baluginano nella notte, dove è nata e morta la democrazia, Roma avvolta dall’insolito biancichio della neve attende con terrore che arrivi la sua ora.
di Marco Cedolin

14 febbraio 2012

Salvano le banche, non la Grecia

Atene vittima degli errori dell'Occidente.
Due anni fa era possibile salvarla, adesso...


La crisi greca è il “dito”, ma la crisi vera si può capire solo guardando la “luna”. E se si guarda la “luna” si vedono un “peccato originale” e “tre paradossi”.
All’inizio sta il peccato originale commesso dall’Occidente: quello di consentire alla Cina di entrare nel WTO scambiando liberamente le sue merci su tutti i mercati mondiali e lasciandole la libertà di decidere “politicamente” il cambio della sua moneta, furbescamente agganciato al dollaro. Questo ha regalato alla Cina la garanzia di mantenere la propria competitività verso il dollaro ed acquisirne un 50% in più verso l’Europa. E tutto in aggiunta alla già dirompente competitività cinese basata su costi del lavoro ridicoli per gli standard occidentali e su tutte le altre condizioni di dumping sociale.
Da qui il primo paradosso: Europa e Stati Uniti, anche sulla base di tale artificiosa convenienza, comprano prodotti cinesi; i cinesi incassano i nostri soldi e li risparmiano senza migliorare le condizioni di vita interne, accumulando imponenti Fondi Sovrani con i quali comprano o i titoli dei nostri debiti pubblici o pezzi rilevanti della nostra economia produttiva. In sintesi, la Cina, con i soldi dell’ Occidente, si sta comprando l’Occidente, e poiché i soldi che le diamo sono tanti, può comprarsi anche pezzi rilevanti dell’Africa e dell’America Latina.
Il secondo paradosso consiste nel fatto che quelle banche e quelle conniventi agenzie di rating che hanno determinato l’accumularsi delle bolle speculative e poi l'esplosione della crisi finanziaria , sono state salvate (per nostra fortuna ciò non è avvenuto in Italia) attraverso i soldi pubblici, trasferendo di fatto il debito delle banche private nel debito pubblico. Adesso che siamo di fronte al problema dei Debiti Pubblici degli Stati, quelle stesse banche e quelle stesse agenzie di rating (in gergo “mercati finanziari”) si ergono ad arbitri e a giudici unici dei debiti degli stati.
Il terzo paradosso riguarda esclusivamente l'Europa e si esprime nel “costo dell'Europa che c'è” e nel “costo dell’Europa che non c’è”. L’Europa che c’è, quella monetaria, seguendo l’atavica fobia tedesca per l’inflazione con ancora la memoria storica rivolta alla Repubblica di Weimar ed alla sua iperinflazione, ha “gentilmente” lasciato apprezzare l’euro fino a sfiorare il rapporto di 1,5 con il dollaro e di conseguenza anche con lo yuan cinese, contribuendo così a commettere il “peccato originale” dell’economia mondiale. La Cina ha offerto subdolamente la “mela” e l’Europa ha fatto indigestione di euro supervalutato diventando abulica e assopendosi su una crescita asfittica e priva di prospettive anche perché artificiosamente compressa proprio dal super-euro. D’altro canto, L'Europa che non c'è, quella della politica economica e della politica tout-court (cioè gli Stati Uniti d’Europa), comporta che ogni singolo Stato deve assumere le proprie decisioni. Questo processo allunga enormemente i tempi e fa trascurare il fatto che, di fronte a queste crisi il tempo è denaro.

