23 maggio 2012

“Le banche non ci aiutano”, a Parma i grillini puntano sulla moneta locale

Dopo la festa, a Parma ora i grillini devono fare i conti con un debito di 600 milioni di euro. Se le banche non sono disposte a rinegoziare, il piano B è l'Università Bocconi, dove due economisti eretici hanno messo a punto un progetto di valuta complementare all'euro. É questo l’asso che è pronto a giocarsi il neo sindaco Pizzarotti che ora corre il rischio che la Regione isoli la nuova Parma, lontanissima dalla filiera rossa Pci-Pds-Ds-Pd. PARMA- Non la smettono di frinire. La sbornia di Parma, dalle 17.15 di lunedì la Stalingrado grillina d’Italia, è durata tutta la notte tra bandiere e trombette. Nei bar di via Farini e nelle trattorie solo culatello e torta fritta. Gioia in versione Wi-Fi, cioè senza fili, con il quartier generale di Genova. «É l’alba della Terza repubblica», dice Federico Pizzarotti in versione Pifferaio di Hamelin inseguito dalla stampa di mezzo globo e accolto ovunque dagli osanna dei suoi ragazzi. «É la svolta», suggerisce un po’ scarmigliato Giovanni Favia, proconsole in Regione del Movimento Cinque Stelle. Adesso, però, viene il bello. O il brutto, dipende. Il partito anti-partito deve fare subito i conti con il debito monstre del Comune (600 milioni di euro, si calcola), con il profondo rosso del Teatro Regio (dai 7 ai 12 milioni) e con la penale (180 milioni) di Iren per rimettere nel cassetto un inceneritore fresco di pacca. Cifre – e grane padane - da capogiro per un municipio di nemmeno 200mila abitanti. É come un esame di maturità per un bambino che esce dalle elementari. E come si fa? Come dimostrare alle signore che si fermano in bici a raccomandarsi «di non far come gli altri» che qui il tempo delle battute è finito? Se è vero, come è vero, che le banche non sarebbero disposte a rinegoziare i debiti con i grillini perché non si fidano, c’è un piano B. B come Bocconi, «la casa degli orrori» per Beppe Grillo, il guru nominato pochissimo, tra un mare di piccoli distinguo, dal suo alfiere con la r arrotata. Parma potrebbe dotarsi di una propria «moneta». Sono in corso in queste ore i contatti (anzi le email, per usare il nuovo codice parmigian-grillista 2.0) tra lo staff di Pizzarotti e due economisti eretici dell’Università Bocconi: Massimo Amato, professore di storia economica e Luca Fantacci, docente di storia, istituzioni e crisi del sistema finanziario. La coppia di quarantenni ha messo a punto un progetto di valuta complementare all’euro. Secondo i grillini sarebbe un sistema di credito cooperativo tra aziende per rafforzare il tessuto locale. Un bonus per uscire dal «signoraggio», creando un sistema virtuoso di scambio, simile al baratto, per bypassare la stretta creditizia, senza più interessi privati. In realtà si tratta di un'idea ben più articolata. Comunque è questo l’asso che è pronto a giocarsi Pizzarotti, intenzionato a tirarsi su le maniche («Ma non come Bersani, sia chiaro!») per far fronte ai “buffi”. «Il Fede» non vorrebbe passare come il pianista del Titanic. Ovvio: questa dal punto di vista mediatico sarebbe una svolta clamorosa. Un esperimento, ma anche l’unica strada per smarcarsi dalla banche che guardano perplesse e preoccupate la svolta di sistema partita dalla città di Maria Luigia. Un modo per continuare a fare ancora più notizia, particolare che al parmigiano medio non dispiace affatto. Pizzarotti ancora non ne parla. Per il momento si è limitato a dire che «chiederemo il bilancio consolidato: partecipate più municipio». Di sicuro c’è che 1.300 dipendenti comunali rischiano di non vedersi accreditato lo stipendio il prossimo 10 giugno. Le strategie - che rivela Linkiesta – sono al vaglio dello staff di tecnici arrivati in soccorso del neo sindaco. Parma come Nantes in corso di sperimentazione, e non più come la piccola Parigi. Anche questo è un segno dei tempi che cambiano. Nella città della Loira, infatti, l'idea partita dalle aule dell’Università Bocconi è in corso di sperimentazione. Il sindaco di Nantes, Jean Marc Ayrault che ha promosso l'esperimento, è ora al governo. Favia non conferma e non smentisce. Piuttosto ragiona: «Vedremo se tutte le banche ci chiuderanno davvero i rubinetti. E poi vogliamo vedere i veri conti del Comune: le cifre girate in questi giorni sono state messe in giro anche per spaventare i cittadini, per delegittimarci, per dire che non avremmo avuto le capacità per fare fronte a questa situazione». Un altro timore, invece, arriva da Bologna. C’è il rischio che la Regione isoli la nuova Parma, lontanissima dalla filiera rossa Pci-Pds-Ds-Pd , ma anche dal civismo di centrodestra che puntella il resto del territorio. Per questo Favia annuncia che, come consigliere regionale, sarà «il doberman» di Pizzarotti per fare in modo che la città ducale non rimanga fuori dai finanziamenti pubblici. Insomma – tra scene di giubilo e stordimento collettivo – comincia a delinearsi la faccia del grillismo adulto e responsabile. «Niente vaffa» ma solo «calcolatrice alla mano». Proprio come le persone normali «così lontane dalla casta che costa» e «da Roma», come il «Pizza» chiama il Governo centrale in maniera un po’ proto-leghista. Il baratro d’altronde è lì. Tutto sta a saltarlo per allontanare l’ombra di nuovo commissariamento. Auguri. di Simone Canettieri

