11 aprile 2012

Finanziamenti ai partiti, le coordinate di un dibattito... che non c'è




Umberto e Renzo Bossi
Gli scandali legati alla gestione dei soldi pubblici da parte della lega hanno reso lampante la necessità di cambiare le modalità di finanziamento ai partiti
Gli ultimi scandali che hanno coinvolto la Margherita e la Lega Nord hanno reso evidente – se ancora ce ne fosse bisogno – la necessità di mettere mano alle leggi che regolano i finanziamenti ai partiti politici. E hanno segnato l'ennesima sconfitta della nostra maltrattata democrazia.
La questione dei finanziamenti ai partiti è annosa ed è il classico esempio di come un principio di per sé corretto possa degenerare in un'applicazione del tutto immorale. Il principio corretto è il seguente: in una democrazia, lo stato ha il dovere di finanziare i propri partiti politici per garantire che essi siano autosufficienti e restino espressione della complessità di vedute e opinioni dei propri cittadini, piuttosto che diventare strumento di lobby e gruppi di pressione privati.
E fin qui la teoria. La pratica invece è tutt'altra, e vuole che i partiti abbiano gozzovigliato per anni a spese dei contribuenti, facendo ricchi i propri esponenti, trasformando la politica nella tanto odiata casta. Arrivando ad approvare leggi paradossali, come la 515/1993, che a fronte di un referendum abrogativo che sull'onda di mani pulite annullava la legge sui finanziamenti pubblici ai partiti, reintroduceva i finanziamenti stessi sotto forma di rimborsi elettorali. O la numero 157 del 1999, che svincola il rimborso elettorale dalle spese effettivamente sostenute. O infine la 51 del 2006, che vuole che i rimborsi, trasformati in annuali dalla 156/2002, vengano erogati sempre e comunque per i cinque anni di legislatura anche se il governo effettivo è durato pochi mesi.
Per dare solo l'idea della anomalia tutta italiana bastano alcuni dati. Per le elezioni politiche del 2008, a fronte di spese reali che ammontavano a 136 milioni di euro, i partiti hanno ricevuto rimborsi elettorali per 503 milioni. Nel solo 2010 i partiti italiani hanno ricevuto 285 milioni di euro di finanziamento pubblico; quelli tedeschi ne hanno ricevuti solo 133 milioni, i francesi 80, per non parlare della Gran Bretagna, dove i contributi spettano solo all'opposizione.
I vertici della maggioranza Pd-Pdl-Udc che sostiene il governo, spinti dalle voci ricorrenti su un possibile referendum come quello del 1993 contro i finanziamenti pubblici ai partiti, si sono riuniti per riscrivere in fretta e furia le modalità con cui i partiti possono essere finanziati. Le nuove norme verranno predisposte con ogni probabilità entro domani, in modo da essere presentate giovedì alle altre forze politiche.
Fra le idee in discussione, molte si incentrano sulla questione dei bilanci, che potrebbero essere sottoposti al controllo della Corte dei Conti, dovrebbero garantire una maggiore trasparenza, e sarebbero certificati e pubblicati in Rete. Per chi trasgredisce, sarebbero previste sanzioni con decurtazioni dei fondi, mentre sul fronte investimenti, verrebbero consentiti solo quelli in titoli di Stato.
Si tratta di norme necessarie, ma che, introdotte nel clima attuale – da chi fino a ieri usufruiva volentieri dei privilegi –, sembrano una disordinata corsa ai ripari, priva di una reale volontà di cambiamento. Anche perché, se venissero confermate le proposte attualmente in discussione, non v'è traccia di una ridiscussione delle modalità di finanziamento, ma ci si limita ad aumentare i controlli e le garanzie.
Ad ogni modo, sulla questione dei finanziamenti ai partiti, sarebbe necessario un dibattito molto più ampio di quello attualmente in corso, che sembra limitare la questione ad uno scontro fra una casta arroccata a difesa dei propri privilegi, ed un popolo giustamente infuriato, che vorrebbe eliminarli tutti – i privilegi - di botto.
La questione è in realtà più complessa. Annullare il principio di finanziamento pubblico alla politica significa abdicare alla possibilità di risanamento di un sistema che voleva lo stato al centro della società, e l'idea di rappresentanza politica al centro dello stato. Vuol dire riconoscere tale modello è marcio a tal punto da non poter più essere riformato.
Ma non è eliminando le spese della politica, né la classe politica, che si risolvono i problemi d'Italia. La politica ha abdicato negli anni al suo ruolo di portavoce delle istanze della cittadinanza per diventare il maggiordomo, ricco e viziato, di ben altri poteri e interessi economici. Sono questi poteri che oggi governano il paese, usando la politica come mero strumento.
Ora emergono alcune domande. È forse giunta l'ora di arrendersi a tale meccanismo e decidere che la politica dei partiti è morta, cercare da subito di costruire un modello nuovo di partecipazione e cambiamento che passi per l'impegno individuale? Oppure, dall'altro lato, siamo sicuri che allo stato attuale delle cose la politica non sia ancora l'unico mezzo con cui poter contrastare in parte l'invasione dei poteri economici? Sono domande a cui non si può dare una risposta certa, ma sarebbe importante che venissero perlomeno discusse.
di Andrea Degl'Innocenti 

