06 marzo 2012

Me ne frego!







Il Presidente (di sempre meno italiani) Giorgio Napolitano, dopo essere stato l’uomo chiave nell’ambito del golpe bancario che ha portato Mario Monti sullo scranno della presidenza del Consiglio, continua a collezionare senza alcun pudore figuracce di ogni sorta, muovendosi in giro per l’Italia scortato da un’armata di poliziotti grande come usata da Obama durante una visita in Afghanistan. Con la differenza che il Giorgio nazionale non si trova all’estero in paese occupato, bensì in patria (occupata pure quella), dove non è mai accaduto che un Presidente della Repubblica dovesse muoversi con l’ausilio di un esercito che lo protegga.
Dopo le pesanti (ma sempre troppo civili) contestazioni subite in Sardegna, Napolitano ha ritenuto giusto dare sfoggio del suo “eccentrico” senso della democrazia anche in Piemonte, dove venendo in visita a Torino si è categoricamente rifiutato di ricevere in visita una delegazione dei sindaci contrari al TAV Torino – Lione……

che avevano domandato di poter conferire con lui, adducendo come scusa del suo gesto il fatto che le questioni tecniche (come il TAV) non sono affari di sua competenza.
Una scusa assolutamente priva di fondamento (oltre che di dignità), dal momento che la questione TAV che ha monopolizzato nelle ultime settimane le prime pagine dei giornali, travalica di gran lunga qualsivoglia dimensione tecnica, dopo avere assunto un carattere economi co e sociale di portata nazionale.

E’ singolare il fatto che un Presidente della Repubblica, garante della costituzione e deputato a rappresentare tutti gli italiani, pur non essendo stato eletto dai cittadini, rifiuti categoricamente il confronto con un gruppo di sindaci che intendono portare alla sua presenza le ragioni dei cittadini che li hanno eletti. E preferisca liquidare la questione pronunciando qualche slogan a pappagallo e trincerandosi dietro un “non mi compete”.

Se ascoltare l’opinione degli uomini dello stato, eletti per rappresentare i cittadini a livello locale (non di un manipolo di black blok) non sarebbe competenza del Presidente della Repubblica, è lecito domandarsi quali possano essere le reali competenze di Napolitano e se esse si limitino a nominare senatori a vita i banchieri di Goldman Sachs e presiedere ad inaugurazioni e festicciole assortite, dove pronunciare slogan buoni per la TV. Mobilitando nel corso dei propri spostamenti una “macchina da guerra” forte di migliaia di uomini, pagata dal popolo italiano al quale Napolitano e le banche continuano a domandare lacrime e sangue.

Per evitare di prendere sul capo qualche insulto e qualche pomodoro, non è necessario far pagare agli italiani il costo di un esercito, ogni volta che l’altissimo intende fare qualche spostamento.
Sarebbe sufficiente adempiere al proprio dovere, dimostrando di sapere perlomeno ascoltare quello che i cittadini hanno da dire. Parole pacate, per carità, magari portate dagli uomini politici che essi hanno votato per rappresentarli, magari nel momento che sua signoria trova più comodo, magari senza che la cosa gli porti via troppo del suo tempo prezioso.

Colui che rifiuta di ascoltare la voce del popolo e per tutta risposta mette fra sé ed i cittadini, blindati, scudi e manganelli, generalmente non viene definito presidente, ma in altra maniera. Una veste nella quale Napolitano in tutta evidenza dimostra di trovarsi completamente a proprio agio.
In Val di Susa nessun politico ha mai ritenuto doveroso dialogare con i cittadini, preferendo demandare il dialogo ai manganelli ed ai lacrimogeni. Salvo poi stigmatizzare con ipocrisia i cittadini stessi come violenti e facinorosi.
I lacrimogeni ed i manganelli sono interlocutori di poche parole, provate ad intavolare un discorso articolato e ve ne renderete conto ben presto, ragione per cui sarebbe gradito che Napolitano smettesse almeno di prodursi in filippiche aventi per oggetto lo stop alle violenze. Se la violenza lo disgusta davvero in profondità, provi a cambiare gli interlocutori, perché tutto quanto accade nel paese è di sua competenza e non dovrebbero esistere italiani figli di un dio minore ai quali sputare in faccia con
sufficienza.
di Marco Cedolin

05 marzo 2012

La spy-economy di Goldman Sachs





wikileaks-stratforLa più potente e discussa banca d’affari del mondo, la statunitense Goldman Sachs, voleva sfruttare le informazioni geopolitiche riservate dell’agenzia privata d’intelligence americana Stratfor per fare insider trading e speculare sui mercati valutari e dei titoli di Stato.

