28 giugno 2012

Tagli ai partiti, le solite “boiate”

di Wanda Marra Tre mesi (e passa) posson bastare per dimezzare i rimborsi elettorali ai partiti? L’evidenza dice che la risposta è no. Dopo il pasticcio del testo ABC, nato tra i proclami generali per garantire la trasparenza dei bilanci e per tagliare i finanziamenti ai partiti, e poi naufragato per evidenti e insormontabili incongruenze, e l’approvazione di un (altro) ddl a Montecitorio che l’unica cosa che stabiliva per certo era il dimezzamento della rata di luglio dei rimborsi, “tecnicamente ” questo evento non è ancora possibile. Approvato alla fine di maggio, il testo si è fermato in Senato, dove giace in Commissione Affari costituzionali. Si è andati a rilento, complici le riforme costituzionali (a proposito di tele di Penelope). Il passaggio all’aula dovrebbe avvenire nelle prossime settimane, visto che oggi scade il termine per la presentazione degli emendamenti alla legge. Peccato che sarà troppo tardi per tagliare la rata e contemporaneamente dare, come stabilito nello stesso testo, i 91 milioni di euro risparmiati ai terremotati dell’Emilia (i soldi, si legge, sono destinati agli “interventi conseguenti ai danni provocati dagli eventi sismici e dalle calamità naturali che hanno colpito il territorio nazionale a partire dal 1º gennaio 2009”). L’INGHIPPO è in una “dimenticanza” di Montecitorio: non è stata prevista l’entrata in vigore immediata della legge, e così la destinazione dei 91 milioni deve essere fatta con un decreto del governo, che aveva a sua volta 15 giorni di tempo per emanarlo. Ieri tuonavano i Radicali, capeggiati da Donatella Poretti: “Mancano soltanto 72 ore e poi i partiti riceveranno automaticamente i fondi. Infatti, a luglio scatta l’erogazione della rata”. In realtà gli uffici di Montecitorio spiegano che da sempre i rimborsi elettorali vengono destinati ai partiti con un ufficio di Presidenza verso la fine di luglio. E in effetti, la Gazzetta ufficiale dell’anno scorso – per esempio – portava la rata del 27 luglio. Ma comunque è difficile che la legge si riesca ad approvare in tempo. E qui entra in gioco il governo. Scoperto il problema, l’esecutivo si era impegnato a fare un decreto soltanto per la parte che riguardava il taglio della rata e il conseguente trasferimento all’Emilia. Com’è, come non è, però, sono due settimane che si è capito che i tempi sono più che strettissimi e che il governo promette interventi d’urgenza e poi non li fa. L’altroieri s’era detto “lo faremo domani”. Ieri mattina si parlava del Cdm di lunedì, peraltro il primo luglio. Ma poi ieri pomeriggio il sottosegretario Malaschini ha dichiarato: “Ci siamo impegnati a risolvere il problema. Lo faremo”. Senza specificare quando. Le voci che circolavano facevano intendere che, piuttosto che un decreto ad hoc, si stesse pensando ora a inserire un emendamento nel provvedimento della Spending review per arrivare a un’approvazione nella seconda settimana di luglio. Sempre più difficile. “Non si può dire che i 91 milioni vanno ai terremotati e al contempo far maturare il diritto – commentano i Radicali – perché gli stessi 91 milioni possano essere richiesti dai tesorieri dei partiti. Fino a che non interviene una legge nuova – o un decreto del governo – i 91 milioni sono nella piena disponibilità dei partiti". E persino Stefano Ceccanti, relatore per il Pd della legge, che in queste settimane ha mostrato un’incrollabile fiducia nelle decisioni prese, commenta: “Se si deve fare il decreto, che si faccia”. di Wanda Marra