10 aprile 2012

Sotto inchiesta tutti i partiti: Monti dittatore indisturbato?


 Parlando ai giornalisti a Seoul, Mario Monti ha dichiarato che lui ha il consenso "mentre i partiti no". Appena tornato in Italia, la polizia, insieme all'immancabile PM Woodcock la cui credibilità era già stata messa in forse da numerose inchieste precedenti, ha perquisito la sede nazionale della Lega Nord a Milano, e ieri anche un Palazzo della Regione Lombardia. Come ha dichiarato stamattina il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, "attenzione, in questo momento sono sotto inchiesta tutti i partiti rappresentati al Parlamento". Non si può non notare un accanimento particolare nei confronti della Lega, il principale partito di opposizione al governo Monti, promotore di una Legge di Iniziativa Popolare per la separazione tra banche commerciali e banche d'affari (Glass-Steagall) per cui si accinge a raccogliere 50.000 firme, e che ha già innervosito non poco le grandi banche speculative che hanno provocato la crisi.
Senza voler entrare nel merito dell'inchiesta di Milano, concordo col Presidente Formigoni sulla pericolosità di questi eventi, in un momento in cui la crisi e l'assenza totale di proposte alternative da parte dei partiti che sostengono il governo Monti effettivamente aumentano il divario tra cittadini e politica. E mentre ogni giorno giunge notizia di qualche suicidio di imprenditori, pensionati, cittadini che hanno perso il lavoro, Monti va avanti imperterrito per la sua strada, con il suo governo creato appositamente dalla BCE per imporre pesantissimi sacrifici agli italiani, al fine di salvare le stesse banche d'affari che hanno speculato sui nostri titoli di stato e provocato la crisi mondiale mandando in bancarotta l'economia reale e provocando milioni di disoccupati e senzatetto.
Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda ed ora anche il nostro paese, sono entrate in una spirale di crollo dell'economia reale. Nel 2011 hanno chiuso 12.000 imprese a cui le banche hanno chiuso i rubinetti del credito nonostante aver ottenuto centinaia di miliardi dalla BCE a tasso quasi zero con cui, invece di finanziare le imprese e il lavoro, hanno rifinanziato la bolla speculativa che è ormai quasi 12 volte il PIL mondiale. E mentre si discute di finanziamenti ai partiti, passa indisturbato l'ESM, il fondo "salvastati" che in realtà è un fondo "salva-speculatori", e che ci priverà definitivamente della sovranità nazionale, violando la nostra Costituzione.
In questa situazione, Monti si vanta di avere il "consenso", fa accordi dietro le quinte per continuare a governare dopo il 2013, abolendo anche le elezioni politiche, dopo essere stato mandato al governo senza consultare gli elettori. A quando una sua dichiarazione sul Parlamento come "un'aula sorda e grigia, bivacco per i miei manipoli"? E' tempo che i cittadini reagiscano a questa pericolosa deriva dittatoriale, alla dittatura della BCE, dell'ESM e dei governi messi in piedi dalla Goldman Sachs (non solo quello italiano, anche quello greco). Il modo migliore per reagire è sostenere la legge Glass-Steagall, che toglierà ogni potere all'oligarchia finanziaria che ci ha condotti in questa situazione.
Liliana Gorini
Presidente di MoviSol

09 aprile 2012

Esorcismi



Ragionamento:


1. Le lotte contro le misure antipopolari, che in questo periodo stanno prendendo i vari governi europei, hanno sempre una dimensione nazionale, mai una dimensione europea.
2. Al contrario, l'azione dei rappresentanti politici dell'attuale capitalismo regressivo (volta a “riportare la lancetta della storia a prima del 1929, a cancellare lo stato sociale e abrogare il compromesso fra capitale e lavoro”) ha una dimensione sovranazionale.
3. D'altronde, è un fatto che “l'unica leva di potere cui la sinistra può (…) puntare è il controllo dell'apparato dello stato nazionale”.
4. Inoltre, “l'euro è una moneta unica che paradossalmente ha diviso invece di unire: ha esaltato le differenze e le irriducibilità fra i vari paesi rendendo più difficile concordare le iniziative fra le diverse sinistre”.