E’ una delle più scottanti notizie emerse da una valanga di email aziendali della Stratfor ‘hackerate’ lo scorso 26 dicembre da Anonymous e ora pubblicate da WikiLeaks: cinque milioni di messaggi di posta elettronica risalenti al periodo 2004-2011 che svelano il coinvolgimento della società texana in attività illecite di spionaggio di attivisti per conto del governo Usa e di aziende multinazionali (Dow Chemical, Lockheed Martin, Northrop Grumman, Raytheon), riciclaggio di denaro e, per l’appunto, speculazione finanziaria.

L’anno scorso, dopo due anni di incubazione, l’ex alto dirigente di Goldman Sachs, Shea Morenz, e il fondatore e presidente di Stratfor, George Friedman (figlio di ungheresi sopravvissuti all’Olocausto), hanno dato vita a un fondo d’investimento denominato StratCap. Di cosa si tratti lo spiega chiaramente, in una mail riservata dello scorso 5 settembre, lo stesso Friedman: “StratCap userà le nostre informazioni e analisi per commerciare nel campo degli strumenti geopolitici, in particolare titoli governativi, valute e simili nei mercati dei Paesi emergenti”.

Nella stessa mail (indicata come “riservata a uso interno, da non diffondere e discutere all’esterno”), Friedman spiega come il dirigente di Goldman Sachs abbia ideato il progetto StratCap investendovi appositamente oltre 2 milioni di dollari (oltre ad altri grossi finanziamenti diretti a Stratfor) e come Morenz sia entrato nel consiglio di amministrazione della stessa Stratfor. “Abbiamo già fornito consulenza ad altri hedge fund: ora, grazie a Morenz, ne abbiamo uno nostro”.

Il fondo StratCap, che sarebbe dovuto diventare operativo sui mercati finanziari nella primavera 2012, va così ad aggiungersi alla lunga lista di scandali e attività poco chiare che hanno visto coinvolta la superbanca americana per cui hanno lavorato anche Romano Prodi, Mario Draghi e Mario Monti.

di Enrico Piovesana

04 marzo 2012

Mercati finanziari: chi comanda veramente?

Come funzionano i mercati finanziari? Chi sono i protagonisti? La speculazione ha un nome e un volto?

In questi tempi di crisi i mercati si sono sostituiti ai Parlamenti e soprattutto all’elettorato nel decretare la fine di un Governo e nell’imporre importanti scelte politiche. Ci si può dunque interrogare su chi siano effettivamente questi mercati e come mai siano riusciti ad assumere questo ruolo chiave. Ma soprattutto ci si può chiedere: chi comanda veramente?

Negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che i mercati sono efficienti e in grado di autoregolarsi. In pratica le decisioni di milioni di investitori determinerebbero i prezzi di azioni, obbligazioni, materie prime e tassi di cambio delle valute in base alle informazioni disponibili. Questi milioni di scelte individuerebbero correttamente i prezzi che varierebbero in seguito solo in base ad informazioni nuove. Inoltre, queste scelte determinerebbero anche quella che gli economisti chiamano la migliore allocazione delle risorse, ossia premierebbero gli investimenti e le attività che hanno le migliori prospettive e non incorerebbero in clamorosi sprechi, come invece accadrebbe alle scelte di investimento effettuate dai Governi e quindi dalla politica. Queste teorie, sostenute da autorevoli personaggi come l’ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, hanno determinato non solo le scelte del mondo della finanza, ma anche di quello della politica fino all’inizio di questo secolo. Insomma, sono assurte a paradigma indiscusso ed indiscutibile. Il crollo della bolla dei titoli tecnologici nel 2000, la crisi dei mutui americani subprime nel 2007/2008, la crisi del sistema bancario del 2008 e l’attuale crisi dei debiti sovrani hanno mostrato l’inconsistenza di queste convinzioni che di fatto servivano unicamente a giustificare l’operato della grande speculazione finanziaria.

