31 maggio 2012

Biagi: un sistema multiparametrico europeo può già prevedere i terremoti

Una rete di 50 ricevitori terrestri e una decina di satelliti su orbita geostazionaria sarebbe sufficiente, con un centro multiparametrico, a prevedere con un 'accuratezza del 90% i terremoti di magnitudo 6 della scala Richter nell'intera regione sismica europea, con dieci giorni di anticipo, ha dichiarato il fisico Pier Francesco Biagi all'EIR. Ad esempio, un gruppo di sismologi di Trieste aveva previsto, con uno studio statistico, l'area esatta del terremoto che ha colpito la zona tra Modena e Ferrara il 20 maggio. Data la natura del metodo impiegato, i ricercatori non potevano indicare la data precisa, ma solo una finestra di parecchi mesi che allo scopo delle previsioni non serve a niente. Tuttavia, combinando quel lavoro con altre osservazioni sperimentali sul terreno e nell'atmosfera, sarebbe stata possibile una previsione accurata. Nel contesto di un tale approccio multiparametrico, il risultato di Trieste è stato "eccellente", ha detto Biagi. Il monitoraggio non si fa a causa della mentalità sbagliata. Eppure, un sisma di magnitudo 9, come quello giapponese del 2011, "è prevedibile". Il team di Biagi ha elaborato una nuova mappa dei precursori del terremoto giapponese, usando dati da 1280 ricevitori GPS. I segnali sono estremamente chiari. Biagi ha potuto costruire una rete di 14 ricevitori interamente con finanziamenti privati organizzati personalmente. Questa rete ha prodotto risultati notevoli, ma c'è bisogno di un centro multiparametrico. Per coprire l'intera area sismica europea sarebbero sufficienti 50 ricevitori, mentre precursori molto importanti, come la variazione chimica dell'atmosfera, devono essere osservati dai satelliti. Circa 10 nano-satelliti, non più costosi di un milione di euro ciascuno, sarebbero sufficienti. Come esempio del problema, che è di natura politico/ideologica/culturale, Biagi ha riferito che la domanda di finanziamenti per un progetto per valutare accuratamente le variazioni di emissioni di radon, un importante precursore, è stata rifiutata dal ministero della Ricerca Scientifica. by Movisol

30 maggio 2012

G8

Secondo i mass-media sempre impegnatissimi nell' acritico sostegno al governo dei tecnocrati, l'appena concluso G8 di Camp David è stato un successo sia in termini generali sia per l'Italia, che ha riacquistato il posto che le compete in Europa e nel mondo. Il merito di questo recupero viene equamente suddiviso fra Mario Monti e Barack Obama col supporto della new entry francese François Hollande. A conferma vengono citate le parole del caro leader, che ha evidenziato la ''convergenza molto forte'' con Hollande e il ruolo svolto da Obama nel creare le condizioni per un dibattito costruttivo, grazie a discussioni fatte intorno al caminetto che contribuiscono a creare un clima informale diverso da quello dei vertici europei, ''ingessati, e non sempre positivi''. Pressoché solitaria voce dissenziente quella di Massimo Fini, che si azzarda a ricordare vicende non più vecchie di un quinquennio e che tuttavia sembrano da tutti dimenticate, scrivendo:“La crisi è partita dall'America, ma quel pseudodemocratico e pseudonero di Obama ha la faccia tosta di impartirci lezioni di moralità economica”. In realtà sono mesi che Obama esprime il timore che la crisi dell'economia europea possa contagiare gli Stati Uniti, fingendo di dimenticare che finora l'unico contagio ha attraversato l'Atlantico in direzione opposta: dall'America all'Europa. La crisi, difatti, non è scoppiata nel 2010, ma nell'estate del 2007 e proprio negli Stati Uniti con l'esplosione della “bolla immobiliare” determinata dai cosiddetti “mutui subprime”, cioè a bassa garanzia, e dal marchingegno escogitato dalle banche americane per scaricare su altri i rischi di questi mutui concessi a chi non era in grado di far fronte agli impegni assunti: la loro “cartolarizzazione” in titoli poi proposti dal sistema bancario a risparmiatori di tutti il mondo (in particolare di quello occidentale), che ben presto si meritarono la definizione di “titoli tossici” per avere diffuso negli altri paesi la crisi americana. La situazione esplose nel 2007, quando le banche si ritrovarono sul groppone poco meno di due milioni di case pignorate a proprietari che non erano più in grado di pagare le rate del mutuo, troppe per trovare, anche a prezzi minimi, acquirenti su un mercato dissestato. Abbiamo scarsa memoria, ma qualcuno dovrebbe ricordare che i mostri telegiornali ci mostrarono strade e strade fiancheggiate da villette e giardinetti stile “american way” poste in vendita a poche centinaia di dollari e tuttavia invendute. Seguirono gli interventi di Washington per salvare Fannie Mae e Freddy Mac, il Citygroup e altri istituti di credito e assicurativi e (15 settembre 2008) il crac della banca d'investimento Lehman Brothers reso più disastrosi per gli investitori di tutto il mondo e anche per molti istituti finanziari europei dal fatto che fino al giorno prima i suoi titoli godevano di un buon “rating” da parte delle agenzie Standard & Poor's, Moody's e Fitch, tutte statunitensi. Si dirà che è storia passata e che, mentre occorre lavorare insieme per uscire dalla crisi, non vale la pena di litigare come fanno i bambini per attribuirsi reciprocamente la colpa. Il fatto è che, come sempre, non si possono curare gli effetti se non si individuano le cause. In particolare, pur se è vero che dal 2009 l'Europa ci ha messo del suo, dal momento che anche tempo e durata contano, sarebbe un grave errore dimenticare non tanto le responsabilità degli Usa (se non per suggerire ad Obama meno iattanza e più umiltà), ma che la crisi riguarda fin d'ora, e non per futuri temuti contagi, l'intero mondo occidentale (Usa inclusi) e che è vecchia non di due-tre, ma di cinque anni. In ogni caso, venendo all'oggi, il G8 di Camp David è stato di qualche consolazione per l'Italia, ma, al contrario di quanto sostiene la piaggeria mass-mediale, non per la ritrovata autorevolezza dell'Italia sul fronte internazionale, ma perché, se noi contiamo su tecnici che hanno dovuto chiamare altri tecnici per fare il loro lavoro, i politici degli altri paesi non se la molto cavano meglio se tutto quello che hanno saputo tirar fuori dalle discussioni “intorno al caminetto” di cui tanto si è compiaciuto il prof. Monti è che occorre coniugare il rigore con la crescita. In realtà se non proprio la crescita (per questa servirebbe un sostanziale mutamento del modello economico), almeno una ripresa, magari una “ripresina”, sarebbe coniugabile col rigore, ma con un rigore non come l'intendono Monti e i suoi colleghi (quelli che Maffeo Pantaleoni classifica come “imbecilli” a causa del loro esclusivo amore per le tasse), ma di tagli alla spesa pubblica improduttiva a cominciare, per dare l'esempio, da una severa sforbiciata ai 224.milioni di euro che, secondo una recente inchiesta, costa alle casse pubbliche italiane il Quirinale, il quadruplo di quanto gli inglesi pagano per Buckingham Palace. di Francesco Mario Agnoli

