16 gennaio 2013

L’opportunismo dei partiti e i fessi che gli credono







fini_opportunismo.jpg C’è un fenomeno che potremmo chiamare trasformista, se il trasformismo non avesse in realtà delle origini… nasce nel 1882, quando la sinistra di De Pretis si allena con la destra di Marco Minghetti, per avere un governo stabile e governare il Paese.
Quello che succede oggi, con questi che passano da un partito all’altro, creano nuovi partiti fittizi, non è trasformismo in senso classico del termine, è semplicemente opportunismo, essendosi creato un vuoto politico con il governo tecnico, tutti cercano di inserirsi e di riprendere e di riposizionarsi per poter poi arrivare in Parlamento e continuare a fare le solite cose, si tratta poi della solita gente, cambiano partito, ne creano, etc., ma è come se tu mescolassi dei bussolotti, ma poi quello che viene fuori è la solita poltiglia che conosciamo da trent'anni. Si ripresentano con casacche cambiate, ma sono gli stessi che sono responsabili della situazione in cui è arrivata l’Italia oggi, e ripeto non solo negli ultimi vent'anni di Berlusconi, ma anche negli ultimi trent'anni, per cui la responsabilità pro quota è di tutti quelli che hanno avuto posizioni di potere in questi trent'anni. Il passaparola… per me sarebbe prendere delle mazze da baseball e cacciare questi con la forza, sennò non ne usciremo mai, in mancanza di questo dico: o astensione o 5 Stelle.
Massimo Fini
Il Passaparola di Massimo Fini , giornalista e scrittore
Il trasformismo
"I programmi, diceva Max Weber, hanno un valore semplicemente folkloristico, sono parole, promesse, poi la Storia dimostra che nessuno rispetta mai i propri programmi, sono come dei piazzisti che vengono a elemosinare il tuo voto, facendoti una serie di promesse e poi una volta che hanno ottenuto quello che volevano fanno quello che vogliono.
Sono oligarchie, minoranze organizzate che formano una oligarchia dominante che si auto perpetua! Ed è per quello che non cambia mai niente in questo Paese, l’unica vera classe rimasta su piazza è oggi la classe politica.
Io ho scritto un libro in questo senso, si chiama “Sudditi, Manifesto contro la Democrazia” in cui credo di avere dimostrato abbastanza bene che l’uno vale l’altro e tutti insieme sono una classe che si autotutela i propri interessi!
Il trasformismo ha una origine che potrebbe essere anche nobile, questo è puramente opportunismo, cioè io so che non verrò più eletto nel PDL e vado nel partito di Monti, io so che non ho posto nel Partito di Bersani e vado in un altro partito, ma per mantenere la mia posizione di privilegio.
Io vorrei dire qualche cosa su questa trasmissione di Santoro con Berlusconi, dove purtroppo Berlusconi è uscito come un gigante perché Santoro è un confusionario che non c’entra mai il punto e Travaglio invece di fare il giornalista ha fatto a sua volta l’uomo di spettacolo ed è venuto fuori una sorta di show in cui Berlusconi va a nozze dicendo delle palle sesquipedali ma non è stato contrastato efficacemente, è stato proprio un boomerang, un autogol, del resto è noto che Berlusconi è sempre stato favorito dai suoi avversari.
No, questo non c’entra con il trasformismo, ma con la nostra cretineria e con la cretineria della cosiddetta opposizione e forse con quella degli italiani che dopo anni e anni di televisione sono ridotti a un livello sotto culturale impressionante.
Qualche cosa in questo senso cambia, per esempio l’esempio siciliano, dove il 54% non è andato a votare e il 18% ha votato 5 Stelle, se questa cosa si ripetesse a livello nazionale, vuole dire che due cittadini su tre non credono più a questo sistema, al sistema della democrazia dei partiti. I partiti in realtà sono delle lobby, sono delle associazioni molto simili alla mafia, gli manca l’omicidio e non sempre, ed è la partitocrazia, contro cui i Radicali combattevano in anni lontani e anche io nel mio piccolo, per lo meno dagli anni '80.
Adesso che c’è una crisi economica, la gente si rende conto che il voto è semplicemente un andare a legittimare il ceto politico di sempre, dargli l' autorizzazione non a governarci, ma a comandarci per altri 5 anni. Per cui io spero per le prossime elezioni ci sia un'astensione altrettanto forte o forse più forte, e un successo di 5 Stelle, perché è vero che Grillo ha un suo programma, etc., ma è innanzitutto un movimento antipartiti.
La democrazia così come si è venuta sviluppando in Italia e non solo, la democrazia rappresentativa, non è la democrazia, è una sua parodia, è una truffa, tradisce profondamente il pensiero liberare, perché che cosa voleva il pensiero liberale? I padri fondatori John Locke, Mill e Tocqueville, che cosa volevano? Il pensiero liberale voleva che ognuno potesse esprimere le proprie capacità, potenzialità, meriti, e quindi è antitetico alle lobby, perché le lobby chi premiano? Premiano i propri adepti, e del resto la cosiddetta scuola elitista italiana dei primi del '900, cioè Vilfredo Pareto, Mosca e Michael, l’ha detto in modo inequivocabile e definitivo: cioè 100 che agiscono sempre, dice Mosca, d’accordo tra di loro, prevarranno su mille che invece questo accordo non hanno, cioè sul cittadino libero, che non vuole infeudarsi a queste lobby e mafie, e questo è la democrazia rappresentativa.
Non solo in Italia, per la verità, in Italia in modo particolarmente eclatante, perché non vengono rispettate neanche i minimi fondamentali della democrazia rappresentativa, che ha però questo vizio, ripeto, di origine di creare mafie alias partiti, legati poi a mafie economiche.

Oggi siamo tutti repressi
La Costituzione purtroppo è una dichiarazione, nobile, di intenti ma in realtà c’è tutto e il contrario di tutto, per cui tu puoi manipolare come vuoi la Costituzione.
Facciamo un esempio: l’articolo 11 dice che l’Italia ripudia la guerra come risoluzione dei conflitti internazionali e basta chiamarla invece che guerra,missione di pace. L’articolo 11 è bello mi pare abbastanza fondamentale, perché ammette la difesa, ma non l’attacco agli altri. Noi siamo da 11 anni in Afghanistan a fare i servi degli americani, facendo guerra all’Afghanistan, in realtà, nessuno dice niente su questo, anzi mi piacerebbe che 5 Stelle su questa cosa si soffermasse.Noi spendiamo oltre un miliardo l’anno per tenere i soldati in Afghanistan a uccidere gente o ogni tanto a farsi uccidere. Ora, non è che con un miliardo tu risolvi una economia, però per esempio alcune cose potresti tamponarle, per esempio il problema degli esodati. Siamo lì, con arroganza, inutili, perché non combattiamo i Talebani e anzi li paghiamo perché non ci attacchino, perché questa è la situazione, non solo noi, anche altri contingenti, e spendiamo questi soldi del tutto inutilmente, solo per fare un piacere all’amico americano, solo per fare i servi dell’amico americano, sono 60 anni che ci comportiamo in questo modo, invece di guardare agli interessi nazionali, siamo sempre lì in ginocchio davanti agli americani.
Ora è vero che ci hanno salvato dal nazifascismo, però come dice la Litizzetto, ogni tanto i comici hanno battute fulminanti: "Quando è che scade il mutuo?".Sono passati 65 anni mi pare! Noi, in Italia abbiamo una serie di Basi Nato, ovunque, ma anche una serie di basi americane che sono totalmente extraterritoriali. Quando è successa la cosa del Cermis i piloti che hanno fatto 14 morti non abbiamo potuto giudicarli, sono stati “non giudicati” negli Stati Uniti, insomma, hanno potuto e possono fare quello che vogliono.
E’ una situazione di sudditanza politica, militare, economica, alla fine anche culturale, che riguarda tutta l’Europa e l’Italia in particolare.
Adesso dei paesi stanno prendendo le distanze, Germania e Francia per esempio, che non sono andati a fare la guerra in Iraq, qui non si alza orecchio, non si alza una minima voce!
L’unico settore che non è stato toccato è quello delle armi, della difesa. Noi abbiamo anche l’OTO Melara,che per esempio, è il massimo produttore di mine anti-uomo, in Afghanistan quando saltano su una mina anti-uomo, saltano su una mina italiana, però qui allora che cosa fai? Metti a rischio dei posti di lavoro? E allora no, uccidiamo come è stato di recente, 9 ragazze, bambine, che raccoglievano nel bosco legna sono saltate su una mina anti-uomo e sono morte e questo non ci fa nessuna impressione.
Poi se allo stadio uno dice negher al calciatore allora sì, guai al mondo, ma non è lì il problema!
L’invasione del modello dei paesi occidentali nell’Africa Nera ha distrutto l’economia, la socialità, l’equilibrio e ridotto alla fame quelle popolazioni, questa è la vera responsabilità.
Oggi siamo tutti repressi, perché tutto deve essere Politically_correcte alla fine la repressione è come una pentola tenuta troppo a lungo sotto pressione e alla fine esplode.

Recuperare valore pre-politici
Secondo me è legato a una società che comprime in modo troppo totalizzante, istinti naturali e questi istinti devono trovare, ripeto, un qualche sfogo, in forme il meno possibile cruente, ma non puoi..lo Stato oggi entra in tutte le questioni della vita dell’individuo.
Quindi non è in realtà la difficoltà economica che crea queste forme di impazzimento, pensate a quello che succede in America, ma è proprio la repressione totale della naturale aggressività, è importante che ci sia una parte, una quota, perché fa parte della vitalità. Noi perché siamo così tremebondi con gli immigrati balcanici o magrebini, perché abbiamo perso vitalità, loro l’hanno mantenuta, ora questo non vuole dire che si debba andare a sbudellare la gente, ma che la aggressività fa parte della vitalità e una quota di aggressività deve essere mantenuta, sennò ci trasformiamo in una società totalmente svirilizzata, uno, due la violenza esplode poi in forme ancora peggiori naturalmente.
Una buona scazzottata, come un tempo si faceva, è una forma di sfogo,l'educazione sentimentale di noi ragazzini è stata che sulla strada ogni tanto si faceva a cazzotti e non è mai morto nessuno, c’erano delle regole, chi cadeva per terra non si toccava, etc.. E’ l’errore dell’illuminismo, che non considera l’uomo per quello che è, ma per quello che dovrebbe astrattamente essere, le società precedenti erano più realiste e concrete. Poniamo una cosa che ci riguarda in realtà da vicino, in Tunisia in due giorni di rivolta violenta, ma non armata, hanno cacciato il dittatore e la sua cricca. Qui non siamo in grado di reagire in questo modo anche perché siamo un popolo vecchio. L’età media dei tunisini è 32 anni, la nostra è 44,5 , ma sopportare, come sopportiamo noi è una presa in giro costante e continua, un insulto al cittadino, signifiac aver perso vitalità.
Una società come questa è riuscita a fare stare male anche chi sta bene. Il massimo uso di droghe, psicofarmaci è nei centri benestanti. Negli Stati Uniti 599 americani su 1000 fanno uso di psicofarmaci, eppure è il paese più ricco e potente, vuole dire che un americano su due non si trova bene nella pelle in cui vive, vuol dire che c’è qualche cosa di sbagliato in questo modello di sviluppo. Questo è quello che sostengo da tanti anni, cioè che è il modello di sviluppo che è sbagliato.
E’una questionedi recuperare, questo secondo me è fondamentale, valori che sono pre -politici come l’onestà, lealtà, dignità soprattutto. Pensate ai recenti scandali, quelli dei consiglieri regionali, sono già dei miracolati, gente che non sa fare assolutamente nulla, prendono un mucchio di soldi e poi si vendono per una cena in un bel ristorante o per fare una vacanza gratis, ma questo neanche l’ultimo clochard… si vergognerebbe come un cane! Questi lo fanno invece perché hanno perso un fattore decisivo che si chiama dignità.
Che è la prima cosa che si dovrebbe recuperare, ma non è una cosa che si recupera per diktat! Il popolo italiano, con tutti i suoi difetti negli anni ‘50, alla borghesia dava credito, per il buon contadino non parliamone, se tu violavi la stretta di mano eri espulso dalla comunità.
E così per il mondo proletario.
Adesso manca addirittura la sanzione sociale nei confronti del disonesto, che è considerato uno dritto, un furbo e chi invece è onesto è un pirla, è proprio un ribaltamento no? Una persona normale si vergognerebbe di farsi pagare una cena dal denaro .
Il passaparola… per me sarebbe prendere delle mazze da baseball e cacciare questi con la forza, sennò non ne usciremo mai, in mancanza di questo dico: o astensione o 5 Stelle.  
di Massimo Fini 

15 gennaio 2013

Mario Monti: la mediocrità dei falsi santi


        
 