Restano dunque aperte le domande fondamentali: come funzionano i mercati finanziari? Chi sono gli attori principali di questi mercati? La risposta non è assolutamente facile e scontata. Effettivamente ogni giorno sui mercati finanziari operano milioni di persone e, quindi, questa indiscutibile realtà serve da tuta mimetica che nasconde i veri e determinanti attori (oppure manipolatori) dei mercati. I mercati finanziari si comportano in realtà come greggi. Si tratta dunque di individuare i caproni che guidano il gregge. Questa teoria del gregge è addirittura formalizzata dalla scuola della cosiddetta finanza comportamentale (“behaviour finance”) che cerca correttamente di individuare i meccanismi psicologici che inducono i milioni di attori a reagire e a comportarsi in modo uniforme. Questa uniformità di comportamenti è ulteriormente esaltata dai meccanismi di valutazione dei risultati della gestione degli investitori istituzionali, ossia dei gestori dei capitali delle casse pensioni, dei grandi fondi di investimento, ecc. Questi ultimi non vengono tanto valutati annualmente in base ai guadagni conseguiti, ma rispetto a parametri di confronto (benchmark). Ad esempio, la gestione di un fondo azionario svizzero viene confrontata con l’andamento della Borsa svizzera. Quindi è importante non perdere molto più dell’indice della Borsa svizzera, quando quest’ultima chiude l’anno in ribasso, e non guadagnare molto meno dell’indice, quando chiude in rialzo. La prima conclusione da trarre è che i risparmiatori pagano la gestione dei loro soldi a persone che spesso non fanno altro che imitare (copiare) con variazioni di scarsa rilevanza l’andamento dei mercati.

Ma chi determina il loro andamento? In realtà un pugno di uomini o meglio di grandi banche di investimento e di grandi società multinazionali. Questi istituti sono in realtà più organi di propaganda che vere e proprie banche. Infatti attraverso analisi, ricerche, studi e raccomandazioni di investimento riescono a determinare l’andamento dei mercati. Per essere più chiari, negli anni Novanta hanno esaltato il fenomeno delle nuove tecnologie informatiche, creando una mania che ha spinto milioni di persone ad investire nelle azioni delle società di telecomunicazione, in quelle Internet e via dicendo, creando una bolla che è poi scoppiata nel 2000, dando il via alla crisi dalla quale non siamo ancora usciti. Un altro esempio: sono le analisi sulla scarsità delle derrate alimentari, rafforzate dai disastri provocati dalla siccità o dalle alluvioni in varie parti del mondo, che hanno provocato grandi ondate di acquisti nei Paesi occidentali e la fame nei Paesi poveri. Oppure ancora, le analisi sull’aumento del consumo di petrolio provocato dai nuovi grandi Paesi emergenti (Cina e India) che ha fatto impennare il prezzo del greggio. Queste analisi, che si fondano sempre su dati reali e soprattutto facilmente comprensibili, vengono diffuse in tutto il mondo e vengono sostenute da queste stesse banche con massicci acquisti da parte dei fondi che gestiscono direttamente e da parte delle loro sale di trading (sale di compravendita delle più diverse attività finanziarie). Infatti negli ultimi decenni il grosso degli utili delle grandi banche di investimento è generato dalla speculazione effettuata con il capitale proprio. Per capirci è generata da quel tipo di attività che talvolta è afflitta da incidenti, come quello che ha provocato perdite miliardarie ad UBS a Londra.