22 maggio 2012

Monti è un esponente dei club finanziari che hanno eroso la libertà delle singole nazioni

I partiti politici non hanno superato, com’era del resto ampiamente prevedibile, la prova delle elezioni amministrative. Sconfitte diverse, ma tutte nette e definitive. Il Popolo delle Libertà è stato semplicemente ignorato. Con il suo leader in vacanza in Russia, la sua classe politica si è guardata allo specchio, scoprendo di non essere mai esistita. E comunque il famoso “patto con gli italiani” è rimasto in larga parte lettera morta. Il Terzo Polo, formato in larga parte da “traditori” degli altri due poli, è abortito ancora prima di nascere. La Lega Nord, da parte sua, persa in un modo così brutale la propria verginità, si è arroccata nei propri storici quadrilateri del veronese, che la tengono sì in vita, ma in stato di coma vegetativo permanente. Il Partito Democratico pensa di vivere nel migliore dei mondi possibili, come il Candido di Voltaire: di fronte al terremoto, si consola sostenendo che una sconfitta limitata - con la perdita di circa il 2% delle preferenze - equivale ad una vittoria. Dulcis in fundo: un italiano su tre non è neppure andato a votare e questo rende difficile pensare che qualcuno, compresi i grillini, abbia davvero vinto. Nessuno dei partiti italiani ha conquistato i milioni di voti degli elettori: sono voti che lasciano una sensazione di vuoto: quasi la metà del corpo elettorale non si riconosce più nei partiti. Politica assente - Questo è il dato fondamentale che emerge dalla tornata elettorale: non ci sono forze politiche che rappresentano i bisogni materiali e spirituali autentici degli italiani. Il presunto successo dei grillini ne costituisce la controprova. Il cosiddetto “voto di protesta” è un ibrido tra il non-voto e la reazione “luddista”, ma è in ogni caso quanto di più politicamente innocuo e neutrale possa esserci: è la valvola di sfogo che il regime concede. Questo dissenso non è contro, ma a servizio dell’autorità: quello dei grillini rappresenta esattamente la percentuale di “no” di cui il governo tecnico di Monti ha bisogno per continuare a sostenere un presunto “stato d’eccezione” nel Paese, per continuare a legittimarsi come l’unica forma d’autorità in grado di prendere il posto dei partiti politici. Supplizio prolungato? - E c’è chi già si è spinto a scommettere sulla possibilità di prolungare quel mandato anche dopo le elezioni. Come già osservava Ernst Jünger, «tracciando la sua croce in quel punto rischioso, il nostro elettore ha fatto esattamente ciò che il suo potentissimo nemico si aspettava da lui». Così l’esercizio del diritto di voto crea artificiose maggioranze e minoranze che non rispecchiano più in alcun modo la realtà. Vince Monti - Possibile che nessuno abbia capito che il vincitore di queste elezioni è uno solo, che ha conquistato tutti i voti, l’unanimità, che è davvero riuscito a trasformare un’elezione democratica in un plebiscito a suo favore? Il governo Monti. A rafforzare l’unanimità, la “coesione nazionale”, sembra che sia giunta l’ondata di terrorismo degli ultimi giorni. Il classico specchietto per le allodole, se non avesse dietro di sé già una lunga striscia di sangue. La minaccia terroristica, nella storia di questo Paese, prelude sempre alle retoriche dei governi di unità e solidarietà nazionale, di fatto alla neutralizzazione della critica politica ed alla repressione di ogni forma di dissenso. Il finto