28 aprile 2012

In gran segreto Stati Uniti e Cina giocano a fare la guerra

Il Guardian è venuto a sapere che Stati Uniti e Cina in segreto sono stati impegnati in “giochi di guerra” mentre monta la rabbia di Washington per la portata e l’audacia degli attacchi informatici coordinati da Pechino contro governi e grandi imprese occidentali. Funzionari del Dipartimento di Stato e del Pentagono, insieme ai loro omologhi cinesi, lo scorso anno sono stati impegnati in due giochi di guerra ideati per favorire la prevenzione di un’improvvisa escalation militare tra le parti nel caso che una di esse dovesse sentirsi presa di mira. Un’altra sessione è prevista a maggio. Anche se le esercitazioni hanno offerto agli Stati Uniti l’opportunità di dare sfogo alla propria frustrazione per quello che sembra essere uno spionaggio finanziato dallo stato e una sottrazione su scala industriale, la Cina si è dimostrata bellicosa. “La Cina è giunta alla conclusione che è cambiato il rapporto di potere, in una maniera che la favorisce,” afferma Jim Lewis, importante insegnante nonché direttore del Centro per gli Studi Strategici e Internazionali (CSIS), gruppo di esperti con sede a Washington. “Il PLA [Esercito Popolare di Liberazione] è assai ostile. Considera gli Stati Uniti un bersaglio. Sentono di avere una giustificazione per le loro azioni. Pensano che gli Stati Uniti siano in declino.” I giochi di guerra sono stati organizzati mediante il CSIS e un gruppo di esperti di Pechino, l’Istituto Cinese di Relazioni Internazionali Contemporanee (CICIR). Ciò ha consentito a funzionari del governo e dei servizi segreti USA di entrare in contatto in un ambito meno formale. Conosciuta come “Track 1.5 Diplomacy”(Percorso diplomatico 1.5, N.d.T.), è la serie di contatti più ravvicinata che gli stati possono avere nella gestione dei conflitti senza affrontare veri e propri negoziati. “Coordiniamo i giochi di guerra con il Dipartimento di Stato e quello della Difesa,” ha detto Lewis, il quale ha mediato gli incontri, tenutisi lo scorso giugno a Pechino e in dicembre a Washington. “I funzionari hanno esordito come osservatori, poi sono diventati partecipanti … in modo molto simile è stata la stessa cosa da parte cinese. Dal momento che è organizzato da due gruppi di esperti, essi possono parlare più liberamente.” Nel corso della prima esercitazione, entrambe le parti dovettero spiegare cosa avrebbero fatto se fossero state attaccate da un sofisticato virus informatico come Stuxnet, che ha messo fuori servizio le centrifughe del programma nucleare iraniano. Nella seconda dovevano spiegare la loro reazione nel caso si sapesse che l’attacco era stato intrapreso dalla controparte. “I due giochi di guerra sono stati piuttosto sorprendenti,” ha dichiarato Lewis. “Il primo è andato bene, il secondo non tanto.” “I cinesi sono molto astuti. Mandano persone competenti. Vogliamo trovare modi per modificare il loro comportamento … [ma] sanno di avere buone ragioni per quello che fanno. Il loro atteggiamento consiste nell’avere vissuto l’imperialismo e un secolo di umiliazioni.” Lewis ha detto che i cinesi hanno la “percezione di essere trattati ingiustamente.” “I cinesi hanno una profonda diffidenza verso gli Stati Uniti. Sono preoccupati del potenziale militare americano. Sono inclini a pensare che abbiamo un’ambiziosa strategia per conservare l’egemonia degli Stati Uniti e la considerano una sfida diretta. “Coloro [tra i funzionari cinesi] che sostengono la cooperazione non sono forti quanto quelli che appoggiano lo scontro.” La necessità di incontri è stata evidenziata negli ultimi mesi, con gli USA e il Regno Unito che hanno tentato di aumentare la pressione sulla Cina, considerata da loro la principale responsabile della sottrazione, per miliardi di dollari, di progetti e opere dell’ingegno di produttori della difesa, dipartimenti statali e società private al centro del sistema di infrastrutture americano. Gli analisti dicono che ciò equivale alla “preparazione del campo di battaglia” e sia gli Stati Uniti che il Regno Unito hanno avvertito Pechino di aspettarsi ritorsioni nel caso ciò continuasse. Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno precisato di avere spostato l’attenzione militare dall’Europa al Pacifico, per proteggere gli interessi americani nell’area. “Tra i paesi attivamente impegnati nello spionaggio informatico, probabilmente la Cina è l’unico ad essere un concorrente militare degli Stati Uniti,” ha dichiarato Lewis. “Gli eserciti cinese e americano si trovano nelle immediate vicinanze e ci sono episodi ostili … Le probabilità di errori di valutazione sono molto alte, quindi stiamo tentando di avere una netta comprensione del punto di vista di ciascuna parte.” Lewis crede che gli Stati Uniti si stiano preparando a diventare più aggressivi nei confronti della Cina e dice che il presidente Barack Obama ha già incaricato gruppi operativi all’interno della Casa Bianca per studiare sanzioni più severe. Senza nominare la Cina, un alto dirigente dell’FBI ha detto al Guardian che le minacce portate dagli attacchi informatici sono state preoccupanti. “Sappiamo che le risorse degli stati stranieri sono notevoli, e conosciamo il tipo di informazioni che stanno prendendo di mira,” ha detto Shawn Henry, vice direttore esecutivo della sezione informatica dell’FBI. “Abbiamo trovato nemici passati inosservati nelle reti per molti mesi, o in alcuni casi per anni. In sostanza hanno avuto libero accesso a queste reti … Hanno la piena capacità di sconvolgere del tutto queste reti.” Frank Cilluffo, già collaboratore straordinario di George Bush per la sicurezza nazionale, disse che era giunto il momento per affrontare la Cina. “Dobbiamo parlare delle capacità d’attacco per scoraggiare i fuorilegge. Non possiamo pensare che le società si difendano dai servizi segreti stranieri. Ci sono determinate cose che dovremmo fare quando qualcuno sta facendo l’equivalente cibernetico della preparazione delle informazioni sul campo di battaglia della nostra infrastruttura energetica. “A mio parere è arrivato il momento. Occorre dare una risposta. Quale altro motivo potrebbe esserci per riordinare le nostre infrastrutture nel caso di una crisi? “Abbiamo un ruolo maggiore nei convenzionali mezzi militari e diplomatici . Dobbiamo mostrare loro le nostre carte. Tutte le ragioni sono sul tavolo. Penso che dobbiamo proprio iniziare a parlare di difesa attiva.” Egli disse che gli Stati Uniti dovevano essere preventivi, altrimenti col tempo la gente avrebbe iniziato a perdere la fiducia nell’integrità di internet e dei sistemi informatici. “Se non investo perché ho paura, se non impiego la rete perché ho paura, se si perde credibilità e fiducia in questi sistemi, allora hanno vinto i cattivi. Scacco matto.” Il Dipartimento di Stato ha rifiutato di parlare dei giochi di guerra e di dire quali funzionari vi hanno partecipato. Un portavoce ha affermato: “Gli Stati Uniti sono impegnati a coinvolgere gli altri paesi per la costruzione di un ambiente globale in cui ogni stato riconosca e rispetti soddisfacenti regole di comportamento nel cyberspazio. In linea generale siamo impegnati con il governo cinese su questioni informatiche, in modo da trovare punti in comune su questi argomenti di sempre maggiore importanza nelle nostre relazioni bilaterali.” Il Pentagono ha evitato di rilasciare dichiarazioni e di dire quali dei suoi funzionari hanno preso parte ai giochi di guerra. La Cina ha sempre negato di essere responsabile degli attacchi informatici contro gli Stati Uniti e altri paesi occidentali. Dice di essere anch’essa vittima di questo genere di spionaggio. Il ministro della Difesa cinese Liang Guanglie ha dichiarato che Pechino “si oppone fermamente ad ogni tipo di crimine informatico.” “È difficile stabilire la vera origine degli attacchi e abbiamo la necessità di lavorare insieme per fare in modo che la presente questione di sicurezza non diventi un problema,” ha detto. “In realtà anche in Cina abbiamo subito una gamma piuttosto vasta di frequenti attacchi informatici. Il governo cinese dà importanza anche alla sicurezza informatica e prende decisamente posizione contro ogni genere di crimine informatico. È importante per tutti osservare e seguire leggi e norme in materia di sicurezza informatica.” Il Quotidiano del Popolo, testata cinese che più delle altre rispecchia le opinioni del Partito Comunista al potere in Cina, lo scorso anno ha detto che è irresponsabile associare la Cina alle violazioni informatiche su internet. “Quest’anno, con il crescere degli attacchi di hacker a importanti imprese e organizzazioni internazionali, alcuni media occidentali hanno più volte raffigurato la Cina come il cattivo dietro le quinte.” di Edoardo Capuano Fonte: Nick Hopkins per The Guardian 16.04.2012 Traduzione di Gabriele Picelli per www.times.altervista.org

