08 gennaio 2013

Grandi banche indagate per frode







In questi giorni di fine 2012 le grandi banche internazionali, soprattutto quelle europee, sembrano infastidite. Si lamentano dei controlli più attenti, ma da loro ritenuti troppo invadenti, da parte degli organi di vigilanza.

L’ultimo caso riguarda l’UBS, la più grande banca svizzera, che ha accettato di patteggiare e di pagare oltre un miliardo e mezzo di dollari di multa per chiudere il caso dello scandalo-truffa del Libor!

In merito si ricordi che alcuni mesi fa, la SEC, la lenta e burocratica agenzia di controllo americana, e l’inglese British Financial Service Authority denunciarono una ventina di banche internazionali per aver manipolato il famoso London Interbank Offered Rate (Libor), cioè il tasso che stabilisce la base per definire tutti gli altri tassi di interesse applicati sui mercati finanziari. Erano quelle del cosiddetto cartello delle “too big to fail”: le inglesi Barclays, HSBC, Royal Bank of Scotland, la Deutsche Bank tedesca e le americane, JP Morgan, Citigroup e Bank of America.

Dal 2005 al 2007 le banche in questione avevano gonfiato i loro dati per far salire il Libor e incassare sui tassi alti. Dopo lo scoppio della crisi hanno invece giocato i loro dati al ribasso per mascherare le proprie difficoltà e abbassare il costo dei prestiti di cui avevano bisogno per sopravvivere. Hanno quindi semplicemente fornito informazioni fasulle a proprio profitto.  

Sei mesi fa, la Barclays, ritenuta una delle capofila di tale “frode organizzata”, ha pagato 450 milioni di dollari di multa per chiudere la faccenda. Adesso è toccato all’UBS.

Di primo acchito le multe sembrano molto salate. In realtà, per tali banche sono solo dei fastidiosi esborsi, a fronte degli enormi profitti incassati negli anni della “grande truffa”.

Si stima infatti che circa 800 trilioni di dollari di prodotti finanziari, a cominciare dai derivati Otc, siano legati all’andamento del Libor. Perciò la sola manipolazione di uno 0,01% equivale mediamente a 80 miliardi di dollari all’anno di profitti da spartire tra i grandi operatori finanziari.

Inoltre, come sappiamo dai dati della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea e dell’Office of the Comptroller of the Currency (Occ) americano, sono state, e lo sono tuttora, sempre le stesse banche indagate per la truffa del Libor a controllare la quasi totalità delle operazioni finanziarie globali. 

Vi sono poi le indagini nei confronti della Deutsche Bank, i cui uffici sono stati “visitati” per ben due volte in pochi giorni dagli investigatori delle polizia tedesca che ha sequestrato montagne di documenti.

Uno degli scandali-truffa riguarda una evasione fiscale per circa 300 milioni di euro frutto del commercio dei certificati CO2 nei mesi a cavallo del 2009-10. Uno schema tristemente noto anche in Italia, su cui sarebbe doveroso indagare.

Per l’intera Europa l’Europol stima una truffa ed una evasione fiscale legata ai certificati CO2 per oltre 5 miliardi di euro! Oramai si specula e si truffa anche sull’aria che respiriamo!

A seguito di accordi internazionali e dei tanti movimenti e dibattiti sulle questioni ambientali e climatiche, l’UE ha stabilito un “Emissions Trading System” che assegna un tetto di emissione di anidride carbonica ad ogni impresa e ad ogni impianto di produzione di energia. In pratica si è creato un mercato per acquistare certificati-permessi per maggiori emissioni e per vendere eventuali surplus. Su ciò si è innestato anche un mercato di derivati.

I casi della Barclays, dell’UBS, della Deutsche Bank, così come quello precedente dell’inglese HSBC coinvolta anche nel riciclaggio dei soldi della droga tra Messico e Stati Uniti, sembrano assegnare un ruolo centrale nel malaffare alle banche europee. Ma in realtà sappiamo quanto pesantemente siano state coinvolte le maggiori banche americane nelle truffe dei mutui sub prime e dei prodotti finanziari strutturati.

Tutte queste banche continuano a giocare sul ricatto di essere “too big to fail” per sottrarsi alle indagini ed a ogni forma di regolamentazione. Le frodi venute alla luce provano che il loro comportamento, già responsabile della crisi finanziaria ed economica globale, non è minimamente cambiato.

In relazione a ciò ed al progressivo peggioramento della situazione economica e finanziaria delle economie degli Usa e dell’Europa saranno determinanti le decisioni che il rieletto presidente Obama prenderà entro i prossimi mesi.

Se, con l’indispensabile collaborazione dell’UE, saprà operare con la stessa determinazione di Franklin Delano Roosevelt del 1933 nel mezzo della Grande Depressione allora potremo costruire la necessaria riforma della finanza e dell’economia e rimettere in moto la ripresa del sistema produttivo. 