La speculazione ha dunque un nome e un volto. Sono le grandi banche di investimento che si indebitano per moltiplicare le loro scommesse sui mercati (la cosiddetta leva), affiancate dai grandi Hedge Fund (che dipendono dalle banche per le linee di credito e per l’operatività) e dalle grandi società multinazionali, la cui attività sui mercati finanziari è spesso più redditizia e più importante di quella industriale. Molto probabilmente chi ha avuto l’ardire di giungere fino a questo punto nella lettura di questo articolo, potrebbe dire che queste affermazioni non sono suffragate da prove. Ebbene un recente studio dell’Università di Zurigo mette in luce la concentrazione delle strutture proprietarie e delle strutture di controllo dell’attuale sistema economico. In pratica, esiste una rete, che si potrebbe definire “invisibile”, formata da una cinquantina di società multinazionali (prevalentemente istituti finanziari), che attraverso un complicato meccanismo di relazioni di proprietà, controlla il 40% del valore economico e finanziario di 43'060 società multinazionali. Possiamo sostenere, senza timore di poter essere smentiti, che questo è il cuore (o la plancia di comando) dell’economia occidentale.

Oggi è in crisi questo cuore del sistema, che ha giocato per anni ad ingrossare la propria redditività scommettendo su un continuo aumento del debito. Ora il meccanismo gli si è rotto in mano e gli uomini della plancia di comando non sanno come uscire dall’attuale crisi. Sanno però che bisogna a tutti i costi tenere in piedi il castello di debiti costruito negli anni. Quindi, obbligano i Governi a salvare le banche, le banche centrali a rifornirle di liquidità a costo pressoché zero e alla politica di estrarre dall’economia reale le risorse ancora esistenti per tentare di rinviare il momento della verità. L’aspetto maggiormente preoccupante è che anche sulla plancia di comando non vi è alcuna strategia pacifica e non eccessivamente dolorosa per uscire dall’attuale crisi. Insomma, non si sa quale rotta seguire. Non si può escludere quindi che queste persone, di fronte al precipitare della situazione, scelgano vie pericolose per l’intera umanità.

In conclusione, i mercati finanziari dove milioni di persone operano sono in realtà una bella tuta mimetica, che serve a far credere a tutti di essere coinvolti e corresponsabili di quanto succede e che serve soprattutto a celare la plancia di comando, dalla quale uomini e società gestiscono il nostro mondo.
di Alfonso Tuor

06 marzo 2012

Me ne frego!







Il Presidente (di sempre meno italiani) Giorgio Napolitano, dopo essere stato l’uomo chiave nell’ambito del golpe bancario che ha portato Mario Monti sullo scranno della presidenza del Consiglio, continua a collezionare senza alcun pudore figuracce di ogni sorta, muovendosi in giro per l’Italia scortato da un’armata di poliziotti grande come usata da Obama durante una visita in Afghanistan. Con la differenza che il Giorgio nazionale non si trova all’estero in paese occupato, bensì in patria (occupata pure quella), dove non è mai accaduto che un Presidente della Repubblica dovesse muoversi con l’ausilio di un esercito che lo protegga.
Dopo le pesanti (ma sempre troppo civili) contestazioni subite in Sardegna, Napolitano ha ritenuto giusto dare sfoggio del suo “eccentrico” senso della democrazia anche in Piemonte, dove venendo in visita a Torino si è categoricamente rifiutato di ricevere in visita una delegazione dei sindaci contrari al TAV Torino – Lione……

che avevano domandato di poter conferire con lui, adducendo come scusa del suo gesto il fatto che le questioni tecniche (come il TAV) non sono affari di sua competenza.
Una scusa assolutamente priva di fondamento (oltre che di dignità), dal momento che la questione TAV che ha monopolizzato nelle ultime settimane le prime pagine dei giornali, travalica di gran lunga qualsivoglia dimensione tecnica, dopo avere assunto un carattere economi co e sociale di portata nazionale.

E’ singolare il fatto che un Presidente della Repubblica, garante della costituzione e deputato a rappresentare tutti gli italiani, pur non essendo stato eletto dai cittadini, rifiuti categoricamente il confronto con un gruppo di sindaci che intendono portare alla sua presenza le ragioni dei cittadini che li hanno eletti. E preferisca liquidare la questione pronunciando qualche slogan a pappagallo e trincerandosi dietro un “non mi compete”.