Un anno fa gran parte degli italiani conveniva che un governo di tecnici fosse sicuramente migliore di un governo di politici. La casta, la credibilità all'estero, gli scandali dei finanziamenti pubblici ai partiti, il livello di corruzione pari solo all'Africa nera, tutto portava ad una sola conclusione: i partiti avevano fallito. Fu così che gli stessi italiani credettero di concepire da se' l'idea che affidarsi a degli esterni fosse meglio. L'imposizione di un governo di tecnici, convocato solo grazie a Giorgio Napolitano che ha nominato Monti senatore a vita, è sembrata come il miele che rende più dolce la medicina al fanciullo. Le regole della democrazia, la mancanza di accountability di questi personaggi, ovvero la responsabilità del rendere conto ai cittadini con un mandato revocabile, tutto è passato in secondo piano: “Francia o Spagna purchè se magna”.
Il governo Monti è formato da 17 ministri riconducibili a grandi banche, aziende, soci di concessionari pubblici, e la sua governance è improntata tutta sull'aumento dell'imposizione fiscale. Vediamo un sunto dei provvedimenti più importanti, comprensivi dell'inserimento del pareggio in bilancio in costituzione e della legge di stabilità, dovuti al Fiscal Compact dell'Unione Europea.
In tema immobiliare viene introdotta l'IMU, che sintetizza ICI ed IRPEF fondiaria. L'aliquota applicata è del 4 per mille sulle abitazioni principali, e del 7.6 per mille sugli altri immobili. I comuni sono responsabili dell'eventuale aumento dell'IMU per garantirsi gettito fiscale. Gli immobili all'estero verranno tassati con Ilvie, un'aliquota dello 0.76 al valore d'acquisto. La tassa sui rifiuti diventa Tares, con una quota di 0.30 euro a metro quadro.
Il bollo auto aumenta sia per le cilindrate basic sia per le super cilindrate. In base al riordino delle province, potranno aumentare anche le polizze RC auto.
In ambito bancario, l'orientamento è l'incremento dell'uso del danaro virtuale. Esso assicura anche la tracciabilità dei dati. Nasce Serpico: un computerone delle Agenzie delle Entrate che controlla tutti i movimenti bancari on line. Vengono scoraggiati i prelievi contanti tramite un limite ai 1000 euro. I bolli sui conti deposito subiscono un aumento dello 0.10% annuo. Sono introdotte commissioni sui prestiti in caso di sconfinamento.
Con la Legge di stabilità dell'ottobre 2012 l'Iva cresce di un punto percentuale. Sono così colpiti i beni di prima necessità. L'Irpef, dopo l'iniziale aumento dallo 0.9% all'1.23%, viene ridotta solo per gli ultimi due scaglioni più bassi. Aumenta l'accise sulla benzina. Il fabbisogno sanitario nazionale è tagliato di 1.5 miliardi. E'preventivata la chiusura di 250 ospedali. La Scuola pubblica è tagliata di 47.5 milioni di euro, l'Università di 300.
Per la pubblica amministrazione, le province sono ridotte da 86 a 51 e mutuate in enti di secondo livello. I contratti statali sono bloccati fino al 2014, ed è cancellata l'indennità di vacanza contrattuale. Scatta l'operazione cieli blu: illuminazione di notte è tagliata.
L'età pensionabile passa da 65 a 66 anni per gli uomini, da 60 a 62 anni per le donne. Gli anni di contributi passano da 40 a 42 per gli uomini, a 41 per le donne. Il ministro Elsa Fornero non assicura la copertura di 130mila esodati. Le pensioni di guerra e di invalidità saranno soggette a Irpef. La retribuizione dei giorni di permesso per l'assistenza ai disabili è tagliata del 50%.
Con la riforma del lavoro è ridotta la flessibilità in entrata e aumentata quella in uscita. I contratti a tempo determinato vengono scoraggiati con un'aliquota maggiorata. L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è modificato, e il licenziamento per motivi economici e disciplinari è facilitato. Il reintegro diviene infatti una remota possibilità. L'indennizzo di licenziamento passa a 12-24 mesi dai 15-27. L'apprendistato diviene il mezzo principale per inserirsi nel mondo del lavoro e per ottenere il contratto a tempo indeterminato.
Alla guida della RAI, società di televisione pubblica, Monti promuove presidente Anna Maria Tarantola, vice direttore della Banca d'Italia, e direttore generale Luigi Gubitosi, ex amministratore delegato di Wind. Una politica mediatica a dir poco unilaterale. Tali politiche sono state fatte passare come super partes poiché fiscaliste, ma ora che si è aperta la compagna elettorale gli orientamenti sono tracciabili dagli appoggi sostenuti. Chi supporta Mario Monti? Possiamo divederli in piccoli interessi italiani e grandi interessi stranieri. In Italia ritroviamo nella lista Monti l'Udc di Casini, gli ex ministri Corrado Passera e Andrea Riccardi (fondatore della comunità di Sant'Egidio), Gianfranco Fini e Futuro e Libertà, Luca Cordero di Montezemolo, il Vaticano, la CEI, l'Opus Dei (rappresentata già da un anno nel governo da Passera, suo azionario). E' quello che storicamente è chiamato il centro o eredità della Democrazia Cristiana. E'una benedizione che ha avuto un costo concreto, che si porta dietro l'associazionismo cattolico delle scuole paritarie, finanziate dal governo Monti a scapito delle pubbliche con 200 milioni di euro. Un retroterra che ha consentito l'esenzione dall'IMU per le proprietà del Vaticano, che priva lo Stato di 700 milioni di euro di entrate. La stessa rete di relazioni che ha permesso che, nel bel mezzo dei tagli alla sanità, ospedali in orbita Vaticano quali Il Bambin Gesu' e la Fondazione Gaslini di Genova, ricevessero finanziamenti statali rispettivamente per 12.5 e 5 milioni di euro. I grandi interessi stranieri che spingono per il professore fanno capo alla Commissione Trilaterale, di cui Monti è un ex presidente. E' un parlamento globale di personalità invitate, e non elette, fra banchieri, politici, industriali, accademici, editori. E'stato costituito negli anni settanta dal banchiere americano David Rockefeller. Le tre parti sono costituite da Europa, Stati Uniti e Giappone e si riuniscono in seduta plenaria almeno una volta l'anno attorno alle direttive di tecnocrazia e interdipendenza, ovvero togliere il potere ai politici e ai parlamenti per delegarlo ad un governo mondiale, modello G8. Essa si muove in simbiosi con il Bilderberg Group, piattaforma gemella che vanta anch'essa Monti fra le sue anime. L'Italia inaugurata un anno fa' è dunque indirizzata verso la cancellazione della sovranità nazionale, la formazione di governi non scelti che mettono al centro delle politiche il rigore dei bilanci al posto della dignità dell'individuo. Se l'accademia della linea Bocconi- Trilateral fosse producente, per lo meno nessuno eccepirebbe. Ma la disponibilità economica della popolazione è ridotta dalle tasse, la domanda diminuisce e il deficit pubblico non riesce a rientrare. Cifre di Bankitalia alla mano, nel 2012 il debito pubblico ha raggiunto il massimo storico di 2mila miliardi con il massimo aumento del 2.6% di pressione fiscale. Il tasso di inflazione ha toccato il suo picco degli ultimi 4 anni: il 3%, a dispetto del 2.8% del 2011. Il tasso di crescita dei prezzi dei prodotti ad alto consumo è salito dal 3.5% del 2011 al 4.3% del 2012. Le ore di cassa integrazione sono aumentate da un anno all'altro del + 12.1%. Il tasso di disoccupazione si aggira attorno all'11%. Il New York Times, il Daily Telegraph, tutti i massimi organi di economia internazionale hanno sconfessato il sobrio professorone.
Il Financial Times spara a zero con Wolfgang Munchau: «L’anno di Monti è stato una bolla, buona per gli investitori finché è durata. E probabilmente gli italiani e gli investitori stranieri non ci metteranno molto a capire che ben poco è cambiato nel corso dell’ultimo anno, ad eccezione che l’economia è caduta in una profonda depressione. Due cose devono essere sistemate in Italia: la prima è invertire immediatamente l’austerità, in sostanza smantellare il lavoro di Monti, e la seconda è scendere in campo contro Angela Merkel».
L'ultimo è Paul Krugman, nobel per l'economia: «Tecnocrati “responsabili” costringono le nazioni ad accettare la medicina amara dell’austerità; l’ultimo caso è l’Italia, dove Monti lascia in anticipo, fondamentalmente per aver portato l’Italia in depressione economica».
Dove Monti passa giace una nazione depressa, dove “il posto fisso è monotono”, “i giovani sono choosy e viziatelli”, “il posto fisso per tutti è una illusione”, “L'Europa ha bisogno di gravi crisi per fare passi avanti”. Tenendo questa frase montiana a mente, un altro paese con un ex presidente Trilateral al governo è la Grecia con il banchiere Lucas Papademous. E si noti in che condizioni versa.
Lo scenario elettorale sarà dunque presenziato dall'entrata di un ligneo cavallo di Troia: l'aspetto è quello di accademici in giacca e cravatta rispettati in sede internazionale, dai curricula spettacolari, dalle amicizie più rette, pubblicizzate dalla Chiesa Cattolica e dai vescovi, dirigenti delle università più prestigiose. Chi oserebbe dubitare di tali referenze? Forse solo i cittadini che hanno a cuore la sovranità e le regole democratiche della propria nazione. Una schiera di persone che dovrebbe essere la norma, poiché accomunate dalla giustizia sociale e dalla cura del più debole, naturali predisposizioni dell'uomo. Una composizione che al momento latita, in attesa di un porta bandiera contro la mediocrità dei falsi santi.

di Maria Giovanna Lanotte 

13 gennaio 2013

Per la febbre elettorale non esiste vaccino



Superate le profezie dei Maya, il Natale e pure l'ultimo dell'anno, in un'atmosfera per molti versi surreale, dove qualsiasi anelito di spirito festaiolo é stato stemperato dalla drammatica situazione  in cui versa il paese e con esso gran parte delle famiglie italiane, sembra che l'attenzione dei più sia ormai catalizzata esclusivamente dalla tornata elettorale prossima ventura.
Il debito pubblico (per quanto può valere) continua a salire, il Pil (per quanto può valere) continua a scendere, l'inflazione fa passi da gigante, i consumi crollano, la disoccupazione cresce in maniera esponenziale, la pressione fiscale diventa ogni giorno più immanente e qualsiasi dato ed analisi lascia presagire un 2013 molto peggiore dell'hannus orribilis che ci siamo lasciati alle spalle. Nonostante ciò non esiste situazione così nera da non lasciare uno spiraglio alla speranza, e proprio sulla speranza, unita ad una forte dose d'incoscienza, sembrano essere intenzionati a fare leva i nuovi e vecchi camerieri politici che aspirano ad ottenere una poltrona nel futuro parlamento.
Speranza per tutti, con in regalo confezioni famiglia di perline colorate, sembra dunque la formula scelta da qualunque candidato, per accattivarsi i favori degli italiani e ritagliarsi il ruolo di esecutore dei dettami presenti e futuri della BCE, dell'FMI, dell'Europa e di tutti i grandi poteri che ormai gestiscono in toto il destino dei cittadini.
A ben guardare la campagna elettorale del 2013, già entrata nel vivo prima ancora che l'Epifania arrivasse a portare via le feste, qualche elemento di novità rispetto al passato lo presenta senza dubbio....

In primo luogo é già stato deciso in alto loco il risultato che dovrà emergere dalle urne, se é vero che Giorgio Napolitano e le più alte cariche europee hanno dichiarato pubblicamente in maniera adamantina quali compiti sarà tenuto a svolgere il nuovo governo, qualunque esso sia. In secondo luogo i partiti destinati a scendere nell'agone elettorale non redigeranno più programmi elettorali di centinaia di pagine, infarcite di "ma anche" e "superamenti" di varia natura, ma si limiteranno a pochi semplici slogan, utili per riempire il vuoto e creare false aspettative. Per chiudere, sempre in tema di superamenti, risulta ormai defunta ogni velleità di bipolarismo ed i poli che si contenderanno la carcassa del paese saranno almeno cinque, a meno di sorprese dell'ultima ora.
Mr. Legacoop Bersani guiderà il polo di centrosinistra che incorporato Sel di Nichi Vendola viene accreditato dai sondaggi (sempre assai benevoli) di un consenso superiore al 30%. Si dichiara pronto ad abbracciare l'Europa dei banchieri e la società civile e strizza l'occhio a Mario Monti, indispensabile nel caso i risultati reali arrivino a permettergli di tentare di formare un governo.
Il Cavaliere errante di Arcore, insieme a tutto il polo di centrodestra, consapevole di avere ormai perso ogni chanches, ha scelto la strada della confusione, nel velleitario tentativo di sparigliare le carte e far dimenticare agli italiani il fatto di avere deposto il paese nelle mani dell'usuraio di Goldman Sachs. Oggi con Monti, domani contro Monti, poi ancora con Monti, offrendogli la guida del partito, poi non contro Monti ma solamente contro le sue leggi ed infine con la sua agenda, purchè lui non ci sia. Un po' tortuoso forse, ma nessuno sicuramente potrà affermare che esiste una posizione che non sia stata assunta.
L'usuraio di Goldman Sachs, conscio del fatto che la maniera migliore per tornare al governo fosse quella di connotarsi come ago della bilancia, entra nel tatrino elettorale sorretto da Casini e Fini (esili stampelle in verità), ma soprattutto dalla CEI e dai poteri forti mondiali, il che significa "buona stampa" a gogò e una discreta percentuale degli italiani disposti a sperimentare la sindrome di Stoccolma, se è vero che anche lui, come Bersani, si appella alla società civile per raccogliere il consenso.
Il movimento 5 stelle di Beppe Grillo si presenterà alle urne per la prima volta, con la concreta prospettiva d'intercettare il consenso di buona parte degli scontenti ormai guariti dalla sindrome destra vs sinistra, ma esistono forti dubbi sul fatto che voglia e sappia valorizzare lo socntento di cui sopra, anziché parcheggiarlo su un binario morto, lastricato di slogan anticasta e facili battaglie di facciata.
Antonio Di Pietro, in forte calo di presentabilità e di consensi, ha recuperato in Guatemala il collega Antonio Ingroia, per affidargli il compito di ricompattare in giro per l'Italia quel che resta della sinistra radicale e della galassia ambientalista, nella speranza (ci dovrebbe riuscire) di superare la soglia di sbarramento e riportare in parlamento Ferrero, Diliberto e molte altre icone della sinistra che alla scorsa tornata elettorale si ritrovarono fuori dei giochi. Anche Ingroia, come Bersani e Monti, cerca il consenso di quell'ectoplasma chiamato società civile, ma a differenza di loro sembra poter contare sul diritto di pescare fra i vari movimenti che si battono sul territorio. Sembra essere però partito con il piede sbagliato, praticando la pesca di frodo, dal momento che pur stando a braccetto con Di Pietro (che fu uno dei ministri che portarono avanti il TAV), strizzando l'occhio a Bersani da lui definito una brava persona ed incensando "l'amico" giudice Caselli, si é permesso di stampare sui manifesti il nome del Movimento NO TAV fra quello dei suoi sostenitori, nonostante in Val di Susa nessuno gli avesse dato il permesso di farlo o si sognasse di darglielo.
Nel prossimo mese sicuramente se ne vedranno delle belle, fra scontri in TV, sondaggi pilotati, amicizie di vecchia data messe a repentaglio e nemici indefessi che ritrovano l'amore perduto.
Ma al di là dell'effetto taumaturgico della speranza in quanto tale, come si può sperare di cambiare la qualità del desco, semplicemente scegliendo i camerieri che portano in tavola il cibo, mentre il titolare del ristorante ed i cuochi rimangono gli stessi?
Continueremo a mangiare pesce avariato, anche se fingiamo di non sentirne la puzza, convincendoci che si tratta di una prelibatezza che abbiamo scelto noi.

di Marco Cedolin 

12 gennaio 2013

Un nuovo principe per un nuovo principio nazionale



Pochi giorni di campagna elettorale sono bastati per intuire che i partiti e i candidati, vecchi e nuovisti (nuovi è parola impropria), non hanno la minima percezione della situazione reale in cui ci troviamo e giocano ai piccoli chimici per invertire la tendenza dei sondaggi, o sventolare i propri tendaggi di scena (un tempo, tali insegne si sarebbero chiamate bandiere ma, dopo la presunta fine delle ideologie, sono scomparsi i grandi confronti e non sono rimasti nemmeno i corti orizzonti, al di là del vergognoso spettacolo delle opposte tifoserie da stadio), per recuperare/incrementare consensi.
La fase politica è talmente grave che ci vorrebbe una nuova formazione politica (della quale non c’è evidenza, altro che Grillo e il suo movimento “irretito” nella rete) con le idee chiare sull’avvenire dell’Italia e sulle sorti geopolitiche del Paese, al fine di rifondare lo Stato e ridare speranza ai cittadini. E’ questo il compito storico che abbiamo di fronte, generazione di un altro Stato e dei suoi compiti, tattici e strategici, nonché riconfigurazione del corpo collettivo nazionale intorno a queste priorità epocali. I nostri sono tempi eccezionali che richiedono soluzioni straordinarie e chiunque si limiti ad amministrare l’esistente, o a cimentarsi nel piccolo cabotaggio politicistico, è complice di un sabotaggio pubblico devastante.
Anziché tutto ciò, dunque, qui si continua traccheggiare, a discutere se sia opportuno o meno imbarcare il Centro nella Sinistra, la Lega nel Centro-destra e le ali estreme dappertutto, purché in posizione di complemento, per impedire all’altro schieramento di spuntarla, in quanto se vince Bersani sarà schiavo del soviettismo (?) di Vendola, se vince Berlusconi prevarrà il razzismo leghista e storaciano, mentre, se l’ago della bilancia dovesse essere la lista “cinica” di Monti perderebbero tutti, prelati e finanzieri esclusi. Nel frattempo, restiamo incatenati all’idiozia ragionieristica di questi inetti che da vent’anni dimostrano di essere dei marziani a Roma. Costoro fanno calcoli sul vuoto che non contemplano programmi di cambiamento e piani di rigenerazione dello spirito sociale, ormai polverizzato da lustri di abusi, sotto specie di soprusi partitocratici interni e razzie speculative esterne. Insomma, la democrazia ridotta a votificio per scegliere incompetenti, la cui unica aspirazione è quella di fare le mezze maniche dell’Ue, i passacarte degli organismi internazionali, tanto politici che economici, e gli interessi della propria miserabile bottega.
Al punto in cui siamo giunti, piuttosto, dovremmo chiudere con questi principianti e ricompattarci intorno ad un “Principe figlio di un principio collettivo” che si dimostri in grado di spazzare via i parassiti da ogni sfera sociale e di ricostituire gli apparati statali, predisponendoli ai duri confronti internazionali, alle sfide globali e alle istanze autoctone che decreteranno la posizione, di subordinazione o di indipendenza (o almeno di autonomia), sullo scacchiere mondiale di ogni singolo Paese o area di Paesi, per i prossimi anni. Una sfida enorme sulla quale ci giochiamo la libertà duratura o la sottomissione permanente.
So che molti storceranno il naso nel sentir parlare di Principe e grideranno al fascismo, ma non di questo si tratta, sebbene si renderanno obbligatori atti di “potenza” e di “prepotenza” per scrollarsi di dosso i saprofiti che hanno prosciugato il sangue del popolo. La violenza sarà nelle stesse decisioni trasformative (e non in azioni d’imperio autoreferenziali, come nei dispostimi) che andranno prese per raschiare il marciume e la muffa incrostatisi, da tanti decenni, sulla vita sociale italiana.
Penso, solo per fare un esempio, all’interruzione di quell’emorragia di fondi pubblici, dirottati per lunghe annate, verso le Imprese Decotte di precedenti ondate tecnologiche (definitivamente esauritesi) e la Grande Finanza parassitaria, acciocché venisse garantita la sopravvivenza di gruppi banco-industriali in stretto collegamento con i vertici politici, che non portavano sviluppo all’Italia e sottraevano risorse per i settori più innovativi e strategici.
I veri sperperi di denaro dei contribuenti sono questi, prim’ancora delle ruberie della cosiddetta “casta” e dei trasferimenti statali ai servizi generali che costituiscono il cuore del Welfare State. Sicuramente, anche in quest’ultimo campo sono stati compiuti degli eccessi ed occorrerà razionalizzare e modernizzare ma non si può arrivare al paradosso di tagliare lo Stato Sociale, lasciando inalterate le citate regalie private, danneggiando così due volte i cittadini, prima con il foraggiamento, coi soldi di tutti, di aziende che, nonostante i sussidi non riusciranno a restare sul mercato, e poi restringendo il campo della gratuità e dell’efficienza delle prestazioni istituzionali nella sanità, nell’istruzione, nell’occupazione ecc. ecc. a svantaggio della comunità.  Quindi, finché non vi saranno Agende o dichiarazioni programmatiche che conterranno queste richieste inaggirabili, ogni discorso sarà, e delle due l’una, o una presa in giro o un friggimento di aria da parte di uomini che si danno delle arie non avendo altro nel cervello.
Tornando alla disquisizione sul Principe e chiarendone meglio il significato citeremo Antonio Gramsci, affinché si possa comprendere la portata dell’affermazione: “Il moderno principe… non può essere una persona reale, un individuo concreto, può essere solo un organismo; un elemento di società complesso nel quale abbia inizio il concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione.”
Il grande politico sardo, dunque, non concede nulla al fanatismo carismatico e leaderistico che rappresenta, al più, una reazione emotiva, di labile durata, ai drammi della fase storica, la quale, et pour cause, sfocia nella restaurazione o nella mera riorganizzazione formale degli apparati statali (soprattutto di quelli corazzati di coercizione) non risolutiva dei problemi reali. Gramsci crede, invece, in qualcosa di più consistente ed adeguato ai tempi che si esprime in maniera vasta ed organica, al fine di assicurare la rifondazione della macchina statale, poiché l’obiettivo è, appunto, quello di costruire diverse strutture nazionali e sociali adatte ad affrontare le competizioni contemporanee. Nulla a che vedere, pertanto, con le derive autoritarie che, semmai, appartengono all’attualità tecnocratica, dei tecnici ma anche dei politici. Occorre, in sostanza, rifare l’Italia con un atto creativo e originale, espressione di una volontà collettiva generata ex novo da un nuovo blocco sociale incaricatosi, per spinta d’idee, di proposte e di massa d’urto sociale, di risollevare i destini dello Stivale, percorrendo strade mai battute e facendo sue iniziative accantonate da gruppi dirigenti passivi e corrotti.
Questa volontà collettiva esiste oggi, almeno in nuce? A nostro parere sì e si intravede, seppur flebile e marginalizzata, in quei comparti che hanno resistito alla svendita del patrimonio pubblico e delle imprese strategiche, in quei segmenti della popolazione produttiva che, senza attaccarsi alla mammella pubblica, mandano avanti l’economia e lavorano, a testa bassa, nonostante le difficoltà, ai quali manca, tuttavia, la cultura politica per sentirsi protagonisti di un mutamento da perseguire. Certo, studiando meglio la struttura economica italiana, facendo l’analisi storica del passato e del presente politico, sceverando più perspicuamente la composizione del ceto medio, ora ridotto ad una categoria ripostiglio indistinta, sarà possibile trovare e, persino, inventare quelle colleganze indispensabili a far germogliare il soggetto politico di cui abbisogniamo per l’insorgenza e la risorgenza nazionale.
“Producendo” teoricamente e scovando nella prassi politica i punti di contatto, gli anelli di congiunzione tra sezioni del lavoro autonomo e dipendente, tra piccoli e medi imprenditori e tra drappelli al timone delle imprese di punta sensibili all’argomento, questa volontà nazionale forse prenderà tangibilità e sostanza.
Quelli che ci governano adesso e che si ripropongono alla guida del Belpaese sono un ostacolo alla palingenesi richiesta e non comprendono la portata delle minacce planetarie nella presente epoca multipolare. Anzi, qualcuno lavora apertamente per renderci succubi di trame “aliene” e di obblighi stranieri, che sono tali perché loro sono fiacchi ed arrendevoli. Soltanto un moderno Principe, nel senso qui accennato, ci potrà salvare.