plebiscito - Tutto ciò crea una finta atmosfera da plebiscito a favore del governo Monti. Nel voto, sono stati occultati e rovesciati i bisogni reali degli italiani. Nemmeno un singolo “no” ha potuto esprimere ciò che avrebbe davvero voluto dire, ossia che gli italiani - come i greci del resto - ne hanno le palle piene dell’euro e dell’Europa, sono stufi di politiche ed economie che stanno portando alla miseria intere popolazioni. La moneta unica è stata fondata sull’espropriazione della sovranità dei popoli europei da parte di un potere invisibile, ma non per questo meno reale, di banchieri e finanzieri appartenenti ad esclusivi clubs e gruppi di decisione e pressione, rappresentato, in Italia, prima da Ciampi e Prodi, e ora da Monti e Draghi. A partire dal Trattato di Maastricht (1992), il quale istituì l’Unione Europea fondata sui cosiddetti “tre pilastri” (le Comunità europee, la politica estera e di sicurezza comune, la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale), gli Stati hanno visto costantemente ridotte le proprie libertà e sottratti i propri poteri. Il Trattato di Amsterdam (1997) ha determinato poi l’espropriazione del settore della giustizia e degli affari interni, quello di Nizza (2001) ha portato a compimento l’immagine dell’Unione come “Comunità di diritto”, infine, il Trattato di Lisbona (2007) ha abolito i “pilastri” e si è presentato come una sostanziale “Costituzione dell’Europa”, nonostante proprio contro un’idea di costituzione europea si erano espressi i popoli europei, con il referendum tenuto in Francia e nei Paesi Bassi nel 2005.Si può uscire da questa situazione? Certo, liberandosi d’un colpo di questa doppia divinità malvagia: l’euro e l’Europa. Confini perduti - Occorre l’immediato ripristino dei nostri confini nazionali, divenuti puri concetti geografici dopo gli accordi di Schengen, integrati a partire dal 1997 nelle strutture comunitarie. Nello “spazio Schengen” le frontiere esistono ancora solo come linee geometriche, prive di ogni rilevanza politica, del loro essere segno visibile della sovranità di ciascuno Stato. Lo Stato italiano cominci intanto a riprendersi la propria sovranità sul suo territorio nazionale. Occorre, inoltre, la fine di questo sistema parassitario ed usuraio di economia monetaria e finanziaria. Sono gli Stati ad essere i creditori dell’Europa, sono i popoli che anticipano ai banchieri il capitale di cui essi hanno bisogno, e soltanto con un gioco di prestigio questi stessi popoli e Stati ne divengono improvvisamente i debitori costantemente insolventi. Non c’è nessuna trattativa da intraprendere con i banchieri di Bruxelles. Il Trattato di Lisbona, all’art. 50, ha inventato un complicato congegno di «recesso dall’Unione»: lo Stato membro che decide di uscire dall’Europa, dovrebbe notificare la propria intenzione al Consiglio Europeo, e negoziare poi direttamente con l’Unione un accordo «volto a definire le modalità del recesso». Ma la denuncia dei trattati non si negozia, è una decisione del popolo sovrano che, una volta presa, si limita ad essere notificata alle altre parti. Non abbiamo bisogno né di revisioni né di accordi di recesso dai trattati, ma soltanto del loro stralcio. Un nuovo ordine politico a livello europeo è difficile da vedere, ma l’Europa dei banchieri è in agonia, bisogna avere il coraggio di darle il colpo di grazia. di Paolo Becchi Ordinario di Filosofia del diritto all'Università degli studi di Genova