Fin qui D'Eramo. Queste analisi sono ampiamente condivisibili. Quali conclusioni trarne? Chi legge questo blog conosce le nostre posizioni: occorre riconquistare la sovranità nazionale, e quindi anche economica, e usare il potere dello Stato per ricostruire la giustizia e la coesione sociale che trent'anni di neoliberismo hanno cancellato.
Come si può intuire (dopotutto, stiamo parlando di un editoriale del “Manifesto”), non è questa la conclusione che trae D'Eramo. La sua conclusione è che “quella nazionalistica è una tentazione illusoria e vana”. Occorre invece, sembra dire D'Eramo, che le sinistre portino la battaglia sul terreno dell'intera Unione Europea, per esempio organizzando uno sciopero generale europeo e invadendo le piazze dell'intera Unione.
Ora, noi riteniamo che la proposta di D'Eramo sia, essa sì, una “tentazione illusoria e vana”. Ma poiché essa rappresenta una idea di fondo condivisa, in una forma o nell'altra, da tutta o quasi la sinistra, ci sembra valga la pena di discuterla seriamente. E l'unico modo di discutere seriamente una tesi è prenderla sul serio. Prendiamo allora sul serio la tesi di D'Eramo. Egli chiede una lotta sociale e popolare a livello europeo contro le politiche economiche neoliberiste e antipopolari. Se questa proposta è una proposta seria, essa deve far riferimento ad un soggetto sociale che sia l'attore di questa lotta europea. Come già avevamo indicato in un saggio scritto assieme a Fabrizio Tringali, questa proposta richiede in sostanza che esista qualcosa come un “popolo europeo” che sia l'attore di una lotta popolare europea. A seconda delle preferenze ideologiche, al posto di “popolo europeo” si può naturalmente parlare di “proletariato europeo”, di “classe operaia europea”, di “ceti subalterni europei”: dal punto di vista del nostro ragionamento, non cambia molto.
Ma cosa significa “popolo europeo”? Quali sono le condizioni almeno necessarie (e forse nemmeno sufficienti) perché si possa parlare di “popolo europeo”? Proviamo ad elencarne qualcuna:

1.Una lingua comune. I vari soggetti di uno stesso popolo devono avere la possibilità di comunicare fra loro, con immediatezza, in una lingua comprensibile a tutti e che tutti padroneggiano.
2.Mescolanza di popolazioni: vi devono essere dei movimenti migratori diffusi che mescolino le varie popolazioni, in maniera che ci sia la possibilità di conoscenza reciproca a livello “molecolare” e si diffondano la solidarietà e la fiducia reciproca, anche attraverso il lavoro comune e la comune lotta contro le avversità. Basti pensare a come centocinquant'anni di storia italiana hanno portato gente del sud a vivere al nord e viceversa, cementando il senso di appartenenza comune.
3.Mezzi di informazione comuni: vi deve essere una base comune di conoscenza, di informazione, di giudizio sui fatti politici, e questa è possibile solo grazie a mezzi di informazione che siano letti o ascoltati da tutti (e per questo c'è ovviamente bisogno della lingua comune di cui al primo punto).