Ecco perché negli ultimi due anni la speculazione si è prima diretta sui paesi più deboli della catena (Grecia, Portogallo) per poi rivolgersi a Spagna ed Italia fino alla revoca della tripla AAA anche alla stessa Francia.
Sul caso Grecia poi, non va dimenticato che l’Europa ha commesso come minimo una “culpa in vigilando”, lasciandola entrare nell’euro con conti pubblici che si sono rivelati largamente truccati. E quando questo è emerso il sostegno alla Grecia è arrivato tardi e male. Già due anni fa, ricordai il “teorema di Solow” (il premio Nobel americano che da quasi cinquant’anni è il padre della teoria della crescita) che dice che, se il tasso di interesse è superiore al tasso di crescita dell'economia, il rapporto Debito-Pil è destinato a crescere all'infinito e quindi il paese diventa insolvibile. Ed infatti già due anni fa, l’Europa, dopo aver discusso per sei mesi, concesse un primo aiuto alla Grecia con un prestito al 5% di interesse. L’obiettivo intangibile dell’inflazione europea è al 2%. Pertanto il tasso reale di interesse era pari al 3%. Era ed è inimmaginabile che nei prossimi 10/20 anni la Grecia cresca ad un tasso medio annuo superiore al 3% . Ne consegue che, sulla base del teorema di Solow, il debito greco è stato dichiarato insostenibile fin dal momento in cui venne concesso il primo prestito. E questo è un paradosso dentro il paradosso perché chi, a fatica e con ritardo, vuole aiutare la Grecia, nel modo in cui lo fa, dichiara di fatto l'insolvibilità del debito greco. Si potrebbe anche aggiungere che, visto che il debito pubblico greco è in mano alle grandi banche (anche europee), alla fin fine significa lanciare soltanto una ciambella di salvataggio alle stesse banche e lasciare morire l’economia reale della Grecia. E se due anni fa sarebbero bastati 30 miliardi di euro per fronteggiare la crisi, oggi ne occorrono 130. Ed il popolo greco invade le piazze...

Sin dall’inizio della crisi mondiale nel 2008 non si sono volute capire, né tantomeno sono state rimosse le cause reali degli squilibri mondiali (eccesso di consumo americano ed eccesso di risparmio cinese) e perpetuando anche nei prossimi anni quei tre paradossi, di fatto si ricarica una potente molla verso una nuova e più forte crisi globale. Infatti, dopo la crisi 2008-2009, l’economia mondiale è sembrata uscirne con gli Stati Uniti che hanno ripreso a crescere quasi al 4%, la Cina che ha ripreso a correre verso il 10% e l’Europa che comunque ha dormito attorno all’1%. Ed ancora una volta, le tre grandi aree del mondo (Usa, Europa, Cina) hanno pensato di risolvere i loro problemi interni puntando tutte insieme al traino delle loro esportazioni nel resto del mondo. Ma loro sono i tre quarti del mondo e quindi a chi esportano se non tra di loro? Occorre quindi che chi ha eccesso di consumo (USA) freni un po’ la propria economia e riequilibri i propri deficit pubblici ed esteri, chi ha eccesso di risparmio (Cina ed Europa) punti invece di più sulla domanda interna. La Cina sui consumi per migliorare il tenore di vita dei cinesi e disinnescare la vera bomba atomica interna alla Cina che è l’esplosione sociale conseguente al passaggio dalle campagne alle città di circa 300 milioni di cinesi nei prossimi dieci anni. L’Europa sugli investimenti (infrastrutture, energia, ricerca, innovazione) necessari a fare sul serio l’unione reale del vecchio continente.
Per rimuovere le radici reali della crisi, per ridare assetto sostenibile alle condizioni finanziarie e per eliminare i tre paradossi occorre capire che si tratta di un problema di governance mondiale. Occorre cioè rifondare il G8, rifare Bretton Woods, riformare Fondo Monetario, Banca Mondiale e Wto. E dentro il nuovo equilibrio mondiale occorre mettere un protagonista indispensabile che si chiama Stati Uniti d’Europa, un’entità politica consistente e non una semplice sommatoria statistica definita dai conti dell’Eurostat. In sintesi, è urgente dare alla Banca Centrale Europea il ruolo di prestatore di ultima istanza e modificare il vecchio e stupido Trattato di Maastritch nel senso di un maggiore rigore finanziario (avanzo di parte corrente), lasciando a deficit solo gli investimenti pubblici con un rapporto di 2 a 1 rispetto allo stesso avanzo corrente. Come si vede, quindi, altro che crisi greca...