29 maggio 2012

L'Italia in bilico tra antipolitica e sfiducia

Lo scenario attuale Che dalla politica dipenda l'organizzazione della società civile e la vita di ciascun individuo oggi è più che mai evidente. Un lungo e triste elenco di suicidi scandisce il tempo di questo governo tecnico[1]: lavoratori che hanno perso il proprio posto di lavoro e imprenditori in gravissime difficoltà economiche. Disoccupazione, impossibilità di accesso al credito, mancanza di liquidità, pagamenti a lunghissimo termine, scarsità d'investimenti e soprattutto l'assenza di qualunque prospettiva per il futuro sono alcune tra le cause principali della disperazione. Alla drammaticità dell'attuale situazione economica, apparentemente senza una chiara e immediata via di uscita, si contrappone ogni giorno in misura sempre maggiore un senso di sfiducia collettivo. L'angoscia di tantissimi cittadini rimane soffocata all'interno delle mura domestiche, spesso accompagnata dalla depressione o dalla rabbia che esplode verso se stessi e verso gli altri. La frustrazione a livello sociale deriva principalmente dalla sensazione d'impotenza a fronte di quella che viene proposta alla popolazione, da parte di molti politici, economisti e mezzi di informazione, come l'unica soluzione possibile per l'uscita dalla crisi: una ricetta economica fatta di tasse, tagli ed aumenti delle tariffe. Pena l'incremento del deficit - ora incostituzionale - e l'aumento del debito pubblico che, nonostante le manovre di austerità e gli enormi sacrifici imposti agli italiani, continua a crescere a ritmi record[2]. È chiaro che all'interno di questo sistema di vincoli europei, costituiti dalla moneta unica e dai vari trattati firmati, sembra apparentemente non esserci altra via di uscita. Eppure professori ed economisti italiani del calibro di Paolo Savona[3], Giulio Sapelli[4], Emiliano Brancaccio[5], Loretta Napoleoni[6] e di fama internazionale, come i due premi nobel per l'economia Paul Krugman[7] e Joseph Stiglitz[8], si sono schierati apertamente contro queste politiche di austerità, deflattive e recessive. L'impostazione dettata dai vincoli di bilancio e dalle logiche di rigore sta alimentando una spirale negativa che porta a un'ulteriore contrazione del PIL, facendo così diminuire il gettito fiscale, aumentando i rischi di solvibilità sul piano internazionale, accrescendo l'esborso per interessi, diminuendo la capacità di spesa per gli investimenti necessari a stimolare l'economia. Tutto ciò a detrimento di quelle risorse finanziare pubbliche che sono indispensabili anche per fornire servizi sociali e assistenziali primari. Nel quadro normativo europeo attuale, taluni vedrebbero come possibile strada per abbattere il debito pubblico, la vendita delle partecipazioni statali nelle poche grandi aziende italiane rimaste[9](Finmeccanica, Enel, Eni,…). Questo in realtà comporterebbe un duplice rischio: da un lato favorire pochi grandi speculatori privati a caccia di rendite e dall'altro vedere i flussi finanziari derivanti dalla vendita prendere la strada delle tasche degli investitori stranieri, i quali detengono direttamente circa il 44% del debito pubblico italiano[10] ed esigono annualmente il pagamento di circa 37 miliardi di euro di interessi[11]. Ma poi quale sarebbe il beneficio per lo sviluppo del Paese derivante da ulteriori privatizzazioni? Come sarebbero reinvestiti i proventi delle vendite dei beni pubblici? Chi potrebbe garantire che non sia solo una manovra "una tantum" che ben lungi dal rilanciare l'economia ci renderebbe a posteriori (come collettività) ancora più poveri? La "sbornia" delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni avviate nel 1992 ha condotto a degli utili e dei benefici per l'economia nazionale quasi insignificanti. È dato storico incontrovertibile invece, che da allora è cominciato un lento e progressivo declino industriale ed occupazionale del Paese[12]. Un declino oramai certificato dalle statistiche ufficiali che vedono l'Italia in recessione economica. Altri vorrebbero utilizzare il patrimonio della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. per pagare i debiti dello Stato, come dire: lo strumento che a suon d'investimenti dovrebbe servire per lo sviluppo strategico del Paese, utilizzato come cassa per la spesa corrente. I risultati elettorali delle ultime votazioni amministrative ben rappresentano il malessere che serpeggia a livello sociale: sfiducia che si manifesta in un alto tasso di astensione; rabbia che ha condotto a un vero e proprio tracollo dei maggiori