Perché è necessario un “popolo europeo” per concretizzare la proposta di D'Eramo? Perché, in sua mancanza, succede esattamente quello che egli descrive. Succede cioè che ciascun popolo europeo si muove e lotta per proprio conto, ed è inevitabile che sia così. Vi è infatti un ostacolo fortissimo contro la prospettiva, indicata da D'Eramo, di una lotta popolare europea, ed è il fatto che le misure regressive del governo portoghese, per fare un esempio, toccano ovviamente solo i portoghesi, non i francesi o i tedeschi o gli italiani. Questi ultimi non hanno quindi uno stimolo “materiale” diretto a lottare contro le misure regressive del governo portoghese. Il discorso può ovviamente esser ripetuto per tutti i diversi paesi. In ognuno di essi la crisi ha tempi specifici, e questo facilita la diffusione dell'idea che la crisi di ciascun paese sia solo sua. Oltre a questo, vi è la contrapposizione fra i paesi “virtuosi” del nord e quelli “viziosi” del sud, che sembra essere penetrata nel senso comune e rende ancora più difficile la formazione di una coscienza popolare europea.
Tutte queste difficoltà possono essere superate solo in presenza di una profonda solidarietà fra i popoli europei, e questo può avvenire solo grazie ad una autentica conoscenza reciproca, che non deriva da slogan o da iniziative superficiali e spettacolari come feste o manifestazioni, ma può essere solo il prodotto di una storia che abbia portato appunto a una lingua comune e a una certa mescolanza di popolazioni.
Se dunque la proposta di D'Eramo deve essere presa sul serio, essa può essere interpretata come la proposta della creazione di un popolo europeo, e quindi della realizzazione delle condizioni sopra descritte (ripetiamolo: condizioni necessarie ma forse nemmeno sufficienti). Ma si capisce bene che una simile proposta non è una proposta politica attuale: la creazione di un popolo europeo sufficientemente unito può essere forse un nobile ideale culturale sul quale iniziare oggi a lavorare, ma ovviamente rappresenta un prospettiva lontana nel futuro di almeno qualche decennio se non di qualche secolo.
Nel frattempo, di fronte all'attacco spaventoso scatenato dai ceti dirigenti europei contro i popoli europei, in attesa che si formi il popolo europeo in grado di battersi per i propri diritti a livello europeo, cosa si fa? Si fanno, ovviamente, le uniche cose che si possono fare: le lotte a livello nazionale, che è l'unico livello al quale vi siano oggi soggetti popolari in grado di lottare. Ma poiché il livello nazionale è perdente all'interno dell'euro e dell'UE, per i motivi che anche D'Eramo spiega, ecco che l'unica proposta concreta ed effettiva per lottare contro l'attacco capitalista è oggi l'uscita da euro e UE e il recupero della sovranità nazionale.
La sostanza della questione è piuttosto facile da capire, e per renderla ancora più chiara basta un semplice esperimento mentale: immaginiamo che una forza politica ispirata alle tesi che qui sosteniamo si presenti alle elezioni e le vinca col 98% dei voti, e possa quindi governare per una intera legislatura. Essa cercherà naturalmente di mettere in atto l'uscita da euro e UE. Nel fare questo si scontrerà contro grosse difficoltà, dovrà lottare e potrà essere sconfitta. Questo è quello che ovviamente può succedere ad ogni proposta politica seria.
Immaginiamo invece che a vincere le elezioni col 98% dei voti sia una forza politica ispirata alle idee di D'Eramo. Cosa farà? Nulla. Anche vincendo le elezioni col 98% dei voti, se si prendono sul serio le idee di D'Eramo, e dei tanti che la pensano come lui, non si può fare nulla, perché se non si vuole uscire da euro e UE il governo nazionale non ha praticamente strumenti per una politica anticapitalistica. L'unica cosa che il partito ispirato da D'Eramo, una volta al potere col 98% dei voti, può fare, è sollecitare l'azione del popolo europeo contro i ceti dirigenti europei. E poiché tale popolo non c'è e bisogna crearlo, un governo “deramista” dovrà impostare una serie di azioni politico-culturali che favoriscano la creazione del “popolo europeo” e aspettare, diciamo, una cinquantina d'anni perché tali azioni portino frutti.
Si vede con chiarezza che le tesi di D'Eramo semplicemente non rappresentano una proposta politica. Esse appartengono piuttosto alla categoria degli esorcismi. La sinistra “critica”, “radicale”, “non conformista” ecc. ecc. che ha nel “Manifesto” uno dei suoi punti di riferimento, rifiuta con drammatica ostinazione la necessità di mettere in primo piano, nel nostro paese, la questione della sovranità nazionale. Non avendo argomenti razionali contro la tesi della necessità del recupero della sovranità nazionale, è condannata a ripetere vuoti esorcismi come quello qui esaminato. E poiché la questione della sovranità nazionale è oggi uno dei due o tre temi politici fondamentali per una politica anticapitalista, chiudendosi nell'esorcismo la sinistra “radicale” si condanna alla più totale impotenza politica.