27 aprile 2012

Le guerre democratiche

Totalitarismo inconscio sono uno scrittore e un giornalista, recentemente ho scritto un libro che si intitola “La guerra democratica”. Da quando è crollato il contraltare sovietico le democrazie occidentali, Stati Uniti in testa, hanno inanellato otto guerre in venti anni, otto guerre di cui forse solo la prima aveva una qualche giustificazione, il primo conflitto del Golfo perché Saddam Hussein aveva aggredito il Kuwait, le altre sette sono tutte guerre di aggressione. La guerra democratica ha questa caratteristica, che si fa ma non si dichiara, la si fa con cattiva coscienza chiamandola con altri nomi, operazioni di peacekeeping, operazione umanitaria, difesa dei diritti umani, ma sono guerre. Questo equivoco porta a tutta una serie di conseguenze, la prima è che il nemico è sempre un criminale o un terrorista. E quindi di lui si può fare carne di porco, non valgono le leggi di guerra, non valgono per i prigionieri e Guantanamo ne è un esempio clamoroso. Nella guerra democratica le democrazie possono colpire ma non possono subire, sia materialmente che concettualmente. È legittimo uccidere i soldati del nemico, ma se il nemico uccide i nostri allora è una vigliaccata, una porcata, qualcosa di indecente e di intollerabile. Questa cosa fa sì che porta una sperequazione che non è solo materiale, perché effettivamente la guerra democratica si fa solo con le macchine, con gli aerei, con i droni, con i robot perché i droni sono aerei che non hanno equipaggio teleguidati da 10 chilometri di distanza, per cui uno solo può colpire e l’altro solo subire. Ma anche concettualmente questo vale nel senso che se tu, non democratico, colpisci un soldato sei un criminale e vai giudicato come tale. Un’altra caratteristica delle guerre democratiche è che manca l’essenza della guerra e cioè il combattimento. Gli occidentali non sono più in grado di affrontare il combattimento, la vista del corpo a corpo gli fa orrore, ritengono questo immorale, ritengono invece morale colpire con un missile da 300 chilometri di distanza e uccidere duemila persone. Le democrazie in questa loro aggressività nei confronti di tutti i mondi altri che hanno altre concezioni della vita, della morte e altre tradizioni è una sorta di totalitarismo perché noi non siamo più in grado di accettare il diverso, l’altro. La concezione è che siamo una cultura superiore, che è la moderna declinazione del razzismo essendo quella classica dopo Hitler diventata improponibile, e quindi abbiamo il diritto e il dovere di portare le buone maniere agli altri popoli. Questo è un totalitarismo tanto più pericoloso perché inconscio, il pericolo non è Bush o chi per lui, ma è Emma Bonino, chi ci crede a queste cose, che noi si sia possessori di diritti assoluti validi per tutti. Ed è particolarmente doloroso perché noi non veniamo solo come si dice dalla cultura giudaico – cristiana, ma alle nostre spalle c’è un’altra cultura messa in disparte che è la cultura greca, la prima a riconoscere il diritto di esistenza e di dignità dell’altro. Quando Erodoto parla dei persiani li descrive come crudeli, barbari, ma non si sognerebbe mai di applicare i costumi greci ai persiani, i persiani sono persiani, i greci sono i greci. Invece noi abbiamo la pretesa di omologare l’intero esistente alla nostra way of life. Ripeto, questo quando si è in buona fede, in malafede queste guerre hanno ragioni economiche. Abbiamo bisogno di conquistare, essendo i nostri mercati saturi, sempre nuovi mercati per quanto poveri. La politica dei due pesi e delle due misure Dopo il crollo dell’Unione Sovietica le democrazie hanno avuto le mani libere e hanno fatto tutte le guerre che hanno voluto con i più vari pretesti, in Serbia c’era la questione del Kossovo, in Afghanistan c’era Bin Laden,sono passati 11 anni e Bin Laden non c’è più da tempo. In Libia c’era il dittatore, peraltro corteggiato fino al giorno prima. Hanno potuto esprimere nel modo più violento la propria aggressività e i propri interessi che sono interessi imperiali. Una volta le potenze quando volevano una cosa mandavano le cannoniere e se le prendevano. Adesso pretendiamo di fare la guerra e di farla per il bene di coloro che bombardiamo, uccidiamo, assassiniamo o devastiamo, è una specie di Santa Inquisizione planetaria ed è questo che è intollerabile, l’ipocrisia di queste guerre. Le guerre si sono sempre fatte, ma una volta avevano almeno quasi una loro etica. La Siria non la attacchiamo perché è protetta in qualche modo dalla Russia e dalla Cina e questo dice che i nostri interventi umanitari in realtà non sono tali, noi interveniamo laddove non ci sono rischi, dividiamo il mondo in figli e figliastri. Alcuni devono essere puniti e altri che ne fanno di peggio invece la passano liscia. Chi attaccherebbe la Russia per il genocidio ceceno, 250 mila morti e cioè un quarto della popolazione? Qui viene dimostrata tutta l’ipocrisia di questa storia dei diritti umani. I diritti umani sono solo un grimaldello per intervenire nei Paesi in cui ci interessa intervenire. Potrebbe essere