26 giugno 2012

Banche e derivati. Il "botto" è vicino

Un allarme tardivo, ma realistico. E completa assenza di indicazioni su cosa fare per “impedire” il ripetersi di un film già visto. Banche e derivati sono la stessa cosa: i secondi sono “prodotti” dalle prime, non esistono per loro conto. Fin dall'inizio è apparso chiaro che tutti i discorsi sulla “riforma delle regole del sistema finanziario internazionale” non sarebbe approdata a nulla. Troppi “decisori” (sia dei maggiori stati che dell più importanti istituzioni economiche globali) sono incatenati – personalmente e strutturalmente – agli istituti di credito, ai fondi di investimento, ecc. Il governo degli Stati uniti, Obama a parte, ne è un esempio clamoroso da oltre un trentennio. Gente che esce dalla finanza o dalle grandi multinazionali per fare il ministro e poi torna a fare la finanza o l'impresa. Gli si può forse chiedersi di rinunciare a una carriera futura o di bastonare i propri recenti ex colleghi di lavoro? Ma c'è una dato ancora più chiaro che esce fuori da questo scandalizzato articolo de Il Sole 24 Ore – è tutto dire! - e che non dobiamo mai smettere di tenere presente: la sovraesposizione al rischio insito nel mercato dei derivati da parte delle banche si regge sulla ferrea convinzione che, tanto, se va male ci sarà un altro giro di aiuti pubblici riservati alle banche e al sistema finanziario. E' come se l'assicurazione obbligatoria per le automobili fosse a carico dello Stato: chi si preoccuperebbe più di evitare ammaccature e graffi da paercheggio, piccoli tamponamenti, investire pedoni sulle strisce, ecc? Alle grandi banche è riservato un privilegio di questo tipo: investire “a leva”, ovvero mettendo 10 di capitale proprio per mettere in moto operazioni da 1.000 (un numero a caso, ma proporzionato alle operazioni reali), con la certezza che se tutto va bene il guadagno viene intascato privcatamente, se va male si mette a conto del “pubblico”. Che dovrà tagliare ancora tutte le spese “non finanziarie” (scuola, sanità, trasporto pubblico, ecc). Un gioco del genere non è soltanto infame. Semplicemente, non può funzionare a lungo. Sono cinque anni che la crisi morde e non passa. Ttutto quel che è stato fatto finora è servito solo a ricreare le condizioni di partenza da cui è maturato il crack Lehmann Brothers e la “grande gelata” dei mercati tra il 2008 e il 2009. Sta per accadere di nuovo. E ovviamente con più forza di prima, su una scala più grande. Il valore nominale totale del "mercato dei derivati" (completamente fuori dei circuiti regolamentati), ha raggiunto i 650mila miliardi dollari, sette-otto volte il prodotto interno lordo di tutto il pianeta. Non esiste nessuno - né privato, né "pubblico" - che possa "garantire" da una valanga di queste dimensioni. di Claudio Conti

