21 maggio 2012

JP Morgan: suona ancora la campana della crisi globale

La perdita della banca americana JP Morgan Chase di oltre 2 miliardi di dollari (ma si vocifera di buchi ben più grandi) in operazioni con derivati speculativi Otc fatte dal suo ufficio di Londra va vista e capita come l’inizio di una seconda e più pericolosa fase della crisi finanziaria globale. La JP Morgan è la più grande banca americana e mondiale. E’ quindi la number one nella lista delle “too big to fail” che sempre di più determinano la finanza e ricattano i governi fino a sottometterli ai propri voleri. E’ la number one mondiale anche nelle operazioni in derivati Otc e, secondo le ultime stime dell’ufficio del Comptroller of the Currency Usa, ne avrebbe in pancia più di 70 trilioni! Dal 2008 è stata uno dei maggiori ideatori e creatori di credit default sawps (cds) che hanno per mesi occupato le prime pagine di tutti i giornali soprattutto in relazione alla crisi dei debiti sovrani europei. Da anni è stata molto esposta a perdite sui cds. E’ sempre stata in prima fila anche nelle speculazioni sulle commodity, come il carbone e l’argento. Negli anni ottanta rischiò l’insolvenza e fu salvata con i fondi dello stato. La stessa cosa si ripeté nel 2009 quando ottenne 25 miliardi di dollari dal fondo di salvataggio pubblico TARP. Lo stesso anno, però, distribuì 8,69 miliardi di dollari in bonus ai propri manager. In questo periodo, prima di andare essa stessa in crisi, essa stranamente acquistò la quinta banca d’affari americana, la Bear Stearns, in fallimento. Si ricordi che le azioni di quest’ultima, che prima valevano sulla borsa di Wall Street 55 dollari, furono acquistate a 2. Non frattempo però la Fed si era accollata 30 miliardi di dollari in titoli inesigibili della Bear Stearns. L’operazione venne salutata come un grande servizio per la stabilità finanziaria degli Stati Uniti! In breve la JP Morgan insieme alla Goldman Sachs da anni partecipa al Treasury Borrowing Advisory Committee, che indirizza la politica finanziaria del governo. Nei passati 4 anni, forte di queste medaglie, ha guidato la lobby bancaria in operazioni di annacquamento e, diciamolo, di sabotaggio della riforma finanziaria Dodd-Frank voluta da Obama per cercare di mettere ordine nel sistema finanziario e bancario americano. I dirigenti della JP Morgan hanno sempre goduto della fama di operatori moderati sempre disponibili ad accettare la riforma del sistema. Il suo executive director, Jamie Dimon, il “golden boy” di Wall Street, è stato anche nel direttivo della Federal Reserve di New York nonostante fosse il maggior portavoce della deregulation! I mass media lo avevano finanche indicato come un possibile rimpiazzo di Timothy Geithner a capo del Tesoro americano. Che abbaglio! Ora le autorità indagano sul loro operato. Certo dopo alcune operazioni speculative andate male, alcuni dirigenti sono stati rimossi. Ma sono stati prontamente rimpiazzati da un vecchio pescecane della finanza, Matt Zames, già membro dell’ufficio esecutivo della JP Morgan, che nel suo curriculum ha il primo e più grande fallimento della storia di un hedge fund, quello del Long Term Capital Management che nel 1998, con un buco di circa 4 miliardi di dollari, aveva già portato il sistema finanziario vicino all’implosione. Tutto ciò ci dice che in questi anni di fatto non è cambiato proprio nulla. Vi sono stati soltanto i salvataggi fatti dagli Stati con i soldi pubblici e la concessione di liquidità alle banche ad un tasso di interesse vicino allo zero. Liquidità che viene poi usata per comprare titoli di stato invece di sostenere la crescita e lo sviluppo con nuovi crediti. In merito, la vicenda dei Fondi della Bce docet. Senza iattanza, come sosteniamo nel libro “I gattopardi di Wall Street” si dovrebbe realizzare una nuova Bretton Woods che organizzi una riforma fatta di regole, indirizzi e controlli dell’intero sistema finanziario e bancario internazionale. Deve essere un accordo tra i governi. Deve essere un’operazione guidata dagli Stati e non dalle agenzie finanziare preposte, siano esse il Financial Stability Board o il Fondo Monetario Internazionale. Secondo noi questo è il vero ruolo del G20 che finora non è stato svolto in quanto il mondo anglosassone e quello dell’Europa continentale hanno voluto giocare a fare i furbi. Si tratta di svolgere un ruolo politico e non tecnico e di una assunzione di responsabilità di fronte al mondo e alle esigenze dei cittadini, più che degli interessi delle banche. Occorre un vero “curatore fallimentare” per separare la finanza produttiva da quella speculativa ed eliminare la seconda con regole e azioni precise e sperimentate. Si deve reintrodurre ed estendere a tutti i mercati il sistema “Glass-Steagall” già voluto dal presidente Roosevelt per fronteggiare la crisi bancaria del ’29 che separa le banche commerciali da quelle di investimento, proibendo l’utilizzo dei soldi versati dai risparmiatori nei giochi speculativi. Occorre essere consapevoli che senza regole stringenti ed efficaci c’è solo l’aggravamento della crisi economica con i conseguenti scontri sociali e la disgregazione dei rapporti di collaborazione tra gli Stati nonché nuovi conflitti geopolitici. di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