partiti a sostegno del governo Monti; vittoria dei movimenti di protesta come quello a cinque stelle di Beppe Grillo. La forte disapprovazione per le politiche di austerità, che in diversa misura toccano tutti gli Stati europei, non ha risparmiato neppure Francia e Grecia, dove i partiti al governo hanno subito pesantissime sconfitte in termini di consensi e voti, a tutto vantaggio di forze politiche estremiste. Infine, anche chi ha sostenuto maggiormente misure di rigore e austerità a livello europeo ha subito duri e forti contraccolpi: nelle recenti elezioni regionali, il movimento dei cristiano democratici nel Land del Nord Reno Westfalia ha incassato il peggior risultato elettorale dal 1947. Una cocente sconfitta per il partito guida al governo tedesco che ben indica l'apprezzamento per le politiche economiche della cancelliera Merkel. Inquietanti similitudini A rendere ancor più drammatica la situazione italiana, nelle ultime settimane si sono aggiunti alcuni tragici attentati, farneticanti rivendicazioni e incomprensibili moventi. Dopo che per mesi gli scontri tra frange estremiste del movimento NO TAV e polizia avevano alzato la tensione sociale. "Non possiamo escludere un ritorno alla strategia stragista", ha affermato il Capo dello Stato Napolitano[13]. Tutto questo riporta alla memoria un annus horribilis, il 1992, quando l'Italia vide una successione di eventi tragici ed incalzanti[14] che cambiarono per sempre la storia del nostro Paese. Quello che oggi stiamo vivendo ha similitudini inquietanti con quella stagione che portò all'avvio dell'operazione Mani Pulite; alle stragi di Capaci e via D'Amelio; all'attacco speculativo contro la lira da parte del finanziere George Soros e alla conseguente uscita della lira dallo SME; alla crisi finanziaria che condusse il governo Amato a varare una manovra da 100.000 miliardi delle vecchie lire[15]. Un'escalation di eventi che probabilmente servì a piegare ogni volontà politica del Parlamento italiano di allora e portare così alla ratifica del trattato di Maastricht, senza alcuna esitazione. Ciò che spinse l'allora ministro del tesoro a porre in modo incondizionato quella firma fu la sfiducia negli italiani, i quali dovevano essere guidati da una "elite" che mettesse il bene comune sopra tutto, anche a scapito delle regole della democrazia parlamentare[16]. Parlando di Guido Carli, Paolo Savona scrive: «so per certo che egli avesse perso fiducia nella capacità degli italiani di sapersi dare comportamenti coerenti con le necessità del nuovo quadro geopolitico e geoeconomico e, pertanto, fosse necessario rinforzare il "vincolo esterno"»[17]. Il vincolo esterno. Carli cercò ed ottenne un aiuto dall'esterno del Paese per imporre all'Italia quella politica di rigore di bilancio che da ministro del tesoro non era riuscito a far accettare. Affinché si potesse così "innestare l'economia di mercato, nel tessuto vivente, nelle fibre della società e introdurla nella mentalità della classe dirigente"[18]. Tentativo questo che egli più volte fallì nei decenni, anche nel ruolo di presidente di Confindustria[19]. Affinché si potesse così liberare l'economia italiana dagli aiuti di Stato e dai "lacci e lacciuoli" della burocrazia. Quest'aiuto alla fine arrivò dalla firma del trattato dell'unione europea, politica, economica e monetaria. La classe politica di allora veniva giudicata debole, screditata, senza forza ed autorità morale per far accettare sacrifici agli elettori. Occorreva un vincolo esterno; quindi per sua natura limitativo, restrittivo. La ferma convinzione e la tenacia con cui il "partito liberista trasversale" perseguì l'adesione al Trattato di Maastricht, dovrebbe quantomeno far riflettere anche i più accaniti europeisti sulle reali finalità dell'unione europea e sulla reale democraticità dei processi economici e sociali che già allora venivano programmati. Un'unione pensata come vincolo esterno. Lo stesso che fu imposto agli italiani anche nel dopoguerra affinché il Paese non prendesse una "deriva statalista", così come le forze liberali volevano[20]. Cosicché per l'ennesima volta nella Storia italiana si fece ricorso alla "chiamata dello straniero", affinché gli interessi di una parte del Paese o di un'elite con una ben precisa visione del mondo, un'ideologia, divenissero elementi costitutivi dell'ordinamento giuridico. Gli italiani che non si sanno governare, gli italiani che necessitano di una "guida", gli italiani non responsabilizzati nelle tante scelte strategiche del Paese e che nel corso della Storia