che il prossimo bersaglio, ci sono tamburi di guerra da tempo, sia l’Iran, anche qui con giustificazioni che non hanno alcun senso. L’Iran ha firmato il trattato di non proliferazione nucleare, accetta le ispezioni dell’IAEA che sono le ispezioni O.N.U., l’agenzia che regola le produzioni atomiche, e non ha mai superato il 20 per cento di arricchimento dell’uranio, per fare la bomba ci vuole il 90 per cento. Però è sotto scacco in continuazione. Israele che ha la bomba atomica invece viene lasciato assolutamente tranquillo. E’ una politica di due pesi e due misure che incita anche paesi musulmani, anche gente che non è radicale a radicalizzarsi perché è talmente evidente la politica dei due pesi e delle due misure, la violenza che noi continuamente esercitiamo che alla fine uno diventa terrorista. Sì se si attaccherà l’Iran sarà la Terza guerra mondiale, è molto rischioso per le democrazie attaccare l’Iran perché saltano anche tutte le alleanze più o meno forzate che hanno con i paesi cosiddetti moderati, che poi moderati spessissimo non sono. Salterebbe l’alleanza con la Giordania, l’Arabia Saudita, l’Egitto e quindi sarebbe veramente la Terza guerra mondiale ma una guerra particolare sperequata, perché dalla nostra parte c’è questo armamento straordinario e dall’altra ci sono popolazioni da questo punto di vista molto più deboli, ma anche molto più numerose. E’ abbastanza grottesco da fuori Paesi seduti su arsenali atomici incredibili facciano la voce grossa con l’Iran perché ipoteticamente può fare l’atomica. In realtà noi, inseguendo un pericolo immaginario, cioè l’Afghanistan che non è mai uscito dai suoi confini, che ha una tradizione di non aggressività nei confronti dei Paesi vicini, abbiamo creato un pericolo reale che è il Pakistan perché questo radicalismo religioso si è trasferito al Pakistan, solo che il Pakistan, a differenza dell’Afghanistan che è armato in modo antidiluviano, ha la bomba atomica e non solo ma proprio per la sua posizione di potenza regionale ha una concezione politica molto meno localizzata di quanto abbia l’Afghanistan. Quindi inseguendo un pericolo immaginario, l’Afghanistan, ne abbiamo creato uno reale, il Pakistan e se gli integralisti prendessero potere in Pakistan sì allora sarebbero cazzi acidi per tutti perché questi hanno l’atomica, gli altri hanno il loro corpo e qualche granata. Verranno spazzati via L’aggressione al cosiddetto grillismo, all’antipolitica, a quella che viene chiamata l’antipolitica è in realtà un segnale della paura che una classe dirigente che da trenta anni ha fatto abusi, soprusi, ruberie, il sacco del Paese,la paura da cui è stata presa di essere spazzata via e quindi, mentre prima potevano anche ignorare un movimento come quello di Grillo, adesso non lo ignorano affatto, naturalmente lo demonizzano così come demonizzano chi non va a votare. Chi ha deciso di andare a votare nelle ultime amministrative è stato il 40 per cento. È un segno della paura del regime di essere spazzato via perché c’è in giro, Grillo o non Grillo, una collera notevole da parte della popolazione che alla fine si è resa conto che questa democrazia dei partiti non è affatto una democrazia, ma un sistema che ha privilegiato una classe dirigente indecente e ha impoverito il paese. E questa crisi spinge le persone a ragionare e a ribellarsi. La reazione, scomposta, degli esponenti del regime dice che ne hanno molta paura, poi non so come verranno spazzati via, però io penso che verranno spazzati via, che non basterà chiamarsi Partito nazionale della Nazione come fa Casini perché uno dimentichi le responsabilità di Casini, di tutti i casini che ci sono stati e ci sono nella classe politica italiana. Quello che vorrei dire saltando un attimo la politica italiana è che c’è una guerra infame che si combatte, anzi non si combatte da 11 anni in Afghanistan contro un Paese. Non è la guerra in Afghanistan, è una guerra all’Afghanistan e senza che ci siano proteste alcune perché gli afgani non hanno santi in paradiso, non sono comunisti, non sono liberali, non sono arabi, non sono cristiani, non sono ebrei e quindi si può fare loro carne di porco. Sono 65 mila oggi i civili uccisi in Afghanistan direttamente o indirettamente dalla nostra occupazione, a parte i disastri che abbiamo combinato dal punto di vista sociale. La disoccupazione durante il governo talebano era l’8 per cento e adesso è al 40 per cento, in alcune regioni all’80 per cento. Abbiamo cercato di comprarlo in tutti i modi. Abbiamo corrotto moralmente un Paese che aveva una sua integrità, mi piacerebbe che su questo problema si fosse più sensibili e, siccome si bada solo alle ragioni economiche, ricorderò che noi spendiamo un miliardo di Euro all’anno per tenere inutilmente i nostri soldati lì, per ammazzare e farci ammazzare, ora con un miliardo non di risana un’economia di un Paese ma qualche buco lo si potrebbe anche turare. E’ una guerra ripeto infame di cui però non sento in genere, non vedo né in Italia né in Europa né in Occidente qualcuno che dica una parola contro questa guerra. di Massimo Fini