di Gianni Petrosillo 

11 gennaio 2013

Il denaro






Beninteso, tutti preferiscono averne un po’ di più che un po’ di meno. «Il denaro non dà la felicità, ma vi contribuisce», dice l’adagio popolare. Bisognerebbe tuttavia sapere che cos’è la felicità. Nel 1905, Max Weber scriveva: «Un uomo non desidera “per natura” guadagnare sempre più denaro: vuole semplicemente vivere come è abituato a vivere e guadagnare quanto gli occorre per farlo». In seguito, numerose inchieste hanno mostrato una relativa dissociazione tra la crescita del livello di vita e quella del livello di soddisfazione degli individui: superata una certa soglia, avere di più non rende più felici. Nel 1974, i lavori di Richard Easterlin avevano stabilito che il livello medio di soddisfazione dichiarato dalle popolazioni era rimasto praticamente lo stesso dal 1945, malgrado lo spettacolare aumento della ricchezza nei Paesi sviluppati (questo “paradosso di Easterlin” è stato nuovamente confermato recentemente). Ben nota è anche l’incapacità degli indici che misurano la crescita materiale, come il PIL, di valutare il benessere reale; soprattutto sul piano collettivo, poiché non esiste una funzione dall’indiscutibile valore che permetta di associare le preferenze individuali alle preferenze sociali.
È allettante vedere nel denaro solo uno strumento di potenza. Purtroppo, il vecchio progetto di una radicale dissociazione tra il potere e la ricchezza (o si è ricchi o si è potenti) resterà ancora a lungo un sogno. Una volta si diventava ricchi perché si era potenti, oggi si è potenti perché si è ricchi. L’accumulazione del denaro è presto divenuta non il mezzo dell’espansione commerciale, come alcuni credono, ma lo scopo stesso della produzione delle merci. La Forma-Capitale non ha altro oggetto che l’illimitatezza del profitto, l’accumulazione infinita del denaro. La capacità di accumulare denaro dà evidentemente un potere discrezionale a coloro che la possiedono. La speculazione monetaria domina la governance mondiale. E il brigantaggio speculativo resta il metodo di captazione preferito dal capitalismo.
Il denaro non si confonde tuttavia con la moneta. La nascita della moneta è spiegabile con lo sviluppo dello scambio commerciale. È soltanto nello scambio, infatti, che gli oggetti acquistano una dimensione di economicità, ed è ugualmente nello scambio che il valore economico si trova dotato di una completa oggettività, perché i beni scambiati sfuggono allora alla soggettività di un unico individuo per misurarsi con la relazione esistente tra soggettività differenti. In quanto equivalente generale, la moneta è intrinsecamente unificatrice. Riportando tutti i beni a un denominatore comune, essa rende allo stesso tempo gli scambi omogenei, come già constatava Aristotele: «Tutte le cose che vengono scambiate debbono essere in qualche modo paragonabili. La moneta è stata inventata a questo scopo e diventa, in un certo senso, un intermediario, perché misura tutte le cose». Creando una prospettiva a partire dalla quale le cose più differenti possono essere valutate con un numero, la moneta le rende in qualche modo uguali: essa riporta tutte le qualità che le distinguono a una semplice logica del più e del meno. Il denaro è quel metro di misura universale che permette di assicurare l’equivalenza astratta di tutte le merci; è l’equivalente generale che riconduce tutte le qualità a una valutazione quantitativa, dato che il valore commerciale è capace solo di operare una differenziazione quantitativa.
Nello stesso tempo, però, lo scambio rende uguale anche la personalità di coloro che lo esercitano. Rivelando la compatibilità delle loro offerte e delle loro domande, instaura l’interscambiabilità dei loro desideri e, a lungo andare, l’interscambiabilità degli uomini che sono il luogo di questi desideri. «Il regno del denaro», osserva Jean-Joseph Goux, «è il regno della misura unica, a partire dalla quale tutte le cose e tutte le attività umane possono essere valutate […] Appare qui chiaramente una certa configurazione monoteistica della forma valore equivalente generale. La razionalità monetaria, fondata sull’unico metro di misura dei valori, fa sistema con una certa monovalenza teologica». Monoteismo del mercato. «Il denaro», scrive Marx, «è la merce che ha come carattere l’alienazione assoluta, perché è il prodotto dell’alienazione universale di tutte le altre merci».
Il denaro non è dunque semplicemente denaro, ma molto di più, e crederlo “neutro” sarebbe l’errore più grande. Come la scienza, la tecnica o il linguaggio, il denaro non è neutro. Già ventitré secoli fa, Aristotele osservava che «la cupidigia dell’umanità è insaziabile». “Insaziabile”, questa è la parola; non ce n’è mai abbastanza e, dato che non ce n’è mai abbastanza, non può evidentemente mai essercene troppo. Quello del denaro è un desiderio che non può mai essere soddisfatto perché si nutre di se stesso. La sua quantità, qualunque essa sia, può infatti sempre essere aumentata di una unità, cosicché il meglio vi si confonde sempre con il più. Non se ne ha mai abbastanza, di ciò di cui si può avere sempre di più. Proprio per questo, le antiche religioni europee hanno continuamente messo in guardia contro la passione del denaro in sé, con il mito di Gullveig, il mito di Mida, il mito dell’Anello di Policrate; lo stesso “declino degli dèi” (ragnarökr) è la conseguenza di una bramosia (l “oro del Reno”).
«Corriamo il rischio», scriveva alcuni anni fa Michel Winock, «di vedere il denaro, il successo finanziario, divenire l’unico metro della considerazione sociale, l’unico scopo della vita». Siamo arrivati proprio a questo punto. Ai giorni nostri, il denaro mette tutti d’accordo. La destra ne è diventata da molto tempo la serva. La sinistra istituzionale, con il pretesto del “realismo”, ha clamorosamente aderito all’economia di mercato, ossia alla gestione liberale del capitale. Il linguaggio dell’economia è divenuto onnipresente. Il denaro è ormai il punto di passaggio obbligato di tutte le forme di desiderio che si esprimono nel registro commerciale. Il sistema del denaro, tuttavia, non durerà a lungo. Il denaro perirà attraverso il denaro, ossia attraverso l’iperinflazione, il fallimento e l’indebitamento eccessivo. Allora si capirà, forse, che si è ricchi davvero solo di ciò che si è donato.

di Alain de Benoist 

08 gennaio 2013

Grandi banche indagate per frode







In questi giorni di fine 2012 le grandi banche internazionali, soprattutto quelle europee, sembrano infastidite. Si lamentano dei controlli più attenti, ma da loro ritenuti troppo invadenti, da parte degli organi di vigilanza.

L’ultimo caso riguarda l’UBS, la più grande banca svizzera, che ha accettato di patteggiare e di pagare oltre un miliardo e mezzo di dollari di multa per chiudere il caso dello scandalo-truffa del Libor!

In merito si ricordi che alcuni mesi fa, la SEC, la lenta e burocratica agenzia di controllo americana, e l’inglese British Financial Service Authority denunciarono una ventina di banche internazionali per aver manipolato il famoso London Interbank Offered Rate (Libor), cioè il tasso che stabilisce la base per definire tutti gli altri tassi di interesse applicati sui mercati finanziari. Erano quelle del cosiddetto cartello delle “too big to fail”: le inglesi Barclays, HSBC, Royal Bank of Scotland, la Deutsche Bank tedesca e le americane, JP Morgan, Citigroup e Bank of America.

Dal 2005 al 2007 le banche in questione avevano gonfiato i loro dati per far salire il Libor e incassare sui tassi alti. Dopo lo scoppio della crisi hanno invece giocato i loro dati al ribasso per mascherare le proprie difficoltà e abbassare il costo dei prestiti di cui avevano bisogno per sopravvivere. Hanno quindi semplicemente fornito informazioni fasulle a proprio profitto.  

Sei mesi fa, la Barclays, ritenuta una delle capofila di tale “frode organizzata”, ha pagato 450 milioni di dollari di multa per chiudere la faccenda. Adesso è toccato all’UBS.

Di primo acchito le multe sembrano molto salate. In realtà, per tali banche sono solo dei fastidiosi esborsi, a fronte degli enormi profitti incassati negli anni della “grande truffa”.

Si stima infatti che circa 800 trilioni di dollari di prodotti finanziari, a cominciare dai derivati Otc, siano legati all’andamento del Libor. Perciò la sola manipolazione di uno 0,01% equivale mediamente a 80 miliardi di dollari all’anno di profitti da spartire tra i grandi operatori finanziari.

Inoltre, come sappiamo dai dati della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea e dell’Office of the Comptroller of the Currency (Occ) americano, sono state, e lo sono tuttora, sempre le stesse banche indagate per la truffa del Libor a controllare la quasi totalità delle operazioni finanziarie globali. 

Vi sono poi le indagini nei confronti della Deutsche Bank, i cui uffici sono stati “visitati” per ben due volte in pochi giorni dagli investigatori delle polizia tedesca che ha sequestrato montagne di documenti.

Uno degli scandali-truffa riguarda una evasione fiscale per circa 300 milioni di euro frutto del commercio dei certificati CO2 nei mesi a cavallo del 2009-10. Uno schema tristemente noto anche in Italia, su cui sarebbe doveroso indagare.

Per l’intera Europa l’Europol stima una truffa ed una evasione fiscale legata ai certificati CO2 per oltre 5 miliardi di euro! Oramai si specula e si truffa anche sull’aria che respiriamo!

A seguito di accordi internazionali e dei tanti movimenti e dibattiti sulle questioni ambientali e climatiche, l’UE ha stabilito un “Emissions Trading System” che assegna un tetto di emissione di anidride carbonica ad ogni impresa e ad ogni impianto di produzione di energia. In pratica si è creato un mercato per acquistare certificati-permessi per maggiori emissioni e per vendere eventuali surplus. Su ciò si è innestato anche un mercato di derivati.

I casi della Barclays, dell’UBS, della Deutsche Bank, così come quello precedente dell’inglese HSBC coinvolta anche nel riciclaggio dei soldi della droga tra Messico e Stati Uniti, sembrano assegnare un ruolo centrale nel malaffare alle banche europee. Ma in realtà sappiamo quanto pesantemente siano state coinvolte le maggiori banche americane nelle truffe dei mutui sub prime e dei prodotti finanziari strutturati.

Tutte queste banche continuano a giocare sul ricatto di essere “too big to fail” per sottrarsi alle indagini ed a ogni forma di regolamentazione. Le frodi venute alla luce provano che il loro comportamento, già responsabile della crisi finanziaria ed economica globale, non è minimamente cambiato.

In relazione a ciò ed al progressivo peggioramento della situazione economica e finanziaria delle economie degli Usa e dell’Europa saranno determinanti le decisioni che il rieletto presidente Obama prenderà entro i prossimi mesi.

Se, con l’indispensabile collaborazione dell’UE, saprà operare con la stessa determinazione di Franklin Delano Roosevelt del 1933 nel mezzo della Grande Depressione allora potremo costruire la necessaria riforma della finanza e dell’economia e rimettere in moto la ripresa del sistema produttivo. 

Se invece il presidente americano sarà tenuto sotto scacco dalle lobby di Wall Street e dei vari “gattopardi”, come è avvenuto nel suo primo mandato, allora dovremo essere consapevoli che una seconda e più violenta crisi sistemica potrà verificarsi.

Di questo ovviamente dovranno preoccuparsi anche il prossimo governo e le autorità europee. 