Se invece il presidente americano sarà tenuto sotto scacco dalle lobby di Wall Street e dei vari “gattopardi”, come è avvenuto nel suo primo mandato, allora dovremo essere consapevoli che una seconda e più violenta crisi sistemica potrà verificarsi.

Di questo ovviamente dovranno preoccuparsi anche il prossimo governo e le autorità europee. 

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

07 gennaio 2013

L'energumeno Monti







  

La discesa (o salita, come ama dire  l'interessato nel suo sconfinato egocentrismo, che non ammette di collegare in alcun caso la sua persona col verbo “scendere”) di Mario Monti  in campo, forse perché condotta sul filo dell'ammissibilità costituzionale, ha determinato reazioni  altrettanto squinternate. Bersani, preoccupato che il suo partito non abbia quel trionfo totale prospettatogli fino a pochi giorni fa dai sondaggi, dice di sperare   che   Monti sappia mantenersi  “super partes”. Dal momento che non può essere super partes chi, proprio perché disceso (anzi salito) nell'agone, è già  parte a tutti  gli effetti,  l'auspicio prepara il terreno per il dopo  nella speranza che, se ne avrà bisogno, stia dalla  “sua” parte in cambio di qualche strapuntino nel governo e non pretenda invece la poltrona principale.
    Berlusconi, giocando  sulla faccenda della discesa-salita,  ha commentato  che Monti sale, perché era un presidente del consiglio di rango inferiore, mentre lui stesso, Berlusconi, era di rango superiore.  Insomma, se si è capito bene, a parte gli altri che vanno via  piatti, ci sono in campo un contendente che sale  (Monti)  e uno  (Berlusconi) che scende.  Contento lui.
     Beppe Grillo ha definito l'inatteso concorrente (ma può stare tranquillo,  chi pencola verso l'universo grillino ha altri  difetti, ma  non voterà mai per Monti)  un “energumeno anticostituzionale”. Quanto all'anticostituzionale  è  vero che fin  dalla sua prima apparizione sotto l'ala protettrice di  Giorgio Napolitano e di Angela Merkel sono stati sollevati  da più parti dubbi  sulla conformità al sistema democratico  della  nomina e  delle modalità di subentro al precedente governo. Tuttavia la definizione di “energumeno” (peggio ancora nella sua versione british,  “brute”) risulta quanto mai inappropriata per  il compassato e algido rettore bocconiano.  E' vero che ha già fatto più danni di quanto avrebbero potuto farne il pelide Achille o i  due più noti energumeni mitologici, Ercole e Marte, e che altri, forse peggiori, si appresta a farne, ma il genere è diverso, quello dell'acqua cheta che rovina i ponti.
    Fin qui   tutto da ridere se non  fosse che  siamo tutti in  ballo e, quindi, inferiori o superiori che siano questi candidati al governo del  paese, energumeni o acque chete, a rischio  coinvolgimento nel crac finale. Più seria, ma appunto per questo preoccupante, la presa di posizione del Vaticano, che, avendo  letto nella sua  agenda l'aspirazione ad una politica alta e nobile, auspica che Monti possa intercettare il consenso della  maggioranza degli italiani, che appunto ad una politica di  questo genere aspirano. Di rinforzo, il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco,  ha informato l'opinione pubblica della sua convinzione che  “sulla onestà e capacità di Monti ci sia un riconoscimento comune”. Quanto all'onestà il termine ha molti significati  e prima di pronunciarsi  occorre vedere a quale il cardinale si riferisca (certamente non all'impegno a suo tempo preso di non partecipare alle elezioni). Sulla capacità, nel giro di un anno il comune consenso, stando ai sondaggi, è precipitato dal 75 al 35% (e il trend negativo prosegue). L'esperienza sta  insegnando qualcosa anche ai più ottimisti.bResta l'agenda. Basta leggerla (la si trova facilmente su Internet)  per rendersi conto che la politica alta e nobile sta tutta nelle parole, negli intenti e nei fini che  si proclama di volere raggiungere nell'interesse del popolo italiano, mentre nulla o ben poco si dice  dei mezzi da utilizzare per realizzarli. Esattamente  come nei programmi di tutti i partiti. A chiacchiere uno più nobile dell'altro.
      Inevitabile chiedersi  cosa, nonostante la sua  millennaria prudenza e la scarsa propensione a cedere al fascino delle millanterie e delle chiacchiere, abbia spinto la Chiesa italiana, la Cei, a scendere in campo.  E' verosimile che  la risposta si trovi nel timore  di una totale  vittoria, fino ad oggi ritenuta inevitabile (con appena qualche riserva per la maggioranza in Senato), di un Partito democratico che, perfettamente consapevole di non potere muovere foglia in economia che l'Europa non voglia, quanto alle riforme punta tutto, anche per compiacere  il co-équipier Vendola, sui cosiddetti (molto cosiddetti) “diritti civili”, così  entrando in piena collisione con quelli che la Chiesa considera (molto giustamente) “valori non negoziabili”.
   In realtà di questi valori, con tutta la sua elevatezza e nobiltà, non c'è traccia nemmeno nell'Agenda Monti,  tuttavia mai come in questo caso, in una situazione già  data  persa (nel Pd i cattolici, oltre ad essere “adulti”, contano come il due di picche), il silenzio è d'oro.