troppo spesso non hanno goduto neppure della fiducia della propria classe dirigente. Gli italiani "consegnati nelle mani di elite illuminate". Gli italiani che, forse proprio per queste ragioni, non sono mai stati davvero indipendenti e liberi all'interno della propria nazione. Non dovremmo sorprenderci più di tanto quindi, se oggi ci scopriamo "etero diretti", poco autonomi e dunque incapaci di uscire dalle maglie di questa crisi. Non abbiamo più gli strumenti per farlo, gli strumenti sono "altrove" e per il momento non vengono utilizzati a nostro favore. A testimonianza si possono citare le parole del professor Giuseppe Guarino: « Nel campo normativo l'Unione [Europea N.d.A.] è assolutamente prevalente. La sua competenza è esclusiva in materie fondamentali. Le sue norme prevalgono su quelle degli Stati membri. La sfera dell'Unione si allarga (e corrispondentemente si restringe l'ambito normativo degli Stati) man mano che le competenze vengono concretamente esercitate. La competenza dell'Unione è esclusiva persino nel valutare se sussistono le condizioni per estendere le sue competenze. Una domanda: gli Stati che ci stanno a fare? I dati statistici ci dicono che in Italia nei nove anni dal 2000 al 2008 (per il 2008 analizzati solo i primi tre trimestri) gli atti nazionali con forza di legge sono stati 1.072; i regolamenti e le direttive comunitarie 20.976.»[21] Un dovere morale La stessa sfiducia verso la popolazione è presente anche in gran parte dell'attuale classe politica, la stessa che ha introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione e che sta per ratificare il trattato ESM, nel silenzio più assoluto della politica e degli organi d'informazione[22]. Il responsabile economia e lavoro del PD, Stefano Fassina, si è spinto ad affermare che il pareggio di bilancio è uno strumento economicamente sbagliato, ma politicamente corretto (sic!) per riacquistare la fiducia dell'Europa[23]. Per Fassina non c'è futuro al di fuori dell'unione europea, la finanza e l'economia globale schiacciano gli Stati e di fronte a Paesi come la Cina, l'India, il Brasile,… non ha più senso parlare di sovranità nazionale: è la resa completa della politica di fronte alla globalizzazione. Ma non è unicamente nel numero di abitanti che va ricercato il senso di una sovranità nazionale, come Fassina da buon materialista vorrebbe far credere, ma innanzitutto nella cultura di una popolazione. È necessario tornare ad avere fiducia nella cultura e nelle capacità degli italiani: questo più che un compito è un dovere morale della politica! C'è stato un periodo della Storia recente in cui l'Italia aveva qualcosa da dire al mondo e l'economia cresceva come in nessun'altra nazione[24]. Bisogna avere quella fiducia che è mancata a Guido Carli e a molti altri negli ultimi anni, pensando che si può ripartire, ricostruendo un tessuto sociale ed una economia solida. La storia italiana del dopoguerra dovrebbe darci l'esempio, il caso argentino potrebbe guidarci nella giusta direzione. L'economia argentina, abbandonato il cambio fisso con il dollaro e le ricette di austerità imposte per decenni dall'FMI, dal 2002 al 2011 ha visto crescere la sua economia del 94% e tutt'ora vanta una crescita del PIL annuale attorno all'8%[25]. L'Italia oggi è in bilico, tra una strada di lenta agonia e una possibilità di riscatto, faticosa ma possibile. Come oramai da anni Lyndon LaRouche sostiene: è necessario tornare alla separazione bancaria tra banche commerciali e banche d'affari, secondo il modello Glass-Steagall. Concetto questo ripreso e promosso sempre più anche da voci autorevoli del mondo politico ed accademico. È necessario pensare ad una banca nazionale per lo sviluppo, che finanzi progetti a lungo termine nelle infrastrutture e nell'industria ad alta tecnologia, sullo stile di quella creata dal primo ministro del tesoro americano Alexander Hamilton. È necessario investire in ricerca ed in solidarietà. È necessario riscoprire la vera cultura e puntare sulle nuove generazioni affinché siano loro i primi a beneficiarne. Spetta a noi decidere se siamo ancora l'Italia del Rinascimento o solo quella del neo-darwinismo sociale. Solamente se la politica italiana saprà scommettere sul futuro ed imboccare la strada verso nuova crescita e migliore sviluppo, ci potrà essere una vera svolta. Solo quando saprà credere di nuovo nella cultura e nella forza dell'Italia, riacquisterà dignità e rispetto. Non vi è altra scelta, è passaggio obbligato. Andrea Pomozzi Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà

31 maggio 2012

Biagi: un sistema multiparametrico europeo può già prevedere i terremoti

Una rete di 50 ricevitori terrestri e una decina di satelliti su orbita geostazionaria sarebbe sufficiente, con un centro multiparametrico, a prevedere con un 'accuratezza del 90% i terremoti di magnitudo 6 della scala Richter nell'intera regione sismica europea, con dieci giorni di anticipo, ha dichiarato il fisico Pier Francesco Biagi all'EIR. Ad esempio, un gruppo di sismologi di Trieste aveva previsto, con uno studio statistico, l'area esatta del terremoto che ha colpito la zona tra Modena e Ferrara il 20 maggio. Data la natura del metodo impiegato, i ricercatori non potevano indicare la data precisa, ma solo una finestra di parecchi mesi che allo scopo delle previsioni non serve a niente. Tuttavia, combinando quel lavoro con altre osservazioni sperimentali sul terreno e nell'atmosfera, sarebbe stata possibile una previsione accurata. Nel contesto di un tale approccio multiparametrico, il risultato di Trieste è stato "eccellente", ha detto Biagi. Il monitoraggio non si fa a causa della mentalità sbagliata. Eppure, un sisma di magnitudo 9, come quello giapponese del 2011, "è prevedibile". Il team di Biagi ha elaborato una nuova mappa dei precursori del terremoto giapponese, usando dati da 1280 ricevitori GPS. I segnali sono estremamente chiari. Biagi ha potuto costruire una rete di 14 ricevitori interamente con finanziamenti privati organizzati personalmente. Questa rete ha prodotto risultati notevoli, ma c'è bisogno di un centro multiparametrico. Per coprire l'intera area sismica europea sarebbero sufficienti 50 ricevitori, mentre precursori molto importanti, come la variazione chimica dell'atmosfera, devono essere osservati dai satelliti. Circa 10 nano-satelliti, non più costosi di un milione di euro ciascuno, sarebbero sufficienti. Come esempio del problema, che è di natura politico/ideologica/culturale, Biagi ha riferito che la domanda di finanziamenti per un progetto per valutare accuratamente le variazioni di emissioni di radon, un importante precursore, è stata rifiutata dal ministero della Ricerca Scientifica. by Movisol

30 maggio 2012

G8

Secondo i mass-media sempre impegnatissimi nell' acritico sostegno al governo dei tecnocrati, l'appena concluso G8 di Camp David è stato un successo sia in termini generali sia per l'Italia, che ha riacquistato il posto che le compete in Europa e nel mondo. Il merito di questo recupero viene equamente suddiviso fra Mario Monti e Barack Obama col supporto della new entry francese François Hollande. A conferma vengono citate le parole del caro leader, che ha evidenziato la ''convergenza molto forte'' con Hollande e il ruolo svolto da Obama nel creare le condizioni per un dibattito costruttivo, grazie a discussioni fatte intorno al caminetto che contribuiscono a creare un clima informale diverso da quello dei vertici europei, ''ingessati, e non sempre positivi''. Pressoché solitaria voce dissenziente quella di Massimo Fini, che si azzarda a ricordare vicende non più vecchie di un quinquennio e che tuttavia sembrano da tutti dimenticate, scrivendo:“La crisi è partita dall'America, ma quel pseudodemocratico e pseudonero di Obama ha la faccia tosta di impartirci lezioni di moralità economica”. In realtà sono mesi che Obama esprime il timore che la crisi dell'economia europea possa contagiare gli Stati Uniti, fingendo di dimenticare che finora l'unico contagio ha attraversato l'Atlantico in direzione opposta: dall'America all'Europa. La crisi, difatti, non è scoppiata nel 2010, ma nell'estate del 2007 e proprio negli Stati Uniti con l'esplosione della “bolla immobiliare” determinata dai cosiddetti “mutui subprime”, cioè a bassa garanzia, e dal marchingegno escogitato dalle banche americane per scaricare su altri i rischi di questi mutui concessi a chi non era in grado di far fronte agli impegni assunti: la loro “cartolarizzazione” in titoli poi proposti dal sistema bancario a risparmiatori di tutti il mondo (in particolare di quello occidentale), che ben presto si meritarono la definizione di “titoli tossici” per avere diffuso negli altri paesi la crisi americana. La situazione esplose nel 2007, quando le banche si ritrovarono sul groppone poco meno di due milioni di case pignorate a proprietari che non erano più in grado di pagare le rate del mutuo, troppe per trovare, anche a prezzi minimi, acquirenti su un mercato dissestato. Abbiamo scarsa memoria, ma qualcuno dovrebbe ricordare che i mostri telegiornali ci mostrarono strade e strade fiancheggiate da villette e giardinetti stile “american way” poste in vendita a poche centinaia di dollari e tuttavia invendute. Seguirono gli interventi di Washington per salvare Fannie Mae e Freddy Mac, il Citygroup e altri istituti di credito e assicurativi e (15 settembre 2008) il crac della banca d'investimento Lehman Brothers reso più disastrosi per gli investitori di tutto il mondo e anche per molti istituti finanziari europei dal fatto che fino al giorno prima i suoi titoli godevano di un buon “rating” da parte delle agenzie Standard & Poor's, Moody's e Fitch, tutte statunitensi. Si dirà che è storia passata e che, mentre occorre lavorare insieme per uscire dalla crisi, non vale la pena di litigare come fanno i bambini per attribuirsi reciprocamente la colpa. Il fatto è che, come sempre, non si possono curare gli effetti se non si individuano le cause. In particolare, pur se è vero che dal 2009 l'Europa ci ha messo del suo, dal momento che anche tempo e durata contano, sarebbe un grave errore dimenticare non tanto le responsabilità degli Usa (se non per suggerire ad Obama meno iattanza e più umiltà), ma che la crisi riguarda fin d'ora, e non per futuri temuti contagi, l'intero mondo occidentale (Usa inclusi) e che è vecchia non di due-tre, ma di cinque anni. In ogni caso, venendo all'oggi, il G8 di Camp David è stato di qualche consolazione per l'Italia, ma, al contrario di quanto sostiene la piaggeria mass-mediale, non per la ritrovata autorevolezza dell'Italia sul fronte internazionale, ma perché, se noi contiamo su tecnici che hanno dovuto chiamare altri tecnici per fare il loro lavoro, i politici degli altri paesi non se la molto cavano meglio se tutto quello che hanno saputo tirar fuori dalle discussioni “intorno al caminetto” di cui tanto si è compiaciuto il prof. Monti è che occorre coniugare il rigore con la crescita. In realtà se non proprio la crescita (per questa servirebbe un sostanziale mutamento del modello economico), almeno una ripresa, magari una “ripresina”, sarebbe coniugabile col rigore, ma con un rigore non come l'intendono Monti e i suoi colleghi (quelli che Maffeo Pantaleoni classifica come “imbecilli” a causa del loro esclusivo amore per le tasse), ma di tagli alla spesa pubblica improduttiva a cominciare, per dare l'esempio, da una severa sforbiciata ai 224.milioni di euro che, secondo una recente inchiesta, costa alle casse pubbliche italiane il Quirinale, il quadruplo di quanto gli inglesi pagano per Buckingham Palace. di Francesco Mario Agnoli