Tecnocrazia familiare all'italiana

“…questa società senza-dio opera in modo estremamente efficiente, quantomeno ai suoi piani alti. Impiega qualunque possibile mezzo a sua disposizione, sia esso scientifico, tecnico, sociale o economico. Esercita un pressochè completo dominio nelle organizzazioni internazionali, sui circoli finanziari, nel campo delle comunicazioni di massa.” ( Padre Pedro Arupe – dell’Ordine dei Gesuiti, al Concilio Ecumenico del 17 dicembre 1965 )
Alcuni mesi fa il ministro del lavoro (che non c’è) Elsa Fornero aveva avuto la faccia tosta di prendersela con i giovani italiani che – a suo dire – rimanevano dei “mammoni” contenti di restare a casa anche fino a quarant’anni e senza un’occupazione. Ora già all’epoca qualcuno aveva sottolineato l’incongruenza di determinate dichiarazioni da parte di una esponente del governo dell’alta banca e della tecnocrazia sottolineando, prima di sparare simili cazzate (in un paese che sta letteralmente affondando nella merda, dove un giovane su tre non ha un’occupazione con punte che superano il 50 e passa per cento nelle regioni meridionali, dove più di otto milioni sono gli italiani che vivono al limite della soglia di povertà e almeno tre sono poveri tout court), di guardarsi in casa propria. Così venne fuori che Silvia Deaglio, figlia della ministra del lavoro e del giornalista Deaglio, già dall’età di 24 anni, mentre svolgeva un dottorato in Italia, ottenne l’incarico presso il giudaico Beth Israel Deaconess Medical Center ad Harvard, prestigioso e noto college di Harvard (USA). La figlia della ministra ha iniziato ad insegnare medicina a soli 30 anni, diventando associata presso l’Università di Torino sette anni più tardi con sei anni d’anticipo rispetto, vedi un po’ il ‘caso’, a quella che risulta essere la media d’accesso per questo ruolo. Il concorso lo vince a Chieti, nel 2010, alla facoltà di psicologia quindi l’approdo all’università piemontese dove insegnano, rivedi un po’ il ‘caso’, mamma e papà. Ma quello della figlia della ministra Fornero non sembra proprio essere un caso isolato all’interno del governo tecnocratico che sta affamando gli italiani, tassando i loro spiccioli e riducendo in miseria un intero paese. Michel Martone, figlio del ministro Antonio – avvocato della Cassazione e amico di Previti e Dell’Utri e già nominato dall’ex ministro Brunetta a presiedere l’authority degli scioperi ruolo dal quale fu costretto alle dimissioni dopo che il suo nome venne fatto nell’ambito dell’inchiesta sulla P3 – ha avuto una carriera universitaria particolarmente rapida: a 23 anni vince il dottorato all’Università di Modena, tre anni più tardi