21 maggio 2012

JP Morgan: suona ancora la campana della crisi globale

La perdita della banca americana JP Morgan Chase di oltre 2 miliardi di dollari (ma si vocifera di buchi ben più grandi) in operazioni con derivati speculativi Otc fatte dal suo ufficio di Londra va vista e capita come l’inizio di una seconda e più pericolosa fase della crisi finanziaria globale. La JP Morgan è la più grande banca americana e mondiale. E’ quindi la number one nella lista delle “too big to fail” che sempre di più determinano la finanza e ricattano i governi fino a sottometterli ai propri voleri. E’ la number one mondiale anche nelle operazioni in derivati Otc e, secondo le ultime stime dell’ufficio del Comptroller of the Currency Usa, ne avrebbe in pancia più di 70 trilioni! Dal 2008 è stata uno dei maggiori ideatori e creatori di credit default sawps (cds) che hanno per mesi occupato le prime pagine di tutti i giornali soprattutto in relazione alla crisi dei debiti sovrani europei. Da anni è stata molto esposta a perdite sui cds. E’ sempre stata in prima fila anche nelle speculazioni sulle commodity, come il carbone e l’argento. Negli anni ottanta rischiò l’insolvenza e fu salvata con i fondi dello stato. La stessa cosa si ripeté nel 2009 quando ottenne 25 miliardi di dollari dal fondo di salvataggio pubblico TARP. Lo stesso anno, però, distribuì 8,69 miliardi di dollari in bonus ai propri manager. In questo periodo, prima di andare essa stessa in crisi, essa stranamente acquistò la quinta banca d’affari americana, la Bear Stearns, in fallimento. Si ricordi che le azioni di quest’ultima, che prima valevano sulla borsa di Wall Street 55 dollari, furono acquistate a 2. Non frattempo però la Fed si era accollata 30 miliardi di dollari in titoli inesigibili della Bear Stearns. L’operazione venne salutata come un grande servizio per la stabilità finanziaria degli Stati Uniti! In breve la JP Morgan insieme alla Goldman Sachs da anni partecipa al Treasury Borrowing Advisory Committee, che indirizza la politica finanziaria del governo. Nei passati 4 anni, forte di queste medaglie, ha guidato la lobby bancaria in operazioni di annacquamento e, diciamolo, di sabotaggio della riforma finanziaria Dodd-Frank voluta da Obama per cercare di mettere ordine nel sistema finanziario e bancario americano. I dirigenti della JP Morgan hanno sempre goduto della fama di operatori moderati sempre disponibili ad accettare la riforma del sistema. Il suo executive director, Jamie Dimon, il “golden boy” di Wall Street, è stato anche nel direttivo della Federal Reserve di New York nonostante fosse il maggior portavoce della deregulation! I mass media lo avevano finanche indicato come un possibile rimpiazzo di Timothy Geithner a capo del Tesoro americano. Che abbaglio! Ora le autorità indagano sul loro operato. Certo dopo alcune operazioni speculative andate male, alcuni dirigenti sono stati rimossi. Ma sono stati prontamente rimpiazzati da un vecchio pescecane della finanza, Matt Zames, già membro dell’ufficio esecutivo della JP Morgan, che nel suo curriculum ha il primo e più grande fallimento della storia di un hedge fund, quello del Long Term Capital Management che nel 1998, con un buco di circa 4 miliardi di dollari, aveva già portato il sistema finanziario vicino all’implosione. Tutto ciò ci dice che in questi anni di fatto non è cambiato proprio nulla. Vi sono stati soltanto i salvataggi fatti dagli Stati con i soldi pubblici e la concessione di liquidità alle banche ad un tasso di interesse vicino allo zero. Liquidità che viene poi usata per comprare titoli di stato invece di sostenere la crescita e lo sviluppo con nuovi crediti. In merito, la vicenda dei Fondi della Bce docet. Senza iattanza, come sosteniamo nel libro “I gattopardi di Wall Street” si dovrebbe realizzare una nuova Bretton Woods che organizzi una riforma fatta di regole, indirizzi e controlli dell’intero sistema finanziario e bancario internazionale. Deve essere un accordo tra i governi. Deve essere un’operazione guidata dagli Stati e non dalle agenzie finanziare preposte, siano esse il Financial Stability Board o il Fondo Monetario Internazionale. Secondo noi questo è il vero ruolo del G20 che finora non è stato svolto in quanto il mondo anglosassone e quello dell’Europa continentale hanno voluto giocare a fare i furbi. Si tratta di svolgere un ruolo politico e non tecnico e di una assunzione di responsabilità di fronte al mondo e alle esigenze dei cittadini, più che degli interessi delle banche. Occorre un vero “curatore fallimentare” per separare la finanza produttiva da quella speculativa ed eliminare la seconda con regole e azioni precise e sperimentate. Si deve reintrodurre ed estendere a tutti i mercati il sistema “Glass-Steagall” già voluto dal presidente Roosevelt per fronteggiare la crisi bancaria del ’29 che separa le banche commerciali da quelle di investimento, proibendo l’utilizzo dei soldi versati dai risparmiatori nei giochi speculativi. Occorre essere consapevoli che senza regole stringenti ed efficaci c’è solo l’aggravamento della crisi economica con i conseguenti scontri sociali e la disgregazione dei rapporti di collaborazione tra gli Stati nonché nuovi conflitti geopolitici. di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