29 maggio 2012

L'Italia in bilico tra antipolitica e sfiducia

Lo scenario attuale Che dalla politica dipenda l'organizzazione della società civile e la vita di ciascun individuo oggi è più che mai evidente. Un lungo e triste elenco di suicidi scandisce il tempo di questo governo tecnico[1]: lavoratori che hanno perso il proprio posto di lavoro e imprenditori in gravissime difficoltà economiche. Disoccupazione, impossibilità di accesso al credito, mancanza di liquidità, pagamenti a lunghissimo termine, scarsità d'investimenti e soprattutto l'assenza di qualunque prospettiva per il futuro sono alcune tra le cause principali della disperazione. Alla drammaticità dell'attuale situazione economica, apparentemente senza una chiara e immediata via di uscita, si contrappone ogni giorno in misura sempre maggiore un senso di sfiducia collettivo. L'angoscia di tantissimi cittadini rimane soffocata all'interno delle mura domestiche, spesso accompagnata dalla depressione o dalla rabbia che esplode verso se stessi e verso gli altri. La frustrazione a livello sociale deriva principalmente dalla sensazione d'impotenza a fronte di quella che viene proposta alla popolazione, da parte di molti politici, economisti e mezzi di informazione, come l'unica soluzione possibile per l'uscita dalla crisi: una ricetta economica fatta di tasse, tagli ed aumenti delle tariffe. Pena l'incremento del deficit - ora incostituzionale - e l'aumento del debito pubblico che, nonostante le manovre di austerità e gli enormi sacrifici imposti agli italiani, continua a crescere a ritmi record[2]. È chiaro che all'interno di questo sistema di vincoli europei, costituiti dalla moneta unica e dai vari trattati firmati, sembra apparentemente non esserci altra via di uscita. Eppure professori ed economisti italiani del calibro di Paolo Savona[3], Giulio Sapelli[4], Emiliano Brancaccio[5], Loretta Napoleoni[6] e di fama internazionale, come i due premi nobel per l'economia Paul Krugman[7] e Joseph Stiglitz[8], si sono schierati apertamente contro queste politiche di austerità, deflattive e recessive. L'impostazione dettata dai vincoli di bilancio e dalle logiche di rigore sta alimentando una spirale negativa che porta a un'ulteriore contrazione del PIL, facendo così diminuire il gettito fiscale, aumentando i rischi di solvibilità sul piano internazionale, accrescendo l'esborso per interessi, diminuendo la capacità di spesa per gli investimenti necessari a stimolare l'economia. Tutto ciò a detrimento di quelle risorse finanziare pubbliche che sono indispensabili anche per fornire servizi sociali e assistenziali primari. Nel quadro normativo europeo attuale, taluni vedrebbero come possibile strada per abbattere il debito pubblico, la vendita delle partecipazioni statali nelle poche grandi aziende italiane rimaste[9](Finmeccanica, Enel, Eni,…). Questo in realtà comporterebbe un duplice rischio: da un lato favorire pochi grandi speculatori privati a caccia di rendite e dall'altro vedere i flussi finanziari derivanti dalla vendita prendere la strada delle tasche degli investitori stranieri, i quali detengono direttamente circa il 44% del debito pubblico italiano[10] ed esigono annualmente il pagamento di circa 37 miliardi di euro di interessi[11]. Ma poi quale sarebbe il beneficio per lo sviluppo del Paese derivante da ulteriori privatizzazioni? Come sarebbero reinvestiti i proventi delle vendite dei beni pubblici? Chi potrebbe garantire che non sia solo una manovra "una tantum" che ben lungi dal rilanciare l'economia ci renderebbe a posteriori (come collettività) ancora più poveri? La "sbornia" delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni avviate nel 1992 ha condotto a degli utili e dei benefici per l'economia nazionale quasi insignificanti. È dato storico incontrovertibile invece, che da allora è cominciato un lento e progressivo declino industriale ed occupazionale del Paese[12]. Un declino oramai certificato dalle statistiche ufficiali che vedono l'Italia in recessione economica. Altri vorrebbero utilizzare il patrimonio della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. per pagare i debiti dello Stato, come dire: lo strumento che a suon d'investimenti dovrebbe servire per lo sviluppo strategico del Paese, utilizzato come cassa per la spesa corrente. I risultati elettorali delle ultime votazioni amministrative ben rappresentano il malessere che serpeggia a livello sociale: sfiducia che si manifesta in un alto tasso di astensione; rabbia che ha condotto a un vero e proprio tracollo dei maggiori