di Mario Baldassarri

16 febbraio 2012

Il Tribunale delle imprese





Governo e politica dell'immagine e dell'apparenza sono una definizione adeguata del governo Monti e della sua politica. Naturalmente non siamo così sciocchi da cre4dere che nel nostro mondo l'immagine e l'apparenza non valgano nulla. Tutt'al contrario contano molto tanto in bene quanto in male ed è singolare che un uomo di televisione come Silvio Berlusconi non lo abbia compreso

L'annuncio di grandi riforme, la copertina di Time, gli apprezzamenti di Obama, le comparsate Tv al fianco della Merkerl e Sarkozy, il tè a Downing Streeet con la possibile ipotesi di un contraltare italo-britannico al duopolio franco-germanico hanno immensamente giovato all'immagine di Monti e, in misura minore, anche all'Italia. Lo spread , pur restando altissimo, è sceso a livelli più accettabili e l'immagine del nostro paese si è allontanata da quella (sempre più drammatica) della Grecia, dove l'altro uomo della Goldman Sachs, Lucas Papademos, non ha avuto un ritorno d'immagine paragonabile a quello di Mario Monti.

Tuttavia non tutto è oro quello che luccica. Se l'immagine negativa è, quasi senza eccezioni, per sempre, non così quella positiva. Quanto meno nel mondo della politica e, ancor più, in quello dell'economia, nel quale, come dimostra la terribile crisi che stiamo vivendo, gli effetti positivi dileguano e tutto crolla se sotto l'immagine non spunta la sostanza. E purtroppo è appunto la sostanza quella che manca nella politica del governo Monti.

Molto si è detto delle liberalizzazioni che non hanno liberalizzato nulla di ciò che andava davvero liberalizzato, dei nuovi carrozzoni burocratici, dei costi della politica che è tanto se non aumentano. Un po' meno a fondo si è andati, tranne che fra gli addetti a lavori, che però stentano a farsi ascoltare dall'opinione pubblica, sui provvedimenti in tema di giustizia civile, nonostante che, per comune consenso, sia proprio questa che, col suo mal funzionamento e i suoi ritardi, danneggia l'industria nazionale, allontana dal nostro paese g,li investimenti stranieri e spinge alla fuga molte delle aziende che già vi operano.

In realtà il governo e i mass-media del coro hanno annunciato con molto trionfalismo il varo di un miracoloso toccasana: i tribunali delle imprese, che con la loro specifica competenza, la loro professionalità, la loro concentrazione, la rapidità del loro lavoro renderanno l'Italia la Mecca di tutti gli imprenditori.

Indovinatissimo il nome, “Tribunale delle imprese”, che lascia immaginare (ecco l'apparenza) una giustizia civile del tutto diversa, più tecnica ed efficiente, di quella riservata ai comuni cittadini.

In realtà nulla di tutto questo. I cosiddetti Tribunali delle Imprese non sono che le “Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale” esistenti ed operanti in Italia dal 2003. Il governo Monti si è limitato a cambiarne il nome in “Sezioni specializzate in materia di imprese” e ad allargarne la competenza ad un buon numero di materie prima attribuite ad altri organi giudiziari (rapporti societari, appalti pubblici, class action).

Di conseguenza, non solo nessuna speranza di accelerazioni, ma anzi forti probabilità di nuovi ritardi. Come si è detto, queste sezioni, con gli stessi locali, le stesse strutture, gli stessi organici di personale amministrativo, erano già in funzione di vari anni e operavano, dal più al meno, con la stessa efficienza, gli stessi tempi e gli stessi arretrati di tutti i tribunali italiani. Di conseguenza l'aumento di competenze si tradurrà in un minor carico di lavoro per gli uffici che vengono liberati delle relative procedure, ma comporterà un notevolissimo aumento di quello dei cosiddetti Tribunali delle Imprese, tanto più notevole in quanto queste sezioni, dodici in tutta Italia, hanno una competenza territoriale vastissima (a titolo di esempio, quella bolognese si occuperà delle imprese dell'Emilia -Romagna e delle Marche; la romana addirittura di quelle del Lazio dell'Abruzzo e della Sardegna). La celerità dei procedimenti non potrà che diminuire anche una volta superati gli adempimenti e le inevitabili lentezze della (lunga) fase iniziale, dedicata allo spostamento di decine di migliaia di processi con tutti gli annessi e connessi.