26 aprile 2012

Ora i BRICS contano nel cambiamento dell'ordine mondiale

Ora i BRICS contano nel cambiamento dell’ordine mondiale I BRICS stanno avendo un’influenza crescente sulla governance globale. Il tema del 4° Summit “Cooperazione tra i BRICS per la stabilità, la sicurezza e la crescita globale”, ha mostrato il suo intento strategico attraverso un’interpretazione alternativa dell’interdipendenza. La Dichiarazione di Delhi ha elementi che, in primo luogo, hanno una dimensione economica anche se sono, essenzialmente, politici, e propongono un nuovo sistema multilaterale. I toni strategici hanno causato una cauta risposta degli Stati Uniti, riconoscendo in questo modo che un mondo multipolare è emerso, mentre la leadership globale americana è sempre più debole. Finora l’attenzione dei BRICS si è concentrata sul riformare le strutture di governance delle organizzazioni internazionali, come il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, pur permettendo loro di mantenere un ruolo centrale. La decisione di lavorare sulla creazione di una Banca dello Sviluppo per le infrastrutture e la crescita sostenibile risponde alle emergenti necessità mondiali meglio del “Washington consensus” col suo focus sul settore sociale e concomitanti condizionamenti. L’inclusione di aiuti d’emergenza in caso di disastri o crisi finanziarie, come anche la condivisione del rischio, di fatto ridefinisce la politica internazionale di sviluppo. Un primo passo è stato fatto verso una nuova politica monetaria internazionale. La decisione di collegare i mercati e creare un’integrazione finanziaria delle loro economie gestendo i 230 miliardi di dollari del commercio intra-BRIC, che arriverà a 500 miliardi di dollari nel 2015, attraverso l’estensione del credito in valute locali e derivati su indici azionari di riferimento, consentirà investimenti senza rischi di cambio mentre si intrecciano le borse valori. Eliminando il passaggio intermedio della conversione in dollari, si riduce il suo ruolo nelle contrattazioni tra i BRICS, ed il commercio stesso risulta indipendente dal valore della valuta americana, il che avrà un forte impatto sulla sua importanza globale. Per la prima volta le economie avanzate sono state invitate “ad attuare politiche macroeconomiche e finanziarie responsabili, ad evitare di creare eccessiva liquidità a livello mondiale ed intraprendere riforme strutturali per aumentare la crescita e, di consequenza, creare posti di lavoro”. La Dichiarazione ha sostenuto anche “un processo di selezione basato sul merito” per i capi del FMI e della Banca Mondiale, posti riservati dal 1950, per consuetudine, rispettivamente ad un’europeo ed ad un americano. Sta inoltre emergendo una nuova politica di sicurezza internazionale, con la richiesta di “un processo politico inclusivo” in Siria, che contempla anche una transizione democratica per quel paese. La risoluzione sostiene anche per l’Iran “il dialogo e mezzi politici e diplomatici tra le parti coinvolte” ed inoltre riconosce il diritto iraniano ad accedere all’energia nucleare per usi civili. Sull’Iran, i BRICS hanno chiarito che seguiranno le risoluzioni delle Nazioni Unite e non le leggi nazionali di nessun paese (vedi gli Stati Uniti). Si tratta di una mossa ostile ai cambiamenti selettivi di regime attraverso le azioni multilaterali, come è stato fatto in Libia, e porta le deliberazioni dei BRICS nella sfera politica. Questi risultati hanno colto di sorpresa i commentatori. Non più tardi dello scorso anno, Joseph Nye, dell’Università di Harvard, sosteneva che i BRICS avevano profonde divisioni politiche e che avrebbero contribuito veramente in misura minima alle relazioni tra le potenze nel lungo termine. Martin Wolf, del Financial Times, sosteneva anche che “non hanno niente in comune” e che non sono “alleati naturali”, perché la differenza di valori è molto forte, e quindi non c’è ragione di aspettarsi un accordo su qualche cosa di sostanziale a livello mondiale, a parte il fatto di pensare che le potenze dominanti devono cedere parte della loro influenza e potere. Un recente articolo del New York Times prevede che paesi singoli e “non blocchi artificiali” daranno forma alla governance globale, e che il Summit era solo un’opportunità per scattare qualche foto. Più arguto è l’argomento secondo cui, visto che i BRICS hanno tutti un un rapporto strategico con gli USA e, al momento, considerano il loro legame con Washington più importante di quello con qualsiasi altra capitale, non vedono nessuna utilità nel sfidare il leader del mondo occidentale. Certamente i BRICS sono stati finora reattivi piuttosto che proattivi. Ad ogni modo, la dinamica attuale è che i paesi BRICS stanno guadagnando forza e capacità di esercitare influenza attraverso, soprattutto, il potere economico, piuttosto che quello militare. I paesi BRICS hanno pesato per più del 50% sulla crescita economica globale nell’ultimo decennio e Goldman Sachs prevede che il loro potenziale economico sarà più grande di quello dei G7 nel 2035. Focalizzandosi sull’integrazione economica, stanno anche spostando gli equilibri di potenza, e superando le differenze bilaterali. Ad esempio, la Cina è già il partner commerciale più importante per l’India ed insieme hanno convenuto di mettere da parte le differenze per ciò che riguarda la disputa confinaria, e concentrarsi sulla crescita degli scambi e dei legami d’investimento. Il risultato del Summit è un’indicatore che una collettività sta emergendo, una tendenza verso una migliore coordinazione e più equa governance globale; e finchè l’ordine attuale, plasmato dagli Stati Uniti, sarà al servizio degli interessi nazionali dei paesi sviluppati, qualche tensione sarà inevitabile. Nel mondo di oggi, dati i limiti ecologici alla crescita, la sicurezza e la prosperità non possono essere più garantite solo dalla forza militare o dalla ricchezza economica, ma dall’abilità di gestire l’azione collettiva attraverso un approccio regolamentato e associato. Per una leadership globale, i BRICS avranno bisogno di una visione strategica che risponda alle preoccupazioni del mondo povero, e che non sia limitato, solo, dal portare avanti i propri interessi nazionali. Nelle istituzioni di Bretton Woods possono, ad esempio, chiedere una revisione dei parametri di controllo, delle condizioni e un focus sullo sviluppo sostenibile invece che su considerazioni strettamente ambientali. All’interno delle Nazioni Unite possono andare oltre la divisione tra paesi in via di sviluppo e quelli già sviluppati, per istituire un nuovo obiettivo per lo sradicamento della povertà entro il 2050. L’attuale enfasi sui diritti umani definiti in termini di diritti politici e procedurali avrà bisogno di essere completata da un’enfasi analoga sui diritti sociali ed economici basati sulle eque opportunità per tutti. L’attenzione data alla redistribuzione sarà inedita, visto che è stata esclusa così a lungo dall’agenda internazionale. Il termine BRICS fu coniato dalla Goldman Sachs nel 2001 con riferimento alle politiche economiche. Ovviamente, non hanno immaginato che in un mondo globalizzato, influenza e potere sarebbero divenuti sempre più definiti in termini economici. Il primo incontro dei BRICS avvenne nel 2009, a seguito della crisi economica globale. Vista la crescita economica ed il centro di gravità politico che continua a cambiare, i BRICS hanno già un ruolo maggiore nell’affrontare i cambiamenti transnazionali, con la spartizione d’influenza e potere nell’architettura internazionale del G20. Per la leadership globale i BRICS dovranno sposare i valori universali che riflettono le preoccupazioni dei paesi poveri. (Traduzione di Lorenzo Giovannini) di Mukul Sanwal NOTE: Mukul Sanwal è un ex funzionario civile e diplomatico.