diventa ricercatore presso l’ateneo di Teramo, l’anno dopo è già professore associato. Al concorso, nel 2003, giunge secondo su due candidati dopo il ritiro degli altri sei. Presentò due monografie, una delle quali in edizione provvisoria (ossia non assimilabile): ottenne 4 voti favorevoli su 5 con il solo contrario di Franco Liso, contro i cinque positivi ottenuti invece dall’altra candidata 52enne con due lauree e oltre quaranta pubblicazione. Fu Martone ad ottenere il posto da ordinario. E a 37 anni è diventato viceministro dell’esecutivo Monti. E il premier? Questa sorta di novello ‘salvatore’ (…ma de che? direbbero a Roma? …) della patria, questa ‘eccellenza’ professorale chiamata al salvataggio del paese (…delle sue banche evidentemente…)? Non sembra proprio che abbia le carte in regola per ‘contarla’ ai soliti stolti italioti che vabbè siano dei fessi ma non fino al punto da credere ai miracoli in tempi di diffuso laicismo e più che diffuso scetticismo soprattutto tra e verso lorsignori della casta politico-economico-affaristico italiana. Giovanni Monti, figlio di….Mario, appare un manager rampante. A poco più di 20 anni è già – toh vedi un altro ‘caso’ – associato per il settore Investimenti bancari pressola GoldenSachs, la più potente merchant bank giudea statunitense nella quale il padre ha svolto il ruolo di international advisor per anni. Monti jr a 25 anni diventato consulente di direzione pressola Bain& Company dove rimane fino al 2001. Dal 2004 al 2009, cioè prima del suo approdo alla Parmalat (quella di Tanzi per capirci), Giovanni Monti ha lavorato prima al Citigroup quindi alla Morgan Stanley Bank , lo stesso istituto finanziario giudeo-americano a cui il padre ha liquidato qualcosa come 2 miliardi e mezzo di titoli derivati del Tesoro nel silenzio generale. Monti jr è stato responsabile delle acquisizioni e disinvestimenti presso il Citigroup mentre alla Morgan si è occupato di transazioni economiche sui mercati europei, vicino orientali e in Africa. Divertitevi voi a cercare i curriculum vitae di questi figli di….ministri. E questi sarebbero i ‘tecnici’ che dovrebbero risollevare le sorti del paese chiedendo sacrifici su sacrifici, imponendo tasse e balzelli, aumentando oneri e imposte, soffocando pensioni, distruggendo le imprese, provocando suicidi e morti per un lavoro che non c’è ecc. ecc.??? Questi sono nient’altro che gli incaricati dalla plutocrazia finanziaria internazionale di rovinare definitivamente un paese. Questa è la casta degli usurai. La Tecnocrazia familiare all’italiana perché…saranno pure tecnocrati ma anche loro – ‘poverini’ – “tengono famiglia”…. di Dagoberto Bellucci