di Francesco Mario Agnoli -

06 gennaio 2013

Il Gran Maestro



 MARIO MONTI
Se un merito va riconosciuto a Mario Monti è di contribuire ad una maggiore chiarezza del dibattito; ha scelto il suo avversario, Silvio Berlusconi, il suo referente, Bersani, quest’ultimo con un Vendola più addomesticato; ha definito il perimetro entro cui si schiereranno e si formeranno le forze politiche a lui affini; ha tracciato gli orientamenti che ispirano il suo “Cambiare l’Italia, Riformare l’Europa: Agenda per l’impegno comune” di prossima pubblicazione. La conferenza stampa di fine anno tenutasi oggi, domenica 23 dicembre, è stata esemplare nella sua semplicità e incisività. Come al solito i commenti a caldo dei pontefici dell’informazione, a cominciare da Mentana, hanno piegato il senso delle sue dichiarazioni alla logica della quale è vittima la quasi totalità del giornalismo italiano: la riduzione al semplice scontro di fazioni partitiche nel palcoscenico politico e, quindi, l’implicito sostegno tattico allo schieramento di Casini e Montezemolo.
In realtà Monti ha detto molto di più e con un respiro che va al di là dell’attuale scadenza elettorale:
  • Non autorizza nessuno ad utilizzare indebitamente il suo nome; l’avvertimento a Casini e ad alcune componenti del PDL mi pare evidente.
  • La società civile è diffidente nei confronti dei politici professionisti compresi quelli che intendessero sostenere il suo programma
  • Piuttosto che tra destra e sinistra il discrimine della lotta politica dovrebbe essere l’Europa e il rinnovamento
  • Nei tre schieramenti classici e ormai antiquati ci sono cespugli europeisti, innovatori e liberali che andrebbero raccolti sulla base del nuovo discrimine
Il Professore, quindi, più che partecipare e tentare di vincere queste elezioni cerca di orientare il dibattito della campagna elettorale in modo che i partiti in qualche maniera rinuncino parzialmente alla demagogia necessaria a raccogliere voti e alleanze talmente eterogenei  da inficiare però la fluidità successiva dell’azione politica; Monti, infatti, ha già più volte dichiarato di non farsi troppe illusioni sulla frantumazione dei partiti prima delle elezioni. Dal PDL si aspetta poche defezioni importanti, meno del numero di dita delle mani. Paradossalmente, aggiungo io, potrebbe conseguire qualche successo più rilevante dal versante meno ostile, il PD. Sulla base del risultato elettorale, poi, si porrà il problema della coalizione, di chi sarà il Capo di Governo e di quale ruolo svolgerà Monti stesso da una parte e della destrutturazione degli attuali partiti dall’altra. L’altra preoccupazione è quella di circoscrivere il più possibile la campagna elettorale di Berlusconi il quale con i suoi argomenti, in caso di successo, rischia di innescare, contro le sue stesse intenzioni, una politicizzazione del processo di disgregazione dell’Unione Europea attraverso la crisi di una delle due correnti politiche europee, il Partito Popolare Europeo; da qui il senso della recente trappola perpetrata a Bruxelles dal PPE con l’incoronazione di Monti e il processo a Berlusconi.
Per tranciare in questo modo il dibattito politico, il Presidente dimissionario deve ricorrere a sua volta a delle forzature; deve  discriminare tra chi sostiene o ritiene compatibile il suo manifesto ed è in possesso, quindi, dell’attestazione di europeista ed innovatore; gli altri ne sono la semplice negazione. Non esiste pertanto altra dinamica positiva che l’attuale processo di Unione Europea; non esiste altro rinnovamento che il montismo.
Ma Monti, così come l’attuale Unione Europea, in realtà ha molto poco da offrire.
Prospettando una unione da costruire sulle macerie delle nazioni e degli stati nazionali, ignora del tutto i lunghi processi identitari  necessari a creare una comunità, uno stato rappresentativo e una nazione quale dovrebbe essere l’Europa nel caso riuscisse a realizzarsi e quali continuano ad essere gli attuali o almeno quelli che riescono a preservare la propria sovranità. L’Europa, agli occhi di Monti, sarebbe un popolo senza nazione, fatto di persone, consumatori e cittadini muniti di diritti e doveri formali. La sua costituzione sarebbe il frutto di una combinazione accorta dell’azione volontaria di élites e tecnocrati e di una rappresentazione dei cittadini di tipo parlamentare costruita attraverso un semplice atto di volontà di gruppi elitari. L’amalgama e lo sviluppo, invece, sarebbero garantiti dalla costruzione di un mercato continentale libero a sua volta integrato con quello americano e, in qualche momento di là da venire, mondiale.
Una impostazione che evita opportunamente ogni velleità di distinzione di interessi e di identità da quella dell’attuale potenza dominante americana e ogni possibilità di seria e trasparente trattativa tra gruppi e stati nazionali tesa a creare strutture organizzative, statuali, di impresa, culturali necessari per la formazione di blocchi sociali e popoli con una loro peculiarità.
Una visione simile, sia pure allo stato embrionale, apparteneva al De Gaulle degli anni ’60, quando propugnava un processo unitario fondato sugli stati nazionali e sull’integrazione verticale dei settori contestuale alla creazione del mercato europeo, piuttosto che sulla mera liberalizzazione dei mercati e sul continuo frazionamento delle imprese, sull’anomia culturale condita di retorica; la gestione di questi processi, però, comporta l’esistenza di gruppi nazionali forti, consapevoli degli interessi nazionali ma disposti a trattare con i vicini di casa e a delimitare l’azione rispetto alle altre potenze mondiali. Una condizione antitetica rispetto alla situazione europea scaturita dalla seconda guerra mondiale, proseguita nel bipolarismo, protrattasi ulteriormente, con qualche illusione fugace, con la caduta dell’URSS.
Quello che Monti ha da offrire è, più che una speranza, l’accettazione di una pesante regressione in alternativa ad una regressione ancora più marcata in caso di tradimento del suo verbo; l’occupazione tutt’al più  delle nicchie lasciate libere dalle forze dominanti. La recente vendita di Avio aereonautica alla General Electric, il taglio integrale per il secondo anno consecutivo dei finanziamenti sulla ricerca aerospaziale, i continui attacchi ad ENI e Finmeccanica, le scelte di politica estera e di difesa, la nuova enfasi riconosciuta alle scelte di Marchionne, esempi tra i tanti, lasciano intravedere quale sia la consistenza di queste nicchie e quali saranno le dinamiche di un libero mercato ridotto a campo di azione di lobby e gruppi organizzati nascosti dietro l’ideologia del consumatore e produttore individuale. Lascia intravedere, altresì, quali saranno le forze suscettibili di sostenere l’impulso “riformatore” di Mario Monti: i beneficiari di queste nicchie e i settori aggrappati alla possibilità di salvaguardare parte delle proprie prerogative parassitarie. Qualche accenno a questo arrembaggio l’abbiamo già visto nella gestione dei processi di liberalizzazione e nelle modalità di riorganizzazione della spesa pubblica avviati quest’anno. Sino ad ora Monti ha avuto buon gioco nell’accusare i partiti come zavorra antiriformatrice; il groppo ha invece un potere e una inerzia ben più rilevanti, radici ben presenti nel suo stesso governo tecnico “riformatore”.
Un dibattito simile ebbe luogo in Italia nell’immediato dopoguerra, ma in un contesto diverso. L’Italia di allora sviluppò rapidamente il settore tessile, ma con aspri scontri interni e una politica dirigista sostenuta dal piano Marshall riuscì a sviluppare anche una notevole industria meccanica e avviare uno sviluppo importante anche se complementare. Gli americani vincitori, allora, dovevano creare un blocco espansivo capace di alimentare la propria forza, offrire sbocchi alla propria capacità industriale e finanziaria, fronteggiare la minaccia sovietica, questo creò gli spazi necessari allo sviluppo e all’emergere di figure come Mattei. Oggi, al paese, viene richiesto un sacrificio di natura ben diversa e con più invitati alla condivisione delle spoglie, compresi alcuni paesi “amici” europei.
Il trasformismo e l’avventurismo di Berlusconi, a sua volta, rappresentano l’alter ego perfetto per giustificare e fornire motivi e forza a questa politica, per rinfocolare i timori sui quali basare i propri successi, così come avvenuto, in un contesto per ora ancora più drammatico, in Grecia.
È sempre più curiosa e intrigante, tra l’altro, l’affinità tra le tesi di Berlusconi, anche lui ormai ispirato dalle teorie espansiviste e di sovranità monetaria di Krugman e quelle antigermanocentriche  dei neoantimperialisti smemorati.
Non appena sarà pubblicato il manifesto di Monti, sulla falsa riga dei miei precedenti articoli di un anno fa sull’Unione Europea,  approfondirò tutti questi aspetti.

di Giuseppe Germinario 

08 gennaio 2013

Grandi banche indagate per frode







In questi giorni di fine 2012 le grandi banche internazionali, soprattutto quelle europee, sembrano infastidite. Si lamentano dei controlli più attenti, ma da loro ritenuti troppo invadenti, da parte degli organi di vigilanza.

L’ultimo caso riguarda l’UBS, la più grande banca svizzera, che ha accettato di patteggiare e di pagare oltre un miliardo e mezzo di dollari di multa per chiudere il caso dello scandalo-truffa del Libor!

In merito si ricordi che alcuni mesi fa, la SEC, la lenta e burocratica agenzia di controllo americana, e l’inglese British Financial Service Authority denunciarono una ventina di banche internazionali per aver manipolato il famoso London Interbank Offered Rate (Libor), cioè il tasso che stabilisce la base per definire tutti gli altri tassi di interesse applicati sui mercati finanziari. Erano quelle del cosiddetto cartello delle “too big to fail”: le inglesi Barclays, HSBC, Royal Bank of Scotland, la Deutsche Bank tedesca e le americane, JP Morgan, Citigroup e Bank of America.

Dal 2005 al 2007 le banche in questione avevano gonfiato i loro dati per far salire il Libor e incassare sui tassi alti. Dopo lo scoppio della crisi hanno invece giocato i loro dati al ribasso per mascherare le proprie difficoltà e abbassare il costo dei prestiti di cui avevano bisogno per sopravvivere. Hanno quindi semplicemente fornito informazioni fasulle a proprio profitto.  

Sei mesi fa, la Barclays, ritenuta una delle capofila di tale “frode organizzata”, ha pagato 450 milioni di dollari di multa per chiudere la faccenda. Adesso è toccato all’UBS.

Di primo acchito le multe sembrano molto salate. In realtà, per tali banche sono solo dei fastidiosi esborsi, a fronte degli enormi profitti incassati negli anni della “grande truffa”.

Si stima infatti che circa 800 trilioni di dollari di prodotti finanziari, a cominciare dai derivati Otc, siano legati all’andamento del Libor. Perciò la sola manipolazione di uno 0,01% equivale mediamente a 80 miliardi di dollari all’anno di profitti da spartire tra i grandi operatori finanziari.

Inoltre, come sappiamo dai dati della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea e dell’Office of the Comptroller of the Currency (Occ) americano, sono state, e lo sono tuttora, sempre le stesse banche indagate per la truffa del Libor a controllare la quasi totalità delle operazioni finanziarie globali. 

Vi sono poi le indagini nei confronti della Deutsche Bank, i cui uffici sono stati “visitati” per ben due volte in pochi giorni dagli investigatori delle polizia tedesca che ha sequestrato montagne di documenti.

Uno degli scandali-truffa riguarda una evasione fiscale per circa 300 milioni di euro frutto del commercio dei certificati CO2 nei mesi a cavallo del 2009-10. Uno schema tristemente noto anche in Italia, su cui sarebbe doveroso indagare.

Per l’intera Europa l’Europol stima una truffa ed una evasione fiscale legata ai certificati CO2 per oltre 5 miliardi di euro! Oramai si specula e si truffa anche sull’aria che respiriamo!

A seguito di accordi internazionali e dei tanti movimenti e dibattiti sulle questioni ambientali e climatiche, l’UE ha stabilito un “Emissions Trading System” che assegna un tetto di emissione di anidride carbonica ad ogni impresa e ad ogni impianto di produzione di energia. In pratica si è creato un mercato per acquistare certificati-permessi per maggiori emissioni e per vendere eventuali surplus. Su ciò si è innestato anche un mercato di derivati.

I casi della Barclays, dell’UBS, della Deutsche Bank, così come quello precedente dell’inglese HSBC coinvolta anche nel riciclaggio dei soldi della droga tra Messico e Stati Uniti, sembrano assegnare un ruolo centrale nel malaffare alle banche europee. Ma in realtà sappiamo quanto pesantemente siano state coinvolte le maggiori banche americane nelle truffe dei mutui sub prime e dei prodotti finanziari strutturati.

Tutte queste banche continuano a giocare sul ricatto di essere “too big to fail” per sottrarsi alle indagini ed a ogni forma di regolamentazione. Le frodi venute alla luce provano che il loro comportamento, già responsabile della crisi finanziaria ed economica globale, non è minimamente cambiato.

In relazione a ciò ed al progressivo peggioramento della situazione economica e finanziaria delle economie degli Usa e dell’Europa saranno determinanti le decisioni che il rieletto presidente Obama prenderà entro i prossimi mesi.

Se, con l’indispensabile collaborazione dell’UE, saprà operare con la stessa determinazione di Franklin Delano Roosevelt del 1933 nel mezzo della Grande Depressione allora potremo costruire la necessaria riforma della finanza e dell’economia e rimettere in moto la ripresa del sistema produttivo. 

Se invece il presidente americano sarà tenuto sotto scacco dalle lobby di Wall Street e dei vari “gattopardi”, come è avvenuto nel suo primo mandato, allora dovremo essere consapevoli che una seconda e più violenta crisi sistemica potrà verificarsi.

Di questo ovviamente dovranno preoccuparsi anche il prossimo governo e le autorità europee. 

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

07 gennaio 2013

L'energumeno Monti







  

La discesa (o salita, come ama dire  l'interessato nel suo sconfinato egocentrismo, che non ammette di collegare in alcun caso la sua persona col verbo “scendere”) di Mario Monti  in campo, forse perché condotta sul filo dell'ammissibilità costituzionale, ha determinato reazioni  altrettanto squinternate. Bersani, preoccupato che il suo partito non abbia quel trionfo totale prospettatogli fino a pochi giorni fa dai sondaggi, dice di sperare   che   Monti sappia mantenersi  “super partes”. Dal momento che non può essere super partes chi, proprio perché disceso (anzi salito) nell'agone, è già  parte a tutti  gli effetti,  l'auspicio prepara il terreno per il dopo  nella speranza che, se ne avrà bisogno, stia dalla  “sua” parte in cambio di qualche strapuntino nel governo e non pretenda invece la poltrona principale.
    Berlusconi, giocando  sulla faccenda della discesa-salita,  ha commentato  che Monti sale, perché era un presidente del consiglio di rango inferiore, mentre lui stesso, Berlusconi, era di rango superiore.  Insomma, se si è capito bene, a parte gli altri che vanno via  piatti, ci sono in campo un contendente che sale  (Monti)  e uno  (Berlusconi) che scende.  Contento lui.
     Beppe Grillo ha definito l'inatteso concorrente (ma può stare tranquillo,  chi pencola verso l'universo grillino ha altri  difetti, ma  non voterà mai per Monti)  un “energumeno anticostituzionale”. Quanto all'anticostituzionale  è  vero che fin  dalla sua prima apparizione sotto l'ala protettrice di  Giorgio Napolitano e di Angela Merkel sono stati sollevati  da più parti dubbi  sulla conformità al sistema democratico  della  nomina e  delle modalità di subentro al precedente governo. Tuttavia la definizione di “energumeno” (peggio ancora nella sua versione british,  “brute”) risulta quanto mai inappropriata per  il compassato e algido rettore bocconiano.  E' vero che ha già fatto più danni di quanto avrebbero potuto farne il pelide Achille o i  due più noti energumeni mitologici, Ercole e Marte, e che altri, forse peggiori, si appresta a farne, ma il genere è diverso, quello dell'acqua cheta che rovina i ponti.
    Fin qui   tutto da ridere se non  fosse che  siamo tutti in  ballo e, quindi, inferiori o superiori che siano questi candidati al governo del  paese, energumeni o acque chete, a rischio  coinvolgimento nel crac finale. Più seria, ma appunto per questo preoccupante, la presa di posizione del Vaticano, che, avendo  letto nella sua  agenda l'aspirazione ad una politica alta e nobile, auspica che Monti possa intercettare il consenso della  maggioranza degli italiani, che appunto ad una politica di  questo genere aspirano. Di rinforzo, il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco,  ha informato l'opinione pubblica della sua convinzione che  “sulla onestà e capacità di Monti ci sia un riconoscimento comune”. Quanto all'onestà il termine ha molti significati  e prima di pronunciarsi  occorre vedere a quale il cardinale si riferisca (certamente non all'impegno a suo tempo preso di non partecipare alle elezioni). Sulla capacità, nel giro di un anno il comune consenso, stando ai sondaggi, è precipitato dal 75 al 35% (e il trend negativo prosegue). L'esperienza sta  insegnando qualcosa anche ai più ottimisti.bResta l'agenda. Basta leggerla (la si trova facilmente su Internet)  per rendersi conto che la politica alta e nobile sta tutta nelle parole, negli intenti e nei fini che  si proclama di volere raggiungere nell'interesse del popolo italiano, mentre nulla o ben poco si dice  dei mezzi da utilizzare per realizzarli. Esattamente  come nei programmi di tutti i partiti. A chiacchiere uno più nobile dell'altro.
      Inevitabile chiedersi  cosa, nonostante la sua  millennaria prudenza e la scarsa propensione a cedere al fascino delle millanterie e delle chiacchiere, abbia spinto la Chiesa italiana, la Cei, a scendere in campo.  E' verosimile che  la risposta si trovi nel timore  di una totale  vittoria, fino ad oggi ritenuta inevitabile (con appena qualche riserva per la maggioranza in Senato), di un Partito democratico che, perfettamente consapevole di non potere muovere foglia in economia che l'Europa non voglia, quanto alle riforme punta tutto, anche per compiacere  il co-équipier Vendola, sui cosiddetti (molto cosiddetti) “diritti civili”, così  entrando in piena collisione con quelli che la Chiesa considera (molto giustamente) “valori non negoziabili”.
   In realtà di questi valori, con tutta la sua elevatezza e nobiltà, non c'è traccia nemmeno nell'Agenda Monti,  tuttavia mai come in questo caso, in una situazione già  data  persa (nel Pd i cattolici, oltre ad essere “adulti”, contano come il due di picche), il silenzio è d'oro.