di Marino Badiale  

11 aprile 2012

Finanziamenti ai partiti, le coordinate di un dibattito... che non c'è




Umberto e Renzo Bossi
Gli scandali legati alla gestione dei soldi pubblici da parte della lega hanno reso lampante la necessità di cambiare le modalità di finanziamento ai partiti
Gli ultimi scandali che hanno coinvolto la Margherita e la Lega Nord hanno reso evidente – se ancora ce ne fosse bisogno – la necessità di mettere mano alle leggi che regolano i finanziamenti ai partiti politici. E hanno segnato l'ennesima sconfitta della nostra maltrattata democrazia.
La questione dei finanziamenti ai partiti è annosa ed è il classico esempio di come un principio di per sé corretto possa degenerare in un'applicazione del tutto immorale. Il principio corretto è il seguente: in una democrazia, lo stato ha il dovere di finanziare i propri partiti politici per garantire che essi siano autosufficienti e restino espressione della complessità di vedute e opinioni dei propri cittadini, piuttosto che diventare strumento di lobby e gruppi di pressione privati.
E fin qui la teoria. La pratica invece è tutt'altra, e vuole che i partiti abbiano gozzovigliato per anni a spese dei contribuenti, facendo ricchi i propri esponenti, trasformando la politica nella tanto odiata casta. Arrivando ad approvare leggi paradossali, come la 515/1993, che a fronte di un referendum abrogativo che sull'onda di mani pulite annullava la legge sui finanziamenti pubblici ai partiti, reintroduceva i finanziamenti stessi sotto forma di rimborsi elettorali. O la numero 157 del 1999, che svincola il rimborso elettorale dalle spese effettivamente sostenute. O infine la 51 del 2006, che vuole che i rimborsi, trasformati in annuali dalla 156/2002, vengano erogati sempre e comunque per i cinque anni di legislatura anche se il governo effettivo è durato pochi mesi.
Per dare solo l'idea della anomalia tutta italiana bastano alcuni dati. Per le elezioni politiche del 2008, a fronte di spese reali che ammontavano a 136 milioni di euro, i partiti hanno ricevuto rimborsi elettorali per 503 milioni. Nel solo 2010 i partiti italiani hanno ricevuto 285 milioni di euro di finanziamento pubblico; quelli tedeschi ne hanno ricevuti solo 133 milioni, i francesi 80, per non parlare della Gran Bretagna, dove i contributi spettano solo all'opposizione.
I vertici della maggioranza Pd-Pdl-Udc che sostiene il governo, spinti dalle voci ricorrenti su un possibile referendum come quello del 1993 contro i finanziamenti pubblici ai partiti, si sono riuniti per riscrivere in fretta e furia le modalità con cui i partiti possono essere finanziati. Le nuove norme verranno predisposte con ogni probabilità entro domani, in modo da essere presentate giovedì alle altre forze politiche.
Fra le idee in discussione, molte si incentrano sulla questione dei bilanci, che potrebbero essere sottoposti al controllo della Corte dei Conti, dovrebbero garantire una maggiore trasparenza, e sarebbero certificati e pubblicati in Rete. Per chi trasgredisce, sarebbero previste sanzioni con decurtazioni dei fondi, mentre sul fronte investimenti, verrebbero consentiti solo quelli in titoli di Stato.
Si tratta di norme necessarie, ma che, introdotte nel clima attuale – da chi fino a ieri usufruiva volentieri dei privilegi –, sembrano una disordinata corsa ai ripari, priva di una reale volontà di cambiamento. Anche perché, se venissero confermate le proposte attualmente in discussione, non v'è traccia di una ridiscussione delle modalità di finanziamento, ma ci si limita ad aumentare i controlli e le garanzie.
Ad ogni modo, sulla questione dei finanziamenti ai partiti, sarebbe necessario un dibattito molto più ampio di quello attualmente in corso, che sembra limitare la questione ad uno scontro fra una casta arroccata a difesa dei propri privilegi, ed un popolo giustamente infuriato, che vorrebbe eliminarli tutti – i privilegi - di botto.
La questione è in realtà più complessa. Annullare il principio di finanziamento pubblico alla politica significa abdicare alla possibilità di risanamento di un sistema che voleva lo stato al centro della società, e l'idea di rappresentanza politica al centro dello stato. Vuol dire riconoscere tale modello è marcio a tal punto da non poter più essere riformato.
Ma non è eliminando le spese della politica, né la classe politica, che si risolvono i problemi d'Italia. La politica ha abdicato negli anni al suo ruolo di portavoce delle istanze della cittadinanza per diventare il maggiordomo, ricco e viziato, di ben altri poteri e interessi economici. Sono questi poteri che oggi governano il paese, usando la politica come mero strumento.
Ora emergono alcune domande. È forse giunta l'ora di arrendersi a tale meccanismo e decidere che la politica dei partiti è morta, cercare da subito di costruire un modello nuovo di partecipazione e cambiamento che passi per l'impegno individuale? Oppure, dall'altro lato, siamo sicuri che allo stato attuale delle cose la politica non sia ancora l'unico mezzo con cui poter contrastare in parte l'invasione dei poteri economici? Sono domande a cui non si può dare una risposta certa, ma sarebbe importante che venissero perlomeno discusse.
di Andrea Degl'Innocenti 