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

07 gennaio 2013

L'energumeno Monti







  

La discesa (o salita, come ama dire  l'interessato nel suo sconfinato egocentrismo, che non ammette di collegare in alcun caso la sua persona col verbo “scendere”) di Mario Monti  in campo, forse perché condotta sul filo dell'ammissibilità costituzionale, ha determinato reazioni  altrettanto squinternate. Bersani, preoccupato che il suo partito non abbia quel trionfo totale prospettatogli fino a pochi giorni fa dai sondaggi, dice di sperare   che   Monti sappia mantenersi  “super partes”. Dal momento che non può essere super partes chi, proprio perché disceso (anzi salito) nell'agone, è già  parte a tutti  gli effetti,  l'auspicio prepara il terreno per il dopo  nella speranza che, se ne avrà bisogno, stia dalla  “sua” parte in cambio di qualche strapuntino nel governo e non pretenda invece la poltrona principale.
    Berlusconi, giocando  sulla faccenda della discesa-salita,  ha commentato  che Monti sale, perché era un presidente del consiglio di rango inferiore, mentre lui stesso, Berlusconi, era di rango superiore.  Insomma, se si è capito bene, a parte gli altri che vanno via  piatti, ci sono in campo un contendente che sale  (Monti)  e uno  (Berlusconi) che scende.  Contento lui.
     Beppe Grillo ha definito l'inatteso concorrente (ma può stare tranquillo,  chi pencola verso l'universo grillino ha altri  difetti, ma  non voterà mai per Monti)  un “energumeno anticostituzionale”. Quanto all'anticostituzionale  è  vero che fin  dalla sua prima apparizione sotto l'ala protettrice di  Giorgio Napolitano e di Angela Merkel sono stati sollevati  da più parti dubbi  sulla conformità al sistema democratico  della  nomina e  delle modalità di subentro al precedente governo. Tuttavia la definizione di “energumeno” (peggio ancora nella sua versione british,  “brute”) risulta quanto mai inappropriata per  il compassato e algido rettore bocconiano.  E' vero che ha già fatto più danni di quanto avrebbero potuto farne il pelide Achille o i  due più noti energumeni mitologici, Ercole e Marte, e che altri, forse peggiori, si appresta a farne, ma il genere è diverso, quello dell'acqua cheta che rovina i ponti.
    Fin qui   tutto da ridere se non  fosse che  siamo tutti in  ballo e, quindi, inferiori o superiori che siano questi candidati al governo del  paese, energumeni o acque chete, a rischio  coinvolgimento nel crac finale. Più seria, ma appunto per questo preoccupante, la presa di posizione del Vaticano, che, avendo  letto nella sua  agenda l'aspirazione ad una politica alta e nobile, auspica che Monti possa intercettare il consenso della  maggioranza degli italiani, che appunto ad una politica di  questo genere aspirano. Di rinforzo, il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco,  ha informato l'opinione pubblica della sua convinzione che  “sulla onestà e capacità di Monti ci sia un riconoscimento comune”. Quanto all'onestà il termine ha molti significati  e prima di pronunciarsi  occorre vedere a quale il cardinale si riferisca (certamente non all'impegno a suo tempo preso di non partecipare alle elezioni). Sulla capacità, nel giro di un anno il comune consenso, stando ai sondaggi, è precipitato dal 75 al 35% (e il trend negativo prosegue). L'esperienza sta  insegnando qualcosa anche ai più ottimisti.bResta l'agenda. Basta leggerla (la si trova facilmente su Internet)  per rendersi conto che la politica alta e nobile sta tutta nelle parole, negli intenti e nei fini che  si proclama di volere raggiungere nell'interesse del popolo italiano, mentre nulla o ben poco si dice  dei mezzi da utilizzare per realizzarli. Esattamente  come nei programmi di tutti i partiti. A chiacchiere uno più nobile dell'altro.
      Inevitabile chiedersi  cosa, nonostante la sua  millennaria prudenza e la scarsa propensione a cedere al fascino delle millanterie e delle chiacchiere, abbia spinto la Chiesa italiana, la Cei, a scendere in campo.  E' verosimile che  la risposta si trovi nel timore  di una totale  vittoria, fino ad oggi ritenuta inevitabile (con appena qualche riserva per la maggioranza in Senato), di un Partito democratico che, perfettamente consapevole di non potere muovere foglia in economia che l'Europa non voglia, quanto alle riforme punta tutto, anche per compiacere  il co-équipier Vendola, sui cosiddetti (molto cosiddetti) “diritti civili”, così  entrando in piena collisione con quelli che la Chiesa considera (molto giustamente) “valori non negoziabili”.
   In realtà di questi valori, con tutta la sua elevatezza e nobiltà, non c'è traccia nemmeno nell'Agenda Monti,  tuttavia mai come in questo caso, in una situazione già  data  persa (nel Pd i cattolici, oltre ad essere “adulti”, contano come il due di picche), il silenzio è d'oro.

di Francesco Mario Agnoli -

06 gennaio 2013

Il Gran Maestro



 MARIO MONTI
Se un merito va riconosciuto a Mario Monti è di contribuire ad una maggiore chiarezza del dibattito; ha scelto il suo avversario, Silvio Berlusconi, il suo referente, Bersani, quest’ultimo con un Vendola più addomesticato; ha definito il perimetro entro cui si schiereranno e si formeranno le forze politiche a lui affini; ha tracciato gli orientamenti che ispirano il suo “Cambiare l’Italia, Riformare l’Europa: Agenda per l’impegno comune” di prossima pubblicazione. La conferenza stampa di fine anno tenutasi oggi, domenica 23 dicembre, è stata esemplare nella sua semplicità e incisività. Come al solito i commenti a caldo dei pontefici dell’informazione, a cominciare da Mentana, hanno piegato il senso delle sue dichiarazioni alla logica della quale è vittima la quasi totalità del giornalismo italiano: la riduzione al semplice scontro di fazioni partitiche nel palcoscenico politico e, quindi, l’implicito sostegno tattico allo schieramento di Casini e Montezemolo.
In realtà Monti ha detto molto di più e con un respiro che va al di là dell’attuale scadenza elettorale:
  • Non autorizza nessuno ad utilizzare indebitamente il suo nome; l’avvertimento a Casini e ad alcune componenti del PDL mi pare evidente.
  • La società civile è diffidente nei confronti dei politici professionisti compresi quelli che intendessero sostenere il suo programma
  • Piuttosto che tra destra e sinistra il discrimine della lotta politica dovrebbe essere l’Europa e il rinnovamento
  • Nei tre schieramenti classici e ormai antiquati ci sono cespugli europeisti, innovatori e liberali che andrebbero raccolti sulla base del nuovo discrimine
Il Professore, quindi, più che partecipare e tentare di vincere queste elezioni cerca di orientare il dibattito della campagna elettorale in modo che i partiti in qualche maniera rinuncino parzialmente alla demagogia necessaria a raccogliere voti e alleanze talmente eterogenei  da inficiare però la fluidità successiva dell’azione politica; Monti, infatti, ha già più volte dichiarato di non farsi troppe illusioni sulla frantumazione dei partiti prima delle elezioni. Dal PDL si aspetta poche defezioni importanti, meno del numero di dita delle mani. Paradossalmente, aggiungo io, potrebbe conseguire qualche successo più rilevante dal versante meno ostile, il PD. Sulla base del risultato elettorale, poi, si porrà il problema della coalizione, di chi sarà il Capo di Governo e di quale ruolo svolgerà Monti stesso da una parte e della destrutturazione degli attuali partiti dall’altra. L’altra preoccupazione è quella di circoscrivere il più possibile la campagna elettorale di Berlusconi il quale con i suoi argomenti, in caso di successo, rischia di innescare, contro le sue stesse intenzioni, una politicizzazione del processo di disgregazione dell’Unione Europea attraverso la crisi di una delle due correnti politiche europee, il Partito Popolare Europeo; da qui il senso della recente trappola perpetrata a Bruxelles dal PPE con l’incoronazione di Monti e il processo a Berlusconi.
Per tranciare in questo modo il dibattito politico, il Presidente dimissionario deve ricorrere a sua volta a delle forzature; deve  discriminare tra chi sostiene o ritiene compatibile il suo manifesto ed è in possesso, quindi, dell’attestazione di europeista ed innovatore; gli altri ne sono la semplice negazione. Non esiste pertanto altra dinamica positiva che l’attuale processo di Unione Europea; non esiste altro rinnovamento che il montismo.
Ma Monti, così come l’attuale Unione Europea, in realtà ha molto poco da offrire.
Prospettando una unione da costruire sulle macerie delle nazioni e degli stati nazionali, ignora del tutto i lunghi processi identitari  necessari a creare una comunità, uno stato rappresentativo e una nazione quale dovrebbe essere l’Europa nel caso riuscisse a realizzarsi e quali continuano ad essere gli attuali o almeno quelli che riescono a preservare la propria sovranità. L’Europa, agli occhi di Monti, sarebbe un popolo senza nazione, fatto di persone, consumatori e cittadini muniti di diritti e doveri formali. La sua costituzione sarebbe il frutto di una combinazione accorta dell’azione volontaria di élites e tecnocrati e di una rappresentazione dei cittadini di tipo parlamentare costruita attraverso un semplice atto di volontà di gruppi elitari. L’amalgama e lo sviluppo, invece, sarebbero garantiti dalla costruzione di un mercato continentale libero a sua volta integrato con quello americano e, in qualche momento di là da venire, mondiale.
Una impostazione che evita opportunamente ogni velleità di distinzione di interessi e di identità da quella dell’attuale potenza dominante americana e ogni possibilità di seria e trasparente trattativa tra gruppi e stati nazionali tesa a creare strutture organizzative, statuali, di impresa, culturali necessari per la formazione di blocchi sociali e popoli con una loro peculiarità.
Una visione simile, sia pure allo stato embrionale, apparteneva al De Gaulle degli anni ’60, quando propugnava un processo unitario fondato sugli stati nazionali e sull’integrazione verticale dei settori contestuale alla creazione del mercato europeo, piuttosto che sulla mera liberalizzazione dei mercati e sul continuo frazionamento delle imprese, sull’anomia culturale condita di retorica; la gestione di questi processi, però, comporta l’esistenza di gruppi nazionali forti, consapevoli degli interessi nazionali ma disposti a trattare con i vicini di casa e a delimitare l’azione rispetto alle altre potenze mondiali. Una condizione antitetica rispetto alla situazione europea scaturita dalla seconda guerra mondiale, proseguita nel bipolarismo, protrattasi ulteriormente, con qualche illusione fugace, con la caduta dell’URSS.
Quello che Monti ha da offrire è, più che una speranza, l’accettazione di una pesante regressione in alternativa ad una regressione ancora più marcata in caso di tradimento del suo verbo; l’occupazione tutt’al più  delle nicchie lasciate libere dalle forze dominanti. La recente vendita di Avio aereonautica alla General Electric, il taglio integrale per il secondo anno consecutivo dei finanziamenti sulla ricerca aerospaziale, i continui attacchi ad ENI e Finmeccanica, le scelte di politica estera e di difesa, la nuova enfasi riconosciuta alle scelte di Marchionne, esempi tra i tanti, lasciano intravedere quale sia la consistenza di queste nicchie e quali saranno le dinamiche di un libero mercato ridotto a campo di azione di lobby e gruppi organizzati nascosti dietro l’ideologia del consumatore e produttore individuale. Lascia intravedere, altresì, quali saranno le forze suscettibili di sostenere l’impulso “riformatore” di Mario Monti: i beneficiari di queste nicchie e i settori aggrappati alla possibilità di salvaguardare parte delle proprie prerogative parassitarie. Qualche accenno a questo arrembaggio l’abbiamo già visto nella gestione dei processi di liberalizzazione e nelle modalità di riorganizzazione della spesa pubblica avviati quest’anno. Sino ad ora Monti ha avuto buon gioco nell’accusare i partiti come zavorra antiriformatrice; il groppo ha invece un potere e una inerzia ben più rilevanti, radici ben presenti nel suo stesso governo tecnico “riformatore”.
Un dibattito simile ebbe luogo in Italia nell’immediato dopoguerra, ma in un contesto diverso. L’Italia di allora sviluppò rapidamente il settore tessile, ma con aspri scontri interni e una politica dirigista sostenuta dal piano Marshall riuscì a sviluppare anche una notevole industria meccanica e avviare uno sviluppo importante anche se complementare. Gli americani vincitori, allora, dovevano creare un blocco espansivo capace di alimentare la propria forza, offrire sbocchi alla propria capacità industriale e finanziaria, fronteggiare la minaccia sovietica, questo creò gli spazi necessari allo sviluppo e all’emergere di figure come Mattei. Oggi, al paese, viene richiesto un sacrificio di natura ben diversa e con più invitati alla condivisione delle spoglie, compresi alcuni paesi “amici” europei.
Il trasformismo e l’avventurismo di Berlusconi, a sua volta, rappresentano l’alter ego perfetto per giustificare e fornire motivi e forza a questa politica, per rinfocolare i timori sui quali basare i propri successi, così come avvenuto, in un contesto per ora ancora più drammatico, in Grecia.
È sempre più curiosa e intrigante, tra l’altro, l’affinità tra le tesi di Berlusconi, anche lui ormai ispirato dalle teorie espansiviste e di sovranità monetaria di Krugman e quelle antigermanocentriche  dei neoantimperialisti smemorati.
Non appena sarà pubblicato il manifesto di Monti, sulla falsa riga dei miei precedenti articoli di un anno fa sull’Unione Europea,  approfondirò tutti questi aspetti.

di Giuseppe Germinario 

05 gennaio 2013

2012, anno del Golpe morbido. E adesso impariamo a difenderci





     
Si chiude un anno di dittatura bancaria, un anno di debiti e di debito, un anno di politica concepita dalle banche come truffa sociale dei soliti politici truffatori.
Lo spread, come “il Mammone”, ha spaventato i bambini: la mannaia del gabelliere Equitaliano ha colpito indiscriminatamente come un killer seriale e lo Stato è stato trasformato in semplice esattore per nome e per conto dei poteri internazionali. Come il fanatismo ideologico liberista impone, lo Stato ha un solo compito: tassare tutto, tutti e dappertutto. E una sola funzione: garantire che quello che chiamano debito sia garantito al debitore. Il debitore resta occulto, il debito virtuale invece incombe su tutti noi come un incubo metafisico. Siamo all’epica del Dio debito e all’epopea del popolo debitore.

Nulla di quello che i politicanti avevano “promesso” al popolo bue è stato fatto e all’orizzonte nemmeno una speranza di reale cambiamento. Al massimo, in virtù di un ricordo lontano di dignità perduta, alcuni si agitano ormai semi coscienti che così non solo non si può andare avanti ma che è anche inutile andare avanti così. Saranno quelli che forse, nel 2013, porteranno un po’ di caos nel sistema. Che sia benvenuto questo caos.
Da quello che i media asserviti ci raccontano, dobbiamo pagare il 112% l’anno, rispetto al 100% che produciamo e quindi anche agli occhi di un bambino lo Stato è fallito e quindi la macelleria sociale in atto non solo è inutile ma soprattutto è sadica.

E' all’interno del fallimento che cresce la questione meridionale: il divario fra Nord e Sud cresce quando l’economia va bene, cresce quando l’economia va male, segno evidente che la questione meridionale non è una questione semplicemente economica ma un cancro endemico della stessa invasione coloniale.

Crolla l’utopia democratica che autorizza un vero e proprio golpe morbido che gli storici chiameranno Golpe Napolitano-Monti
Crolla la favoletta per i piccoli e buoni “cittadini italiani” del sistema maggioritario, della riduzione dei partiti, del bipolarismo, del bipartitismo.
Crolla il mito della democrazia come pace nel mondo, crolla grazie alle intercettazioni di Napolitano, all’ipocrisia dello Stato Italiano che si proclama anti mafia, mentre Taranto muore, Napoli è come sempre sfruttata per visibilità personale di alcuni a scapito dei napoletani, il Sud è sommerso dai veleni e trasformato in discarica del Nord, i meridionali continuano ad emigrare, vengono derubati della dignità e dei propri soldi attraverso le leggi italiane e per finire anche la chiesa accetta i “30 denari” e tradisce il popolo elogiando i banchieri.
 Da quello che avete letto, sarebbe più giusto dire che si chiude un “normale” anno dei quasi 152esimi di regime italiano più che dire che si è chiuso il 2012esimo anno dopo Cristo.
Ma pur nel “cielo cupo” qualcosa in quest’anno è cambiato: nulla che possa farci dire che possiamo ancora incidere sul sistema, ma sicuramente che l’identitarismo è la strada da percorrere.
Come abbiamo dimostrato per primi nella seconda repubblica al Sud si può lavorare per creare una rappresentanza politica propria ed indipendente attraverso l’opera degli stessi meridionali: peccato che molti hanno copiato la forma, ma non l’essenza fondamentale soprattutto di indipendenza dalla partitocrazia.
Abbiamo dimostrato compattezza ed identità, quando abbiamo reagito da popolo all’offesa della ” pizza veneta” svelando come fosse una copertura dei grandi e soliti interessi economici del nord, abbiamo ottenuto il licenziamento del giornalista “lombrosiano” della Rai piemontese, l’istituzione del Registro Tumorale poi scippatoci dal governo centrale, ma soprattutto abbiamo iniziato a difenderci da popolo e non a lamentarci da singoli schiavi.
Che l’anno si chiude con il crollo del 62% di vendita di panettoni nordici al sud è un bel segnale, che il Compra Sud Insorgente regala a tutti noi per capodanno.
Il 2013 si apre allo stesso modo in cui si chiude il 2012, un anno di spietato colonialismo finanziario. Che più sarà spietato più ci costringerà a imparare a difenderci. Ed è tutto in questa seconda parte il mio augurio insorgente a tutti voi.
Non negate la realtà, siate uomini, affrontatela: chi vi dice che risolverà i vostri problemi è li solo per crearli.

di Nando Dicè 

04 gennaio 2013


Bersani farà la guerra al contante. Opponiamoci

Dall’estate le banche svedesi hanno messo in atto la più determinata offensiva ai pagamenti in contanti. Coadiuvate dalla rete di banda larga più avanzata del mondo e sotto la regia della Banca Centrale, Riksbank, tre delle quattro maggiori banche del Paese, ossia 530 delle 780 filiali, non accettano banconote in pagamento né pagano in contanti. Ormai 200 su 300 uffici della Nordea Bank, e tre quarti degli sportelli della Swedbank, fanno solo transazioni elettroniche.