Giornalismo azzecagarbugli

Vedo avanzare una stagione sinistra. Quella del ritorno in grande stile degli Azzeccagarbugli che nel post Mani Pulite furoreggiarono riuscendo in pochissimi anni a trasformare i ladri in vittime e i magistrati nei veri colpevoli. Gli Azzeccagarbugli, intellettuali e giornalisti, sono specialisti nell'uso del sofisma, del paralogismo (argomento falso ma con l'apparenza di vero) e, come nel gioco delle tre tavolette, nel mischiare, a seconda di quanto gli torna comodo, i piani di discussione passando da quello giuridico al politico al sociologico, con l'intento di intorbidare le acque e rendere oscuro ciò che è chiaro, nero ciò che è bianco. Un caso direi di scuola è l'articolo scritto da Fabrizio Rondolino, ex uomo di D'Alema, per Il Giornale del 21.06 a proposito dell'autorizzazione all'arresto di Luigi Lusi data dal Senato: “È la prova che il giustizialismo, l'ordalia manettara, la subordinazione alla magistratura inquirente sono sopravvissuti alla fine dell'anti berlusconismo... È un giorno di lutto per la sinistra italiana perché il valore della libertà personale è più grande delle sottigliezze giuridiche... del protagonismo plebeo che esige ogni giorno un nuovo lazzarone da impiccare sulla pubblica piazza”. Noi che, a differenza dell'aristocratico Rondolino, siamo dei cittadini plebei vorremmo semplicemente che anche i nobili fossero chiamati a osservare quelle leggi che noi tutti siamo tenuti a rispettare. Perché l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge è il principio-cardine della liberal democrazia, se cade questo principio la democrazia perde ogni senso e legittimità e si traduce in un neofeudalesimo, con un doppio diritto, uno per i plebei, intransigente e feroce, e uno per i neoaristocratici, così lasco e morbido da diventare quasi inesistente. Insomma la vecchia, cara, schifosa giustizia di classe. Rondolino aggiunge: “La carcerazione preventiva è un crimine e uno scandalo... tenere le persone in prigione prima del processo significa esercitare una pressione sull'imputato che somiglia assai più alla tor tura”. Se questo principio fosse assoluto, allora deve valere anche per Giovanni Vantaggiato e per tutti coloro che sono attualmente in carcere in attesa di processo, in genere per reati molto minori di quelli imputati a Lusi, una grassazione di denaro pubblico per 25 milioni di euro che lui chiama graziosamente “un fatto di costume”. Ci sono invece casi in cui la carcerazione preventiva si rende necessaria e il Codice di procedura penale ne definisce rigidamente i requisiti. Naturalmente Rondolino parte dal presupposto, del tutto arbitrario, che questi requisiti nel caso di Lusi non ci sono e che quindi la richiesta d'arresto del Gip è illegittima: “Quali nuovi reati avrebbe potuto commettere Lusi? Quali prove avrebbe potuto occultare lui che parla con i magistrati e con i giornalisti ogni giorno? Oppure sarebbe fuggito all'estero?”. Ohè, se esistono o meno i requisiti per un arresto lo stabilisce il Gip, e in seguito il Tribunale della Libertà, e ancora successivamente la Cassazione o Fabrizio Rondolino costituitosi in arbitro e giudice unico, in Tribunale Speciale? Noi siamo plebei, ma non proprio così cretini da non capire che, per l'ennesima volta, la classe dirigente e i suoi lacchè ci stanno prendendo in giro. Ma di fronte alle solite fumisterie non sappiamo come reagire. Non abbiamo difesa. O, forse, una difesa c'è. Quando ero all'Europeo, c'era un giovane collega, Claudio Lazzaro, bel ragazzo, alto, aitante, dolce, un po' naif e ingenuo. E nelle assemblee di redazione i vecchi marpioni del giornale gli cambiavano ogni volta le carte in tavola, il bianco diventava nero e il nero bianco. Lui ne rimaneva sconcertato e amareggiato. Finché un giorno, dai e ridai, anche il mite Claudio perse la pazienza. Si alzò e grande e grosso com'era puntò sul caporione e guardandolo dritto negli occhi disse: “Bene, allora ditemi a chi devo spaccare la faccia?”. E il bianco tornò bianco e il nero nero. È davvero a questo che volete portarci?

28 giugno 2012

Tagli ai partiti, le solite “boiate”

di Wanda Marra Tre mesi (e passa) posson bastare per dimezzare i rimborsi elettorali ai partiti? L’evidenza dice che la risposta è no. Dopo il pasticcio del testo ABC, nato tra i proclami generali per garantire la trasparenza dei bilanci e per tagliare i finanziamenti ai partiti, e poi naufragato per evidenti e insormontabili incongruenze, e l’approvazione di un (altro) ddl a Montecitorio che l’unica cosa che stabiliva per certo era il dimezzamento della rata di luglio dei rimborsi, “tecnicamente ” questo evento non è ancora possibile. Approvato alla fine di maggio, il testo si è fermato in Senato, dove giace in Commissione Affari costituzionali. Si è andati a rilento, complici le riforme costituzionali (a proposito di tele di Penelope). Il passaggio all’aula dovrebbe avvenire nelle prossime settimane, visto che oggi scade il termine per la presentazione degli emendamenti alla legge. Peccato che sarà troppo tardi per tagliare la rata e contemporaneamente dare, come stabilito nello stesso testo, i 91 milioni di euro risparmiati ai terremotati dell’Emilia (i soldi, si legge, sono destinati agli “interventi conseguenti ai danni provocati dagli eventi sismici e dalle calamità naturali che hanno colpito il territorio nazionale a partire dal 1º gennaio 2009”). L’INGHIPPO è in una “dimenticanza” di Montecitorio: non è stata prevista l’entrata in vigore immediata della legge, e così la destinazione dei 91 milioni deve essere fatta con un decreto del governo, che aveva a sua volta 15 giorni di tempo per emanarlo. Ieri tuonavano i Radicali, capeggiati da Donatella Poretti: “Mancano soltanto 72 ore e poi i partiti riceveranno automaticamente i fondi. Infatti, a luglio scatta l’erogazione della rata”. In realtà gli uffici di Montecitorio spiegano che da sempre i rimborsi elettorali vengono destinati ai partiti con un ufficio di Presidenza verso la fine di luglio. E in effetti, la Gazzetta ufficiale dell’anno scorso – per esempio – portava la rata del 27 luglio. Ma comunque è difficile che la legge si riesca ad approvare in tempo. E qui entra in gioco il governo. Scoperto il problema, l’esecutivo si era impegnato a fare un decreto soltanto per la parte che riguardava il taglio della rata e il conseguente trasferimento all’Emilia. Com’è, come non è, però, sono due settimane che si è capito che i tempi sono più che strettissimi e che il governo promette interventi d’urgenza e poi non li fa. L’altroieri s’era detto “lo faremo domani”. Ieri mattina si parlava del Cdm di lunedì, peraltro il primo luglio. Ma poi ieri pomeriggio il sottosegretario Malaschini ha dichiarato: “Ci siamo impegnati a risolvere il problema. Lo faremo”. Senza specificare quando. Le voci che circolavano facevano intendere che, piuttosto che un decreto ad hoc, si stesse pensando ora a inserire un emendamento nel provvedimento della Spending review per arrivare a un’approvazione nella seconda settimana di luglio. Sempre più difficile. “Non si può dire che i 91 milioni vanno ai terremotati e al contempo far maturare il diritto – commentano i Radicali – perché gli stessi 91 milioni possano essere richiesti dai tesorieri dei partiti. Fino a che non interviene una legge nuova – o un decreto del governo – i 91 milioni sono nella piena disponibilità dei partiti". E persino Stefano Ceccanti, relatore per il Pd della legge, che in queste settimane ha mostrato un’incrollabile fiducia nelle decisioni prese, commenta: “Se si deve fare il decreto, che si faccia”. di Wanda Marra