23 maggio 2012

“Le banche non ci aiutano”, a Parma i grillini puntano sulla moneta locale

Dopo la festa, a Parma ora i grillini devono fare i conti con un debito di 600 milioni di euro. Se le banche non sono disposte a rinegoziare, il piano B è l'Università Bocconi, dove due economisti eretici hanno messo a punto un progetto di valuta complementare all'euro. É questo l’asso che è pronto a giocarsi il neo sindaco Pizzarotti che ora corre il rischio che la Regione isoli la nuova Parma, lontanissima dalla filiera rossa Pci-Pds-Ds-Pd. PARMA- Non la smettono di frinire. La sbornia di Parma, dalle 17.15 di lunedì la Stalingrado grillina d’Italia, è durata tutta la notte tra bandiere e trombette. Nei bar di via Farini e nelle trattorie solo culatello e torta fritta. Gioia in versione Wi-Fi, cioè senza fili, con il quartier generale di Genova. «É l’alba della Terza repubblica», dice Federico Pizzarotti in versione Pifferaio di Hamelin inseguito dalla stampa di mezzo globo e accolto ovunque dagli osanna dei suoi ragazzi. «É la svolta», suggerisce un po’ scarmigliato Giovanni Favia, proconsole in Regione del Movimento Cinque Stelle. Adesso, però, viene il bello. O il brutto, dipende. Il partito anti-partito deve fare subito i conti con il debito monstre del Comune (600 milioni di euro, si calcola), con il profondo rosso del Teatro Regio (dai 7 ai 12 milioni) e con la penale (180 milioni) di Iren per rimettere nel cassetto un inceneritore fresco di pacca. Cifre – e grane padane - da capogiro per un municipio di nemmeno 200mila abitanti. É come un esame di maturità per un bambino che esce dalle elementari. E come si fa? Come dimostrare alle signore che si fermano in bici a raccomandarsi «di non far come gli altri» che qui il tempo delle battute è finito? Se è vero, come è vero, che le banche non sarebbero disposte a rinegoziare i debiti con i grillini perché non si fidano, c’è un piano B. B come Bocconi, «la casa degli orrori» per Beppe Grillo, il guru nominato pochissimo, tra un mare di piccoli distinguo, dal suo alfiere con la r arrotata. Parma potrebbe dotarsi di una propria «moneta». Sono in corso in queste ore i contatti (anzi le email, per usare il nuovo codice parmigian-grillista 2.0) tra lo staff di Pizzarotti e due economisti eretici dell’Università Bocconi: Massimo Amato, professore di storia economica e Luca Fantacci, docente di storia, istituzioni e crisi del sistema finanziario. La coppia di quarantenni ha messo a punto un progetto di valuta complementare all’euro. Secondo i grillini sarebbe un sistema di credito cooperativo tra aziende per rafforzare il tessuto locale. Un bonus per uscire dal «signoraggio», creando un sistema virtuoso di scambio, simile al baratto, per bypassare la stretta creditizia, senza più interessi privati. In realtà si tratta di un'idea ben più articolata. Comunque è questo l’asso che è pronto a giocarsi Pizzarotti, intenzionato a tirarsi su le maniche («Ma non come Bersani, sia chiaro!») per far fronte ai “buffi”. «Il Fede» non vorrebbe passare come il pianista del Titanic. Ovvio: questa dal punto di vista mediatico sarebbe una svolta clamorosa. Un esperimento, ma anche l’unica strada per smarcarsi dalla banche che guardano perplesse e preoccupate la svolta di sistema partita dalla città di Maria Luigia. Un modo per continuare a fare ancora più notizia, particolare che al parmigiano medio non dispiace affatto. Pizzarotti ancora non ne parla. Per il momento si è limitato a dire che «chiederemo il bilancio consolidato: partecipate più municipio». Di sicuro c’è che 1.300 dipendenti comunali rischiano di non vedersi accreditato lo stipendio il prossimo 10 giugno. Le strategie - che rivela Linkiesta – sono al vaglio dello staff di tecnici arrivati in soccorso del neo sindaco. Parma come Nantes in corso di sperimentazione, e non più come la piccola Parigi. Anche questo è un segno dei tempi che cambiano. Nella città della Loira, infatti, l'idea partita dalle aule dell’Università Bocconi è in corso di sperimentazione. Il sindaco di Nantes, Jean Marc Ayrault che ha promosso l'esperimento, è ora al governo. Favia non conferma e non smentisce. Piuttosto ragiona: «Vedremo se tutte le banche ci chiuderanno davvero i rubinetti. E poi vogliamo vedere i veri conti del Comune: le cifre girate in questi giorni sono state messe in giro anche per spaventare i cittadini, per delegittimarci, per dire che non avremmo avuto le capacità per fare fronte a questa situazione». Un altro timore, invece, arriva da Bologna. C’è il rischio che la Regione isoli la nuova Parma, lontanissima dalla filiera rossa Pci-Pds-Ds-Pd , ma anche dal civismo di centrodestra che puntella il resto del territorio. Per questo Favia annuncia che, come consigliere regionale, sarà «il doberman» di Pizzarotti per fare in modo che la città ducale non rimanga fuori dai finanziamenti pubblici. Insomma – tra scene di giubilo e stordimento collettivo – comincia a delinearsi la faccia del grillismo adulto e responsabile. «Niente vaffa» ma solo «calcolatrice alla mano». Proprio come le persone normali «così lontane dalla casta che costa» e «da Roma», come il «Pizza» chiama il Governo centrale in maniera un po’ proto-leghista. Il baratro d’altronde è lì. Tutto sta a saltarlo per allontanare l’ombra di nuovo commissariamento. Auguri. di Simone Canettieri