«Stiamo attivamente riducendo il contante nella società», vanta Peter Borsos, portavoce della Swedbank. I motivi proclamati dalla propaganda sono quelli che già conosciamo: non già che alle banche conviene prelevare una commissione da ogni transazione, questo no; i pagamenti elettronici sono più sicuri, riducono il pericolo di furti e rapine, e soprattutto – per toccare la corda «verde» della popolazione – «il trasporto del denaro su automezzi blindati produce centinaia di tonnellate di gas-serra; noi soli della Swedbank emettiamo 700 tonnellate di biossido di carbonio per questo, con un costo per la società di 11 miliardi l’anno». Orrore, orrore.
Come resistere al richiamo alla responsabilità ecologista? Ristoranti di sushi ad Uppsala sono passati di botto al «no contanti». Le chiese luterane (sempre all’avanguardia del politicamente corretto) hanno approntato all’entrata impianti per raccogliere offerte ed elemosine, i kollektomat.
Ma la cittadinanza, benché storicamente ligia, progressista e disciplinata, non sembra abboccare alle meravigliose promesse della «cashless society». L’anno scorso il valore delle transazioni in contanti è stato di 99 miliardi di krona, solo lievemente inferiore rispetto a un decennio prima. I piccoli negozi continuano ad accettare pagamenti in contanti tra un terzo e la metà dei casi. Un’indagine sulla soddisfazione dei clienti delle banche condotto dallo «Swedish Quality Index» ha mostrato che i clienti sono, appunto, poco soddisfatti di quelle banche che praticano il «niente contanti».
Il guaio è che il passaggio al «niente contanti» non è stato reso obbligatorio, e il più grande istituto bancario del Paese, Handelsbanken, s’è dissociato dall’iniziativa, «vediamo arrivare clienti da altre banche», dichiara Kai Jokitulppo, il capo dei servizi privati del grande gruppo bancario. «Finché i nostri clienti chiedono banconote, è nostro compito, come banca, fornirle». Le 461 filiali della Handelbanken trattano banconote, tranne una decina, e la banca si propone di continuare a farlo nel 2013».
La Svezia è all’avanguardia delle sperimentazioni sociali di marca «progressista»; negli anni ‘90 provò la legalizzazione degli stupefacenti, per poi tornare indietro quando l’esperimento rivelò un aumento disastroso del consumo tra i giovanissimi; il progressismo svedese non giunge fino all’accecamento ideologico. Per questo l’esperimento «no-cash» in corso è da seguire con attenzione. Perché certamente il prossimo governo Bersani-PD, con o senza Mario Monti, imporrà anche agli italiani fiere limitazioni all’uso del contante; più di quanto abbia già fatto Monti vietando i pagamenti oltre mille euro. Del resto, il «Contrasto all’uso del contante» è già scritto nella finanziaria di Monti, orwellianamente ridenominata «Decreto Salva Italia».
Giuseppe Mussari
  Giuseppe Mussari
La convergenza d’interessi fra le grandi banche, il professore e il Partito a questo fine sono patenti. Basti ricordare che il presidente dell’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, ha recentemente chiamato il contrasto al contante annunciato da Monti «una battaglia di civiltà». E chi è il presidente dell’ABI? Lo sapete: il compagno Giuseppe Mussari, già capo supremo del Monte dei Paschi di Siena. La banca dei compagni, che lui e loro hanno mandato in rovina utilizzandola come vaso della marmellata per le loro clientele, e che Mario Monti ha salvato in molti modi. Prima, esentando Montepaschi dal pagamento degli interessi che doveva sui Tremonti Bond, i 2 miliardi di euro che aveva ottenuto in prestito dallo Stato (e non ancora rimborsati), circa 200 milioni che grazie a Monti noi contribuenti non rivedremo più. (Tassati per arricchire i banchieri)
Non è bastato. In bancarotta, Montepaschi avrebbe dovuto rivolgersi al «mercato» per raccogliere 4 miliardi di fondi. Ma così facendo, le azioni in mano ai compagni del direttivo PD che possiedono la banca, si sarebbero diluiti, e il PD avrebbe perso il controllo assoluto della sua vacca da latte. Ma il «liberismo di mercato» ha incontrato un limite in questo caso. Il governo Monti ha versato a Montepaschi i 4 miliardi che gli servivano: come ha notato sarcastico Tremonti, è lintero gettito dellImu sulla prima casa. Invece di impiegarlo per i tanti pressanti bisogni del Paese, dalla riduzione del debito alle pensioni degli esodati (ridotti in quello stato dalla Fornero), il governo «tecnico» ha semplicemente girato l’introito fiscale della patrimoniale alla banca dei rossi. Che è un buco nero da cui nulla sarà più restituito.
Da qui si capisce che Bersani e il suo governo comunista, e i banchieri, abbiano il medesimo interesse all’abolizione del contante nelle transazioni, come ne hanno all’imposizione di una più feroce patrimoniale sui piccoli patrimoni visibili (immobili, conti bancari) per girarla ai grandi patrimoni finanziari dissestati.
A questa spoliazione del ceto medio il PD porterà tutto il know-how propagandistico-incitante che ha affinato nei decenni in cui si chiamava PCI e dipendeva dall’URSS. «Lotta all’evasione», «colpire le grandi fortune», tutto ciò che invelenisce l’invidia sociale (molla primaria dell’elettorato di sinistra) sono i motivi che notoriamente vengono agitati.
Quando la sinistra sarà al potere, preso possesso di tutti i mezzi televisivi di propaganda (pardon, «informazione») di Stato, la demonizzazione del contante – e di chi lo usa – diverrà assordante.
Non si potrà più ribattere che il contante come mezzo di evasione conta poco, e solo il piccolo «nero» dei meccanici e degli idraulici, ma che il governo lascia impunita la grande evasione fiscale fatta per i loro clienti privilegiati, o per se stesse, dalle banche; sarete bollati come complici dell’evasione, gente che «non ama la nostra Costituzione». Provate a dire che il ministro Passera è indagato per una evasione miliardaria fatta quando era capintesta di Intesa, e fatta a forza di transazioni elettroniche all’estero, ciò che dimostra che l’evasione riesce meglio senza contanti. (Passera indagato per frode fiscale)
Il titano bancario anglo-americano HSBC è stato trovato colpevole (ancorché non processato, «per non destabilizzare il sistema») di aver riciclato almeno 7 miliardi di dollari dal cartello dei narcos messicani: ossia ha trasformato vagonate di contanti sporchi in bit elettronici candidi e profumati. Delitto che un divieto dell’uso del contante non avrebbe certo ostacolato.
Persino la Bundesbank, ed è tutto dire, ha smentito i miti demonizzanti sull’uso del contante («insicuro, costoso, inquinante, pericoloso») in un recente seminario, riscoprendo l’acqua calda, cioè che «il pagamento in contanti è il più naturale» (e infatti in Germania l’80% degli acquisti avviene in contanti).(Cash symposium)
Ma tutte le obiezioni saranno inutili: il governo Bersani scatenerà la guerra al contante, indurirà la campagna già lanciata da Monti. Lo farà per molti motivi. Uno, perché questo è uno dei cavalli di battaglia ideologici delle sinistre, come le «nozze gay», e bisogna accontentare settori estremi, come la Gabanelli che hanno proposto di tassare l’uso del contante (perché già, occorre renderlo costoso come l’uso delle carte di credito: le banche lo chiedono).
Il secondo motivo attiene al fatto che il PD è il nucleo di grossi e concreti interessi, che «naturalmente» convergono con quelli dei banchieri. Chi crede Bersani «una brava» persona perché ha una faccia così e l’accento emiliano, tende a dimenticare che è il rappresentante e l’agente dei conglomerati d’affari detti Cooperative Rosse: polipi con tentacoli grossi e idrovori dappertutto, nella grande distribuzione come nella banche, nelle assicurazioni come nelle grandi opere e nei «servizi» sanitari. Tra parentesi, le COOP sono dei campioni di evasione fiscale: «legale», ovviamente, perché profittano di agevolazioni nate nel tempo in cui «cooperativa» voleva dire un gruppo di operai poveri e solidali, mica Unipol, Ipercoop e CMC. È interesse del PD sviare l’attenzione verso gli idraulici che fanno il nero.
Finché siamo in tempo, opponiamoci. Converrà ricordare i motivi profondi per cui il sistema bancario vuole ad ogni costo abolire il contante. Ovviamente, nei miliardi di pagamenti in contanti le banche non ci guadagnano nulla, e vogliono trovare il modo di annullare questo «scandalo», vogliono estrarre la loro commissione dal caffè e cornetto mattutino, incettare il loro tributo dalla corsa in taxi e dalle verdure che compriamo al fruttivendolo. Ma questo è solo il motivo più evidente. Molto più importante è il seguente:

Imponendo la
 «cashless society», le banche si liberano del loro incubo secolarela corsa agli sportelli. Le banche non hanno veramente in cassa i soldi che avete dato loro in deposito; li hanno impegnati dieci o venti volte il loro valore, in «investimenti» vari; lucrano gli interessi su questa moneta fittizia. Il gioco regge perché la gente non conosce questo fatto – la frode fondamentale del credito frazionale – e crede che i suoi depositi «siano al sicuro in banca». Ma basta che spaventata da qualche crack la massa dei risparmiatori si presenti agli sportelli a reclamare i suoi depositi, e scopre che essi non ci sono più. Che la banca non ha nemmeno l’obbligo di restituirli, essendone diventata per il codice civile, la proprietaria. Ma la corsa agli sportelli rivela la frode fondamentale e scuote la cosiddetta «fiducia» nel sistema, in modo permanente.
Nella cashless society, il problema è risolto. La banca può mancare di banconote in cassa, ma non è mai a corto di bit elettronici. Volete 10 mila euro? Oggi, chiamano il direttore, ti dicono che «è vietato», e se proprio insisti, ti dicono di passare «fra cinque giorni». Domani: pronti, i 10 mila euro sono già versati nel vostro borsellino virtuale, che può essere anche il vostro smartphone.
E qui si apre un altro grande business, in rapido sviluppo. Voi umani non siete capaci di vedere quei 10 mila euro in bit sul vostro smartphone. Ma li «vedono» le migliaia di sensori di cui presto saranno sparse le città, dai cartelloni pubblicitari alle entrate dei negozi: e faranno a gara per farveli spendere. Passate accanto a un ristorante? Un SMS vi trilla: «Amico entra! Oggi lasagne al pesto, cima genovese e tiramisù alla pera!». Un manifesto della Toyota vi «sente», scruta il vostro borsellino, e vi invita all’acquisto dell’ultima utilitaria a «9.990 euro TAEG Zero». Qualunque entità economica o poliziesca vi segue passo passo, conoscendo perfettamente la vostra identità, la vostra posizione geografica, la vostra possibilità economica e la capienza del vostro protafoglio in bit.

Non ci credete? È l’esperimento in corso a Tokio, dove esistono già 650 mila carte (Edy Cards, le chiamano) che possono essere lette da sensori a distanza, WiFi. Queste carte hanno una inquietante caratteristica: che non c’è bisogno di strisciarle in una macchinetta, né di digitare un pin o una password per effettuare il pagamento. Ciò ha un vantaggio: salite in metropolitana, e il prezzo del biglietto vi viene detratto dal vostro smartphone automaticamente dal sensore appena passate la bussola girevole. Ciò ha anche uno svantaggio enorme: un buon gruppo di hacker può svuotarvi il borsellino elettronico senza che voi ve ne accorgiate. Nasce il borsaiolo elettronico, con la mano più leggera che si possa immaginare. Ecco il punto da tener presente quando la banca vi dice che il contante è esposto a furti e rapine, quindi non è sicuro. Coi bit, la banca si libera da questo rischio, e lo accolla a voi. Come fa sempre, del resto.


Naturalmente al termine di questo «progresso» ci sono i chips RFID impiantati sottopelle, che fanno di voi un essere di cui chiunque lo voglia, e ne abbia i mezzi tecnici, saprà tutto di voi. Saremo alla società descritta dall’Apocalisse 13, in cui l’Anticristo o il suo portavoce «obbligò tutti,piccoli e grandiricchi e poveriliberi e gli schiavia farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchiocioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome». Numero che, come sapete, è 666.
Sarete perfettamente trasparenti al potere, bancario o statale che sia (sempre più i due poteri coincidono, essendo ex funzionari di Goldman Sachs a governare in Occidente). È ciò che pretendono, del resto, i virtuosi cittadini che militano soprattutto a sinistra, gli innocenti, i puri angeli che proclamano: «Mi intercettino pure, non ho niente da nascondereIO».

Questi innocenti creano il clima, in cui chi non vuole essere intercettato al telefono o nella e-mail, viene bollato come sospetto, e oggetto di indagini poliziesche o tributarie. Una società in cui non sarà più possibile difendere il principio: «Non è affar vostro sapere come spendo i miei soldi, una volta che li ho guadagnati onestamente», perché ciò sarà visto come potenzialmente delinquenziale. Dove, cioè, è sospetto l’esercizio della volontà individuale – altro nome della libertà. La tecnologia fornisce i mezzi a questa società della trasparenza assoluta, voluta dagli «innocenti» fra noi. Una società di dossier, dove si accumuleranno i dati imbarazzanti per voi: quel giorno in cui siete andati fuori porta con l’amante invece che con la moglie, quel giorno in cui vi siete fatti visitare da uno specialista di un genere di malattie che non volete divulgare, eccetera, eccetera. Il «magistrato» Ingroia e la procura di Palermo si volevano tenere care le intercettazioni telefoniche tra Napolitano e Manini; eppure dicevano che in queste non si configurava alcun reato: e allora perché tenerle, se non per ricattare?
Una società senza contanti è una società della sorveglianza totale e più intrusiva: via satellite, fibre ottiche, sensori e chips, sarete sempre allo scoperto. Nel romanzo 1984, il protagonista Winston poteva almeno sottrarsi allo sguardo del Grande Fratello dietro una nicchia del muro; qui, nessuna nicchia. Chi è tentato di dar ragione agli «innocenti» che esigono trasparenza assoluta, si prenda una vista del tipo di società che vogliono instaurare, guardando un film degli anni ‘70, l’utopia realizzata in distopia mortale: «La fuga di Logan». (La fuga di Logan)
Vedrà quegli «innocenti», che quando vengono avvertiti da Logan che la loro felicità governata da un supercomputer termina in realtà dentro una macelleria cannibalica gestita da un androide in delirio d’onnipotenza, non gli prestano credito, anzi in pratica nemmeno lo vedono. Ci ricorda già qualcosa...
E qui veniamo al motivo più fondamentale per cui personalmente, benché non abbia «nero» da proteggere, sento un pericolo estremo nella cashless society:che in essanessun oppositore politico può più esistere. Se disturbi il potere vigente, esso ti neutralizza in silenzio, senza spararti per la strada né arrestarti di notte; ti condanna senza processo e senza appello. Senza che nessuno lo sappia. Togliendoti i bit-denaro. Il monitor del Bancomat ti risponde: «Carta di credito non riconosciuta», e tu sei un paria. A poche ore dal prossimo pasto che non potrai consumare, alla fame che piega ogni velleità di resistenza. Nemmeno potrai più chiedere l’elemosina di un panino, o il prestito di un amico. Non avrai nemmeno i soldi elettronici per comprare un biglietto e saltare sul primo treno per la Svizzera, rifugio di perseguitati (se hai da mantenerti): Addio Lugano bellamai più ti rivedrò.
Ora capite meglio la strana convergenza di interessi ed intese per cui il governo Bersani, in accordo con il tecnico Monti, e il sistema bancario, vuole abolire il contante. Non è solo che «la sinistra fa sempre il gioco del grande capitale, a volte perfino senza saperlo» (Spengler). È che vuole sorvegliarti. Vuole controllare cosa fai, come eserciti la tua privata volontà (altresì detta libertà), che il Partito trova indebita e illegittima. La sorveglianza totale è la sua passione e la sua ossessione; è nel suo DNA fin dai tempi in cui i comunisti non fingevano di essere altro che comunisti sovietici. Loro devono sapere tutto di te, tu non saprai nulla di loro: banchieri o partitanti, è lo stesso.

La società della trasparenza globale è a senso unico. Senza contanti, il Partito – e la Banca, o la banca-partito – ti tiene in pugno. Te e me, tutti noi.
Se la prospettiva non vi piace, vi invito ad aderire all’iniziativa Contante Libero, una raccolta di firme in favore dell’uso e della circolazione del denaro contante, dunque per impedire alle banche e al governo di controllare la nostra vita e espropriare la nostra ricchezza, non solo materiale. Il manifesto dell’iniziativa si trova qui: Manifesto per il contante libero. Più in breve, 10 Punti per Il Contante Libero: 10 punti per il contante libero.

 di Maurizio Blondet

03 gennaio 2013

Auguri a Tutti.
Auguri a tutti quelli che pensano che il 2013 sarà un anno terribile, a tutti quelli che non riescono a vedere il peggio e pensano al vecchio detto " al peggio non c'è mai fine".
Auguri.
Io voglio pensare che che il 2012 ha chiuso un anno orribile dove molte "cose" sono state fatte o costruite in modo da creare insoddisfazione, disordine sociale e diseguaglianze. E' stato l'anno dove tutto è stato amplificato in una risonanza disarmonica.