26 giugno 2012

Banche e derivati. Il "botto" è vicino

Un allarme tardivo, ma realistico. E completa assenza di indicazioni su cosa fare per “impedire” il ripetersi di un film già visto. Banche e derivati sono la stessa cosa: i secondi sono “prodotti” dalle prime, non esistono per loro conto. Fin dall'inizio è apparso chiaro che tutti i discorsi sulla “riforma delle regole del sistema finanziario internazionale” non sarebbe approdata a nulla. Troppi “decisori” (sia dei maggiori stati che dell più importanti istituzioni economiche globali) sono incatenati – personalmente e strutturalmente – agli istituti di credito, ai fondi di investimento, ecc. Il governo degli Stati uniti, Obama a parte, ne è un esempio clamoroso da oltre un trentennio. Gente che esce dalla finanza o dalle grandi multinazionali per fare il ministro e poi torna a fare la finanza o l'impresa. Gli si può forse chiedersi di rinunciare a una carriera futura o di bastonare i propri recenti ex colleghi di lavoro? Ma c'è una dato ancora più chiaro che esce fuori da questo scandalizzato articolo de Il Sole 24 Ore – è tutto dire! - e che non dobiamo mai smettere di tenere presente: la sovraesposizione al rischio insito nel mercato dei derivati da parte delle banche si regge sulla ferrea convinzione che, tanto, se va male ci sarà un altro giro di aiuti pubblici riservati alle banche e al sistema finanziario. E' come se l'assicurazione obbligatoria per le automobili fosse a carico dello Stato: chi si preoccuperebbe più di evitare ammaccature e graffi da paercheggio, piccoli tamponamenti, investire pedoni sulle strisce, ecc? Alle grandi banche è riservato un privilegio di questo tipo: investire “a leva”, ovvero mettendo 10 di capitale proprio per mettere in moto operazioni da 1.000 (un numero a caso, ma proporzionato alle operazioni reali), con la certezza che se tutto va bene il guadagno viene intascato privcatamente, se va male si mette a conto del “pubblico”. Che dovrà tagliare ancora tutte le spese “non finanziarie” (scuola, sanità, trasporto pubblico, ecc). Un gioco del genere non è soltanto infame. Semplicemente, non può funzionare a lungo. Sono cinque anni che la crisi morde e non passa. Ttutto quel che è stato fatto finora è servito solo a ricreare le condizioni di partenza da cui è maturato il crack Lehmann Brothers e la “grande gelata” dei mercati tra il 2008 e il 2009. Sta per accadere di nuovo. E ovviamente con più forza di prima, su una scala più grande. Il valore nominale totale del "mercato dei derivati" (completamente fuori dei circuiti regolamentati), ha raggiunto i 650mila miliardi dollari, sette-otto volte il prodotto interno lordo di tutto il pianeta. Non esiste nessuno - né privato, né "pubblico" - che possa "garantire" da una valanga di queste dimensioni. di Claudio Conti