di Francesco Mario Agnoli -

06 gennaio 2013

Il Gran Maestro



 MARIO MONTI
Se un merito va riconosciuto a Mario Monti è di contribuire ad una maggiore chiarezza del dibattito; ha scelto il suo avversario, Silvio Berlusconi, il suo referente, Bersani, quest’ultimo con un Vendola più addomesticato; ha definito il perimetro entro cui si schiereranno e si formeranno le forze politiche a lui affini; ha tracciato gli orientamenti che ispirano il suo “Cambiare l’Italia, Riformare l’Europa: Agenda per l’impegno comune” di prossima pubblicazione. La conferenza stampa di fine anno tenutasi oggi, domenica 23 dicembre, è stata esemplare nella sua semplicità e incisività. Come al solito i commenti a caldo dei pontefici dell’informazione, a cominciare da Mentana, hanno piegato il senso delle sue dichiarazioni alla logica della quale è vittima la quasi totalità del giornalismo italiano: la riduzione al semplice scontro di fazioni partitiche nel palcoscenico politico e, quindi, l’implicito sostegno tattico allo schieramento di Casini e Montezemolo.
In realtà Monti ha detto molto di più e con un respiro che va al di là dell’attuale scadenza elettorale:
  • Non autorizza nessuno ad utilizzare indebitamente il suo nome; l’avvertimento a Casini e ad alcune componenti del PDL mi pare evidente.
  • La società civile è diffidente nei confronti dei politici professionisti compresi quelli che intendessero sostenere il suo programma
  • Piuttosto che tra destra e sinistra il discrimine della lotta politica dovrebbe essere l’Europa e il rinnovamento
  • Nei tre schieramenti classici e ormai antiquati ci sono cespugli europeisti, innovatori e liberali che andrebbero raccolti sulla base del nuovo discrimine
Il Professore, quindi, più che partecipare e tentare di vincere queste elezioni cerca di orientare il dibattito della campagna elettorale in modo che i partiti in qualche maniera rinuncino parzialmente alla demagogia necessaria a raccogliere voti e alleanze talmente eterogenei  da inficiare però la fluidità successiva dell’azione politica; Monti, infatti, ha già più volte dichiarato di non farsi troppe illusioni sulla frantumazione dei partiti prima delle elezioni. Dal PDL si aspetta poche defezioni importanti, meno del numero di dita delle mani. Paradossalmente, aggiungo io, potrebbe conseguire qualche successo più rilevante dal versante meno ostile, il PD. Sulla base del risultato elettorale, poi, si porrà il problema della coalizione, di chi sarà il Capo di Governo e di quale ruolo svolgerà Monti stesso da una parte e della destrutturazione degli attuali partiti dall’altra. L’altra preoccupazione è quella di circoscrivere il più possibile la campagna elettorale di Berlusconi il quale con i suoi argomenti, in caso di successo, rischia di innescare, contro le sue stesse intenzioni, una politicizzazione del processo di disgregazione dell’Unione Europea attraverso la crisi di una delle due correnti politiche europee, il Partito Popolare Europeo; da qui il senso della recente trappola perpetrata a Bruxelles dal PPE con l’incoronazione di Monti e il processo a Berlusconi.
Per tranciare in questo modo il dibattito politico, il Presidente dimissionario deve ricorrere a sua volta a delle forzature; deve  discriminare tra chi sostiene o ritiene compatibile il suo manifesto ed è in possesso, quindi, dell’attestazione di europeista ed innovatore; gli altri ne sono la semplice negazione. Non esiste pertanto altra dinamica positiva che l’attuale processo di Unione Europea; non esiste altro rinnovamento che il montismo.
Ma Monti, così come l’attuale Unione Europea, in realtà ha molto poco da offrire.
Prospettando una unione da costruire sulle macerie delle nazioni e degli stati nazionali, ignora del tutto i lunghi processi identitari  necessari a creare una comunità, uno stato rappresentativo e una nazione quale dovrebbe essere l’Europa nel caso riuscisse a realizzarsi e quali continuano ad essere gli attuali o almeno quelli che riescono a preservare la propria sovranità. L’Europa, agli occhi di Monti, sarebbe un popolo senza nazione, fatto di persone, consumatori e cittadini muniti di diritti e doveri formali. La sua costituzione sarebbe il frutto di una combinazione accorta dell’azione volontaria di élites e tecnocrati e di una rappresentazione dei cittadini di tipo parlamentare costruita attraverso un semplice atto di volontà di gruppi elitari. L’amalgama e lo sviluppo, invece, sarebbero garantiti dalla costruzione di un mercato continentale libero a sua volta integrato con quello americano e, in qualche momento di là da venire, mondiale.