22 maggio 2012

Monti è un esponente dei club finanziari che hanno eroso la libertà delle singole nazioni

I partiti politici non hanno superato, com’era del resto ampiamente prevedibile, la prova delle elezioni amministrative. Sconfitte diverse, ma tutte nette e definitive. Il Popolo delle Libertà è stato semplicemente ignorato. Con il suo leader in vacanza in Russia, la sua classe politica si è guardata allo specchio, scoprendo di non essere mai esistita. E comunque il famoso “patto con gli italiani” è rimasto in larga parte lettera morta. Il Terzo Polo, formato in larga parte da “traditori” degli altri due poli, è abortito ancora prima di nascere. La Lega Nord, da parte sua, persa in un modo così brutale la propria verginità, si è arroccata nei propri storici quadrilateri del veronese, che la tengono sì in vita, ma in stato di coma vegetativo permanente. Il Partito Democratico pensa di vivere nel migliore dei mondi possibili, come il Candido di Voltaire: di fronte al terremoto, si consola sostenendo che una sconfitta limitata - con la perdita di circa il 2% delle preferenze - equivale ad una vittoria. Dulcis in fundo: un italiano su tre non è neppure andato a votare e questo rende difficile pensare che qualcuno, compresi i grillini, abbia davvero vinto. Nessuno dei partiti italiani ha conquistato i milioni di voti degli elettori: sono voti che lasciano una sensazione di vuoto: quasi la metà del corpo elettorale non si riconosce più nei partiti. Politica assente - Questo è il dato fondamentale che emerge dalla tornata elettorale: non ci sono forze politiche che rappresentano i bisogni materiali e spirituali autentici degli italiani. Il presunto successo dei grillini ne costituisce la controprova. Il cosiddetto “voto di protesta” è un ibrido tra il non-voto e la reazione “luddista”, ma è in ogni caso quanto di più politicamente innocuo e neutrale possa esserci: è la valvola di sfogo che il regime concede. Questo dissenso non è contro, ma a servizio dell’autorità: quello dei grillini rappresenta esattamente la percentuale di “no” di cui il governo tecnico di Monti ha bisogno per continuare a sostenere un presunto “stato d’eccezione” nel Paese, per continuare a legittimarsi come l’unica forma d’autorità in grado di prendere il posto dei partiti politici. Supplizio prolungato? - E c’è chi già si è spinto a scommettere sulla possibilità di prolungare quel mandato anche dopo le elezioni. Come già osservava Ernst Jünger, «tracciando la sua croce in quel punto rischioso, il nostro elettore ha fatto esattamente ciò che il suo potentissimo nemico si aspettava da lui». Così l’esercizio del diritto di voto crea artificiose maggioranze e minoranze che non rispecchiano più in alcun modo la realtà. Vince Monti - Possibile che nessuno abbia capito che il vincitore di queste elezioni è uno solo, che ha conquistato tutti i voti, l’unanimità, che è davvero riuscito a trasformare un’elezione democratica in un plebiscito a suo favore? Il governo Monti. A rafforzare l’unanimità, la “coesione nazionale”, sembra che sia giunta l’ondata di terrorismo degli ultimi giorni. Il classico specchietto per le allodole, se non avesse dietro di sé già una lunga striscia di sangue. La minaccia terroristica, nella storia di questo Paese, prelude sempre alle retoriche dei governi di unità e solidarietà nazionale, di fatto alla neutralizzazione della critica politica ed alla repressione di ogni forma di dissenso. Il finto