La fine del mondo, ma nessuno al mondo, ha veramente pensato alla fine in senso fisico. Ma neanche metafisico. Allora rinnovo i miei auguri a chi pensa che sia iniziata l'alba di una nuova era, non chiedetemi il nome, ma l'alba di un nuovo modo di "chiedere" o, ricevere comunicazione.
Voglio pensare che l'inizio sarà difficile e problematico ma, l'anno zero di un qualcosa che non so di preciso ma, intuisco.

Una parola mi ha impressionato dai vari mass media RIVOLUZIONE DEMOCRATICA una specie di ossimoro che a molti fa comodo, per riempire gli spazi del vuoto culturale e intellettuale dell'ultimo periodo. Auguro a tutti di riconquistare la cultura come lasciapassare per interpretare nel miglior modo i cambiamenti in atto e futuri. Ad maiora

16 gennaio 2013

L’opportunismo dei partiti e i fessi che gli credono







fini_opportunismo.jpg C’è un fenomeno che potremmo chiamare trasformista, se il trasformismo non avesse in realtà delle origini… nasce nel 1882, quando la sinistra di De Pretis si allena con la destra di Marco Minghetti, per avere un governo stabile e governare il Paese.
Quello che succede oggi, con questi che passano da un partito all’altro, creano nuovi partiti fittizi, non è trasformismo in senso classico del termine, è semplicemente opportunismo, essendosi creato un vuoto politico con il governo tecnico, tutti cercano di inserirsi e di riprendere e di riposizionarsi per poter poi arrivare in Parlamento e continuare a fare le solite cose, si tratta poi della solita gente, cambiano partito, ne creano, etc., ma è come se tu mescolassi dei bussolotti, ma poi quello che viene fuori è la solita poltiglia che conosciamo da trent'anni. Si ripresentano con casacche cambiate, ma sono gli stessi che sono responsabili della situazione in cui è arrivata l’Italia oggi, e ripeto non solo negli ultimi vent'anni di Berlusconi, ma anche negli ultimi trent'anni, per cui la responsabilità pro quota è di tutti quelli che hanno avuto posizioni di potere in questi trent'anni. Il passaparola… per me sarebbe prendere delle mazze da baseball e cacciare questi con la forza, sennò non ne usciremo mai, in mancanza di questo dico: o astensione o 5 Stelle.
Massimo Fini
Il Passaparola di Massimo Fini , giornalista e scrittore
Il trasformismo
"I programmi, diceva Max Weber, hanno un valore semplicemente folkloristico, sono parole, promesse, poi la Storia dimostra che nessuno rispetta mai i propri programmi, sono come dei piazzisti che vengono a elemosinare il tuo voto, facendoti una serie di promesse e poi una volta che hanno ottenuto quello che volevano fanno quello che vogliono.
Sono oligarchie, minoranze organizzate che formano una oligarchia dominante che si auto perpetua! Ed è per quello che non cambia mai niente in questo Paese, l’unica vera classe rimasta su piazza è oggi la classe politica.
Io ho scritto un libro in questo senso, si chiama “Sudditi, Manifesto contro la Democrazia” in cui credo di avere dimostrato abbastanza bene che l’uno vale l’altro e tutti insieme sono una classe che si autotutela i propri interessi!
Il trasformismo ha una origine che potrebbe essere anche nobile, questo è puramente opportunismo, cioè io so che non verrò più eletto nel PDL e vado nel partito di Monti, io so che non ho posto nel Partito di Bersani e vado in un altro partito, ma per mantenere la mia posizione di privilegio.
Io vorrei dire qualche cosa su questa trasmissione di Santoro con Berlusconi, dove purtroppo Berlusconi è uscito come un gigante perché Santoro è un confusionario che non c’entra mai il punto e Travaglio invece di fare il giornalista ha fatto a sua volta l’uomo di spettacolo ed è venuto fuori una sorta di show in cui Berlusconi va a nozze dicendo delle palle sesquipedali ma non è stato contrastato efficacemente, è stato proprio un boomerang, un autogol, del resto è noto che Berlusconi è sempre stato favorito dai suoi avversari.
No, questo non c’entra con il trasformismo, ma con la nostra cretineria e con la cretineria della cosiddetta opposizione e forse con quella degli italiani che dopo anni e anni di televisione sono ridotti a un livello sotto culturale impressionante.
Qualche cosa in questo senso cambia, per esempio l’esempio siciliano, dove il 54% non è andato a votare e il 18% ha votato 5 Stelle, se questa cosa si ripetesse a livello nazionale, vuole dire che due cittadini su tre non credono più a questo sistema, al sistema della democrazia dei partiti. I partiti in realtà sono delle lobby, sono delle associazioni molto simili alla mafia, gli manca l’omicidio e non sempre, ed è la partitocrazia, contro cui i Radicali combattevano in anni lontani e anche io nel mio piccolo, per lo meno dagli anni '80.
Adesso che c’è una crisi economica, la gente si rende conto che il voto è semplicemente un andare a legittimare il ceto politico di sempre, dargli l' autorizzazione non a governarci, ma a comandarci per altri 5 anni. Per cui io spero per le prossime elezioni ci sia un'astensione altrettanto forte o forse più forte, e un successo di 5 Stelle, perché è vero che Grillo ha un suo programma, etc., ma è innanzitutto un movimento antipartiti.
La democrazia così come si è venuta sviluppando in Italia e non solo, la democrazia rappresentativa, non è la democrazia, è una sua parodia, è una truffa, tradisce profondamente il pensiero liberare, perché che cosa voleva il pensiero liberale? I padri fondatori John Locke, Mill e Tocqueville, che cosa volevano? Il pensiero liberale voleva che ognuno potesse esprimere le proprie capacità, potenzialità, meriti, e quindi è antitetico alle lobby, perché le lobby chi premiano? Premiano i propri adepti, e del resto la cosiddetta scuola elitista italiana dei primi del '900, cioè Vilfredo Pareto, Mosca e Michael, l’ha detto in modo inequivocabile e definitivo: cioè 100 che agiscono sempre, dice Mosca, d’accordo tra di loro, prevarranno su mille che invece questo accordo non hanno, cioè sul cittadino libero, che non vuole infeudarsi a queste lobby e mafie, e questo è la democrazia rappresentativa.
Non solo in Italia, per la verità, in Italia in modo particolarmente eclatante, perché non vengono rispettate neanche i minimi fondamentali della democrazia rappresentativa, che ha però questo vizio, ripeto, di origine di creare mafie alias partiti, legati poi a mafie economiche.

Oggi siamo tutti repressi
La Costituzione purtroppo è una dichiarazione, nobile, di intenti ma in realtà c’è tutto e il contrario di tutto, per cui tu puoi manipolare come vuoi la Costituzione.
Facciamo un esempio: l’articolo 11 dice che l’Italia ripudia la guerra come risoluzione dei conflitti internazionali e basta chiamarla invece che guerra,missione di pace. L’articolo 11 è bello mi pare abbastanza fondamentale, perché ammette la difesa, ma non l’attacco agli altri. Noi siamo da 11 anni in Afghanistan a fare i servi degli americani, facendo guerra all’Afghanistan, in realtà, nessuno dice niente su questo, anzi mi piacerebbe che 5 Stelle su questa cosa si soffermasse.Noi spendiamo oltre un miliardo l’anno per tenere i soldati in Afghanistan a uccidere gente o ogni tanto a farsi uccidere. Ora, non è che con un miliardo tu risolvi una economia, però per esempio alcune cose potresti tamponarle, per esempio il problema degli esodati. Siamo lì, con arroganza, inutili, perché non combattiamo i Talebani e anzi li paghiamo perché non ci attacchino, perché questa è la situazione, non solo noi, anche altri contingenti, e spendiamo questi soldi del tutto inutilmente, solo per fare un piacere all’amico americano, solo per fare i servi dell’amico americano, sono 60 anni che ci comportiamo in questo modo, invece di guardare agli interessi nazionali, siamo sempre lì in ginocchio davanti agli americani.
Ora è vero che ci hanno salvato dal nazifascismo, però come dice la Litizzetto, ogni tanto i comici hanno battute fulminanti: "Quando è che scade il mutuo?".Sono passati 65 anni mi pare! Noi, in Italia abbiamo una serie di Basi Nato, ovunque, ma anche una serie di basi americane che sono totalmente extraterritoriali. Quando è successa la cosa del Cermis i piloti che hanno fatto 14 morti non abbiamo potuto giudicarli, sono stati “non giudicati” negli Stati Uniti, insomma, hanno potuto e possono fare quello che vogliono.
E’ una situazione di sudditanza politica, militare, economica, alla fine anche culturale, che riguarda tutta l’Europa e l’Italia in particolare.
Adesso dei paesi stanno prendendo le distanze, Germania e Francia per esempio, che non sono andati a fare la guerra in Iraq, qui non si alza orecchio, non si alza una minima voce!
L’unico settore che non è stato toccato è quello delle armi, della difesa. Noi abbiamo anche l’OTO Melara,che per esempio, è il massimo produttore di mine anti-uomo, in Afghanistan quando saltano su una mina anti-uomo, saltano su una mina italiana, però qui allora che cosa fai? Metti a rischio dei posti di lavoro? E allora no, uccidiamo come è stato di recente, 9 ragazze, bambine, che raccoglievano nel bosco legna sono saltate su una mina anti-uomo e sono morte e questo non ci fa nessuna impressione.
Poi se allo stadio uno dice negher al calciatore allora sì, guai al mondo, ma non è lì il problema!
L’invasione del modello dei paesi occidentali nell’Africa Nera ha distrutto l’economia, la socialità, l’equilibrio e ridotto alla fame quelle popolazioni, questa è la vera responsabilità.
Oggi siamo tutti repressi, perché tutto deve essere Politically_correcte alla fine la repressione è come una pentola tenuta troppo a lungo sotto pressione e alla fine esplode.

Recuperare valore pre-politici
Secondo me è legato a una società che comprime in modo troppo totalizzante, istinti naturali e questi istinti devono trovare, ripeto, un qualche sfogo, in forme il meno possibile cruente, ma non puoi..lo Stato oggi entra in tutte le questioni della vita dell’individuo.
Quindi non è in realtà la difficoltà economica che crea queste forme di impazzimento, pensate a quello che succede in America, ma è proprio la repressione totale della naturale aggressività, è importante che ci sia una parte, una quota, perché fa parte della vitalità. Noi perché siamo così tremebondi con gli immigrati balcanici o magrebini, perché abbiamo perso vitalità, loro l’hanno mantenuta, ora questo non vuole dire che si debba andare a sbudellare la gente, ma che la aggressività fa parte della vitalità e una quota di aggressività deve essere mantenuta, sennò ci trasformiamo in una società totalmente svirilizzata, uno, due la violenza esplode poi in forme ancora peggiori naturalmente.
Una buona scazzottata, come un tempo si faceva, è una forma di sfogo,l'educazione sentimentale di noi ragazzini è stata che sulla strada ogni tanto si faceva a cazzotti e non è mai morto nessuno, c’erano delle regole, chi cadeva per terra non si toccava, etc.. E’ l’errore dell’illuminismo, che non considera l’uomo per quello che è, ma per quello che dovrebbe astrattamente essere, le società precedenti erano più realiste e concrete. Poniamo una cosa che ci riguarda in realtà da vicino, in Tunisia in due giorni di rivolta violenta, ma non armata, hanno cacciato il dittatore e la sua cricca. Qui non siamo in grado di reagire in questo modo anche perché siamo un popolo vecchio. L’età media dei tunisini è 32 anni, la nostra è 44,5 , ma sopportare, come sopportiamo noi è una presa in giro costante e continua, un insulto al cittadino, signifiac aver perso vitalità.
Una società come questa è riuscita a fare stare male anche chi sta bene. Il massimo uso di droghe, psicofarmaci è nei centri benestanti. Negli Stati Uniti 599 americani su 1000 fanno uso di psicofarmaci, eppure è il paese più ricco e potente, vuole dire che un americano su due non si trova bene nella pelle in cui vive, vuol dire che c’è qualche cosa di sbagliato in questo modello di sviluppo. Questo è quello che sostengo da tanti anni, cioè che è il modello di sviluppo che è sbagliato.
E’una questionedi recuperare, questo secondo me è fondamentale, valori che sono pre -politici come l’onestà, lealtà, dignità soprattutto. Pensate ai recenti scandali, quelli dei consiglieri regionali, sono già dei miracolati, gente che non sa fare assolutamente nulla, prendono un mucchio di soldi e poi si vendono per una cena in un bel ristorante o per fare una vacanza gratis, ma questo neanche l’ultimo clochard… si vergognerebbe come un cane! Questi lo fanno invece perché hanno perso un fattore decisivo che si chiama dignità.
Che è la prima cosa che si dovrebbe recuperare, ma non è una cosa che si recupera per diktat! Il popolo italiano, con tutti i suoi difetti negli anni ‘50, alla borghesia dava credito, per il buon contadino non parliamone, se tu violavi la stretta di mano eri espulso dalla comunità.
E così per il mondo proletario.
Adesso manca addirittura la sanzione sociale nei confronti del disonesto, che è considerato uno dritto, un furbo e chi invece è onesto è un pirla, è proprio un ribaltamento no? Una persona normale si vergognerebbe di farsi pagare una cena dal denaro .
Il passaparola… per me sarebbe prendere delle mazze da baseball e cacciare questi con la forza, sennò non ne usciremo mai, in mancanza di questo dico: o astensione o 5 Stelle.  
di Massimo Fini 

15 gennaio 2013

Mario Monti: la mediocrità dei falsi santi


        
 