10 aprile 2012

Sotto inchiesta tutti i partiti: Monti dittatore indisturbato?


 Parlando ai giornalisti a Seoul, Mario Monti ha dichiarato che lui ha il consenso "mentre i partiti no". Appena tornato in Italia, la polizia, insieme all'immancabile PM Woodcock la cui credibilità era già stata messa in forse da numerose inchieste precedenti, ha perquisito la sede nazionale della Lega Nord a Milano, e ieri anche un Palazzo della Regione Lombardia. Come ha dichiarato stamattina il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, "attenzione, in questo momento sono sotto inchiesta tutti i partiti rappresentati al Parlamento". Non si può non notare un accanimento particolare nei confronti della Lega, il principale partito di opposizione al governo Monti, promotore di una Legge di Iniziativa Popolare per la separazione tra banche commerciali e banche d'affari (Glass-Steagall) per cui si accinge a raccogliere 50.000 firme, e che ha già innervosito non poco le grandi banche speculative che hanno provocato la crisi.
Senza voler entrare nel merito dell'inchiesta di Milano, concordo col Presidente Formigoni sulla pericolosità di questi eventi, in un momento in cui la crisi e l'assenza totale di proposte alternative da parte dei partiti che sostengono il governo Monti effettivamente aumentano il divario tra cittadini e politica. E mentre ogni giorno giunge notizia di qualche suicidio di imprenditori, pensionati, cittadini che hanno perso il lavoro, Monti va avanti imperterrito per la sua strada, con il suo governo creato appositamente dalla BCE per imporre pesantissimi sacrifici agli italiani, al fine di salvare le stesse banche d'affari che hanno speculato sui nostri titoli di stato e provocato la crisi mondiale mandando in bancarotta l'economia reale e provocando milioni di disoccupati e senzatetto.
Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda ed ora anche il nostro paese, sono entrate in una spirale di crollo dell'economia reale. Nel 2011 hanno chiuso 12.000 imprese a cui le banche hanno chiuso i rubinetti del credito nonostante aver ottenuto centinaia di miliardi dalla BCE a tasso quasi zero con cui, invece di finanziare le imprese e il lavoro, hanno rifinanziato la bolla speculativa che è ormai quasi 12 volte il PIL mondiale. E mentre si discute di finanziamenti ai partiti, passa indisturbato l'ESM, il fondo "salvastati" che in realtà è un fondo "salva-speculatori", e che ci priverà definitivamente della sovranità nazionale, violando la nostra Costituzione.
In questa situazione, Monti si vanta di avere il "consenso", fa accordi dietro le quinte per continuare a governare dopo il 2013, abolendo anche le elezioni politiche, dopo essere stato mandato al governo senza consultare gli elettori. A quando una sua dichiarazione sul Parlamento come "un'aula sorda e grigia, bivacco per i miei manipoli"? E' tempo che i cittadini reagiscano a questa pericolosa deriva dittatoriale, alla dittatura della BCE, dell'ESM e dei governi messi in piedi dalla Goldman Sachs (non solo quello italiano, anche quello greco). Il modo migliore per reagire è sostenere la legge Glass-Steagall, che toglierà ogni potere all'oligarchia finanziaria che ci ha condotti in questa situazione.
Liliana Gorini
Presidente di MoviSol

09 aprile 2012

Esorcismi



Ragionamento:


1. Le lotte contro le misure antipopolari, che in questo periodo stanno prendendo i vari governi europei, hanno sempre una dimensione nazionale, mai una dimensione europea.
2. Al contrario, l'azione dei rappresentanti politici dell'attuale capitalismo regressivo (volta a “riportare la lancetta della storia a prima del 1929, a cancellare lo stato sociale e abrogare il compromesso fra capitale e lavoro”) ha una dimensione sovranazionale.
3. D'altronde, è un fatto che “l'unica leva di potere cui la sinistra può (…) puntare è il controllo dell'apparato dello stato nazionale”.
4. Inoltre, “l'euro è una moneta unica che paradossalmente ha diviso invece di unire: ha esaltato le differenze e le irriducibilità fra i vari paesi rendendo più difficile concordare le iniziative fra le diverse sinistre”.