Se ascoltare l’opinione degli uomini dello stato, eletti per rappresentare i cittadini a livello locale (non di un manipolo di black blok) non sarebbe competenza del Presidente della Repubblica, è lecito domandarsi quali possano essere le reali competenze di Napolitano e se esse si limitino a nominare senatori a vita i banchieri di Goldman Sachs e presiedere ad inaugurazioni e festicciole assortite, dove pronunciare slogan buoni per la TV. Mobilitando nel corso dei propri spostamenti una “macchina da guerra” forte di migliaia di uomini, pagata dal popolo italiano al quale Napolitano e le banche continuano a domandare lacrime e sangue.

Per evitare di prendere sul capo qualche insulto e qualche pomodoro, non è necessario far pagare agli italiani il costo di un esercito, ogni volta che l’altissimo intende fare qualche spostamento.
Sarebbe sufficiente adempiere al proprio dovere, dimostrando di sapere perlomeno ascoltare quello che i cittadini hanno da dire. Parole pacate, per carità, magari portate dagli uomini politici che essi hanno votato per rappresentarli, magari nel momento che sua signoria trova più comodo, magari senza che la cosa gli porti via troppo del suo tempo prezioso.

Colui che rifiuta di ascoltare la voce del popolo e per tutta risposta mette fra sé ed i cittadini, blindati, scudi e manganelli, generalmente non viene definito presidente, ma in altra maniera. Una veste nella quale Napolitano in tutta evidenza dimostra di trovarsi completamente a proprio agio.
In Val di Susa nessun politico ha mai ritenuto doveroso dialogare con i cittadini, preferendo demandare il dialogo ai manganelli ed ai lacrimogeni. Salvo poi stigmatizzare con ipocrisia i cittadini stessi come violenti e facinorosi.
I lacrimogeni ed i manganelli sono interlocutori di poche parole, provate ad intavolare un discorso articolato e ve ne renderete conto ben presto, ragione per cui sarebbe gradito che Napolitano smettesse almeno di prodursi in filippiche aventi per oggetto lo stop alle violenze. Se la violenza lo disgusta davvero in profondità, provi a cambiare gli interlocutori, perché tutto quanto accade nel paese è di sua competenza e non dovrebbero esistere italiani figli di un dio minore ai quali sputare in faccia con
sufficienza.
di Marco Cedolin

05 marzo 2012

La spy-economy di Goldman Sachs





wikileaks-stratforLa più potente e discussa banca d’affari del mondo, la statunitense Goldman Sachs, voleva sfruttare le informazioni geopolitiche riservate dell’agenzia privata d’intelligence americana Stratfor per fare insider trading e speculare sui mercati valutari e dei titoli di Stato.

E’ una delle più scottanti notizie emerse da una valanga di email aziendali della Stratfor ‘hackerate’ lo scorso 26 dicembre da Anonymous e ora pubblicate da WikiLeaks: cinque milioni di messaggi di posta elettronica risalenti al periodo 2004-2011 che svelano il coinvolgimento della società texana in attività illecite di spionaggio di attivisti per conto del governo Usa e di aziende multinazionali (Dow Chemical, Lockheed Martin, Northrop Grumman, Raytheon), riciclaggio di denaro e, per l’appunto, speculazione finanziaria.

L’anno scorso, dopo due anni di incubazione, l’ex alto dirigente di Goldman Sachs, Shea Morenz, e il fondatore e presidente di Stratfor, George Friedman (figlio di ungheresi sopravvissuti all’Olocausto), hanno dato vita a un fondo d’investimento denominato StratCap. Di cosa si tratti lo spiega chiaramente, in una mail riservata dello scorso 5 settembre, lo stesso Friedman: “StratCap userà le nostre informazioni e analisi per commerciare nel campo degli strumenti geopolitici, in particolare titoli governativi, valute e simili nei mercati dei Paesi emergenti”.

Nella stessa mail (indicata come “riservata a uso interno, da non diffondere e discutere all’esterno”), Friedman spiega come il dirigente di Goldman Sachs abbia ideato il progetto StratCap investendovi appositamente oltre 2 milioni di dollari (oltre ad altri grossi finanziamenti diretti a Stratfor) e come Morenz sia entrato nel consiglio di amministrazione della stessa Stratfor. “Abbiamo già fornito consulenza ad altri hedge fund: ora, grazie a Morenz, ne abbiamo uno nostro”.