plebiscito - Tutto ciò crea una finta atmosfera da plebiscito a favore del governo Monti. Nel voto, sono stati occultati e rovesciati i bisogni reali degli italiani. Nemmeno un singolo “no” ha potuto esprimere ciò che avrebbe davvero voluto dire, ossia che gli italiani - come i greci del resto - ne hanno le palle piene dell’euro e dell’Europa, sono stufi di politiche ed economie che stanno portando alla miseria intere popolazioni. La moneta unica è stata fondata sull’espropriazione della sovranità dei popoli europei da parte di un potere invisibile, ma non per questo meno reale, di banchieri e finanzieri appartenenti ad esclusivi clubs e gruppi di decisione e pressione, rappresentato, in Italia, prima da Ciampi e Prodi, e ora da Monti e Draghi. A partire dal Trattato di Maastricht (1992), il quale istituì l’Unione Europea fondata sui cosiddetti “tre pilastri” (le Comunità europee, la politica estera e di sicurezza comune, la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale), gli Stati hanno visto costantemente ridotte le proprie libertà e sottratti i propri poteri. Il Trattato di Amsterdam (1997) ha determinato poi l’espropriazione del settore della giustizia e degli affari interni, quello di Nizza (2001) ha portato a compimento l’immagine dell’Unione come “Comunità di diritto”, infine, il Trattato di Lisbona (2007) ha abolito i “pilastri” e si è presentato come una sostanziale “Costituzione dell’Europa”, nonostante proprio contro un’idea di costituzione europea si erano espressi i popoli europei, con il referendum tenuto in Francia e nei Paesi Bassi nel 2005.Si può uscire da questa situazione? Certo, liberandosi d’un colpo di questa doppia divinità malvagia: l’euro e l’Europa. Confini perduti - Occorre l’immediato ripristino dei nostri confini nazionali, divenuti puri concetti geografici dopo gli accordi di Schengen, integrati a partire dal 1997 nelle strutture comunitarie. Nello “spazio Schengen” le frontiere esistono ancora solo come linee geometriche, prive di ogni rilevanza politica, del loro essere segno visibile della sovranità di ciascuno Stato. Lo Stato italiano cominci intanto a riprendersi la propria sovranità sul suo territorio nazionale. Occorre, inoltre, la fine di questo sistema parassitario ed usuraio di economia monetaria e finanziaria. Sono gli Stati ad essere i creditori dell’Europa, sono i popoli che anticipano ai banchieri il capitale di cui essi hanno bisogno, e soltanto con un gioco di prestigio questi stessi popoli e Stati ne divengono improvvisamente i debitori costantemente insolventi. Non c’è nessuna trattativa da intraprendere con i banchieri di Bruxelles. Il Trattato di Lisbona, all’art. 50, ha inventato un complicato congegno di «recesso dall’Unione»: lo Stato membro che decide di uscire dall’Europa, dovrebbe notificare la propria intenzione al Consiglio Europeo, e negoziare poi direttamente con l’Unione un accordo «volto a definire le modalità del recesso». Ma la denuncia dei trattati non si negozia, è una decisione del popolo sovrano che, una volta presa, si limita ad essere notificata alle altre parti. Non abbiamo bisogno né di revisioni né di accordi di recesso dai trattati, ma soltanto del loro stralcio. Un nuovo ordine politico a livello europeo è difficile da vedere, ma l’Europa dei banchieri è in agonia, bisogna avere il coraggio di darle il colpo di grazia. di Paolo Becchi Ordinario di Filosofia del diritto all'Università degli studi di Genova