Fin qui D'Eramo. Queste analisi sono ampiamente condivisibili. Quali conclusioni trarne? Chi legge questo blog conosce le nostre posizioni: occorre riconquistare la sovranità nazionale, e quindi anche economica, e usare il potere dello Stato per ricostruire la giustizia e la coesione sociale che trent'anni di neoliberismo hanno cancellato.
Come si può intuire (dopotutto, stiamo parlando di un editoriale del “Manifesto”), non è questa la conclusione che trae D'Eramo. La sua conclusione è che “quella nazionalistica è una tentazione illusoria e vana”. Occorre invece, sembra dire D'Eramo, che le sinistre portino la battaglia sul terreno dell'intera Unione Europea, per esempio organizzando uno sciopero generale europeo e invadendo le piazze dell'intera Unione.
Ora, noi riteniamo che la proposta di D'Eramo sia, essa sì, una “tentazione illusoria e vana”. Ma poiché essa rappresenta una idea di fondo condivisa, in una forma o nell'altra, da tutta o quasi la sinistra, ci sembra valga la pena di discuterla seriamente. E l'unico modo di discutere seriamente una tesi è prenderla sul serio. Prendiamo allora sul serio la tesi di D'Eramo. Egli chiede una lotta sociale e popolare a livello europeo contro le politiche economiche neoliberiste e antipopolari. Se questa proposta è una proposta seria, essa deve far riferimento ad un soggetto sociale che sia l'attore di questa lotta europea. Come già avevamo indicato in un saggio scritto assieme a Fabrizio Tringali, questa proposta richiede in sostanza che esista qualcosa come un “popolo europeo” che sia l'attore di una lotta popolare europea. A seconda delle preferenze ideologiche, al posto di “popolo europeo” si può naturalmente parlare di “proletariato europeo”, di “classe operaia europea”, di “ceti subalterni europei”: dal punto di vista del nostro ragionamento, non cambia molto.
Ma cosa significa “popolo europeo”? Quali sono le condizioni almeno necessarie (e forse nemmeno sufficienti) perché si possa parlare di “popolo europeo”? Proviamo ad elencarne qualcuna:

1.Una lingua comune. I vari soggetti di uno stesso popolo devono avere la possibilità di comunicare fra loro, con immediatezza, in una lingua comprensibile a tutti e che tutti padroneggiano.
2.Mescolanza di popolazioni: vi devono essere dei movimenti migratori diffusi che mescolino le varie popolazioni, in maniera che ci sia la possibilità di conoscenza reciproca a livello “molecolare” e si diffondano la solidarietà e la fiducia reciproca, anche attraverso il lavoro comune e la comune lotta contro le avversità. Basti pensare a come centocinquant'anni di storia italiana hanno portato gente del sud a vivere al nord e viceversa, cementando il senso di appartenenza comune.
3.Mezzi di informazione comuni: vi deve essere una base comune di conoscenza, di informazione, di giudizio sui fatti politici, e questa è possibile solo grazie a mezzi di informazione che siano letti o ascoltati da tutti (e per questo c'è ovviamente bisogno della lingua comune di cui al primo punto).