Giornalismo azzecagarbugli

Vedo avanzare una stagione sinistra. Quella del ritorno in grande stile degli Azzeccagarbugli che nel post Mani Pulite furoreggiarono riuscendo in pochissimi anni a trasformare i ladri in vittime e i magistrati nei veri colpevoli. Gli Azzeccagarbugli, intellettuali e giornalisti, sono specialisti nell'uso del sofisma, del paralogismo (argomento falso ma con l'apparenza di vero) e, come nel gioco delle tre tavolette, nel mischiare, a seconda di quanto gli torna comodo, i piani di discussione passando da quello giuridico al politico al sociologico, con l'intento di intorbidare le acque e rendere oscuro ciò che è chiaro, nero ciò che è bianco. Un caso direi di scuola è l'articolo scritto da Fabrizio Rondolino, ex uomo di D'Alema, per Il Giornale del 21.06 a proposito dell'autorizzazione all'arresto di Luigi Lusi data dal Senato: “È la prova che il giustizialismo, l'ordalia manettara, la subordinazione alla magistratura inquirente sono sopravvissuti alla fine dell'anti berlusconismo... È un giorno di lutto per la sinistra italiana perché il valore della libertà personale è più grande delle sottigliezze giuridiche... del protagonismo plebeo che esige ogni giorno un nuovo lazzarone da impiccare sulla pubblica piazza”. Noi che, a differenza dell'aristocratico Rondolino, siamo dei cittadini plebei vorremmo semplicemente che anche i nobili fossero chiamati a osservare quelle leggi che noi tutti siamo tenuti a rispettare. Perché l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge è il principio-cardine della liberal democrazia, se cade questo principio la democrazia perde ogni senso e legittimità e si traduce in un neofeudalesimo, con un doppio diritto, uno per i plebei, intransigente e feroce, e uno per i neoaristocratici, così lasco e morbido da diventare quasi inesistente. Insomma la vecchia, cara, schifosa giustizia di classe. Rondolino aggiunge: “La carcerazione preventiva è un crimine e uno scandalo... tenere le persone in prigione prima del processo significa esercitare una pressione sull'imputato che somiglia assai più alla tor tura”. Se questo principio fosse assoluto, allora deve valere anche per Giovanni Vantaggiato e per tutti coloro che sono attualmente in carcere in attesa di processo, in genere per reati molto minori di quelli imputati a Lusi, una grassazione di denaro pubblico per 25 milioni di euro che lui chiama graziosamente “un fatto di costume”. Ci sono invece casi in cui la carcerazione preventiva si rende necessaria e il Codice di procedura penale ne definisce rigidamente i requisiti. Naturalmente Rondolino parte dal presupposto, del tutto arbitrario, che questi requisiti nel caso di Lusi non ci sono e che quindi la richiesta d'arresto del Gip è illegittima: “Quali nuovi reati avrebbe potuto commettere Lusi? Quali prove avrebbe potuto occultare lui che parla con i magistrati e con i giornalisti ogni giorno? Oppure sarebbe fuggito all'estero?”. Ohè, se esistono o meno i requisiti per un arresto lo stabilisce il Gip, e in seguito il Tribunale della Libertà, e ancora successivamente la Cassazione o Fabrizio Rondolino costituitosi in arbitro e giudice unico, in Tribunale Speciale? Noi siamo plebei, ma non proprio così cretini da non capire che, per l'ennesima volta, la classe dirigente e i suoi lacchè ci stanno prendendo in giro. Ma di fronte alle solite fumisterie non sappiamo come reagire. Non abbiamo difesa. O, forse, una difesa c'è. Quando ero all'Europeo, c'era un giovane collega, Claudio Lazzaro, bel ragazzo, alto, aitante, dolce, un po' naif e ingenuo. E nelle assemblee di redazione i vecchi marpioni del giornale gli cambiavano ogni volta le carte in tavola, il bianco diventava nero e il nero bianco. Lui ne rimaneva sconcertato e amareggiato. Finché un giorno, dai e ridai, anche il mite Claudio perse la pazienza. Si alzò e grande e grosso com'era puntò sul caporione e guardandolo dritto negli occhi disse: “Bene, allora ditemi a chi devo spaccare la faccia?”. E il bianco tornò bianco e il nero nero. È davvero a questo che volete portarci?