Se qualche ingenuo investitore estero si sarà lasciato attirare non tarderà ad accorgersi che di nuovo ci sono soltanto le belle parole di una politica che ha un'unica carta da giocare: l'apparenza.

Siamo onesti. Non è esatto: qualcosa di nuovo c'è. Il governo alla riforma ha dato anche un contenuto quanto mai sostanziale. Difatti proprio per le imprese, che di solito le cause le fanno solo se non possono evitarle, sicché il ricorso alla giustizia è uno strumento del loro lavoro, è stato quadruplicato il “contributo unificato” (in pratica la tassa che deve pagare chi vuole iniziare una causa civile). Si conta di ricavarne poco meno di otto milioni di euro.

C'è sostanza. C'è.

Un gruppo di magistrati ha commentato: “Il governo ha scelto di fare cassa cambiando la targa sulla porta di 12 uffici”.

di Francesco Mario Agnoli

15 febbraio 2012

Papademos condanna a morte la Grecia





Mentre Atene brucia nel fuoco della protesta popolare, un parlamento incartapecorito, capeggiato da un banchiere di scuola statunitense approva il nuovo pacchetto lacrime e sangue imposto da Bruxelles e di fatto condanna la Grecia ad un futuro di miseria progressiva, che andrà ad innescarsi in senso peggiorativo sulla già drammatica situazione attuale.
Con 199 voti a favore e 79 contrari il parlamento greco, prono al diktat della mafia finanziaria europea, ha dispensato ai cittadini una bastonata senza pari che fra le altre cose comporterà una diminuzione del 20% del salario minimo garantito, una raffica di nuovi licenziamenti (che si sommeranno ai precedenti) un taglio delle pensioni, un ulteriore ridimensionamento del servizio sanitario e degli ospedali, oltre alla dismissione di sempre ulteriori quote del patrimonio statale….


Nelle fiamme di questa notte ateniese, dove la disperazione ha portato in strada centinaia di migliaia di persone, liquidate dai pennivendoli nostrani come black blok e facinorosi, la Grecia si ritrova una volta ancora più povera, più allo sbando, più umiliata nella sua dignità.


Le facili promesse di Papademos, svendute un tanto al chilo come il pesce quando inizia a puzzare, non potrebbero convincere neppure un bambino delle elementari. Promettere crescita ed occupazione, come sono soliti fare i banchieri calati sugli scranni di governo (noi in Italia ne sappiamo qualcosa), mentre si licenzia e si attuano politiche di pura recessione, costituisce solamente un puro esercizio sillabico senza costrutto alcuno.

Se il popolo greco non riuscirà a trovare la forza per mandare a casa a calci la banda di cialtroni che li governa e le banche che ne dirigono le gesta, il futuro in Grecia risulterà per forze di cose drammatico e si tratterà di un dramma senza fine. Fra qualche mese la stessa scena si ripeterà e il parlamento approverà nuove lacrime e nuovo sangue, da immolare sull’altare di Bruxelles.

Dall’Italia guardiamo atterriti l’anteprima su quello che sarà il nostro futuro, Napolitano pronuncia frasi razziste di quelle che ci fanno vergognare di essere italiani, i servi mainstream tentano maldestramente di camuffare il proprio imbarazzo, mentre l’usuraio si gira dall’altra parte, consapevole di avere ancora molta strada da fare.
Atene brucia e mentre le fiamme baluginano nella notte, dove è nata e morta la democrazia, Roma avvolta dall’insolito biancichio della neve attende con terrore che arrivi la sua ora.
di Marco Cedolin

14 febbraio 2012

Salvano le banche, non la Grecia

Atene vittima degli errori dell'Occidente.
Due anni fa era possibile salvarla, adesso...