20 maggio 2012

Soli nel mondo

L'idea di una grande Europa unita da una moneta in comune si profuse dalla consapevolezza che nel medio/lungo termine ogni nazione europea non avrebbe potuto competere da sola nel mondo, venendo schiacciata tra l'egemonia statunitense e la nuova locomotiva asiatica. Quando venne concepito l'euro pertanto ci si focalizzò solo su come difendersi e non su come attaccare con la logica che prevenire è meglio che curare. Oggi vediamo quotidianamente le conseguenze di questo modus operandi al tempo tanto razionale quanto folle. L'ansia continua che suscita la infinita vicenda greca (o tragedia nel vero senso del termine) ci porta a reagire con emotività respingendo sia l'idea di Europa unita che soprattutto la sua aberrante creatura. Tutti odiamo l'euro, per quello che ci ha provocato e per quello che ci sta facendo patire. Ricevo continuamente in questi giorni domande su che cosa e come ci si può proteggere nel qual caso si ritorni alla lira o nel qual caso la Grecia sia espulsa dall'Europa. Mi spiace dirvi che non esiste un safe heaven ovvero non esiste un cassetto sicuro: oro, immobili, governativi, valute estere, obbligazioni strutturate. Tutti inglobano una percentuale di rischio, tutti sono positivamente correlati: ad esempio l'oro dovrebbe essere già a 2.500 dollari l'oncia con quanto sta accadendo, invece sta continuamente correggendo dai massimi dello scorso anno (in questo momento quota 1550). Purtroppo da soli nel mondo non ci possiamo stare: né noi italiani, né i germanesi e né i greci, non parliamo dopo dei francesi. Sarebbe confortante ritornare e ripristinare la propria sovranità monetaria, ma temo che non sarà possibile a meno di un conflitto civile. L'establishment finanziario o per dire l'oligarchia finanziaria che ci ha imposto il commissariamento con Mario Monti non lo permetterà mai. Vedete dieci anni fa all'interno del G7 il peso delle economie occidentali arrivava a oltre il 75%, tra dieci anni sarà meno del 40% e questo deve rappresentare il dato principe per far capire che il mondo sta invertendo la polarità, ma non quella geomagnetica come ci vuole far credere il Calendario Maya, quanto piuttosto quella geoeconomica, con l'Asia che ritorna a riprendersi il ruolo che la storia millenaria gli ha sempre riconosciuto: quello di regina degli scambi e del commercio internazionale (pensiamo a Marco Polo). In questo prossimo contesto combattere da soli con una popolazione europea sempre più vecchia e con fonti di energia fossile ridicole significa perdere ancora prima di iniziare la competizione. Al momento la Grecia sta alimentando la teoria del “who is the next” ovvero chi sarà il prossimo se la repubblica ellenica se ne dovesse andare dall'Unione Europea: questa eventualità aprirebbe il peggio scenario per tutti noi europei, andando a minare quelle poche certezze che ancora diamo per scontato (risparmio, titoli di stato e pensioni). Oggi paghiamo sicuramente una discutibile fase di determinazione dei rapporti di cambio tra l'euro e le precedenti divise (qualcuno ci ha guadagnato e qualcun'altro ha comprato la vasellina), tuttavia l'errore sostanziale è stato commesso proprio da quasi tutti gli stati aderenti al progetto comunitario. Un errore sul piano istituzionale nella governance economica concretizzatosi in un ritardo continuo e vistoso nell'apportare quelle riforme atte a far metabolizzare con maggior consenso sia l'euro che la sua valenza. Le nazioni europee odiano l'euro, l'austerity che impone e i sacrifici che ne scaturiscono in quanto percepiscono il tutto come una grande supposta di antibiotico. Manca purtroppo, causa mediocrità e gelosia politica, tanto italiana, germanese, francese e greca, la capacità di vederlo ed usarlo anche come un formidabile coadiuvante multivitaminico. Nessuna forza politica ha mai puntato a far emergere le grandi potenzialità sia difensive che propulsive che potrebbe avere l'euro se opportunamente utilizzato come strumento di politica socioeconomica. di Eugenio Benetazzo