28 aprile 2012

In gran segreto Stati Uniti e Cina giocano a fare la guerra

Il Guardian è venuto a sapere che Stati Uniti e Cina in segreto sono stati impegnati in “giochi di guerra” mentre monta la rabbia di Washington per la portata e l’audacia degli attacchi informatici coordinati da Pechino contro governi e grandi imprese occidentali. Funzionari del Dipartimento di Stato e del Pentagono, insieme ai loro omologhi cinesi, lo scorso anno sono stati impegnati in due giochi di guerra ideati per favorire la prevenzione di un’improvvisa escalation militare tra le parti nel caso che una di esse dovesse sentirsi presa di mira. Un’altra sessione è prevista a maggio. Anche se le esercitazioni hanno offerto agli Stati Uniti l’opportunità di dare sfogo alla propria frustrazione per quello che sembra essere uno spionaggio finanziato dallo stato e una sottrazione su scala industriale, la Cina si è dimostrata bellicosa. “La Cina è giunta alla conclusione che è cambiato il rapporto di potere, in una maniera che la favorisce,” afferma Jim Lewis, importante insegnante nonché direttore del Centro per gli Studi Strategici e Internazionali (CSIS), gruppo di esperti con sede a Washington. “Il PLA [Esercito Popolare di Liberazione] è assai ostile. Considera gli Stati Uniti un bersaglio. Sentono di avere una giustificazione per le loro azioni. Pensano che gli Stati Uniti siano in declino.” I giochi di guerra sono stati organizzati mediante il CSIS e un gruppo di esperti di Pechino, l’Istituto Cinese di Relazioni Internazionali Contemporanee (CICIR). Ciò ha consentito a funzionari del governo e dei servizi segreti USA di entrare in contatto in un ambito meno formale. Conosciuta come “Track 1.5 Diplomacy”(Percorso diplomatico 1.5, N.d.T.), è la serie di contatti più ravvicinata che gli stati possono avere nella gestione dei conflitti senza affrontare veri e propri negoziati. “Coordiniamo i giochi di guerra con il Dipartimento di Stato e quello della Difesa,” ha detto Lewis, il quale ha mediato gli incontri, tenutisi lo scorso giugno a Pechino e in dicembre a Washington. “I funzionari hanno esordito come osservatori, poi sono diventati partecipanti … in modo molto simile è stata la stessa cosa da parte cinese. Dal momento che è organizzato da due gruppi di esperti, essi possono parlare più liberamente.” Nel corso della prima esercitazione, entrambe le parti dovettero spiegare cosa avrebbero fatto se fossero state attaccate da un sofisticato virus informatico come Stuxnet, che ha messo fuori servizio le centrifughe del programma nucleare iraniano. Nella seconda dovevano spiegare la loro reazione nel caso si sapesse che l’attacco era stato intrapreso dalla controparte. “I due giochi di guerra sono stati piuttosto sorprendenti,” ha dichiarato Lewis. “Il primo è andato bene, il secondo non tanto.” “I cinesi sono molto astuti. Mandano persone competenti. Vogliamo trovare modi per modificare il loro comportamento … [ma] sanno di avere buone ragioni per quello che fanno. Il loro atteggiamento consiste nell’avere vissuto l’imperialismo e un secolo di umiliazioni.” Lewis ha detto che i cinesi hanno la “percezione di essere trattati ingiustamente.” “I cinesi hanno una profonda diffidenza verso gli Stati Uniti. Sono preoccupati del potenziale militare americano. Sono inclini a pensare che abbiamo un’ambiziosa strategia per conservare l’egemonia degli Stati Uniti e la considerano una sfida diretta. “Coloro [tra i funzionari cinesi] che sostengono la cooperazione non sono forti quanto quelli che appoggiano lo scontro.” La necessità di incontri è stata evidenziata negli ultimi mesi, con gli USA e il Regno Unito che hanno tentato di aumentare la pressione sulla Cina, considerata da loro la principale responsabile della sottrazione, per miliardi di dollari, di progetti e opere dell’ingegno di produttori della difesa, dipartimenti statali e società private al centro del sistema di infrastrutture americano. Gli analisti dicono che ciò equivale alla “preparazione del campo di battaglia” e sia gli Stati Uniti che il Regno Unito hanno avvertito Pechino di aspettarsi ritorsioni nel caso ciò continuasse. Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno precisato di avere spostato l’attenzione militare dall’Europa al Pacifico, per proteggere gli interessi americani nell’area. “Tra i paesi attivamente impegnati nello spionaggio informatico, probabilmente la Cina è l’unico ad essere un concorrente militare degli Stati Uniti,” ha dichiarato Lewis. “Gli eserciti cinese e americano si trovano nelle immediate vicinanze e ci sono episodi ostili … Le probabilità di errori di valutazione sono molto alte, quindi stiamo tentando di avere una netta comprensione del punto di vista di ciascuna parte.” Lewis crede che gli Stati Uniti si stiano preparando a diventare più aggressivi nei confronti della Cina e dice che il presidente Barack Obama ha già incaricato gruppi operativi all’interno della Casa Bianca per studiare sanzioni più severe. Senza nominare la Cina, un alto dirigente dell’FBI ha detto al Guardian che le minacce portate dagli attacchi informatici sono state preoccupanti. “Sappiamo che le risorse degli stati stranieri sono notevoli, e conosciamo il tipo di informazioni che stanno prendendo di mira,” ha detto Shawn Henry, vice direttore esecutivo della sezione informatica dell’FBI. “Abbiamo trovato nemici passati inosservati nelle reti per molti mesi, o in alcuni casi per anni. In sostanza hanno avuto libero accesso a queste reti … Hanno la piena capacità di sconvolgere del tutto queste reti.” Frank Cilluffo, già collaboratore straordinario di George Bush per la sicurezza nazionale, disse che era giunto il momento per affrontare la Cina. “Dobbiamo parlare delle capacità d’attacco per scoraggiare i fuorilegge. Non possiamo pensare che le società si difendano dai servizi segreti stranieri. Ci sono determinate cose che dovremmo fare quando qualcuno sta facendo l’equivalente cibernetico della preparazione delle informazioni sul campo di battaglia della nostra infrastruttura energetica. “A mio parere è arrivato il momento. Occorre dare una risposta. Quale altro motivo potrebbe esserci per riordinare le nostre infrastrutture nel caso di una crisi? “Abbiamo un ruolo maggiore nei convenzionali mezzi militari e diplomatici . Dobbiamo mostrare loro le nostre carte. Tutte le ragioni sono sul tavolo. Penso che dobbiamo proprio iniziare a parlare di difesa attiva.” Egli disse che gli Stati Uniti dovevano essere preventivi, altrimenti col tempo la gente avrebbe iniziato a perdere la fiducia nell’integrità di internet e dei sistemi informatici. “Se non investo perché ho paura, se non impiego la rete perché ho paura, se si perde credibilità e fiducia in questi sistemi, allora hanno vinto i cattivi. Scacco matto.” Il Dipartimento di Stato ha rifiutato di parlare dei giochi di guerra e di dire quali funzionari vi hanno partecipato. Un portavoce ha affermato: “Gli Stati Uniti sono impegnati a coinvolgere gli altri paesi per la costruzione di un ambiente globale in cui ogni stato riconosca e rispetti soddisfacenti regole di comportamento nel cyberspazio. In linea generale siamo impegnati con il governo cinese su questioni informatiche, in modo da trovare punti in comune su questi argomenti di sempre maggiore importanza nelle nostre relazioni bilaterali.” Il Pentagono ha evitato di rilasciare dichiarazioni e di dire quali dei suoi funzionari hanno preso parte ai giochi di guerra. La Cina ha sempre negato di essere responsabile degli attacchi informatici contro gli Stati Uniti e altri paesi occidentali. Dice di essere anch’essa vittima di questo genere di spionaggio. Il ministro della Difesa cinese Liang Guanglie ha dichiarato che Pechino “si oppone fermamente ad ogni tipo di crimine informatico.” “È difficile stabilire la vera origine degli attacchi e abbiamo la necessità di lavorare insieme per fare in modo che la presente questione di sicurezza non diventi un problema,” ha detto. “In realtà anche in Cina abbiamo subito una gamma piuttosto vasta di frequenti attacchi informatici. Il governo cinese dà importanza anche alla sicurezza informatica e prende decisamente posizione contro ogni genere di crimine informatico. È importante per tutti osservare e seguire leggi e norme in materia di sicurezza informatica.” Il Quotidiano del Popolo, testata cinese che più delle altre rispecchia le opinioni del Partito Comunista al potere in Cina, lo scorso anno ha detto che è irresponsabile associare la Cina alle violazioni informatiche su internet. “Quest’anno, con il crescere degli attacchi di hacker a importanti imprese e organizzazioni internazionali, alcuni media occidentali hanno più volte raffigurato la Cina come il cattivo dietro le quinte.” di Edoardo Capuano Fonte: Nick Hopkins per The Guardian 16.04.2012 Traduzione di Gabriele Picelli per www.times.altervista.org