partiti a sostegno del governo Monti; vittoria dei movimenti di protesta come quello a cinque stelle di Beppe Grillo. La forte disapprovazione per le politiche di austerità, che in diversa misura toccano tutti gli Stati europei, non ha risparmiato neppure Francia e Grecia, dove i partiti al governo hanno subito pesantissime sconfitte in termini di consensi e voti, a tutto vantaggio di forze politiche estremiste. Infine, anche chi ha sostenuto maggiormente misure di rigore e austerità a livello europeo ha subito duri e forti contraccolpi: nelle recenti elezioni regionali, il movimento dei cristiano democratici nel Land del Nord Reno Westfalia ha incassato il peggior risultato elettorale dal 1947. Una cocente sconfitta per il partito guida al governo tedesco che ben indica l'apprezzamento per le politiche economiche della cancelliera Merkel. Inquietanti similitudini A rendere ancor più drammatica la situazione italiana, nelle ultime settimane si sono aggiunti alcuni tragici attentati, farneticanti rivendicazioni e incomprensibili moventi. Dopo che per mesi gli scontri tra frange estremiste del movimento NO TAV e polizia avevano alzato la tensione sociale. "Non possiamo escludere un ritorno alla strategia stragista", ha affermato il Capo dello Stato Napolitano[13]. Tutto questo riporta alla memoria un annus horribilis, il 1992, quando l'Italia vide una successione di eventi tragici ed incalzanti[14] che cambiarono per sempre la storia del nostro Paese. Quello che oggi stiamo vivendo ha similitudini inquietanti con quella stagione che portò all'avvio dell'operazione Mani Pulite; alle stragi di Capaci e via D'Amelio; all'attacco speculativo contro la lira da parte del finanziere George Soros e alla conseguente uscita della lira dallo SME; alla crisi finanziaria che condusse il governo Amato a varare una manovra da 100.000 miliardi delle vecchie lire[15]. Un'escalation di eventi che probabilmente servì a piegare ogni volontà politica del Parlamento italiano di allora e portare così alla ratifica del trattato di Maastricht, senza alcuna esitazione. Ciò che spinse l'allora ministro del tesoro a porre in modo incondizionato quella firma fu la sfiducia negli italiani, i quali dovevano essere guidati da una "elite" che mettesse il bene comune sopra tutto, anche a scapito delle regole della democrazia parlamentare[16]. Parlando di Guido Carli, Paolo Savona scrive: «so per certo che egli avesse perso fiducia nella capacità degli italiani di sapersi dare comportamenti coerenti con le necessità del nuovo quadro geopolitico e geoeconomico e, pertanto, fosse necessario rinforzare il "vincolo esterno"»[17]. Il vincolo esterno. Carli cercò ed ottenne un aiuto dall'esterno del Paese per imporre all'Italia quella politica di rigore di bilancio che da ministro del tesoro non era riuscito a far accettare. Affinché si potesse così "innestare l'economia di mercato, nel tessuto vivente, nelle fibre della società e introdurla nella mentalità della classe dirigente"[18]. Tentativo questo che egli più volte fallì nei decenni, anche nel ruolo di presidente di Confindustria[19]. Affinché si potesse così liberare l'economia italiana dagli aiuti di Stato e dai "lacci e lacciuoli" della burocrazia. Quest'aiuto alla fine arrivò dalla firma del trattato dell'unione europea, politica, economica e monetaria. La classe politica di allora veniva giudicata debole, screditata, senza forza ed autorità morale per far accettare sacrifici agli elettori. Occorreva un vincolo esterno; quindi per sua natura limitativo, restrittivo. La ferma convinzione e la tenacia con cui il "partito liberista trasversale" perseguì l'adesione al Trattato di Maastricht, dovrebbe quantomeno far riflettere anche i più accaniti europeisti sulle reali finalità dell'unione europea e sulla reale democraticità dei processi economici e sociali che già allora venivano programmati. Un'unione pensata come vincolo esterno. Lo stesso che fu imposto agli italiani anche nel dopoguerra affinché il Paese non prendesse una "deriva statalista", così come le forze liberali volevano[20]. Cosicché per l'ennesima volta nella Storia italiana si fece ricorso alla "chiamata dello straniero", affinché gli interessi di una parte del Paese o di un'elite con una ben precisa visione del mondo, un'ideologia, divenissero elementi costitutivi dell'ordinamento giuridico. Gli italiani che non si sanno governare, gli italiani che necessitano di una "guida", gli italiani non responsabilizzati nelle tante scelte strategiche del Paese e che nel corso della Storia