Un anno fa gran parte degli italiani conveniva che un governo di tecnici fosse sicuramente migliore di un governo di politici. La casta, la credibilità all'estero, gli scandali dei finanziamenti pubblici ai partiti, il livello di corruzione pari solo all'Africa nera, tutto portava ad una sola conclusione: i partiti avevano fallito. Fu così che gli stessi italiani credettero di concepire da se' l'idea che affidarsi a degli esterni fosse meglio. L'imposizione di un governo di tecnici, convocato solo grazie a Giorgio Napolitano che ha nominato Monti senatore a vita, è sembrata come il miele che rende più dolce la medicina al fanciullo. Le regole della democrazia, la mancanza di accountability di questi personaggi, ovvero la responsabilità del rendere conto ai cittadini con un mandato revocabile, tutto è passato in secondo piano: “Francia o Spagna purchè se magna”.
Il governo Monti è formato da 17 ministri riconducibili a grandi banche, aziende, soci di concessionari pubblici, e la sua governance è improntata tutta sull'aumento dell'imposizione fiscale. Vediamo un sunto dei provvedimenti più importanti, comprensivi dell'inserimento del pareggio in bilancio in costituzione e della legge di stabilità, dovuti al Fiscal Compact dell'Unione Europea.
In tema immobiliare viene introdotta l'IMU, che sintetizza ICI ed IRPEF fondiaria. L'aliquota applicata è del 4 per mille sulle abitazioni principali, e del 7.6 per mille sugli altri immobili. I comuni sono responsabili dell'eventuale aumento dell'IMU per garantirsi gettito fiscale. Gli immobili all'estero verranno tassati con Ilvie, un'aliquota dello 0.76 al valore d'acquisto. La tassa sui rifiuti diventa Tares, con una quota di 0.30 euro a metro quadro.
Il bollo auto aumenta sia per le cilindrate basic sia per le super cilindrate. In base al riordino delle province, potranno aumentare anche le polizze RC auto.
In ambito bancario, l'orientamento è l'incremento dell'uso del danaro virtuale. Esso assicura anche la tracciabilità dei dati. Nasce Serpico: un computerone delle Agenzie delle Entrate che controlla tutti i movimenti bancari on line. Vengono scoraggiati i prelievi contanti tramite un limite ai 1000 euro. I bolli sui conti deposito subiscono un aumento dello 0.10% annuo. Sono introdotte commissioni sui prestiti in caso di sconfinamento.
Con la Legge di stabilità dell'ottobre 2012 l'Iva cresce di un punto percentuale. Sono così colpiti i beni di prima necessità. L'Irpef, dopo l'iniziale aumento dallo 0.9% all'1.23%, viene ridotta solo per gli ultimi due scaglioni più bassi. Aumenta l'accise sulla benzina. Il fabbisogno sanitario nazionale è tagliato di 1.5 miliardi. E'preventivata la chiusura di 250 ospedali. La Scuola pubblica è tagliata di 47.5 milioni di euro, l'Università di 300.
Per la pubblica amministrazione, le province sono ridotte da 86 a 51 e mutuate in enti di secondo livello. I contratti statali sono bloccati fino al 2014, ed è cancellata l'indennità di vacanza contrattuale. Scatta l'operazione cieli blu: illuminazione di notte è tagliata.
L'età pensionabile passa da 65 a 66 anni per gli uomini, da 60 a 62 anni per le donne. Gli anni di contributi passano da 40 a 42 per gli uomini, a 41 per le donne. Il ministro Elsa Fornero non assicura la copertura di 130mila esodati. Le pensioni di guerra e di invalidità saranno soggette a Irpef. La retribuizione dei giorni di permesso per l'assistenza ai disabili è tagliata del 50%.
Con la riforma del lavoro è ridotta la flessibilità in entrata e aumentata quella in uscita. I contratti a tempo determinato vengono scoraggiati con un'aliquota maggiorata. L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è modificato, e il licenziamento per motivi economici e disciplinari è facilitato. Il reintegro diviene infatti una remota possibilità. L'indennizzo di licenziamento passa a 12-24 mesi dai 15-27. L'apprendistato diviene il mezzo principale per inserirsi nel mondo del lavoro e per ottenere il contratto a tempo indeterminato.
Alla guida della RAI, società di televisione pubblica, Monti promuove presidente Anna Maria Tarantola, vice direttore della Banca d'Italia, e direttore generale Luigi Gubitosi, ex amministratore delegato di Wind. Una politica mediatica a dir poco unilaterale. Tali politiche sono state fatte passare come super partes poiché fiscaliste, ma ora che si è aperta la compagna elettorale gli orientamenti sono tracciabili dagli appoggi sostenuti. Chi supporta Mario Monti? Possiamo divederli in piccoli interessi italiani e grandi interessi stranieri. In Italia ritroviamo nella lista Monti l'Udc di Casini, gli ex ministri Corrado Passera e Andrea Riccardi (fondatore della comunità di Sant'Egidio), Gianfranco Fini e Futuro e Libertà, Luca Cordero di Montezemolo, il Vaticano, la CEI, l'Opus Dei (rappresentata già da un anno nel governo da Passera, suo azionario). E' quello che storicamente è chiamato il centro o eredità della Democrazia Cristiana. E'una benedizione che ha avuto un costo concreto, che si porta dietro l'associazionismo cattolico delle scuole paritarie, finanziate dal governo Monti a scapito delle pubbliche con 200 milioni di euro. Un retroterra che ha consentito l'esenzione dall'IMU per le proprietà del Vaticano, che priva lo Stato di 700 milioni di euro di entrate. La stessa rete di relazioni che ha permesso che, nel bel mezzo dei tagli alla sanità, ospedali in orbita Vaticano quali Il Bambin Gesu' e la Fondazione Gaslini di Genova, ricevessero finanziamenti statali rispettivamente per 12.5 e 5 milioni di euro. I grandi interessi stranieri che spingono per il professore fanno capo alla Commissione Trilaterale, di cui Monti è un ex presidente. E' un parlamento globale di personalità invitate, e non elette, fra banchieri, politici, industriali, accademici, editori. E'stato costituito negli anni settanta dal banchiere americano David Rockefeller. Le tre parti sono costituite da Europa, Stati Uniti e Giappone e si riuniscono in seduta plenaria almeno una volta l'anno attorno alle direttive di tecnocrazia e interdipendenza, ovvero togliere il potere ai politici e ai parlamenti per delegarlo ad un governo mondiale, modello G8. Essa si muove in simbiosi con il Bilderberg Group, piattaforma gemella che vanta anch'essa Monti fra le sue anime. L'Italia inaugurata un anno fa' è dunque indirizzata verso la cancellazione della sovranità nazionale, la formazione di governi non scelti che mettono al centro delle politiche il rigore dei bilanci al posto della dignità dell'individuo. Se l'accademia della linea Bocconi- Trilateral fosse producente, per lo meno nessuno eccepirebbe. Ma la disponibilità economica della popolazione è ridotta dalle tasse, la domanda diminuisce e il deficit pubblico non riesce a rientrare. Cifre di Bankitalia alla mano, nel 2012 il debito pubblico ha raggiunto il massimo storico di 2mila miliardi con il massimo aumento del 2.6% di pressione fiscale. Il tasso di inflazione ha toccato il suo picco degli ultimi 4 anni: il 3%, a dispetto del 2.8% del 2011. Il tasso di crescita dei prezzi dei prodotti ad alto consumo è salito dal 3.5% del 2011 al 4.3% del 2012. Le ore di cassa integrazione sono aumentate da un anno all'altro del + 12.1%. Il tasso di disoccupazione si aggira attorno all'11%. Il New York Times, il Daily Telegraph, tutti i massimi organi di economia internazionale hanno sconfessato il sobrio professorone.
Il Financial Times spara a zero con Wolfgang Munchau: «L’anno di Monti è stato una bolla, buona per gli investitori finché è durata. E probabilmente gli italiani e gli investitori stranieri non ci metteranno molto a capire che ben poco è cambiato nel corso dell’ultimo anno, ad eccezione che l’economia è caduta in una profonda depressione. Due cose devono essere sistemate in Italia: la prima è invertire immediatamente l’austerità, in sostanza smantellare il lavoro di Monti, e la seconda è scendere in campo contro Angela Merkel».
L'ultimo è Paul Krugman, nobel per l'economia: «Tecnocrati “responsabili” costringono le nazioni ad accettare la medicina amara dell’austerità; l’ultimo caso è l’Italia, dove Monti lascia in anticipo, fondamentalmente per aver portato l’Italia in depressione economica».
Dove Monti passa giace una nazione depressa, dove “il posto fisso è monotono”, “i giovani sono choosy e viziatelli”, “il posto fisso per tutti è una illusione”, “L'Europa ha bisogno di gravi crisi per fare passi avanti”. Tenendo questa frase montiana a mente, un altro paese con un ex presidente Trilateral al governo è la Grecia con il banchiere Lucas Papademous. E si noti in che condizioni versa.
Lo scenario elettorale sarà dunque presenziato dall'entrata di un ligneo cavallo di Troia: l'aspetto è quello di accademici in giacca e cravatta rispettati in sede internazionale, dai curricula spettacolari, dalle amicizie più rette, pubblicizzate dalla Chiesa Cattolica e dai vescovi, dirigenti delle università più prestigiose. Chi oserebbe dubitare di tali referenze? Forse solo i cittadini che hanno a cuore la sovranità e le regole democratiche della propria nazione. Una schiera di persone che dovrebbe essere la norma, poiché accomunate dalla giustizia sociale e dalla cura del più debole, naturali predisposizioni dell'uomo. Una composizione che al momento latita, in attesa di un porta bandiera contro la mediocrità dei falsi santi.

di Maria Giovanna Lanotte 

13 gennaio 2013

Per la febbre elettorale non esiste vaccino



Superate le profezie dei Maya, il Natale e pure l'ultimo dell'anno, in un'atmosfera per molti versi surreale, dove qualsiasi anelito di spirito festaiolo é stato stemperato dalla drammatica situazione  in cui versa il paese e con esso gran parte delle famiglie italiane, sembra che l'attenzione dei più sia ormai catalizzata esclusivamente dalla tornata elettorale prossima ventura.
Il debito pubblico (per quanto può valere) continua a salire, il Pil (per quanto può valere) continua a scendere, l'inflazione fa passi da gigante, i consumi crollano, la disoccupazione cresce in maniera esponenziale, la pressione fiscale diventa ogni giorno più immanente e qualsiasi dato ed analisi lascia presagire un 2013 molto peggiore dell'hannus orribilis che ci siamo lasciati alle spalle. Nonostante ciò non esiste situazione così nera da non lasciare uno spiraglio alla speranza, e proprio sulla speranza, unita ad una forte dose d'incoscienza, sembrano essere intenzionati a fare leva i nuovi e vecchi camerieri politici che aspirano ad ottenere una poltrona nel futuro parlamento.
Speranza per tutti, con in regalo confezioni famiglia di perline colorate, sembra dunque la formula scelta da qualunque candidato, per accattivarsi i favori degli italiani e ritagliarsi il ruolo di esecutore dei dettami presenti e futuri della BCE, dell'FMI, dell'Europa e di tutti i grandi poteri che ormai gestiscono in toto il destino dei cittadini.
A ben guardare la campagna elettorale del 2013, già entrata nel vivo prima ancora che l'Epifania arrivasse a portare via le feste, qualche elemento di novità rispetto al passato lo presenta senza dubbio....

In primo luogo é già stato deciso in alto loco il risultato che dovrà emergere dalle urne, se é vero che Giorgio Napolitano e le più alte cariche europee hanno dichiarato pubblicamente in maniera adamantina quali compiti sarà tenuto a svolgere il nuovo governo, qualunque esso sia. In secondo luogo i partiti destinati a scendere nell'agone elettorale non redigeranno più programmi elettorali di centinaia di pagine, infarcite di "ma anche" e "superamenti" di varia natura, ma si limiteranno a pochi semplici slogan, utili per riempire il vuoto e creare false aspettative. Per chiudere, sempre in tema di superamenti, risulta ormai defunta ogni velleità di bipolarismo ed i poli che si contenderanno la carcassa del paese saranno almeno cinque, a meno di sorprese dell'ultima ora.
Mr. Legacoop Bersani guiderà il polo di centrosinistra che incorporato Sel di Nichi Vendola viene accreditato dai sondaggi (sempre assai benevoli) di un consenso superiore al 30%. Si dichiara pronto ad abbracciare l'Europa dei banchieri e la società civile e strizza l'occhio a Mario Monti, indispensabile nel caso i risultati reali arrivino a permettergli di tentare di formare un governo.
Il Cavaliere errante di Arcore, insieme a tutto il polo di centrodestra, consapevole di avere ormai perso ogni chanches, ha scelto la strada della confusione, nel velleitario tentativo di sparigliare le carte e far dimenticare agli italiani il fatto di avere deposto il paese nelle mani dell'usuraio di Goldman Sachs. Oggi con Monti, domani contro Monti, poi ancora con Monti, offrendogli la guida del partito, poi non contro Monti ma solamente contro le sue leggi ed infine con la sua agenda, purchè lui non ci sia. Un po' tortuoso forse, ma nessuno sicuramente potrà affermare che esiste una posizione che non sia stata assunta.
L'usuraio di Goldman Sachs, conscio del fatto che la maniera migliore per tornare al governo fosse quella di connotarsi come ago della bilancia, entra nel tatrino elettorale sorretto da Casini e Fini (esili stampelle in verità), ma soprattutto dalla CEI e dai poteri forti mondiali, il che significa "buona stampa" a gogò e una discreta percentuale degli italiani disposti a sperimentare la sindrome di Stoccolma, se è vero che anche lui, come Bersani, si appella alla società civile per raccogliere il consenso.
Il movimento 5 stelle di Beppe Grillo si presenterà alle urne per la prima volta, con la concreta prospettiva d'intercettare il consenso di buona parte degli scontenti ormai guariti dalla sindrome destra vs sinistra, ma esistono forti dubbi sul fatto che voglia e sappia valorizzare lo socntento di cui sopra, anziché parcheggiarlo su un binario morto, lastricato di slogan anticasta e facili battaglie di facciata.
Antonio Di Pietro, in forte calo di presentabilità e di consensi, ha recuperato in Guatemala il collega Antonio Ingroia, per affidargli il compito di ricompattare in giro per l'Italia quel che resta della sinistra radicale e della galassia ambientalista, nella speranza (ci dovrebbe riuscire) di superare la soglia di sbarramento e riportare in parlamento Ferrero, Diliberto e molte altre icone della sinistra che alla scorsa tornata elettorale si ritrovarono fuori dei giochi. Anche Ingroia, come Bersani e Monti, cerca il consenso di quell'ectoplasma chiamato società civile, ma a differenza di loro sembra poter contare sul diritto di pescare fra i vari movimenti che si battono sul territorio. Sembra essere però partito con il piede sbagliato, praticando la pesca di frodo, dal momento che pur stando a braccetto con Di Pietro (che fu uno dei ministri che portarono avanti il TAV), strizzando l'occhio a Bersani da lui definito una brava persona ed incensando "l'amico" giudice Caselli, si é permesso di stampare sui manifesti il nome del Movimento NO TAV fra quello dei suoi sostenitori, nonostante in Val di Susa nessuno gli avesse dato il permesso di farlo o si sognasse di darglielo.
Nel prossimo mese sicuramente se ne vedranno delle belle, fra scontri in TV, sondaggi pilotati, amicizie di vecchia data messe a repentaglio e nemici indefessi che ritrovano l'amore perduto.
Ma al di là dell'effetto taumaturgico della speranza in quanto tale, come si può sperare di cambiare la qualità del desco, semplicemente scegliendo i camerieri che portano in tavola il cibo, mentre il titolare del ristorante ed i cuochi rimangono gli stessi?
Continueremo a mangiare pesce avariato, anche se fingiamo di non sentirne la puzza, convincendoci che si tratta di una prelibatezza che abbiamo scelto noi.