27 aprile 2012

Le guerre democratiche

Totalitarismo inconscio sono uno scrittore e un giornalista, recentemente ho scritto un libro che si intitola “La guerra democratica”. Da quando è crollato il contraltare sovietico le democrazie occidentali, Stati Uniti in testa, hanno inanellato otto guerre in venti anni, otto guerre di cui forse solo la prima aveva una qualche giustificazione, il primo conflitto del Golfo perché Saddam Hussein aveva aggredito il Kuwait, le altre sette sono tutte guerre di aggressione. La guerra democratica ha questa caratteristica, che si fa ma non si dichiara, la si fa con cattiva coscienza chiamandola con altri nomi, operazioni di peacekeeping, operazione umanitaria, difesa dei diritti umani, ma sono guerre. Questo equivoco porta a tutta una serie di conseguenze, la prima è che il nemico è sempre un criminale o un terrorista. E quindi di lui si può fare carne di porco, non valgono le leggi di guerra, non valgono per i prigionieri e Guantanamo ne è un esempio clamoroso. Nella guerra democratica le democrazie possono colpire ma non possono subire, sia materialmente che concettualmente. È legittimo uccidere i soldati del nemico, ma se il nemico uccide i nostri allora è una vigliaccata, una porcata, qualcosa di indecente e di intollerabile. Questa cosa fa sì che porta una sperequazione che non è solo materiale, perché effettivamente la guerra democratica si fa solo con le macchine, con gli aerei, con i droni, con i robot perché i droni sono aerei che non hanno equipaggio teleguidati da 10 chilometri di distanza, per cui uno solo può colpire e l’altro solo subire. Ma anche concettualmente questo vale nel senso che se tu, non democratico, colpisci un soldato sei un criminale e vai giudicato come tale. Un’altra caratteristica delle guerre democratiche è che manca l’essenza della guerra e cioè il combattimento. Gli occidentali non sono più in grado di affrontare il combattimento, la vista del corpo a corpo gli fa orrore, ritengono questo immorale, ritengono invece morale colpire con un missile da 300 chilometri di distanza e uccidere duemila persone. Le democrazie in questa loro aggressività nei confronti di tutti i mondi altri che hanno altre concezioni della vita, della morte e altre tradizioni è una sorta di totalitarismo perché noi non siamo più in grado di accettare il diverso, l’altro. La concezione è che siamo una cultura superiore, che è la moderna declinazione del razzismo essendo quella classica dopo Hitler diventata improponibile, e quindi abbiamo il diritto e il dovere di portare le buone maniere agli altri popoli. Questo è un totalitarismo tanto più pericoloso perché inconscio, il pericolo non è Bush o chi per lui, ma è Emma Bonino, chi ci crede a queste cose, che noi si sia possessori di diritti assoluti validi per tutti. Ed è particolarmente doloroso perché noi non veniamo solo come si dice dalla cultura giudaico – cristiana, ma alle nostre spalle c’è un’altra cultura messa in disparte che è la cultura greca, la prima a riconoscere il diritto di esistenza e di dignità dell’altro. Quando Erodoto parla dei persiani li descrive come crudeli, barbari, ma non si sognerebbe mai di applicare i costumi greci ai persiani, i persiani sono persiani, i greci sono i greci. Invece noi abbiamo la pretesa di omologare l’intero esistente alla nostra way of life. Ripeto, questo quando si è in buona fede, in malafede queste guerre hanno ragioni economiche. Abbiamo bisogno di conquistare, essendo i nostri mercati saturi, sempre nuovi mercati per quanto poveri. La politica dei due pesi e delle due misure Dopo il crollo dell’Unione Sovietica le democrazie hanno avuto le mani libere e hanno fatto tutte le guerre che hanno voluto con i più vari pretesti, in Serbia c’era la questione del Kossovo, in Afghanistan c’era Bin Laden,sono passati 11 anni e Bin Laden non c’è più da tempo. In Libia c’era il dittatore, peraltro corteggiato fino al giorno prima. Hanno potuto esprimere nel modo più violento la propria aggressività e i propri interessi che sono interessi imperiali. Una volta le potenze quando volevano una cosa mandavano le cannoniere e se le prendevano. Adesso pretendiamo di fare la guerra e di farla per il bene di coloro che bombardiamo, uccidiamo, assassiniamo o devastiamo, è una specie di Santa Inquisizione planetaria ed è questo che è intollerabile, l’ipocrisia di queste guerre. Le guerre si sono sempre fatte, ma una volta avevano almeno quasi una loro etica. La Siria non la attacchiamo perché è protetta in qualche modo dalla Russia e dalla Cina e questo dice che i nostri interventi umanitari in realtà non sono tali, noi interveniamo laddove non ci sono rischi, dividiamo il mondo in figli e figliastri. Alcuni devono essere puniti e altri che ne fanno di peggio invece la passano liscia. Chi attaccherebbe la Russia per il genocidio ceceno, 250 mila morti e cioè un quarto della popolazione? Qui viene dimostrata tutta l’ipocrisia di questa storia dei diritti umani. I diritti umani sono solo un grimaldello per intervenire nei Paesi in cui ci interessa intervenire. Potrebbe essere che il prossimo bersaglio, ci sono tamburi di guerra da tempo, sia l’Iran, anche qui con giustificazioni che non hanno alcun senso. L’Iran ha firmato il trattato di non proliferazione nucleare, accetta le ispezioni dell’IAEA che sono le ispezioni O.N.U., l’agenzia che regola le produzioni atomiche, e non ha mai superato il 20 per cento di arricchimento dell’uranio, per fare la bomba ci vuole il 90 per cento. Però è sotto scacco in continuazione. Israele che ha la bomba atomica invece viene lasciato assolutamente tranquillo. E’ una politica di due pesi e due misure che incita anche paesi musulmani, anche gente che non è radicale a radicalizzarsi perché è talmente evidente la politica dei due pesi e delle due misure, la violenza che noi continuamente esercitiamo che alla fine uno diventa terrorista. Sì se si attaccherà l’Iran sarà la Terza guerra mondiale, è molto rischioso per le democrazie attaccare l’Iran perché saltano anche tutte le alleanze più o meno forzate che hanno con i paesi cosiddetti moderati, che poi moderati spessissimo non sono. Salterebbe l’alleanza con la Giordania, l’Arabia Saudita, l’Egitto e quindi sarebbe veramente la Terza guerra mondiale ma una guerra particolare sperequata, perché dalla nostra parte c’è questo armamento straordinario e dall’altra ci sono popolazioni da questo punto di vista molto più deboli, ma anche molto più numerose. E’ abbastanza grottesco da fuori Paesi seduti su arsenali atomici incredibili facciano la voce grossa con l’Iran perché ipoteticamente può fare l’atomica. In realtà noi, inseguendo un pericolo immaginario, cioè l’Afghanistan che non è mai uscito dai suoi confini, che ha una tradizione di non aggressività nei confronti dei Paesi vicini, abbiamo creato un pericolo reale che è il Pakistan perché questo radicalismo religioso si è trasferito al Pakistan, solo che il Pakistan, a differenza dell’Afghanistan che è armato in modo antidiluviano, ha la bomba atomica e non solo ma proprio per la sua posizione di potenza regionale ha una concezione politica molto meno localizzata di quanto abbia l’Afghanistan. Quindi inseguendo un pericolo immaginario, l’Afghanistan, ne abbiamo creato uno reale, il Pakistan e se gli integralisti prendessero potere in Pakistan sì allora sarebbero cazzi acidi per tutti perché questi hanno l’atomica, gli altri hanno il loro corpo e qualche granata. Verranno spazzati via L’aggressione al cosiddetto grillismo, all’antipolitica, a quella che viene chiamata l’antipolitica è in realtà un segnale della paura che una classe dirigente che da trenta anni ha fatto abusi, soprusi, ruberie, il sacco del Paese,la paura da cui è stata presa di essere spazzata via e quindi, mentre prima potevano anche ignorare un movimento come quello di Grillo, adesso non lo ignorano affatto, naturalmente lo demonizzano così come demonizzano chi non va a votare. Chi ha deciso di andare a votare nelle ultime amministrative è stato il 40 per cento. È un segno della paura del regime di essere spazzato via perché c’è in giro, Grillo o non Grillo, una collera notevole da parte della popolazione che alla fine si è resa conto che questa democrazia dei partiti non è affatto una democrazia, ma un sistema che ha privilegiato una classe dirigente indecente e ha impoverito il paese. E questa crisi spinge le persone a ragionare e a ribellarsi. La reazione, scomposta, degli esponenti del regime dice che ne hanno molta paura, poi non so come verranno spazzati via, però io penso che verranno spazzati via, che non basterà chiamarsi Partito nazionale della Nazione come fa Casini perché uno dimentichi le responsabilità di Casini, di tutti i casini che ci sono stati e ci sono nella classe politica italiana. Quello che vorrei dire saltando un attimo la politica italiana è che c’è una guerra infame che si combatte, anzi non si combatte da 11 anni in Afghanistan contro un Paese. Non è la guerra in Afghanistan, è una guerra all’Afghanistan e senza che ci siano proteste alcune perché gli afgani non hanno santi in paradiso, non sono comunisti, non sono liberali, non sono arabi, non sono cristiani, non sono ebrei e quindi si può fare loro carne di porco. Sono 65 mila oggi i civili uccisi in Afghanistan direttamente o indirettamente dalla nostra occupazione, a parte i disastri che abbiamo combinato dal punto di vista sociale. La disoccupazione durante il governo talebano era l’8 per cento e adesso è al 40 per cento, in alcune regioni all’80 per cento. Abbiamo cercato di comprarlo in tutti i modi. Abbiamo corrotto moralmente un Paese che aveva una sua integrità, mi piacerebbe che su questo problema si fosse più sensibili e, siccome si bada solo alle ragioni economiche, ricorderò che noi spendiamo un miliardo di Euro all’anno per tenere inutilmente i nostri soldati lì, per ammazzare e farci ammazzare, ora con un miliardo non di risana un’economia di un Paese ma qualche buco lo si potrebbe anche turare. E’ una guerra ripeto infame di cui però non sento in genere, non vedo né in Italia né in Europa né in Occidente qualcuno che dica una parola contro questa guerra. di Massimo Fini

26 aprile 2012

Ora i BRICS contano nel cambiamento dell'ordine mondiale

Ora i BRICS contano nel cambiamento dell’ordine mondiale I BRICS stanno avendo un’influenza crescente sulla governance globale. Il tema del 4° Summit “Cooperazione tra i BRICS per la stabilità, la sicurezza e la crescita globale”, ha mostrato il suo intento strategico attraverso un’interpretazione alternativa dell’interdipendenza. La Dichiarazione di Delhi ha elementi che, in primo luogo, hanno una dimensione economica anche se sono, essenzialmente, politici, e propongono un nuovo sistema multilaterale. I toni strategici hanno causato una cauta risposta degli Stati Uniti, riconoscendo in questo modo che un mondo multipolare è emerso, mentre la leadership globale americana è sempre più debole. Finora l’attenzione dei BRICS si è concentrata sul riformare le strutture di governance delle organizzazioni internazionali, come il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, pur permettendo loro di mantenere un ruolo centrale. La decisione di lavorare sulla creazione di una Banca dello Sviluppo per le infrastrutture e la crescita sostenibile risponde alle emergenti necessità mondiali meglio del “Washington consensus” col suo focus sul settore sociale e concomitanti condizionamenti. L’inclusione di aiuti d’emergenza in caso di disastri o crisi finanziarie, come anche la condivisione del rischio, di fatto ridefinisce la politica internazionale di sviluppo. Un primo passo è stato fatto verso una nuova politica monetaria internazionale. La decisione di collegare i mercati e creare un’integrazione finanziaria delle loro economie gestendo i 230 miliardi di dollari del commercio intra-BRIC, che arriverà a 500 miliardi di dollari nel 2015, attraverso l’estensione del credito in valute locali e derivati su indici azionari di riferimento, consentirà investimenti senza rischi di cambio mentre si intrecciano le borse valori. Eliminando il passaggio intermedio della conversione in dollari, si riduce il suo ruolo nelle contrattazioni tra i BRICS, ed il commercio stesso risulta indipendente dal valore della valuta americana, il che avrà un forte impatto sulla sua importanza globale. Per la prima volta le economie avanzate sono state invitate “ad attuare politiche macroeconomiche e finanziarie responsabili, ad evitare di creare eccessiva liquidità a livello mondiale ed intraprendere riforme strutturali per aumentare la crescita e, di consequenza, creare posti di lavoro”. La Dichiarazione ha sostenuto anche “un processo di selezione basato sul merito” per i capi del FMI e della Banca Mondiale, posti riservati dal 1950, per consuetudine, rispettivamente ad un’europeo ed ad un americano. Sta inoltre emergendo una nuova politica di sicurezza internazionale, con la richiesta di “un processo politico inclusivo” in Siria, che contempla anche una transizione democratica per quel paese. La risoluzione sostiene anche per l’Iran “il dialogo e mezzi politici e diplomatici tra le parti coinvolte” ed inoltre riconosce il diritto iraniano ad accedere all’energia nucleare per usi civili. Sull’Iran, i BRICS hanno chiarito che seguiranno le risoluzioni delle Nazioni Unite e non le leggi nazionali di nessun paese (vedi gli Stati Uniti). Si tratta di una mossa ostile ai cambiamenti selettivi di regime attraverso le azioni multilaterali, come è stato fatto in Libia, e porta le deliberazioni dei BRICS nella sfera politica. Questi risultati hanno colto di sorpresa i commentatori. Non più tardi dello scorso anno, Joseph Nye, dell’Università di Harvard, sosteneva che i BRICS avevano profonde divisioni politiche e che avrebbero contribuito veramente in misura minima alle relazioni tra le potenze nel lungo termine. Martin Wolf, del Financial Times, sosteneva anche che “non hanno niente in comune” e che non sono “alleati naturali”, perché la differenza di valori è molto forte, e quindi non c’è ragione di aspettarsi un accordo su qualche cosa di sostanziale a livello mondiale, a parte il fatto di pensare che le potenze dominanti devono cedere parte della loro influenza e potere. Un recente articolo del New York Times prevede che paesi singoli e “non blocchi artificiali” daranno forma alla governance globale, e che il Summit era solo un’opportunità per scattare qualche foto. Più arguto è l’argomento secondo cui, visto che i BRICS hanno tutti un un rapporto strategico con gli USA e, al momento, considerano il loro legame con Washington più importante di quello con qualsiasi altra capitale, non vedono nessuna utilità nel sfidare il leader del mondo occidentale. Certamente i BRICS sono stati finora reattivi piuttosto che proattivi. Ad ogni modo, la dinamica attuale è che i paesi BRICS stanno guadagnando forza e capacità di esercitare influenza attraverso, soprattutto, il potere economico, piuttosto che quello militare. I paesi BRICS hanno pesato per più del 50% sulla crescita economica globale nell’ultimo decennio e Goldman Sachs prevede che il loro potenziale economico sarà più grande di quello dei G7 nel 2035. Focalizzandosi sull’integrazione economica, stanno anche spostando gli equilibri di potenza, e superando le differenze bilaterali. Ad esempio, la Cina è già il partner commerciale più importante per l’India ed insieme hanno convenuto di mettere da parte le differenze per ciò che riguarda la disputa confinaria, e concentrarsi sulla crescita degli scambi e dei legami d’investimento. Il risultato del Summit è un’indicatore che una collettività sta emergendo, una tendenza verso una migliore coordinazione e più equa governance globale; e finchè l’ordine attuale, plasmato dagli Stati Uniti, sarà al servizio degli interessi nazionali dei paesi sviluppati, qualche tensione sarà inevitabile. Nel mondo di oggi, dati i limiti ecologici alla crescita, la sicurezza e la prosperità non possono essere più garantite solo dalla forza militare o dalla ricchezza economica, ma dall’abilità di gestire l’azione collettiva attraverso un approccio regolamentato e associato. Per una leadership globale, i BRICS avranno bisogno di una visione strategica che risponda alle preoccupazioni del mondo povero, e che non sia limitato, solo, dal portare avanti i propri interessi nazionali. Nelle istituzioni di Bretton Woods possono, ad esempio, chiedere una revisione dei parametri di controllo, delle condizioni e un focus sullo sviluppo sostenibile invece che su considerazioni strettamente ambientali. All’interno delle Nazioni Unite possono andare oltre la divisione tra paesi in via di sviluppo e quelli già sviluppati, per istituire un nuovo obiettivo per lo sradicamento della povertà entro il 2050. L’attuale enfasi sui diritti umani definiti in termini di diritti politici e procedurali avrà bisogno di essere completata da un’enfasi analoga sui diritti sociali ed economici basati sulle eque opportunità per tutti. L’attenzione data alla redistribuzione sarà inedita, visto che è stata esclusa così a lungo dall’agenda internazionale. Il termine BRICS fu coniato dalla Goldman Sachs nel 2001 con riferimento alle politiche economiche. Ovviamente, non hanno immaginato che in un mondo globalizzato, influenza e potere sarebbero divenuti sempre più definiti in termini economici. Il primo incontro dei BRICS avvenne nel 2009, a seguito della crisi economica globale. Vista la crescita economica ed il centro di gravità politico che continua a cambiare, i BRICS hanno già un ruolo maggiore nell’affrontare i cambiamenti transnazionali, con la spartizione d’influenza e potere nell’architettura internazionale del G20. Per la leadership globale i BRICS dovranno sposare i valori universali che riflettono le preoccupazioni dei paesi poveri. (Traduzione di Lorenzo Giovannini) di Mukul Sanwal NOTE: Mukul Sanwal è un ex funzionario civile e diplomatico.