troppo spesso non hanno goduto neppure della fiducia della propria classe dirigente. Gli italiani "consegnati nelle mani di elite illuminate". Gli italiani che, forse proprio per queste ragioni, non sono mai stati davvero indipendenti e liberi all'interno della propria nazione. Non dovremmo sorprenderci più di tanto quindi, se oggi ci scopriamo "etero diretti", poco autonomi e dunque incapaci di uscire dalle maglie di questa crisi. Non abbiamo più gli strumenti per farlo, gli strumenti sono "altrove" e per il momento non vengono utilizzati a nostro favore. A testimonianza si possono citare le parole del professor Giuseppe Guarino: « Nel campo normativo l'Unione [Europea N.d.A.] è assolutamente prevalente. La sua competenza è esclusiva in materie fondamentali. Le sue norme prevalgono su quelle degli Stati membri. La sfera dell'Unione si allarga (e corrispondentemente si restringe l'ambito normativo degli Stati) man mano che le competenze vengono concretamente esercitate. La competenza dell'Unione è esclusiva persino nel valutare se sussistono le condizioni per estendere le sue competenze. Una domanda: gli Stati che ci stanno a fare? I dati statistici ci dicono che in Italia nei nove anni dal 2000 al 2008 (per il 2008 analizzati solo i primi tre trimestri) gli atti nazionali con forza di legge sono stati 1.072; i regolamenti e le direttive comunitarie 20.976.»[21] Un dovere morale La stessa sfiducia verso la popolazione è presente anche in gran parte dell'attuale classe politica, la stessa che ha introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione e che sta per ratificare il trattato ESM, nel silenzio più assoluto della politica e degli organi d'informazione[22]. Il responsabile economia e lavoro del PD, Stefano Fassina, si è spinto ad affermare che il pareggio di bilancio è uno strumento economicamente sbagliato, ma politicamente corretto (sic!) per riacquistare la fiducia dell'Europa[23]. Per Fassina non c'è futuro al di fuori dell'unione europea, la finanza e l'economia globale schiacciano gli Stati e di fronte a Paesi come la Cina, l'India, il Brasile,… non ha più senso parlare di sovranità nazionale: è la resa completa della politica di fronte alla globalizzazione. Ma non è unicamente nel numero di abitanti che va ricercato il senso di una sovranità nazionale, come Fassina da buon materialista vorrebbe far credere, ma innanzitutto nella cultura di una popolazione. È necessario tornare ad avere fiducia nella cultura e nelle capacità degli italiani: questo più che un compito è un dovere morale della politica! C'è stato un periodo della Storia recente in cui l'Italia aveva qualcosa da dire al mondo e l'economia cresceva come in nessun'altra nazione[24]. Bisogna avere quella fiducia che è mancata a Guido Carli e a molti altri negli ultimi anni, pensando che si può ripartire, ricostruendo un tessuto sociale ed una economia solida. La storia italiana del dopoguerra dovrebbe darci l'esempio, il caso argentino potrebbe guidarci nella giusta direzione. L'economia argentina, abbandonato il cambio fisso con il dollaro e le ricette di austerità imposte per decenni dall'FMI, dal 2002 al 2011 ha visto crescere la sua economia del 94% e tutt'ora vanta una crescita del PIL annuale attorno all'8%[25]. L'Italia oggi è in bilico, tra una strada di lenta agonia e una possibilità di riscatto, faticosa ma possibile. Come oramai da anni Lyndon LaRouche sostiene: è necessario tornare alla separazione bancaria tra banche commerciali e banche d'affari, secondo il modello Glass-Steagall. Concetto questo ripreso e promosso sempre più anche da voci autorevoli del mondo politico ed accademico. È necessario pensare ad una banca nazionale per lo sviluppo, che finanzi progetti a lungo termine nelle infrastrutture e nell'industria ad alta tecnologia, sullo stile di quella creata dal primo ministro del tesoro americano Alexander Hamilton. È necessario investire in ricerca ed in solidarietà. È necessario riscoprire la vera cultura e puntare sulle nuove generazioni affinché siano loro i primi a beneficiarne. Spetta a noi decidere se siamo ancora l'Italia del Rinascimento o solo quella del neo-darwinismo sociale. Solamente se la politica italiana saprà scommettere sul futuro ed imboccare la strada verso nuova crescita e migliore sviluppo, ci potrà essere una vera svolta. Solo quando saprà credere di nuovo nella cultura e nella forza dell'Italia, riacquisterà dignità e rispetto. Non vi è altra scelta, è passaggio obbligato. Andrea Pomozzi Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà