16 febbraio 2013

Il popolo della sinistra truffato






  
   
Tre sono i temi dibattuti nel presente post: 1) I punti di forza di Grillo e Casaleggio. 2) Il silenzio degli operai (una sorta d'inquietante silenzio degli innocenti). 3) Il popolo di sinistra manipolato dai rinnegati neoliberisti. 

1) La forza del grillismo, a quanto sembra crescente. Vero che Grillo e Casaleggio, dominatori incontrastati del movimento, hanno fatto una scelta vincente con i vecchi comizi in piazza (che stranamente contraddicono, per la richiesta presenza nel mondo reale, la natura virtuale e originaria della loro creatura m5s) e la comunicazione prevalente in rete (programma, parlamentarie, eccetera). 

I punti di forza principali di Grillo e Casaleggio, che finora si sono rivelati paganti in termini di consensi e di relativo radicamento del movimento in molte aree del paese, sono essenzialmente tre: 

a) Decisioni fortemente centralizzate e organizzazione de facto verticistica del movimento. La centralizzazione del movimento e la limitazione del numero dei veri decisori costituiscono un buon contrappeso, almeno per ora, all’eterogeneità del movimento stesso, che altrimenti alimenterebbe forti spinte centrifughe. Vedremo cosa accadrà domani, quando i rappresentanti di m5s saranno in parlamento e il movimento cercherà di emanciparsi, sfuggendo alla stretta dei due capi.

b) Rifiuto delle alleanze con qualsivoglia possibile interlocutore esterno, nella consapevolezza che una splendida solitudine, in questi frangenti politico-sociali, moltiplica i voti. Se ci si presenta come puri e illibati, speranza di cambiamenti radicali per la prima volta in parlamento, non vi può essere commistione con i partiti e i cartelli elettorali che il sistema ha prodotto, pena la perdita d’immagine e la contaminazione. Perciò Ingroia e il suo cartellino elettorale non dovrebbero esser visti come una protesi di Grillo e dei suoi e non è per niente certa una futura alleanza fra i due gruppi. 

c) De-ideologizzazione completa del movimento ed estraneità conclamata al sistema dei partiti, per mietere consensi ovunque, con il contraltare di un programma ambiguo, centrato sul sociale – reddito di cittadinanza per tutti – ma con preoccupanti elementi di natura liberista – contrattazione individuale, senza mediazioni sindacali, fra lavoratore e datore di lavoro. 

Che poi una fetta significativa del ceto medio impoverito, in buona parte legato al lavoro intellettuale – dipendente, parasubordinato e autonomo –sostenga oggi con qualche convinzione m5s, la cosa non deve stupire, anche in considerazione della prevalenza delle fasce d'età più giovani, investite in pieno dall’onda del precariato e interessate in particolare al punto c prima esposto, in termini di de-ideologizzazione di massa, estraneità conclamata al sistema dei partiti, interclassismo, eccetera. 

2) Il silenzio degli operai, quasi invisibili con i loro problemi in campagna elettorale. Per quanto riguarda gli operai, invece, il loro sconcertante silenzio e la loro apparente irrilevanza stupiscono, essendo fra i più colpiti dalla crisi indotta, dalla disoccupazione conseguente e dalle misure antisociali del governo Monti, appoggiato convintamente dalla sinistra rinnegata pidiina. Oggi sono più attivi, più contrastivi e vitali i nuclei di piccoli imprenditori inferociti, ad un passo dalla rovina, che sostengono il pagliaccesco neoliberista Giannino. Quegli stessi imprenditori che anni addietro, quando ancora i momenti più bui della crisi erano una vaga prospettiva, sostenevano con convinzione il liberismo estremo, l’espansione e il dominio incontrastato dei mercati per una libera iniziativa privata senza lacci e lacciuoli. O che magari spostavano risorse dalla produzione e dall’innovazione nei cicli produttivi e dei prodotti alle lucrose attività finanziarie. Gli operai invece, abbandonati da una sinistra che ha cercato nuovi, potentissimi padroni dopo il collasso sovietico, saltando definitivamente dall’altra parte della barricata, già da anni sopravvivono ai rigori sociali imposti dal neocapitalismo dominante come orfani che cercano un riferimento (politico) e una tutela che hanno perduto. Nel 2008, a nord, è stata la lega di Bossi ad attrarre il loro consenso, in un tentativo di trovare rappresentanza per i propri interessi. Ma anche in tal caso gli operai non hanno goduto di alcuna vera rappresentatività, come gruppo ormai invisibile a livello politico e non più come storica classe del vecchio ordine sociale. Pur al governo con il Berlusconi IV e determinante per la sopravvivenza di quel esecutivo, la lega beneficiata dal voto operaio non ha impedito il dilagare della disoccupazione, nel settentrione del paese, e non ha contrastato (come tutti, del resto, nella maggioranza e nell’opposizione di allora) la grande offensiva marchionnista contro il contratto nazionale di lavoro. Dopo questa delusione, amplificata di recente dalle inchieste della magistratura che hanno investito i vertici della lega a partire dal suo segretario amministrativo (Belsito), è probabile che il voto degli operai abbandonati a se stessi anche sul versante sindacale (fiom e cgil sostengono il pd, il sel e il cs che hanno in serbo la continuazione delle politiche euromontiane) si disperda in molti rivoli, se non prevarrà una chiara scelta astensionista. Unico vero testimonial della condizione operaia in Italia è il piccolissimo e ininfluente Partito Comunista dei Lavoratori del professor Tiziano Ferrando, che può sperare in paio di centinaia di migliaia di voti, non tutti operai. L’inquietante silenzio del lavoro operaio penalizzato in termini di redditi, posti di lavoro e diritti, in questa campagna elettorale un po’ surreale e in gran parte mediatica, può non significare che il neocapitalismo, attraverso le sue regole, i suoi partiti e i suoi sindacati, è riuscito a piegare definitivamente gli operai orfani dell’omonima classe, riducendoli sempre di più a neoschiavi rassegnati.  Che si tratti, invece, della classica quiete prima di una storica (e destabilizzante) tempesta sociale, non limitata al nostro paese?

3) Il popolo di sinistra condotto al voto da rinnegati e traditori che lo manipolano. Idiotizzazione, perdita della coscienza critica, sociale e di classe, e diffusione dell’antiberlusconismo salvifico hanno condizionato e adeguatamente manipolato il cosiddetto popolo di sinistra che così appoggia, contro i suoi, propri interessi vitali, i rinnegati neoliberisti del pd, con la protesi radicale del sel vendoliano. Quell'antiberlusconismo che ha favorito la perdita di consenso del cav e la sua caduta è stato usato subdolamente come cavallo di troia per far entrare Monti in Italia, insediatosi al governo per conto delle élite finanziarie internazionalizzate (americane ed europidi). Lo stesso antiberlusconismo, suscitato da intense ed estese campagne massmediatiche dei rinnegati di sinistra, con appoggi e complicità ben oltre i confini nazionali, serve per chiamare a raccolta il popolo di sinistra contro il ritorno di Berlusconi e la sua veloce rimonta in campagna elettorale. Il vero scopo di queste operazioni è sempre quello di sottomettere l’intero paese, e al suo interno lo stesso popolo di sinistra, ai voleri delle élite finanziarie internazionalizzate, proseguendo con le controriforme euromontiane e continuando con il ridimensionamento/ privatizzazione integrale delle strutture produttive nazionali. A tale fine, possono andar bene anche le pelosissime (e scadenti) performance di un istrione del calibro di Crozza che imita Berlusconi sul palco di San Remo, pur accompagnate dalle vivaci proteste del pubblico. Uno strumento importante, alla fine della campagna elettorale, sono le inchieste e i processi della magistratura contro lega e pdl, per cercare di ridimensionarli: l’arresto di Orsi ai vertici di Finmeccanica e i quattro anni comminati a Fitto del pdl dal tribunale di Bari. Ma le inchieste della magistratura raggiungono anche l’obiettivo di screditare e mettere in crisi le ultime grandi industrie italiane, preparandole per futuri ridimensionamenti, sostituzioni dei vertici, smembramenti e infine per la vendita (a sconto) sul mercato al capitale finanziario straniero. E’ questo l’interesse concreto del cosiddetto popolo di sinistra, che voterà in grande maggioranza per pd e sel? Ovviamente no, perché un ulteriore impoverimento del paese non risparmierebbe la grandissima parte degli elettori di Bersani e Vendola. Se poi si considera il futuro esecutivo con Monti, nonostante le dichiarazioni contrarie dell’imbroglione Vendola, il quadro della situazione è completo. Votare per chi si accinge a fare il tuo male, a mantenerti nella prigione unionista europoide e sotto tortura sociale con l’euro, è senz’altro manifestazione estrema di idiotismo, se non di vero e proprio masochismo, e addirittura va oltre la sindrome di Stoccolma. Il popolo di sinistra potrà essere recuperato o la partita per il risveglio delle coscienze è ormai perduta? Difficile dirlo, ma è chiaro che siamo a un passo dalla sconfitta definitiva.

di Eugenio Orso 

15 febbraio 2013

Il boom degli altri


Perché i Bric (Brasile, Russia, India e Cina) crescono (in termini di Pil) più dei paesi occidentali e dell'Italia in particolare?
Per lo stesso motivo per cui l'Italia, negli anni 60, era in pieno boom: c'era da costruire una nuova economia (passando dall'Agricoltura all'Industria), si pagavano poche tasse (intorno al 30% del Pil) e c'era molta libertà di intraprendere...
Leggete quella "ricetta" al contrario: tasse elevatissime (intorno al 50% del Pil), completa rigidità di un sistema economico soffocato dalla burocrazia e da un numero sterminato di leggi e regolamenti ed un economia matura, esposta alla concorrenza dei paesi emergenti... ed avrete i motivi per cui da quindici anni noi non cresciamo più.
Aggiungeteci l'ulteriore zavorra dell'euro (che ci rende molto vulnerabili alla concorrenza dei paesi nostri concorrenti, soprattutto la Germania) ed avrete il quadro quasi completo della nostra situazione di grande difficoltà.
Negli anni 60, dopo 20 anni di fascismo ed una guerra persa, gli italiani avevano voglia di intraprendere... arricchirsi... e farlo rapidamente...
Al Nord le aziende nascevano come funghi (oggi chiudono in rapida sequenza) e dal Sud, i treni speciali trasportavano milioni di lavoratori che fornivano la manodopera necessaria.
Al governo del paese, una classe dirigente "intelligente e competente" (De Gasperi, La Malfa, Malagodi, etc...) sapeva perfettamente che non doveva interferire con quella corsa forsennata del paese verso la modernità...
L'evasione fiscale era la regola (... ed era tollerata...) e gli utili aziendali, piuttosto che andare allo Stato in tasse, venivano generosamente reinvestiti nelle aziende stesse, che crescevano a ritmi impressionanti e richiedevano sempre più lavoratori.
L'Italia di allora era (quasi) come la Cina di oggi: tassi di crescita intorno al 6% e milioni di persone che lasciavano la campagna e la provincia per trasferirsi nelle fabbriche di Milano, Torino e Genova... il famoso triangolo industriale.
Ma quest'analisi non sarebbe completa senza citare gli imprenditori di quei tempi: Olivetti, Pirelli, Falck, Valletta, Mattei... gente determinata che aveva il coraggio necessario per lanciarsi alla conquista dei mercati mondiali, sfidando, se necessario, lo strapotere degli americani (mi riferisco, in particolare, ad Enrico Mattei).
La scuola era ancora quella fascista ("costruita" con la riforma di Giovanni Gentile) che "produceva" uomini e donne di cultura... professionisti di prima classe...
... E poi, ad un certo punto, si affermò la "democrazia"... e i politici diventarono "professionisti del consenso" il cui unico obiettivo era farsi rieleggere... e , rapidamente, tutto cambiò.
Per farsi rieleggere i "nuovi professionisti della politica" (Craxi, De Mita, Spadolini... etc..) dovevano esaudire tutti i desideri dei loro elettori... il che significava spendere denaro pubblico per acquistare (e mantenere) il consenso...
Ma per spenderlo bisognava prima ottenerlo... con tasse sempre maggiori che, però, non bastavano mai...
Fu così che il debito pubblico, dopo il divorzio della Banca d'Italia dal Tesoro (voluto da Andreatta nel 1981), spiccò il volo verso il 100% del Pil e poi ancora oltre... e le tasse si misero a rincorrere spese sempre più elevate... fino a soffocare l'economia.
Al Sud furono "somministrati" continui "ammortizzatori sociali" (sotto forma di impieghi statali spesso improduttivi, pensioni generosissime, incentivi fiscali e finanziamenti a fondo perduto senza alcun controllo) i quali generarono la convinzione che il governo aveva l'obbligo di mantenerti... a patto che tu lo votassi...
E così da Napoli a Palermo si creò un'intera area di assistenza che, in larga parte, viveva di "sussidi statali" i quali venivano estratti dalle tasse pagate al Nord. Finché l'euro non ha messo in ginocchio l'intera Industria del Nord che, per sopravvivere, ha cominciato ad emigrare (Romania, Slovenia, Albania...)... oppure, semplicemente, ha smesso di produrre (negli ultimi 12 anni l'Italia ha perso il 30% del suo apparato industriale) e, dunque, le maggiori spese statali dovevano "prelevare tasse" da una base imponibile sempre minore, col risultato di dover incrementare la pressione fiscale fino a livelli insostenibili.
Osservate in tabellina sotto l'evolversi negli anni, delle spese dello Stato italiano in percentuale del Pil...
Anni
1870
1913
1920
1937
1960
1980
1990
2000
2005
2009
2012
Spese/Pil %
13.7
17.1
30.1
31.1
30.1
42.1
53.4
46.2
48.2
51.9
56.2
Dal 1920 al 1960 le spese (e quindi le tasse) si sono mantenute basse e costanti (circa il 30.5% del Pil) e poi, con l'arrivo dei "professionisti della politica" che si sono pagato il consenso elettorale (e quindi la loro rielezione) con la spesa pubblica, quel rapporto Spesa/Pil si è impennato prima al 42.1% nel 1980, e poi al 53.4% nel 1990...
Nel 1992, difatti, l'Italia ha avuto una prima crisi finanziaria da euro (che al tempo si chiamava Ecu) e debito... da cui è uscita con una massiccia svalutazione rispetto alle principali valute dei paesi concorrenti.
Nel 2000 le spese dello Stato sono calate al 46.2 del Pil, per poi riprendere la via del solito vizio negli anni immediatamente successivi... fino al 51.9% di Berlusconi ed il 56.2% di Monti.
E non è tutto: nel 2007 le leggi in vigore in Italia assommavano a 150000... record mondiale di tutti i tempi.
Le aziende italiane, dunque, sono state soffocate da tasse che hanno inseguito spese le cui entità si commentano da sole nella tabella precedente... e da una burocrazia che ha poggiato il suo potere su un numero sterminato di leggi.
Quando Berlusconi scese in campo (1994) aveva promesso di ridurre tasse (quindi, spese) e burocrazia... esattamente ciò che, allora come adesso, serviva a questo paese... Difatti stravinse al primo colpo...
Poi, una volta al potere, ha fatto come tutti quelli prima di lui: più spese (per comprare consenso) e, quindi, più tasse... E nel frattempo, la burocrazia, inutile dirlo, ha continuato a proliferare su leggi sempre più numerose...
E nonostante ciò, il barlafüs di Arcore, oggi si ri-presenta 20 anni dopo con le stesse promesse elettorali (meno tasse, meno burocrazia) mai mantenute e, incredibilmente, guadagna vistosamente nei sondaggi...
La ricetta per tornare a crescere è, dunque, semplicissima, basta ritornare allo spirito degli anni 60: basse tasse e poca burocrazia (esattamente come oggi avviene in Cina, India, Brasile e Russia dove, inutile dirlo, c'è anche una diffusissima evasione fiscale che, come da noi negli anni 60, è reinvestita nelle aziende e genera ulteriore crescita).
Ma com'è possibile abbassare le tasse se non si riducono le spese?
... E com'è possibile ridurre le spese se questi politici, per farsi rieleggere, devono "comprare" il consenso dei loro elettori con spese sempre crescenti?
E com'è possibile ridurre la burocrazia se, nonostante i recenti (2008) parziali "ripulisti" di Calderoli, deteniamo ancora il record mondiale del numero di leggi in vigore e, inoltre, burocrazia significa posti di lavoro per gli amici, poltrone per i "trombati" e generose mazzette extra (tutte cose che, diciamoci la verità, per i politici sono "irrinunciabili")?
Per questo occorre cambiare completamente registro... bisogna mandare a casa i professionisti della politica (Berlusconi, Bersani, Fini, Casini... etc..) che, per loro assoluta necessità, devono spendere denaro pubblico ed alimentare la burocrazia...
20 anni di alternanza centrosinistra - centrodestra hanno dimostrato chiaramente che, indipendentemente dal colore, il problema è esattamente "loro" (i professionisti della politica)... e, quindi, continuando ad affidarci a loro, non ne usciremo mai...
... Per questo io voto Movimento 5 stelle... è l'unica maniera che vedo di liberarci di tutti questi parassiti...
... Oppure voi avete un altra soluzione da suggerirmi?

di Giuseppe Migliorino

14 febbraio 2013

Chi perde è comunque l'elettore


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http://www.modenatoday.it/~media/base/15960919689645/la-solitudine-dell-elettore-alla-pol-gino-nasi.jpg
Che agonia. Non si puo' aprire la Tv senza vedere le solite facce di palta che pontificano. Non si puo' accendere la radio senza sentire le loro voci odiose. Non si puo' sfogliare un giornale senza essere sommersi da un profluvio di dichiarazioni, contradditorie, immotivate, irrealistiche, iperboliche. E sono tutti nati ieri. Sono tutti vergini. Non c'è nessuno, che pur essendo in politica da vent'anni e magari anche da trenta, abbia l'onestà intellettuale di assumersi, almeno pro quota, qualche responsabilità del disastro, economico e morale, in cui è caduto il nostro Paese. La rigetta sull'avversario o presunto tale. Dovrebbe bastare questo spettacolino indecente per convincere il cittadino che abbia un minimo di discernimento a dire: sapete qual'è la novità ? Io non voto, non vengo a legittimarvi, per l'ennesima volta, a comandarmi per altri cinque anni dovendovi anche pagare profumatamente.
La democrazia rappresentativa è una finzione il cui rito culminante sono le elezioni. Lo è tanto più oggi che, dopo la caduta del comunismo, tutti i partiti, a parte qualche eccezione senza rilievo, hanno accettato quel libero mercato che, insieme al modello industriale, è il meccanismo reale che detta le condizioni della nostra esistanza, i nostri stili e ritmi di vita e di cui le democrazia è solo l'involucro legittimante, la carta più o meno luccicante che avvolge la polpetta avvelenata. Le antiche categorie di destra e sinistra non hanno più senso (ammesso che lo abbiano mai avuto perchè il marxismo non è che l'altra faccia della stessa medaglia: l'industrialismo). Non esistono più le classi, ma un enorme ceto medio indifferenziato che ha, più o meno, gli stessi interessi. Tuttavia questo ceto medio, per abitudine, per il martellante lavaggio del cervello da parte dei media legati alla classe politica (l'unica rimasta su piazza) si divide fra destra e sinistra con la stessa razionalità con cui si tifa Roma invece che Lazio, Milan o Inter. E quando il cosiddetto 'popolo della sinistra' (o della destra) scende in piazza per celebrare qualche vittoria elettorale, ballando, cantando, saltando, agitandosi, è particolarmente patetico perchè i vantaggi che trae da quella vittoria sono puramente immaginari o, nella migliore delle ipotesi, sentimentali, mentre i ricavi reali vanno non a questi spettatori illusi ma a chi sta giocando la partita del potere (la 'casta' per dirla con Gian Antonio Stella). Ad ogni tornata elettorale c'è un solo sconfitto sicuro, che non è la fazione che l'ha perduta (che verrà ripagata nel sottogoverno in attesa, al prossimo giro, di restituire il favore) ma proprio quel popolo festante insieme a quell'altro che è rimasto a casa a masticare amaro per le stesse irragionevoli ragioni per cui l'altro è sceso in piazza. Vincano i giocatori dell'Inter o del Milan è sempre lo spettatore a pagare lo spettacolo.
di Massimo Fini 

16 febbraio 2013

Il popolo della sinistra truffato






  
   
Tre sono i temi dibattuti nel presente post: 1) I punti di forza di Grillo e Casaleggio. 2) Il silenzio degli operai (una sorta d'inquietante silenzio degli innocenti). 3) Il popolo di sinistra manipolato dai rinnegati neoliberisti. 

1) La forza del grillismo, a quanto sembra crescente. Vero che Grillo e Casaleggio, dominatori incontrastati del movimento, hanno fatto una scelta vincente con i vecchi comizi in piazza (che stranamente contraddicono, per la richiesta presenza nel mondo reale, la natura virtuale e originaria della loro creatura m5s) e la comunicazione prevalente in rete (programma, parlamentarie, eccetera). 

I punti di forza principali di Grillo e Casaleggio, che finora si sono rivelati paganti in termini di consensi e di relativo radicamento del movimento in molte aree del paese, sono essenzialmente tre: 

a) Decisioni fortemente centralizzate e organizzazione de facto verticistica del movimento. La centralizzazione del movimento e la limitazione del numero dei veri decisori costituiscono un buon contrappeso, almeno per ora, all’eterogeneità del movimento stesso, che altrimenti alimenterebbe forti spinte centrifughe. Vedremo cosa accadrà domani, quando i rappresentanti di m5s saranno in parlamento e il movimento cercherà di emanciparsi, sfuggendo alla stretta dei due capi.

b) Rifiuto delle alleanze con qualsivoglia possibile interlocutore esterno, nella consapevolezza che una splendida solitudine, in questi frangenti politico-sociali, moltiplica i voti. Se ci si presenta come puri e illibati, speranza di cambiamenti radicali per la prima volta in parlamento, non vi può essere commistione con i partiti e i cartelli elettorali che il sistema ha prodotto, pena la perdita d’immagine e la contaminazione. Perciò Ingroia e il suo cartellino elettorale non dovrebbero esser visti come una protesi di Grillo e dei suoi e non è per niente certa una futura alleanza fra i due gruppi. 

c) De-ideologizzazione completa del movimento ed estraneità conclamata al sistema dei partiti, per mietere consensi ovunque, con il contraltare di un programma ambiguo, centrato sul sociale – reddito di cittadinanza per tutti – ma con preoccupanti elementi di natura liberista – contrattazione individuale, senza mediazioni sindacali, fra lavoratore e datore di lavoro. 

Che poi una fetta significativa del ceto medio impoverito, in buona parte legato al lavoro intellettuale – dipendente, parasubordinato e autonomo –sostenga oggi con qualche convinzione m5s, la cosa non deve stupire, anche in considerazione della prevalenza delle fasce d'età più giovani, investite in pieno dall’onda del precariato e interessate in particolare al punto c prima esposto, in termini di de-ideologizzazione di massa, estraneità conclamata al sistema dei partiti, interclassismo, eccetera. 

2) Il silenzio degli operai, quasi invisibili con i loro problemi in campagna elettorale. Per quanto riguarda gli operai, invece, il loro sconcertante silenzio e la loro apparente irrilevanza stupiscono, essendo fra i più colpiti dalla crisi indotta, dalla disoccupazione conseguente e dalle misure antisociali del governo Monti, appoggiato convintamente dalla sinistra rinnegata pidiina. Oggi sono più attivi, più contrastivi e vitali i nuclei di piccoli imprenditori inferociti, ad un passo dalla rovina, che sostengono il pagliaccesco neoliberista Giannino. Quegli stessi imprenditori che anni addietro, quando ancora i momenti più bui della crisi erano una vaga prospettiva, sostenevano con convinzione il liberismo estremo, l’espansione e il dominio incontrastato dei mercati per una libera iniziativa privata senza lacci e lacciuoli. O che magari spostavano risorse dalla produzione e dall’innovazione nei cicli produttivi e dei prodotti alle lucrose attività finanziarie. Gli operai invece, abbandonati da una sinistra che ha cercato nuovi, potentissimi padroni dopo il collasso sovietico, saltando definitivamente dall’altra parte della barricata, già da anni sopravvivono ai rigori sociali imposti dal neocapitalismo dominante come orfani che cercano un riferimento (politico) e una tutela che hanno perduto. Nel 2008, a nord, è stata la lega di Bossi ad attrarre il loro consenso, in un tentativo di trovare rappresentanza per i propri interessi. Ma anche in tal caso gli operai non hanno goduto di alcuna vera rappresentatività, come gruppo ormai invisibile a livello politico e non più come storica classe del vecchio ordine sociale. Pur al governo con il Berlusconi IV e determinante per la sopravvivenza di quel esecutivo, la lega beneficiata dal voto operaio non ha impedito il dilagare della disoccupazione, nel settentrione del paese, e non ha contrastato (come tutti, del resto, nella maggioranza e nell’opposizione di allora) la grande offensiva marchionnista contro il contratto nazionale di lavoro. Dopo questa delusione, amplificata di recente dalle inchieste della magistratura che hanno investito i vertici della lega a partire dal suo segretario amministrativo (Belsito), è probabile che il voto degli operai abbandonati a se stessi anche sul versante sindacale (fiom e cgil sostengono il pd, il sel e il cs che hanno in serbo la continuazione delle politiche euromontiane) si disperda in molti rivoli, se non prevarrà una chiara scelta astensionista. Unico vero testimonial della condizione operaia in Italia è il piccolissimo e ininfluente Partito Comunista dei Lavoratori del professor Tiziano Ferrando, che può sperare in paio di centinaia di migliaia di voti, non tutti operai. L’inquietante silenzio del lavoro operaio penalizzato in termini di redditi, posti di lavoro e diritti, in questa campagna elettorale un po’ surreale e in gran parte mediatica, può non significare che il neocapitalismo, attraverso le sue regole, i suoi partiti e i suoi sindacati, è riuscito a piegare definitivamente gli operai orfani dell’omonima classe, riducendoli sempre di più a neoschiavi rassegnati.  Che si tratti, invece, della classica quiete prima di una storica (e destabilizzante) tempesta sociale, non limitata al nostro paese?

3) Il popolo di sinistra condotto al voto da rinnegati e traditori che lo manipolano. Idiotizzazione, perdita della coscienza critica, sociale e di classe, e diffusione dell’antiberlusconismo salvifico hanno condizionato e adeguatamente manipolato il cosiddetto popolo di sinistra che così appoggia, contro i suoi, propri interessi vitali, i rinnegati neoliberisti del pd, con la protesi radicale del sel vendoliano. Quell'antiberlusconismo che ha favorito la perdita di consenso del cav e la sua caduta è stato usato subdolamente come cavallo di troia per far entrare Monti in Italia, insediatosi al governo per conto delle élite finanziarie internazionalizzate (americane ed europidi). Lo stesso antiberlusconismo, suscitato da intense ed estese campagne massmediatiche dei rinnegati di sinistra, con appoggi e complicità ben oltre i confini nazionali, serve per chiamare a raccolta il popolo di sinistra contro il ritorno di Berlusconi e la sua veloce rimonta in campagna elettorale. Il vero scopo di queste operazioni è sempre quello di sottomettere l’intero paese, e al suo interno lo stesso popolo di sinistra, ai voleri delle élite finanziarie internazionalizzate, proseguendo con le controriforme euromontiane e continuando con il ridimensionamento/ privatizzazione integrale delle strutture produttive nazionali. A tale fine, possono andar bene anche le pelosissime (e scadenti) performance di un istrione del calibro di Crozza che imita Berlusconi sul palco di San Remo, pur accompagnate dalle vivaci proteste del pubblico. Uno strumento importante, alla fine della campagna elettorale, sono le inchieste e i processi della magistratura contro lega e pdl, per cercare di ridimensionarli: l’arresto di Orsi ai vertici di Finmeccanica e i quattro anni comminati a Fitto del pdl dal tribunale di Bari. Ma le inchieste della magistratura raggiungono anche l’obiettivo di screditare e mettere in crisi le ultime grandi industrie italiane, preparandole per futuri ridimensionamenti, sostituzioni dei vertici, smembramenti e infine per la vendita (a sconto) sul mercato al capitale finanziario straniero. E’ questo l’interesse concreto del cosiddetto popolo di sinistra, che voterà in grande maggioranza per pd e sel? Ovviamente no, perché un ulteriore impoverimento del paese non risparmierebbe la grandissima parte degli elettori di Bersani e Vendola. Se poi si considera il futuro esecutivo con Monti, nonostante le dichiarazioni contrarie dell’imbroglione Vendola, il quadro della situazione è completo. Votare per chi si accinge a fare il tuo male, a mantenerti nella prigione unionista europoide e sotto tortura sociale con l’euro, è senz’altro manifestazione estrema di idiotismo, se non di vero e proprio masochismo, e addirittura va oltre la sindrome di Stoccolma. Il popolo di sinistra potrà essere recuperato o la partita per il risveglio delle coscienze è ormai perduta? Difficile dirlo, ma è chiaro che siamo a un passo dalla sconfitta definitiva.

di Eugenio Orso 

15 febbraio 2013

Il boom degli altri


Perché i Bric (Brasile, Russia, India e Cina) crescono (in termini di Pil) più dei paesi occidentali e dell'Italia in particolare?
Per lo stesso motivo per cui l'Italia, negli anni 60, era in pieno boom: c'era da costruire una nuova economia (passando dall'Agricoltura all'Industria), si pagavano poche tasse (intorno al 30% del Pil) e c'era molta libertà di intraprendere...
Leggete quella "ricetta" al contrario: tasse elevatissime (intorno al 50% del Pil), completa rigidità di un sistema economico soffocato dalla burocrazia e da un numero sterminato di leggi e regolamenti ed un economia matura, esposta alla concorrenza dei paesi emergenti... ed avrete i motivi per cui da quindici anni noi non cresciamo più.
Aggiungeteci l'ulteriore zavorra dell'euro (che ci rende molto vulnerabili alla concorrenza dei paesi nostri concorrenti, soprattutto la Germania) ed avrete il quadro quasi completo della nostra situazione di grande difficoltà.
Negli anni 60, dopo 20 anni di fascismo ed una guerra persa, gli italiani avevano voglia di intraprendere... arricchirsi... e farlo rapidamente...
Al Nord le aziende nascevano come funghi (oggi chiudono in rapida sequenza) e dal Sud, i treni speciali trasportavano milioni di lavoratori che fornivano la manodopera necessaria.
Al governo del paese, una classe dirigente "intelligente e competente" (De Gasperi, La Malfa, Malagodi, etc...) sapeva perfettamente che non doveva interferire con quella corsa forsennata del paese verso la modernità...
L'evasione fiscale era la regola (... ed era tollerata...) e gli utili aziendali, piuttosto che andare allo Stato in tasse, venivano generosamente reinvestiti nelle aziende stesse, che crescevano a ritmi impressionanti e richiedevano sempre più lavoratori.
L'Italia di allora era (quasi) come la Cina di oggi: tassi di crescita intorno al 6% e milioni di persone che lasciavano la campagna e la provincia per trasferirsi nelle fabbriche di Milano, Torino e Genova... il famoso triangolo industriale.
Ma quest'analisi non sarebbe completa senza citare gli imprenditori di quei tempi: Olivetti, Pirelli, Falck, Valletta, Mattei... gente determinata che aveva il coraggio necessario per lanciarsi alla conquista dei mercati mondiali, sfidando, se necessario, lo strapotere degli americani (mi riferisco, in particolare, ad Enrico Mattei).
La scuola era ancora quella fascista ("costruita" con la riforma di Giovanni Gentile) che "produceva" uomini e donne di cultura... professionisti di prima classe...
... E poi, ad un certo punto, si affermò la "democrazia"... e i politici diventarono "professionisti del consenso" il cui unico obiettivo era farsi rieleggere... e , rapidamente, tutto cambiò.
Per farsi rieleggere i "nuovi professionisti della politica" (Craxi, De Mita, Spadolini... etc..) dovevano esaudire tutti i desideri dei loro elettori... il che significava spendere denaro pubblico per acquistare (e mantenere) il consenso...
Ma per spenderlo bisognava prima ottenerlo... con tasse sempre maggiori che, però, non bastavano mai...
Fu così che il debito pubblico, dopo il divorzio della Banca d'Italia dal Tesoro (voluto da Andreatta nel 1981), spiccò il volo verso il 100% del Pil e poi ancora oltre... e le tasse si misero a rincorrere spese sempre più elevate... fino a soffocare l'economia.
Al Sud furono "somministrati" continui "ammortizzatori sociali" (sotto forma di impieghi statali spesso improduttivi, pensioni generosissime, incentivi fiscali e finanziamenti a fondo perduto senza alcun controllo) i quali generarono la convinzione che il governo aveva l'obbligo di mantenerti... a patto che tu lo votassi...
E così da Napoli a Palermo si creò un'intera area di assistenza che, in larga parte, viveva di "sussidi statali" i quali venivano estratti dalle tasse pagate al Nord. Finché l'euro non ha messo in ginocchio l'intera Industria del Nord che, per sopravvivere, ha cominciato ad emigrare (Romania, Slovenia, Albania...)... oppure, semplicemente, ha smesso di produrre (negli ultimi 12 anni l'Italia ha perso il 30% del suo apparato industriale) e, dunque, le maggiori spese statali dovevano "prelevare tasse" da una base imponibile sempre minore, col risultato di dover incrementare la pressione fiscale fino a livelli insostenibili.
Osservate in tabellina sotto l'evolversi negli anni, delle spese dello Stato italiano in percentuale del Pil...
Anni
1870
1913
1920
1937
1960
1980
1990
2000
2005
2009
2012
Spese/Pil %
13.7
17.1
30.1
31.1
30.1
42.1
53.4
46.2
48.2
51.9
56.2
Dal 1920 al 1960 le spese (e quindi le tasse) si sono mantenute basse e costanti (circa il 30.5% del Pil) e poi, con l'arrivo dei "professionisti della politica" che si sono pagato il consenso elettorale (e quindi la loro rielezione) con la spesa pubblica, quel rapporto Spesa/Pil si è impennato prima al 42.1% nel 1980, e poi al 53.4% nel 1990...
Nel 1992, difatti, l'Italia ha avuto una prima crisi finanziaria da euro (che al tempo si chiamava Ecu) e debito... da cui è uscita con una massiccia svalutazione rispetto alle principali valute dei paesi concorrenti.
Nel 2000 le spese dello Stato sono calate al 46.2 del Pil, per poi riprendere la via del solito vizio negli anni immediatamente successivi... fino al 51.9% di Berlusconi ed il 56.2% di Monti.
E non è tutto: nel 2007 le leggi in vigore in Italia assommavano a 150000... record mondiale di tutti i tempi.
Le aziende italiane, dunque, sono state soffocate da tasse che hanno inseguito spese le cui entità si commentano da sole nella tabella precedente... e da una burocrazia che ha poggiato il suo potere su un numero sterminato di leggi.
Quando Berlusconi scese in campo (1994) aveva promesso di ridurre tasse (quindi, spese) e burocrazia... esattamente ciò che, allora come adesso, serviva a questo paese... Difatti stravinse al primo colpo...
Poi, una volta al potere, ha fatto come tutti quelli prima di lui: più spese (per comprare consenso) e, quindi, più tasse... E nel frattempo, la burocrazia, inutile dirlo, ha continuato a proliferare su leggi sempre più numerose...
E nonostante ciò, il barlafüs di Arcore, oggi si ri-presenta 20 anni dopo con le stesse promesse elettorali (meno tasse, meno burocrazia) mai mantenute e, incredibilmente, guadagna vistosamente nei sondaggi...
La ricetta per tornare a crescere è, dunque, semplicissima, basta ritornare allo spirito degli anni 60: basse tasse e poca burocrazia (esattamente come oggi avviene in Cina, India, Brasile e Russia dove, inutile dirlo, c'è anche una diffusissima evasione fiscale che, come da noi negli anni 60, è reinvestita nelle aziende e genera ulteriore crescita).
Ma com'è possibile abbassare le tasse se non si riducono le spese?
... E com'è possibile ridurre le spese se questi politici, per farsi rieleggere, devono "comprare" il consenso dei loro elettori con spese sempre crescenti?
E com'è possibile ridurre la burocrazia se, nonostante i recenti (2008) parziali "ripulisti" di Calderoli, deteniamo ancora il record mondiale del numero di leggi in vigore e, inoltre, burocrazia significa posti di lavoro per gli amici, poltrone per i "trombati" e generose mazzette extra (tutte cose che, diciamoci la verità, per i politici sono "irrinunciabili")?
Per questo occorre cambiare completamente registro... bisogna mandare a casa i professionisti della politica (Berlusconi, Bersani, Fini, Casini... etc..) che, per loro assoluta necessità, devono spendere denaro pubblico ed alimentare la burocrazia...
20 anni di alternanza centrosinistra - centrodestra hanno dimostrato chiaramente che, indipendentemente dal colore, il problema è esattamente "loro" (i professionisti della politica)... e, quindi, continuando ad affidarci a loro, non ne usciremo mai...
... Per questo io voto Movimento 5 stelle... è l'unica maniera che vedo di liberarci di tutti questi parassiti...
... Oppure voi avete un altra soluzione da suggerirmi?

di Giuseppe Migliorino

14 febbraio 2013

Chi perde è comunque l'elettore


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http://www.modenatoday.it/~media/base/15960919689645/la-solitudine-dell-elettore-alla-pol-gino-nasi.jpg
Che agonia. Non si puo' aprire la Tv senza vedere le solite facce di palta che pontificano. Non si puo' accendere la radio senza sentire le loro voci odiose. Non si puo' sfogliare un giornale senza essere sommersi da un profluvio di dichiarazioni, contradditorie, immotivate, irrealistiche, iperboliche. E sono tutti nati ieri. Sono tutti vergini. Non c'è nessuno, che pur essendo in politica da vent'anni e magari anche da trenta, abbia l'onestà intellettuale di assumersi, almeno pro quota, qualche responsabilità del disastro, economico e morale, in cui è caduto il nostro Paese. La rigetta sull'avversario o presunto tale. Dovrebbe bastare questo spettacolino indecente per convincere il cittadino che abbia un minimo di discernimento a dire: sapete qual'è la novità ? Io non voto, non vengo a legittimarvi, per l'ennesima volta, a comandarmi per altri cinque anni dovendovi anche pagare profumatamente.
La democrazia rappresentativa è una finzione il cui rito culminante sono le elezioni. Lo è tanto più oggi che, dopo la caduta del comunismo, tutti i partiti, a parte qualche eccezione senza rilievo, hanno accettato quel libero mercato che, insieme al modello industriale, è il meccanismo reale che detta le condizioni della nostra esistanza, i nostri stili e ritmi di vita e di cui le democrazia è solo l'involucro legittimante, la carta più o meno luccicante che avvolge la polpetta avvelenata. Le antiche categorie di destra e sinistra non hanno più senso (ammesso che lo abbiano mai avuto perchè il marxismo non è che l'altra faccia della stessa medaglia: l'industrialismo). Non esistono più le classi, ma un enorme ceto medio indifferenziato che ha, più o meno, gli stessi interessi. Tuttavia questo ceto medio, per abitudine, per il martellante lavaggio del cervello da parte dei media legati alla classe politica (l'unica rimasta su piazza) si divide fra destra e sinistra con la stessa razionalità con cui si tifa Roma invece che Lazio, Milan o Inter. E quando il cosiddetto 'popolo della sinistra' (o della destra) scende in piazza per celebrare qualche vittoria elettorale, ballando, cantando, saltando, agitandosi, è particolarmente patetico perchè i vantaggi che trae da quella vittoria sono puramente immaginari o, nella migliore delle ipotesi, sentimentali, mentre i ricavi reali vanno non a questi spettatori illusi ma a chi sta giocando la partita del potere (la 'casta' per dirla con Gian Antonio Stella). Ad ogni tornata elettorale c'è un solo sconfitto sicuro, che non è la fazione che l'ha perduta (che verrà ripagata nel sottogoverno in attesa, al prossimo giro, di restituire il favore) ma proprio quel popolo festante insieme a quell'altro che è rimasto a casa a masticare amaro per le stesse irragionevoli ragioni per cui l'altro è sceso in piazza. Vincano i giocatori dell'Inter o del Milan è sempre lo spettatore a pagare lo spettacolo.
di Massimo Fini