Il fondo StratCap, che sarebbe dovuto diventare operativo sui mercati finanziari nella primavera 2012, va così ad aggiungersi alla lunga lista di scandali e attività poco chiare che hanno visto coinvolta la superbanca americana per cui hanno lavorato anche Romano Prodi, Mario Draghi e Mario Monti.

di Enrico Piovesana

04 marzo 2012

Mercati finanziari: chi comanda veramente?

Come funzionano i mercati finanziari? Chi sono i protagonisti? La speculazione ha un nome e un volto?

In questi tempi di crisi i mercati si sono sostituiti ai Parlamenti e soprattutto all’elettorato nel decretare la fine di un Governo e nell’imporre importanti scelte politiche. Ci si può dunque interrogare su chi siano effettivamente questi mercati e come mai siano riusciti ad assumere questo ruolo chiave. Ma soprattutto ci si può chiedere: chi comanda veramente?

Negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che i mercati sono efficienti e in grado di autoregolarsi. In pratica le decisioni di milioni di investitori determinerebbero i prezzi di azioni, obbligazioni, materie prime e tassi di cambio delle valute in base alle informazioni disponibili. Questi milioni di scelte individuerebbero correttamente i prezzi che varierebbero in seguito solo in base ad informazioni nuove. Inoltre, queste scelte determinerebbero anche quella che gli economisti chiamano la migliore allocazione delle risorse, ossia premierebbero gli investimenti e le attività che hanno le migliori prospettive e non incorerebbero in clamorosi sprechi, come invece accadrebbe alle scelte di investimento effettuate dai Governi e quindi dalla politica. Queste teorie, sostenute da autorevoli personaggi come l’ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, hanno determinato non solo le scelte del mondo della finanza, ma anche di quello della politica fino all’inizio di questo secolo. Insomma, sono assurte a paradigma indiscusso ed indiscutibile. Il crollo della bolla dei titoli tecnologici nel 2000, la crisi dei mutui americani subprime nel 2007/2008, la crisi del sistema bancario del 2008 e l’attuale crisi dei debiti sovrani hanno mostrato l’inconsistenza di queste convinzioni che di fatto servivano unicamente a giustificare l’operato della grande speculazione finanziaria.

Restano dunque aperte le domande fondamentali: come funzionano i mercati finanziari? Chi sono gli attori principali di questi mercati? La risposta non è assolutamente facile e scontata. Effettivamente ogni giorno sui mercati finanziari operano milioni di persone e, quindi, questa indiscutibile realtà serve da tuta mimetica che nasconde i veri e determinanti attori (oppure manipolatori) dei mercati. I mercati finanziari si comportano in realtà come greggi. Si tratta dunque di individuare i caproni che guidano il gregge. Questa teoria del gregge è addirittura formalizzata dalla scuola della cosiddetta finanza comportamentale (“behaviour finance”) che cerca correttamente di individuare i meccanismi psicologici che inducono i milioni di attori a reagire e a comportarsi in modo uniforme. Questa uniformità di comportamenti è ulteriormente esaltata dai meccanismi di valutazione dei risultati della gestione degli investitori istituzionali, ossia dei gestori dei capitali delle casse pensioni, dei grandi fondi di investimento, ecc. Questi ultimi non vengono tanto valutati annualmente in base ai guadagni conseguiti, ma rispetto a parametri di confronto (benchmark). Ad esempio, la gestione di un fondo azionario svizzero viene confrontata con l’andamento della Borsa svizzera. Quindi è importante non perdere molto più dell’indice della Borsa svizzera, quando quest’ultima chiude l’anno in ribasso, e non guadagnare molto meno dell’indice, quando chiude in rialzo. La prima conclusione da trarre è che i risparmiatori pagano la gestione dei loro soldi a persone che spesso non fanno altro che imitare (copiare) con variazioni di scarsa rilevanza l’andamento dei mercati.