La crisi greca è il “dito”, ma la crisi vera si può capire solo guardando la “luna”. E se si guarda la “luna” si vedono un “peccato originale” e “tre paradossi”.
All’inizio sta il peccato originale commesso dall’Occidente: quello di consentire alla Cina di entrare nel WTO scambiando liberamente le sue merci su tutti i mercati mondiali e lasciandole la libertà di decidere “politicamente” il cambio della sua moneta, furbescamente agganciato al dollaro. Questo ha regalato alla Cina la garanzia di mantenere la propria competitività verso il dollaro ed acquisirne un 50% in più verso l’Europa. E tutto in aggiunta alla già dirompente competitività cinese basata su costi del lavoro ridicoli per gli standard occidentali e su tutte le altre condizioni di dumping sociale.
Da qui il primo paradosso: Europa e Stati Uniti, anche sulla base di tale artificiosa convenienza, comprano prodotti cinesi; i cinesi incassano i nostri soldi e li risparmiano senza migliorare le condizioni di vita interne, accumulando imponenti Fondi Sovrani con i quali comprano o i titoli dei nostri debiti pubblici o pezzi rilevanti della nostra economia produttiva. In sintesi, la Cina, con i soldi dell’ Occidente, si sta comprando l’Occidente, e poiché i soldi che le diamo sono tanti, può comprarsi anche pezzi rilevanti dell’Africa e dell’America Latina.
Il secondo paradosso consiste nel fatto che quelle banche e quelle conniventi agenzie di rating che hanno determinato l’accumularsi delle bolle speculative e poi l'esplosione della crisi finanziaria , sono state salvate (per nostra fortuna ciò non è avvenuto in Italia) attraverso i soldi pubblici, trasferendo di fatto il debito delle banche private nel debito pubblico. Adesso che siamo di fronte al problema dei Debiti Pubblici degli Stati, quelle stesse banche e quelle stesse agenzie di rating (in gergo “mercati finanziari”) si ergono ad arbitri e a giudici unici dei debiti degli stati.
Il terzo paradosso riguarda esclusivamente l'Europa e si esprime nel “costo dell'Europa che c'è” e nel “costo dell’Europa che non c’è”. L’Europa che c’è, quella monetaria, seguendo l’atavica fobia tedesca per l’inflazione con ancora la memoria storica rivolta alla Repubblica di Weimar ed alla sua iperinflazione, ha “gentilmente” lasciato apprezzare l’euro fino a sfiorare il rapporto di 1,5 con il dollaro e di conseguenza anche con lo yuan cinese, contribuendo così a commettere il “peccato originale” dell’economia mondiale. La Cina ha offerto subdolamente la “mela” e l’Europa ha fatto indigestione di euro supervalutato diventando abulica e assopendosi su una crescita asfittica e priva di prospettive anche perché artificiosamente compressa proprio dal super-euro. D’altro canto, L'Europa che non c'è, quella della politica economica e della politica tout-court (cioè gli Stati Uniti d’Europa), comporta che ogni singolo Stato deve assumere le proprie decisioni. Questo processo allunga enormemente i tempi e fa trascurare il fatto che, di fronte a queste crisi il tempo è denaro.

Ecco perché negli ultimi due anni la speculazione si è prima diretta sui paesi più deboli della catena (Grecia, Portogallo) per poi rivolgersi a Spagna ed Italia fino alla revoca della tripla AAA anche alla stessa Francia.
Sul caso Grecia poi, non va dimenticato che l’Europa ha commesso come minimo una “culpa in vigilando”, lasciandola entrare nell’euro con conti pubblici che si sono rivelati largamente truccati. E quando questo è emerso il sostegno alla Grecia è arrivato tardi e male. Già due anni fa, ricordai il “teorema di Solow” (il premio Nobel americano che da quasi cinquant’anni è il padre della teoria della crescita) che dice che, se il tasso di interesse è superiore al tasso di crescita dell'economia, il rapporto Debito-Pil è destinato a crescere all'infinito e quindi il paese diventa insolvibile. Ed infatti già due anni fa, l’Europa, dopo aver discusso per sei mesi, concesse un primo aiuto alla Grecia con un prestito al 5% di interesse. L’obiettivo intangibile dell’inflazione europea è al 2%. Pertanto il tasso reale di interesse era pari al 3%. Era ed è inimmaginabile che nei prossimi 10/20 anni la Grecia cresca ad un tasso medio annuo superiore al 3% . Ne consegue che, sulla base del teorema di Solow, il debito greco è stato dichiarato insostenibile fin dal momento in cui venne concesso il primo prestito. E questo è un paradosso dentro il paradosso perché chi, a fatica e con ritardo, vuole aiutare la Grecia, nel modo in cui lo fa, dichiara di fatto l'insolvibilità del debito greco. Si potrebbe anche aggiungere che, visto che il debito pubblico greco è in mano alle grandi banche (anche europee), alla fin fine significa lanciare soltanto una ciambella di salvataggio alle stesse banche e lasciare morire l’economia reale della Grecia. E se due anni fa sarebbero bastati 30 miliardi di euro per fronteggiare la crisi, oggi ne occorrono 130. Ed il popolo greco invade le piazze...

Sin dall’inizio della crisi mondiale nel 2008 non si sono volute capire, né tantomeno sono state rimosse le cause reali degli squilibri mondiali (eccesso di consumo americano ed eccesso di risparmio cinese) e perpetuando anche nei prossimi anni quei tre paradossi, di fatto si ricarica una potente molla verso una nuova e più forte crisi globale. Infatti, dopo la crisi 2008-2009, l’economia mondiale è sembrata uscirne con gli Stati Uniti che hanno ripreso a crescere quasi al 4%, la Cina che ha ripreso a correre verso il 10% e l’Europa che comunque ha dormito attorno all’1%. Ed ancora una volta, le tre grandi aree del mondo (Usa, Europa, Cina) hanno pensato di risolvere i loro problemi interni puntando tutte insieme al traino delle loro esportazioni nel resto del mondo. Ma loro sono i tre quarti del mondo e quindi a chi esportano se non tra di loro? Occorre quindi che chi ha eccesso di consumo (USA) freni un po’ la propria economia e riequilibri i propri deficit pubblici ed esteri, chi ha eccesso di risparmio (Cina ed Europa) punti invece di più sulla domanda interna. La Cina sui consumi per migliorare il tenore di vita dei cinesi e disinnescare la vera bomba atomica interna alla Cina che è l’esplosione sociale conseguente al passaggio dalle campagne alle città di circa 300 milioni di cinesi nei prossimi dieci anni. L’Europa sugli investimenti (infrastrutture, energia, ricerca, innovazione) necessari a fare sul serio l’unione reale del vecchio continente.
Per rimuovere le radici reali della crisi, per ridare assetto sostenibile alle condizioni finanziarie e per eliminare i tre paradossi occorre capire che si tratta di un problema di governance mondiale. Occorre cioè rifondare il G8, rifare Bretton Woods, riformare Fondo Monetario, Banca Mondiale e Wto. E dentro il nuovo equilibrio mondiale occorre mettere un protagonista indispensabile che si chiama Stati Uniti d’Europa, un’entità politica consistente e non una semplice sommatoria statistica definita dai conti dell’Eurostat. In sintesi, è urgente dare alla Banca Centrale Europea il ruolo di prestatore di ultima istanza e modificare il vecchio e stupido Trattato di Maastritch nel senso di un maggiore rigore finanziario (avanzo di parte corrente), lasciando a deficit solo gli investimenti pubblici con un rapporto di 2 a 1 rispetto allo stesso avanzo corrente. Come si vede, quindi, altro che crisi greca...

di Mario Baldassarri