21 maggio 2012

JP Morgan: suona ancora la campana della crisi globale

La perdita della banca americana JP Morgan Chase di oltre 2 miliardi di dollari (ma si vocifera di buchi ben più grandi) in operazioni con derivati speculativi Otc fatte dal suo ufficio di Londra va vista e capita come l’inizio di una seconda e più pericolosa fase della crisi finanziaria globale. La JP Morgan è la più grande banca americana e mondiale. E’ quindi la number one nella lista delle “too big to fail” che sempre di più determinano la finanza e ricattano i governi fino a sottometterli ai propri voleri. E’ la number one mondiale anche nelle operazioni in derivati Otc e, secondo le ultime stime dell’ufficio del Comptroller of the Currency Usa, ne avrebbe in pancia più di 70 trilioni! Dal 2008 è stata uno dei maggiori ideatori e creatori di credit default sawps (cds) che hanno per mesi occupato le prime pagine di tutti i giornali soprattutto in relazione alla crisi dei debiti sovrani europei. Da anni è stata molto esposta a perdite sui cds. E’ sempre stata in prima fila anche nelle speculazioni sulle commodity, come il carbone e l’argento. Negli anni ottanta rischiò l’insolvenza e fu salvata con i fondi dello stato. La stessa cosa si ripeté nel 2009 quando ottenne 25 miliardi di dollari dal fondo di salvataggio pubblico TARP. Lo stesso anno, però, distribuì 8,69 miliardi di dollari in bonus ai propri manager. In questo periodo, prima di andare essa stessa in crisi, essa stranamente acquistò la quinta banca d’affari americana, la Bear Stearns, in fallimento. Si ricordi che le azioni di quest’ultima, che prima valevano sulla borsa di Wall Street 55 dollari, furono acquistate a 2. Non frattempo però la Fed si era accollata 30 miliardi di dollari in titoli inesigibili della Bear Stearns. L’operazione venne salutata come un grande servizio per la stabilità finanziaria degli Stati Uniti! In breve la JP Morgan insieme alla Goldman Sachs da anni partecipa al Treasury Borrowing Advisory Committee, che indirizza la politica finanziaria del governo. Nei passati 4 anni, forte di queste medaglie, ha guidato la lobby bancaria in operazioni di annacquamento e, diciamolo, di sabotaggio della riforma finanziaria Dodd-Frank voluta da Obama per cercare di mettere ordine nel sistema finanziario e bancario americano. I dirigenti della JP Morgan hanno sempre goduto della fama di operatori moderati sempre disponibili ad accettare la riforma del sistema. Il suo executive director, Jamie Dimon, il “golden boy” di Wall Street, è stato anche nel direttivo della Federal Reserve di New York nonostante fosse il maggior portavoce della deregulation! I mass media lo avevano finanche indicato come un possibile rimpiazzo di Timothy Geithner a capo del Tesoro americano. Che abbaglio! Ora le autorità indagano sul loro operato. Certo dopo alcune operazioni speculative andate male, alcuni dirigenti sono stati rimossi. Ma sono stati prontamente rimpiazzati da un vecchio pescecane della finanza, Matt Zames, già membro dell’ufficio esecutivo della JP Morgan, che nel suo curriculum ha il primo e più grande fallimento della storia di un hedge fund, quello del Long Term Capital Management che nel 1998, con un buco di circa 4 miliardi di dollari, aveva già portato il sistema finanziario vicino all’implosione. Tutto ciò ci dice che in questi anni di fatto non è cambiato proprio nulla. Vi sono stati soltanto i salvataggi fatti dagli Stati con i soldi pubblici e la concessione di liquidità alle banche ad un tasso di interesse vicino allo zero. Liquidità che viene poi usata per comprare titoli di stato invece di sostenere la crescita e lo sviluppo con nuovi crediti. In merito, la vicenda dei Fondi della Bce docet. Senza iattanza, come sosteniamo nel libro “I gattopardi di Wall Street” si dovrebbe realizzare una nuova Bretton Woods che organizzi una riforma fatta di regole, indirizzi e controlli dell’intero sistema finanziario e bancario internazionale. Deve essere un accordo tra i governi. Deve essere un’operazione guidata dagli Stati e non dalle agenzie finanziare preposte, siano esse il Financial Stability Board o il Fondo Monetario Internazionale. Secondo noi questo è il vero ruolo del G20 che finora non è stato svolto in quanto il mondo anglosassone e quello dell’Europa continentale hanno voluto giocare a fare i furbi. Si tratta di svolgere un ruolo politico e non tecnico e di una assunzione di responsabilità di fronte al mondo e alle esigenze dei cittadini, più che degli interessi delle banche. Occorre un vero “curatore fallimentare” per separare la finanza produttiva da quella speculativa ed eliminare la seconda con regole e azioni precise e sperimentate. Si deve reintrodurre ed estendere a tutti i mercati il sistema “Glass-Steagall” già voluto dal presidente Roosevelt per fronteggiare la crisi bancaria del ’29 che separa le banche commerciali da quelle di investimento, proibendo l’utilizzo dei soldi versati dai risparmiatori nei giochi speculativi. Occorre essere consapevoli che senza regole stringenti ed efficaci c’è solo l’aggravamento della crisi economica con i conseguenti scontri sociali e la disgregazione dei rapporti di collaborazione tra gli Stati nonché nuovi conflitti geopolitici. di Mario Lettieri e Paolo Raimondi