Ma chi determina il loro andamento? In realtà un pugno di uomini o meglio di grandi banche di investimento e di grandi società multinazionali. Questi istituti sono in realtà più organi di propaganda che vere e proprie banche. Infatti attraverso analisi, ricerche, studi e raccomandazioni di investimento riescono a determinare l’andamento dei mercati. Per essere più chiari, negli anni Novanta hanno esaltato il fenomeno delle nuove tecnologie informatiche, creando una mania che ha spinto milioni di persone ad investire nelle azioni delle società di telecomunicazione, in quelle Internet e via dicendo, creando una bolla che è poi scoppiata nel 2000, dando il via alla crisi dalla quale non siamo ancora usciti. Un altro esempio: sono le analisi sulla scarsità delle derrate alimentari, rafforzate dai disastri provocati dalla siccità o dalle alluvioni in varie parti del mondo, che hanno provocato grandi ondate di acquisti nei Paesi occidentali e la fame nei Paesi poveri. Oppure ancora, le analisi sull’aumento del consumo di petrolio provocato dai nuovi grandi Paesi emergenti (Cina e India) che ha fatto impennare il prezzo del greggio. Queste analisi, che si fondano sempre su dati reali e soprattutto facilmente comprensibili, vengono diffuse in tutto il mondo e vengono sostenute da queste stesse banche con massicci acquisti da parte dei fondi che gestiscono direttamente e da parte delle loro sale di trading (sale di compravendita delle più diverse attività finanziarie). Infatti negli ultimi decenni il grosso degli utili delle grandi banche di investimento è generato dalla speculazione effettuata con il capitale proprio. Per capirci è generata da quel tipo di attività che talvolta è afflitta da incidenti, come quello che ha provocato perdite miliardarie ad UBS a Londra.

La speculazione ha dunque un nome e un volto. Sono le grandi banche di investimento che si indebitano per moltiplicare le loro scommesse sui mercati (la cosiddetta leva), affiancate dai grandi Hedge Fund (che dipendono dalle banche per le linee di credito e per l’operatività) e dalle grandi società multinazionali, la cui attività sui mercati finanziari è spesso più redditizia e più importante di quella industriale. Molto probabilmente chi ha avuto l’ardire di giungere fino a questo punto nella lettura di questo articolo, potrebbe dire che queste affermazioni non sono suffragate da prove. Ebbene un recente studio dell’Università di Zurigo mette in luce la concentrazione delle strutture proprietarie e delle strutture di controllo dell’attuale sistema economico. In pratica, esiste una rete, che si potrebbe definire “invisibile”, formata da una cinquantina di società multinazionali (prevalentemente istituti finanziari), che attraverso un complicato meccanismo di relazioni di proprietà, controlla il 40% del valore economico e finanziario di 43'060 società multinazionali. Possiamo sostenere, senza timore di poter essere smentiti, che questo è il cuore (o la plancia di comando) dell’economia occidentale.

Oggi è in crisi questo cuore del sistema, che ha giocato per anni ad ingrossare la propria redditività scommettendo su un continuo aumento del debito. Ora il meccanismo gli si è rotto in mano e gli uomini della plancia di comando non sanno come uscire dall’attuale crisi. Sanno però che bisogna a tutti i costi tenere in piedi il castello di debiti costruito negli anni. Quindi, obbligano i Governi a salvare le banche, le banche centrali a rifornirle di liquidità a costo pressoché zero e alla politica di estrarre dall’economia reale le risorse ancora esistenti per tentare di rinviare il momento della verità. L’aspetto maggiormente preoccupante è che anche sulla plancia di comando non vi è alcuna strategia pacifica e non eccessivamente dolorosa per uscire dall’attuale crisi. Insomma, non si sa quale rotta seguire. Non si può escludere quindi che queste persone, di fronte al precipitare della situazione, scelgano vie pericolose per l’intera umanità.

In conclusione, i mercati finanziari dove milioni di persone operano sono in realtà una bella tuta mimetica, che serve a far credere a tutti di essere coinvolti e corresponsabili di quanto succede e che serve soprattutto a celare la plancia di comando, dalla quale uomini e società gestiscono il nostro mondo.
di Alfonso Tuor