21 maggio 2012

JP Morgan: suona ancora la campana della crisi globale

La perdita della banca americana JP Morgan Chase di oltre 2 miliardi di dollari (ma si vocifera di buchi ben più grandi) in operazioni con derivati speculativi Otc fatte dal suo ufficio di Londra va vista e capita come l’inizio di una seconda e più pericolosa fase della crisi finanziaria globale. La JP Morgan è la più grande banca americana e mondiale. E’ quindi la number one nella lista delle “too big to fail” che sempre di più determinano la finanza e ricattano i governi fino a sottometterli ai propri voleri. E’ la number one mondiale anche nelle operazioni in derivati Otc e, secondo le ultime stime dell’ufficio del Comptroller of the Currency Usa, ne avrebbe in pancia più di 70 trilioni! Dal 2008 è stata uno dei maggiori ideatori e creatori di credit default sawps (cds) che hanno per mesi occupato le prime pagine di tutti i giornali soprattutto in relazione alla crisi dei debiti sovrani europei. Da anni è stata molto esposta a perdite sui cds. E’ sempre stata in prima fila anche nelle speculazioni sulle commodity, come il carbone e l’argento. Negli anni ottanta rischiò l’insolvenza e fu salvata con i fondi dello stato. La stessa cosa si ripeté nel 2009 quando ottenne 25 miliardi di dollari dal fondo di salvataggio pubblico TARP. Lo stesso anno, però, distribuì 8,69 miliardi di dollari in bonus ai propri manager. In questo periodo, prima di andare essa stessa in crisi, essa stranamente acquistò la quinta banca d’affari americana, la Bear Stearns, in fallimento. Si ricordi che le azioni di quest’ultima, che prima valevano sulla borsa di Wall Street 55 dollari, furono acquistate a 2. Non frattempo però la Fed si era accollata 30 miliardi di dollari in titoli inesigibili della Bear Stearns. L’operazione venne salutata come un grande servizio per la stabilità finanziaria degli Stati Uniti! In breve la JP Morgan insieme alla Goldman Sachs da anni partecipa al Treasury Borrowing Advisory Committee, che indirizza la politica finanziaria del governo. Nei passati 4 anni, forte di queste medaglie, ha guidato la lobby bancaria in operazioni di annacquamento e, diciamolo, di sabotaggio della riforma finanziaria Dodd-Frank voluta da Obama per cercare di mettere ordine nel sistema finanziario e bancario americano. I dirigenti della JP Morgan hanno sempre goduto della fama di operatori moderati sempre disponibili ad accettare la riforma del sistema. Il suo executive director, Jamie Dimon, il “golden boy” di Wall Street, è stato anche nel direttivo della Federal Reserve di New York nonostante fosse il maggior portavoce della deregulation! I mass media lo avevano finanche indicato come un possibile rimpiazzo di Timothy Geithner a capo del Tesoro americano. Che abbaglio! Ora le autorità indagano sul loro operato. Certo dopo alcune operazioni speculative andate male, alcuni dirigenti sono stati rimossi. Ma sono stati prontamente rimpiazzati da un vecchio pescecane della finanza, Matt Zames, già membro dell’ufficio esecutivo della JP Morgan, che nel suo curriculum ha il primo e più grande fallimento della storia di un hedge fund, quello del Long Term Capital Management che nel 1998, con un buco di circa 4 miliardi di dollari, aveva già portato il sistema finanziario vicino all’implosione. Tutto ciò ci dice che in questi anni di fatto non è cambiato proprio nulla. Vi sono stati soltanto i salvataggi fatti dagli Stati con i soldi pubblici e la concessione di liquidità alle banche ad un tasso di interesse vicino allo zero. Liquidità che viene poi usata per comprare titoli di stato invece di sostenere la crescita e lo sviluppo con nuovi crediti. In merito, la vicenda dei Fondi della Bce docet. Senza iattanza, come sosteniamo nel libro “I gattopardi di Wall Street” si dovrebbe realizzare una nuova Bretton Woods che organizzi una riforma fatta di regole, indirizzi e controlli dell’intero sistema finanziario e bancario internazionale. Deve essere un accordo tra i governi. Deve essere un’operazione guidata dagli Stati e non dalle agenzie finanziare preposte, siano esse il Financial Stability Board o il Fondo Monetario Internazionale. Secondo noi questo è il vero ruolo del G20 che finora non è stato svolto in quanto il mondo anglosassone e quello dell’Europa continentale hanno voluto giocare a fare i furbi. Si tratta di svolgere un ruolo politico e non tecnico e di una assunzione di responsabilità di fronte al mondo e alle esigenze dei cittadini, più che degli interessi delle banche. Occorre un vero “curatore fallimentare” per separare la finanza produttiva da quella speculativa ed eliminare la seconda con regole e azioni precise e sperimentate. Si deve reintrodurre ed estendere a tutti i mercati il sistema “Glass-Steagall” già voluto dal presidente Roosevelt per fronteggiare la crisi bancaria del ’29 che separa le banche commerciali da quelle di investimento, proibendo l’utilizzo dei soldi versati dai risparmiatori nei giochi speculativi. Occorre essere consapevoli che senza regole stringenti ed efficaci c’è solo l’aggravamento della crisi economica con i conseguenti scontri sociali e la disgregazione dei rapporti di collaborazione tra gli Stati nonché nuovi conflitti geopolitici. di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

Tecnocrazia familiare all'italiana

“…questa società senza-dio opera in modo estremamente efficiente, quantomeno ai suoi piani alti. Impiega qualunque possibile mezzo a sua disposizione, sia esso scientifico, tecnico, sociale o economico. Esercita un pressochè completo dominio nelle organizzazioni internazionali, sui circoli finanziari, nel campo delle comunicazioni di massa.” ( Padre Pedro Arupe – dell’Ordine dei Gesuiti, al Concilio Ecumenico del 17 dicembre 1965 )
Alcuni mesi fa il ministro del lavoro (che non c’è) Elsa Fornero aveva avuto la faccia tosta di prendersela con i giovani italiani che – a suo dire – rimanevano dei “mammoni” contenti di restare a casa anche fino a quarant’anni e senza un’occupazione. Ora già all’epoca qualcuno aveva sottolineato l’incongruenza di determinate dichiarazioni da parte di una esponente del governo dell’alta banca e della tecnocrazia sottolineando, prima di sparare simili cazzate (in un paese che sta letteralmente affondando nella merda, dove un giovane su tre non ha un’occupazione con punte che superano il 50 e passa per cento nelle regioni meridionali, dove più di otto milioni sono gli italiani che vivono al limite della soglia di povertà e almeno tre sono poveri tout court), di guardarsi in casa propria. Così venne fuori che Silvia Deaglio, figlia della ministra del lavoro e del giornalista Deaglio, già dall’età di 24 anni, mentre svolgeva un dottorato in Italia, ottenne l’incarico presso il giudaico Beth Israel Deaconess Medical Center ad Harvard, prestigioso e noto college di Harvard (USA). La figlia della ministra ha iniziato ad insegnare medicina a soli 30 anni, diventando associata presso l’Università di Torino sette anni più tardi con sei anni d’anticipo rispetto, vedi un po’ il ‘caso’, a quella che risulta essere la media d’accesso per questo ruolo. Il concorso lo vince a Chieti, nel 2010, alla facoltà di psicologia quindi l’approdo all’università piemontese dove insegnano, rivedi un po’ il ‘caso’, mamma e papà. Ma quello della figlia della ministra Fornero non sembra proprio essere un caso isolato all’interno del governo tecnocratico che sta affamando gli italiani, tassando i loro spiccioli e riducendo in miseria un intero paese. Michel Martone, figlio del ministro Antonio – avvocato della Cassazione e amico di Previti e Dell’Utri e già nominato dall’ex ministro Brunetta a presiedere l’authority degli scioperi ruolo dal quale fu costretto alle dimissioni dopo che il suo nome venne fatto nell’ambito dell’inchiesta sulla P3 – ha avuto una carriera universitaria particolarmente rapida: a 23 anni vince il dottorato all’Università di Modena, tre anni più tardi diventa ricercatore presso l’ateneo di Teramo, l’anno dopo è già professore associato. Al concorso, nel 2003, giunge secondo su due candidati dopo il ritiro degli altri sei. Presentò due monografie, una delle quali in edizione provvisoria (ossia non assimilabile): ottenne 4 voti favorevoli su 5 con il solo contrario di Franco Liso, contro i cinque positivi ottenuti invece dall’altra candidata 52enne con due lauree e oltre quaranta pubblicazione. Fu Martone ad ottenere il posto da ordinario. E a 37 anni è diventato viceministro dell’esecutivo Monti. E il premier? Questa sorta di novello ‘salvatore’ (…ma de che? direbbero a Roma? …) della patria, questa ‘eccellenza’ professorale chiamata al salvataggio del paese (…delle sue banche evidentemente…)? Non sembra proprio che abbia le carte in regola per ‘contarla’ ai soliti stolti italioti che vabbè siano dei fessi ma non fino al punto da credere ai miracoli in tempi di diffuso laicismo e più che diffuso scetticismo soprattutto tra e verso lorsignori della casta politico-economico-affaristico italiana. Giovanni Monti, figlio di….Mario, appare un manager rampante. A poco più di 20 anni è già – toh vedi un altro ‘caso’ – associato per il settore Investimenti bancari pressola GoldenSachs, la più potente merchant bank giudea statunitense nella quale il padre ha svolto il ruolo di international advisor per anni. Monti jr a 25 anni diventato consulente di direzione pressola Bain& Company dove rimane fino al 2001. Dal 2004 al 2009, cioè prima del suo approdo alla Parmalat (quella di Tanzi per capirci), Giovanni Monti ha lavorato prima al Citigroup quindi alla Morgan Stanley Bank , lo stesso istituto finanziario giudeo-americano a cui il padre ha liquidato qualcosa come 2 miliardi e mezzo di titoli derivati del Tesoro nel silenzio generale. Monti jr è stato responsabile delle acquisizioni e disinvestimenti presso il Citigroup mentre alla Morgan si è occupato di transazioni economiche sui mercati europei, vicino orientali e in Africa. Divertitevi voi a cercare i curriculum vitae di questi figli di….ministri. E questi sarebbero i ‘tecnici’ che dovrebbero risollevare le sorti del paese chiedendo sacrifici su sacrifici, imponendo tasse e balzelli, aumentando oneri e imposte, soffocando pensioni, distruggendo le imprese, provocando suicidi e morti per un lavoro che non c’è ecc. ecc.??? Questi sono nient’altro che gli incaricati dalla plutocrazia finanziaria internazionale di rovinare definitivamente un paese. Questa è la casta degli usurai. La Tecnocrazia familiare all’italiana perché…saranno pure tecnocrati ma anche loro – ‘poverini’ – “tengono famiglia”…. di Dagoberto Bellucci

20 maggio 2012

Soli nel mondo

L'idea di una grande Europa unita da una moneta in comune si profuse dalla consapevolezza che nel medio/lungo termine ogni nazione europea non avrebbe potuto competere da sola nel mondo, venendo schiacciata tra l'egemonia statunitense e la nuova locomotiva asiatica. Quando venne concepito l'euro pertanto ci si focalizzò solo su come difendersi e non su come attaccare con la logica che prevenire è meglio che curare. Oggi vediamo quotidianamente le conseguenze di questo modus operandi al tempo tanto razionale quanto folle. L'ansia continua che suscita la infinita vicenda greca (o tragedia nel vero senso del termine) ci porta a reagire con emotività respingendo sia l'idea di Europa unita che soprattutto la sua aberrante creatura. Tutti odiamo l'euro, per quello che ci ha provocato e per quello che ci sta facendo patire. Ricevo continuamente in questi giorni domande su che cosa e come ci si può proteggere nel qual caso si ritorni alla lira o nel qual caso la Grecia sia espulsa dall'Europa. Mi spiace dirvi che non esiste un safe heaven ovvero non esiste un cassetto sicuro: oro, immobili, governativi, valute estere, obbligazioni strutturate. Tutti inglobano una percentuale di rischio, tutti sono positivamente correlati: ad esempio l'oro dovrebbe essere già a 2.500 dollari l'oncia con quanto sta accadendo, invece sta continuamente correggendo dai massimi dello scorso anno (in questo momento quota 1550). Purtroppo da soli nel mondo non ci possiamo stare: né noi italiani, né i germanesi e né i greci, non parliamo dopo dei francesi. Sarebbe confortante ritornare e ripristinare la propria sovranità monetaria, ma temo che non sarà possibile a meno di un conflitto civile. L'establishment finanziario o per dire l'oligarchia finanziaria che ci ha imposto il commissariamento con Mario Monti non lo permetterà mai. Vedete dieci anni fa all'interno del G7 il peso delle economie occidentali arrivava a oltre il 75%, tra dieci anni sarà meno del 40% e questo deve rappresentare il dato principe per far capire che il mondo sta invertendo la polarità, ma non quella geomagnetica come ci vuole far credere il Calendario Maya, quanto piuttosto quella geoeconomica, con l'Asia che ritorna a riprendersi il ruolo che la storia millenaria gli ha sempre riconosciuto: quello di regina degli scambi e del commercio internazionale (pensiamo a Marco Polo). In questo prossimo contesto combattere da soli con una popolazione europea sempre più vecchia e con fonti di energia fossile ridicole significa perdere ancora prima di iniziare la competizione. Al momento la Grecia sta alimentando la teoria del “who is the next” ovvero chi sarà il prossimo se la repubblica ellenica se ne dovesse andare dall'Unione Europea: questa eventualità aprirebbe il peggio scenario per tutti noi europei, andando a minare quelle poche certezze che ancora diamo per scontato (risparmio, titoli di stato e pensioni). Oggi paghiamo sicuramente una discutibile fase di determinazione dei rapporti di cambio tra l'euro e le precedenti divise (qualcuno ci ha guadagnato e qualcun'altro ha comprato la vasellina), tuttavia l'errore sostanziale è stato commesso proprio da quasi tutti gli stati aderenti al progetto comunitario. Un errore sul piano istituzionale nella governance economica concretizzatosi in un ritardo continuo e vistoso nell'apportare quelle riforme atte a far metabolizzare con maggior consenso sia l'euro che la sua valenza. Le nazioni europee odiano l'euro, l'austerity che impone e i sacrifici che ne scaturiscono in quanto percepiscono il tutto come una grande supposta di antibiotico. Manca purtroppo, causa mediocrità e gelosia politica, tanto italiana, germanese, francese e greca, la capacità di vederlo ed usarlo anche come un formidabile coadiuvante multivitaminico. Nessuna forza politica ha mai puntato a far emergere le grandi potenzialità sia difensive che propulsive che potrebbe avere l'euro se opportunamente utilizzato come strumento di politica socioeconomica. di Eugenio Benetazzo