Perché è necessario un “popolo europeo” per concretizzare la proposta di D'Eramo? Perché, in sua mancanza, succede esattamente quello che egli descrive. Succede cioè che ciascun popolo europeo si muove e lotta per proprio conto, ed è inevitabile che sia così. Vi è infatti un ostacolo fortissimo contro la prospettiva, indicata da D'Eramo, di una lotta popolare europea, ed è il fatto che le misure regressive del governo portoghese, per fare un esempio, toccano ovviamente solo i portoghesi, non i francesi o i tedeschi o gli italiani. Questi ultimi non hanno quindi uno stimolo “materiale” diretto a lottare contro le misure regressive del governo portoghese. Il discorso può ovviamente esser ripetuto per tutti i diversi paesi. In ognuno di essi la crisi ha tempi specifici, e questo facilita la diffusione dell'idea che la crisi di ciascun paese sia solo sua. Oltre a questo, vi è la contrapposizione fra i paesi “virtuosi” del nord e quelli “viziosi” del sud, che sembra essere penetrata nel senso comune e rende ancora più difficile la formazione di una coscienza popolare europea.
Tutte queste difficoltà possono essere superate solo in presenza di una profonda solidarietà fra i popoli europei, e questo può avvenire solo grazie ad una autentica conoscenza reciproca, che non deriva da slogan o da iniziative superficiali e spettacolari come feste o manifestazioni, ma può essere solo il prodotto di una storia che abbia portato appunto a una lingua comune e a una certa mescolanza di popolazioni.
Se dunque la proposta di D'Eramo deve essere presa sul serio, essa può essere interpretata come la proposta della creazione di un popolo europeo, e quindi della realizzazione delle condizioni sopra descritte (ripetiamolo: condizioni necessarie ma forse nemmeno sufficienti). Ma si capisce bene che una simile proposta non è una proposta politica attuale: la creazione di un popolo europeo sufficientemente unito può essere forse un nobile ideale culturale sul quale iniziare oggi a lavorare, ma ovviamente rappresenta un prospettiva lontana nel futuro di almeno qualche decennio se non di qualche secolo.
Nel frattempo, di fronte all'attacco spaventoso scatenato dai ceti dirigenti europei contro i popoli europei, in attesa che si formi il popolo europeo in grado di battersi per i propri diritti a livello europeo, cosa si fa? Si fanno, ovviamente, le uniche cose che si possono fare: le lotte a livello nazionale, che è l'unico livello al quale vi siano oggi soggetti popolari in grado di lottare. Ma poiché il livello nazionale è perdente all'interno dell'euro e dell'UE, per i motivi che anche D'Eramo spiega, ecco che l'unica proposta concreta ed effettiva per lottare contro l'attacco capitalista è oggi l'uscita da euro e UE e il recupero della sovranità nazionale.
La sostanza della questione è piuttosto facile da capire, e per renderla ancora più chiara basta un semplice esperimento mentale: immaginiamo che una forza politica ispirata alle tesi che qui sosteniamo si presenti alle elezioni e le vinca col 98% dei voti, e possa quindi governare per una intera legislatura. Essa cercherà naturalmente di mettere in atto l'uscita da euro e UE. Nel fare questo si scontrerà contro grosse difficoltà, dovrà lottare e potrà essere sconfitta. Questo è quello che ovviamente può succedere ad ogni proposta politica seria.
Immaginiamo invece che a vincere le elezioni col 98% dei voti sia una forza politica ispirata alle idee di D'Eramo. Cosa farà? Nulla. Anche vincendo le elezioni col 98% dei voti, se si prendono sul serio le idee di D'Eramo, e dei tanti che la pensano come lui, non si può fare nulla, perché se non si vuole uscire da euro e UE il governo nazionale non ha praticamente strumenti per una politica anticapitalistica. L'unica cosa che il partito ispirato da D'Eramo, una volta al potere col 98% dei voti, può fare, è sollecitare l'azione del popolo europeo contro i ceti dirigenti europei. E poiché tale popolo non c'è e bisogna crearlo, un governo “deramista” dovrà impostare una serie di azioni politico-culturali che favoriscano la creazione del “popolo europeo” e aspettare, diciamo, una cinquantina d'anni perché tali azioni portino frutti.
Si vede con chiarezza che le tesi di D'Eramo semplicemente non rappresentano una proposta politica. Esse appartengono piuttosto alla categoria degli esorcismi. La sinistra “critica”, “radicale”, “non conformista” ecc. ecc. che ha nel “Manifesto” uno dei suoi punti di riferimento, rifiuta con drammatica ostinazione la necessità di mettere in primo piano, nel nostro paese, la questione della sovranità nazionale. Non avendo argomenti razionali contro la tesi della necessità del recupero della sovranità nazionale, è condannata a ripetere vuoti esorcismi come quello qui esaminato. E poiché la questione della sovranità nazionale è oggi uno dei due o tre temi politici fondamentali per una politica anticapitalista, chiudendosi nell'esorcismo la sinistra “radicale” si condanna alla più totale impotenza politica.

di Marino Badiale