Una impostazione che evita opportunamente ogni velleità di distinzione di interessi e di identità da quella dell’attuale potenza dominante americana e ogni possibilità di seria e trasparente trattativa tra gruppi e stati nazionali tesa a creare strutture organizzative, statuali, di impresa, culturali necessari per la formazione di blocchi sociali e popoli con una loro peculiarità.
Una visione simile, sia pure allo stato embrionale, apparteneva al De Gaulle degli anni ’60, quando propugnava un processo unitario fondato sugli stati nazionali e sull’integrazione verticale dei settori contestuale alla creazione del mercato europeo, piuttosto che sulla mera liberalizzazione dei mercati e sul continuo frazionamento delle imprese, sull’anomia culturale condita di retorica; la gestione di questi processi, però, comporta l’esistenza di gruppi nazionali forti, consapevoli degli interessi nazionali ma disposti a trattare con i vicini di casa e a delimitare l’azione rispetto alle altre potenze mondiali. Una condizione antitetica rispetto alla situazione europea scaturita dalla seconda guerra mondiale, proseguita nel bipolarismo, protrattasi ulteriormente, con qualche illusione fugace, con la caduta dell’URSS.
Quello che Monti ha da offrire è, più che una speranza, l’accettazione di una pesante regressione in alternativa ad una regressione ancora più marcata in caso di tradimento del suo verbo; l’occupazione tutt’al più  delle nicchie lasciate libere dalle forze dominanti. La recente vendita di Avio aereonautica alla General Electric, il taglio integrale per il secondo anno consecutivo dei finanziamenti sulla ricerca aerospaziale, i continui attacchi ad ENI e Finmeccanica, le scelte di politica estera e di difesa, la nuova enfasi riconosciuta alle scelte di Marchionne, esempi tra i tanti, lasciano intravedere quale sia la consistenza di queste nicchie e quali saranno le dinamiche di un libero mercato ridotto a campo di azione di lobby e gruppi organizzati nascosti dietro l’ideologia del consumatore e produttore individuale. Lascia intravedere, altresì, quali saranno le forze suscettibili di sostenere l’impulso “riformatore” di Mario Monti: i beneficiari di queste nicchie e i settori aggrappati alla possibilità di salvaguardare parte delle proprie prerogative parassitarie. Qualche accenno a questo arrembaggio l’abbiamo già visto nella gestione dei processi di liberalizzazione e nelle modalità di riorganizzazione della spesa pubblica avviati quest’anno. Sino ad ora Monti ha avuto buon gioco nell’accusare i partiti come zavorra antiriformatrice; il groppo ha invece un potere e una inerzia ben più rilevanti, radici ben presenti nel suo stesso governo tecnico “riformatore”.
Un dibattito simile ebbe luogo in Italia nell’immediato dopoguerra, ma in un contesto diverso. L’Italia di allora sviluppò rapidamente il settore tessile, ma con aspri scontri interni e una politica dirigista sostenuta dal piano Marshall riuscì a sviluppare anche una notevole industria meccanica e avviare uno sviluppo importante anche se complementare. Gli americani vincitori, allora, dovevano creare un blocco espansivo capace di alimentare la propria forza, offrire sbocchi alla propria capacità industriale e finanziaria, fronteggiare la minaccia sovietica, questo creò gli spazi necessari allo sviluppo e all’emergere di figure come Mattei. Oggi, al paese, viene richiesto un sacrificio di natura ben diversa e con più invitati alla condivisione delle spoglie, compresi alcuni paesi “amici” europei.
Il trasformismo e l’avventurismo di Berlusconi, a sua volta, rappresentano l’alter ego perfetto per giustificare e fornire motivi e forza a questa politica, per rinfocolare i timori sui quali basare i propri successi, così come avvenuto, in un contesto per ora ancora più drammatico, in Grecia.
È sempre più curiosa e intrigante, tra l’altro, l’affinità tra le tesi di Berlusconi, anche lui ormai ispirato dalle teorie espansiviste e di sovranità monetaria di Krugman e quelle antigermanocentriche  dei neoantimperialisti smemorati.
Non appena sarà pubblicato il manifesto di Monti, sulla falsa riga dei miei precedenti articoli di un anno fa sull’Unione Europea,  approfondirò tutti questi aspetti.

di Giuseppe Germinario