di Marco Cedolin 

12 gennaio 2013

Un nuovo principe per un nuovo principio nazionale



Pochi giorni di campagna elettorale sono bastati per intuire che i partiti e i candidati, vecchi e nuovisti (nuovi è parola impropria), non hanno la minima percezione della situazione reale in cui ci troviamo e giocano ai piccoli chimici per invertire la tendenza dei sondaggi, o sventolare i propri tendaggi di scena (un tempo, tali insegne si sarebbero chiamate bandiere ma, dopo la presunta fine delle ideologie, sono scomparsi i grandi confronti e non sono rimasti nemmeno i corti orizzonti, al di là del vergognoso spettacolo delle opposte tifoserie da stadio), per recuperare/incrementare consensi.
La fase politica è talmente grave che ci vorrebbe una nuova formazione politica (della quale non c’è evidenza, altro che Grillo e il suo movimento “irretito” nella rete) con le idee chiare sull’avvenire dell’Italia e sulle sorti geopolitiche del Paese, al fine di rifondare lo Stato e ridare speranza ai cittadini. E’ questo il compito storico che abbiamo di fronte, generazione di un altro Stato e dei suoi compiti, tattici e strategici, nonché riconfigurazione del corpo collettivo nazionale intorno a queste priorità epocali. I nostri sono tempi eccezionali che richiedono soluzioni straordinarie e chiunque si limiti ad amministrare l’esistente, o a cimentarsi nel piccolo cabotaggio politicistico, è complice di un sabotaggio pubblico devastante.
Anziché tutto ciò, dunque, qui si continua traccheggiare, a discutere se sia opportuno o meno imbarcare il Centro nella Sinistra, la Lega nel Centro-destra e le ali estreme dappertutto, purché in posizione di complemento, per impedire all’altro schieramento di spuntarla, in quanto se vince Bersani sarà schiavo del soviettismo (?) di Vendola, se vince Berlusconi prevarrà il razzismo leghista e storaciano, mentre, se l’ago della bilancia dovesse essere la lista “cinica” di Monti perderebbero tutti, prelati e finanzieri esclusi. Nel frattempo, restiamo incatenati all’idiozia ragionieristica di questi inetti che da vent’anni dimostrano di essere dei marziani a Roma. Costoro fanno calcoli sul vuoto che non contemplano programmi di cambiamento e piani di rigenerazione dello spirito sociale, ormai polverizzato da lustri di abusi, sotto specie di soprusi partitocratici interni e razzie speculative esterne. Insomma, la democrazia ridotta a votificio per scegliere incompetenti, la cui unica aspirazione è quella di fare le mezze maniche dell’Ue, i passacarte degli organismi internazionali, tanto politici che economici, e gli interessi della propria miserabile bottega.
Al punto in cui siamo giunti, piuttosto, dovremmo chiudere con questi principianti e ricompattarci intorno ad un “Principe figlio di un principio collettivo” che si dimostri in grado di spazzare via i parassiti da ogni sfera sociale e di ricostituire gli apparati statali, predisponendoli ai duri confronti internazionali, alle sfide globali e alle istanze autoctone che decreteranno la posizione, di subordinazione o di indipendenza (o almeno di autonomia), sullo scacchiere mondiale di ogni singolo Paese o area di Paesi, per i prossimi anni. Una sfida enorme sulla quale ci giochiamo la libertà duratura o la sottomissione permanente.
So che molti storceranno il naso nel sentir parlare di Principe e grideranno al fascismo, ma non di questo si tratta, sebbene si renderanno obbligatori atti di “potenza” e di “prepotenza” per scrollarsi di dosso i saprofiti che hanno prosciugato il sangue del popolo. La violenza sarà nelle stesse decisioni trasformative (e non in azioni d’imperio autoreferenziali, come nei dispostimi) che andranno prese per raschiare il marciume e la muffa incrostatisi, da tanti decenni, sulla vita sociale italiana.
Penso, solo per fare un esempio, all’interruzione di quell’emorragia di fondi pubblici, dirottati per lunghe annate, verso le Imprese Decotte di precedenti ondate tecnologiche (definitivamente esauritesi) e la Grande Finanza parassitaria, acciocché venisse garantita la sopravvivenza di gruppi banco-industriali in stretto collegamento con i vertici politici, che non portavano sviluppo all’Italia e sottraevano risorse per i settori più innovativi e strategici.
I veri sperperi di denaro dei contribuenti sono questi, prim’ancora delle ruberie della cosiddetta “casta” e dei trasferimenti statali ai servizi generali che costituiscono il cuore del Welfare State. Sicuramente, anche in quest’ultimo campo sono stati compiuti degli eccessi ed occorrerà razionalizzare e modernizzare ma non si può arrivare al paradosso di tagliare lo Stato Sociale, lasciando inalterate le citate regalie private, danneggiando così due volte i cittadini, prima con il foraggiamento, coi soldi di tutti, di aziende che, nonostante i sussidi non riusciranno a restare sul mercato, e poi restringendo il campo della gratuità e dell’efficienza delle prestazioni istituzionali nella sanità, nell’istruzione, nell’occupazione ecc. ecc. a svantaggio della comunità.  Quindi, finché non vi saranno Agende o dichiarazioni programmatiche che conterranno queste richieste inaggirabili, ogni discorso sarà, e delle due l’una, o una presa in giro o un friggimento di aria da parte di uomini che si danno delle arie non avendo altro nel cervello.
Tornando alla disquisizione sul Principe e chiarendone meglio il significato citeremo Antonio Gramsci, affinché si possa comprendere la portata dell’affermazione: “Il moderno principe… non può essere una persona reale, un individuo concreto, può essere solo un organismo; un elemento di società complesso nel quale abbia inizio il concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione.”
Il grande politico sardo, dunque, non concede nulla al fanatismo carismatico e leaderistico che rappresenta, al più, una reazione emotiva, di labile durata, ai drammi della fase storica, la quale, et pour cause, sfocia nella restaurazione o nella mera riorganizzazione formale degli apparati statali (soprattutto di quelli corazzati di coercizione) non risolutiva dei problemi reali. Gramsci crede, invece, in qualcosa di più consistente ed adeguato ai tempi che si esprime in maniera vasta ed organica, al fine di assicurare la rifondazione della macchina statale, poiché l’obiettivo è, appunto, quello di costruire diverse strutture nazionali e sociali adatte ad affrontare le competizioni contemporanee. Nulla a che vedere, pertanto, con le derive autoritarie che, semmai, appartengono all’attualità tecnocratica, dei tecnici ma anche dei politici. Occorre, in sostanza, rifare l’Italia con un atto creativo e originale, espressione di una volontà collettiva generata ex novo da un nuovo blocco sociale incaricatosi, per spinta d’idee, di proposte e di massa d’urto sociale, di risollevare i destini dello Stivale, percorrendo strade mai battute e facendo sue iniziative accantonate da gruppi dirigenti passivi e corrotti.
Questa volontà collettiva esiste oggi, almeno in nuce? A nostro parere sì e si intravede, seppur flebile e marginalizzata, in quei comparti che hanno resistito alla svendita del patrimonio pubblico e delle imprese strategiche, in quei segmenti della popolazione produttiva che, senza attaccarsi alla mammella pubblica, mandano avanti l’economia e lavorano, a testa bassa, nonostante le difficoltà, ai quali manca, tuttavia, la cultura politica per sentirsi protagonisti di un mutamento da perseguire. Certo, studiando meglio la struttura economica italiana, facendo l’analisi storica del passato e del presente politico, sceverando più perspicuamente la composizione del ceto medio, ora ridotto ad una categoria ripostiglio indistinta, sarà possibile trovare e, persino, inventare quelle colleganze indispensabili a far germogliare il soggetto politico di cui abbisogniamo per l’insorgenza e la risorgenza nazionale.
“Producendo” teoricamente e scovando nella prassi politica i punti di contatto, gli anelli di congiunzione tra sezioni del lavoro autonomo e dipendente, tra piccoli e medi imprenditori e tra drappelli al timone delle imprese di punta sensibili all’argomento, questa volontà nazionale forse prenderà tangibilità e sostanza.
Quelli che ci governano adesso e che si ripropongono alla guida del Belpaese sono un ostacolo alla palingenesi richiesta e non comprendono la portata delle minacce planetarie nella presente epoca multipolare. Anzi, qualcuno lavora apertamente per renderci succubi di trame “aliene” e di obblighi stranieri, che sono tali perché loro sono fiacchi ed arrendevoli. Soltanto un moderno Principe, nel senso qui accennato, ci potrà salvare.

di Gianni Petrosillo 

11 gennaio 2013

Il denaro






Beninteso, tutti preferiscono averne un po’ di più che un po’ di meno. «Il denaro non dà la felicità, ma vi contribuisce», dice l’adagio popolare. Bisognerebbe tuttavia sapere che cos’è la felicità. Nel 1905, Max Weber scriveva: «Un uomo non desidera “per natura” guadagnare sempre più denaro: vuole semplicemente vivere come è abituato a vivere e guadagnare quanto gli occorre per farlo». In seguito, numerose inchieste hanno mostrato una relativa dissociazione tra la crescita del livello di vita e quella del livello di soddisfazione degli individui: superata una certa soglia, avere di più non rende più felici. Nel 1974, i lavori di Richard Easterlin avevano stabilito che il livello medio di soddisfazione dichiarato dalle popolazioni era rimasto praticamente lo stesso dal 1945, malgrado lo spettacolare aumento della ricchezza nei Paesi sviluppati (questo “paradosso di Easterlin” è stato nuovamente confermato recentemente). Ben nota è anche l’incapacità degli indici che misurano la crescita materiale, come il PIL, di valutare il benessere reale; soprattutto sul piano collettivo, poiché non esiste una funzione dall’indiscutibile valore che permetta di associare le preferenze individuali alle preferenze sociali.
È allettante vedere nel denaro solo uno strumento di potenza. Purtroppo, il vecchio progetto di una radicale dissociazione tra il potere e la ricchezza (o si è ricchi o si è potenti) resterà ancora a lungo un sogno. Una volta si diventava ricchi perché si era potenti, oggi si è potenti perché si è ricchi. L’accumulazione del denaro è presto divenuta non il mezzo dell’espansione commerciale, come alcuni credono, ma lo scopo stesso della produzione delle merci. La Forma-Capitale non ha altro oggetto che l’illimitatezza del profitto, l’accumulazione infinita del denaro. La capacità di accumulare denaro dà evidentemente un potere discrezionale a coloro che la possiedono. La speculazione monetaria domina la governance mondiale. E il brigantaggio speculativo resta il metodo di captazione preferito dal capitalismo.
Il denaro non si confonde tuttavia con la moneta. La nascita della moneta è spiegabile con lo sviluppo dello scambio commerciale. È soltanto nello scambio, infatti, che gli oggetti acquistano una dimensione di economicità, ed è ugualmente nello scambio che il valore economico si trova dotato di una completa oggettività, perché i beni scambiati sfuggono allora alla soggettività di un unico individuo per misurarsi con la relazione esistente tra soggettività differenti. In quanto equivalente generale, la moneta è intrinsecamente unificatrice. Riportando tutti i beni a un denominatore comune, essa rende allo stesso tempo gli scambi omogenei, come già constatava Aristotele: «Tutte le cose che vengono scambiate debbono essere in qualche modo paragonabili. La moneta è stata inventata a questo scopo e diventa, in un certo senso, un intermediario, perché misura tutte le cose». Creando una prospettiva a partire dalla quale le cose più differenti possono essere valutate con un numero, la moneta le rende in qualche modo uguali: essa riporta tutte le qualità che le distinguono a una semplice logica del più e del meno. Il denaro è quel metro di misura universale che permette di assicurare l’equivalenza astratta di tutte le merci; è l’equivalente generale che riconduce tutte le qualità a una valutazione quantitativa, dato che il valore commerciale è capace solo di operare una differenziazione quantitativa.
Nello stesso tempo, però, lo scambio rende uguale anche la personalità di coloro che lo esercitano. Rivelando la compatibilità delle loro offerte e delle loro domande, instaura l’interscambiabilità dei loro desideri e, a lungo andare, l’interscambiabilità degli uomini che sono il luogo di questi desideri. «Il regno del denaro», osserva Jean-Joseph Goux, «è il regno della misura unica, a partire dalla quale tutte le cose e tutte le attività umane possono essere valutate […] Appare qui chiaramente una certa configurazione monoteistica della forma valore equivalente generale. La razionalità monetaria, fondata sull’unico metro di misura dei valori, fa sistema con una certa monovalenza teologica». Monoteismo del mercato. «Il denaro», scrive Marx, «è la merce che ha come carattere l’alienazione assoluta, perché è il prodotto dell’alienazione universale di tutte le altre merci».
Il denaro non è dunque semplicemente denaro, ma molto di più, e crederlo “neutro” sarebbe l’errore più grande. Come la scienza, la tecnica o il linguaggio, il denaro non è neutro. Già ventitré secoli fa, Aristotele osservava che «la cupidigia dell’umanità è insaziabile». “Insaziabile”, questa è la parola; non ce n’è mai abbastanza e, dato che non ce n’è mai abbastanza, non può evidentemente mai essercene troppo. Quello del denaro è un desiderio che non può mai essere soddisfatto perché si nutre di se stesso. La sua quantità, qualunque essa sia, può infatti sempre essere aumentata di una unità, cosicché il meglio vi si confonde sempre con il più. Non se ne ha mai abbastanza, di ciò di cui si può avere sempre di più. Proprio per questo, le antiche religioni europee hanno continuamente messo in guardia contro la passione del denaro in sé, con il mito di Gullveig, il mito di Mida, il mito dell’Anello di Policrate; lo stesso “declino degli dèi” (ragnarökr) è la conseguenza di una bramosia (l “oro del Reno”).
«Corriamo il rischio», scriveva alcuni anni fa Michel Winock, «di vedere il denaro, il successo finanziario, divenire l’unico metro della considerazione sociale, l’unico scopo della vita». Siamo arrivati proprio a questo punto. Ai giorni nostri, il denaro mette tutti d’accordo. La destra ne è diventata da molto tempo la serva. La sinistra istituzionale, con il pretesto del “realismo”, ha clamorosamente aderito all’economia di mercato, ossia alla gestione liberale del capitale. Il linguaggio dell’economia è divenuto onnipresente. Il denaro è ormai il punto di passaggio obbligato di tutte le forme di desiderio che si esprimono nel registro commerciale. Il sistema del denaro, tuttavia, non durerà a lungo. Il denaro perirà attraverso il denaro, ossia attraverso l’iperinflazione, il fallimento e l’indebitamento eccessivo. Allora si capirà, forse, che si è ricchi davvero solo di ciò che si è donato.

di Alain de Benoist 

08 gennaio 2013

Grandi banche indagate per frode







In questi giorni di fine 2012 le grandi banche internazionali, soprattutto quelle europee, sembrano infastidite. Si lamentano dei controlli più attenti, ma da loro ritenuti troppo invadenti, da parte degli organi di vigilanza.

L’ultimo caso riguarda l’UBS, la più grande banca svizzera, che ha accettato di patteggiare e di pagare oltre un miliardo e mezzo di dollari di multa per chiudere il caso dello scandalo-truffa del Libor!

In merito si ricordi che alcuni mesi fa, la SEC, la lenta e burocratica agenzia di controllo americana, e l’inglese British Financial Service Authority denunciarono una ventina di banche internazionali per aver manipolato il famoso London Interbank Offered Rate (Libor), cioè il tasso che stabilisce la base per definire tutti gli altri tassi di interesse applicati sui mercati finanziari. Erano quelle del cosiddetto cartello delle “too big to fail”: le inglesi Barclays, HSBC, Royal Bank of Scotland, la Deutsche Bank tedesca e le americane, JP Morgan, Citigroup e Bank of America.

Dal 2005 al 2007 le banche in questione avevano gonfiato i loro dati per far salire il Libor e incassare sui tassi alti. Dopo lo scoppio della crisi hanno invece giocato i loro dati al ribasso per mascherare le proprie difficoltà e abbassare il costo dei prestiti di cui avevano bisogno per sopravvivere. Hanno quindi semplicemente fornito informazioni fasulle a proprio profitto.  

Sei mesi fa, la Barclays, ritenuta una delle capofila di tale “frode organizzata”, ha pagato 450 milioni di dollari di multa per chiudere la faccenda. Adesso è toccato all’UBS.

Di primo acchito le multe sembrano molto salate. In realtà, per tali banche sono solo dei fastidiosi esborsi, a fronte degli enormi profitti incassati negli anni della “grande truffa”.

Si stima infatti che circa 800 trilioni di dollari di prodotti finanziari, a cominciare dai derivati Otc, siano legati all’andamento del Libor. Perciò la sola manipolazione di uno 0,01% equivale mediamente a 80 miliardi di dollari all’anno di profitti da spartire tra i grandi operatori finanziari.

Inoltre, come sappiamo dai dati della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea e dell’Office of the Comptroller of the Currency (Occ) americano, sono state, e lo sono tuttora, sempre le stesse banche indagate per la truffa del Libor a controllare la quasi totalità delle operazioni finanziarie globali. 

Vi sono poi le indagini nei confronti della Deutsche Bank, i cui uffici sono stati “visitati” per ben due volte in pochi giorni dagli investigatori delle polizia tedesca che ha sequestrato montagne di documenti.

Uno degli scandali-truffa riguarda una evasione fiscale per circa 300 milioni di euro frutto del commercio dei certificati CO2 nei mesi a cavallo del 2009-10. Uno schema tristemente noto anche in Italia, su cui sarebbe doveroso indagare.

Per l’intera Europa l’Europol stima una truffa ed una evasione fiscale legata ai certificati CO2 per oltre 5 miliardi di euro! Oramai si specula e si truffa anche sull’aria che respiriamo!

A seguito di accordi internazionali e dei tanti movimenti e dibattiti sulle questioni ambientali e climatiche, l’UE ha stabilito un “Emissions Trading System” che assegna un tetto di emissione di anidride carbonica ad ogni impresa e ad ogni impianto di produzione di energia. In pratica si è creato un mercato per acquistare certificati-permessi per maggiori emissioni e per vendere eventuali surplus. Su ciò si è innestato anche un mercato di derivati.

I casi della Barclays, dell’UBS, della Deutsche Bank, così come quello precedente dell’inglese HSBC coinvolta anche nel riciclaggio dei soldi della droga tra Messico e Stati Uniti, sembrano assegnare un ruolo centrale nel malaffare alle banche europee. Ma in realtà sappiamo quanto pesantemente siano state coinvolte le maggiori banche americane nelle truffe dei mutui sub prime e dei prodotti finanziari strutturati.

Tutte queste banche continuano a giocare sul ricatto di essere “too big to fail” per sottrarsi alle indagini ed a ogni forma di regolamentazione. Le frodi venute alla luce provano che il loro comportamento, già responsabile della crisi finanziaria ed economica globale, non è minimamente cambiato.

In relazione a ciò ed al progressivo peggioramento della situazione economica e finanziaria delle economie degli Usa e dell’Europa saranno determinanti le decisioni che il rieletto presidente Obama prenderà entro i prossimi mesi.

Se, con l’indispensabile collaborazione dell’UE, saprà operare con la stessa determinazione di Franklin Delano Roosevelt del 1933 nel mezzo della Grande Depressione allora potremo costruire la necessaria riforma della finanza e dell’economia e rimettere in moto la ripresa del sistema produttivo. 

Se invece il presidente americano sarà tenuto sotto scacco dalle lobby di Wall Street e dei vari “gattopardi”, come è avvenuto nel suo primo mandato, allora dovremo essere consapevoli che una seconda e più violenta crisi sistemica potrà verificarsi.

Di questo ovviamente dovranno preoccuparsi anche il prossimo governo e le autorità europee. 

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

07 gennaio 2013

L'energumeno Monti







  

La discesa (o salita, come ama dire  l'interessato nel suo sconfinato egocentrismo, che non ammette di collegare in alcun caso la sua persona col verbo “scendere”) di Mario Monti  in campo, forse perché condotta sul filo dell'ammissibilità costituzionale, ha determinato reazioni  altrettanto squinternate. Bersani, preoccupato che il suo partito non abbia quel trionfo totale prospettatogli fino a pochi giorni fa dai sondaggi, dice di sperare   che   Monti sappia mantenersi  “super partes”. Dal momento che non può essere super partes chi, proprio perché disceso (anzi salito) nell'agone, è già  parte a tutti  gli effetti,  l'auspicio prepara il terreno per il dopo  nella speranza che, se ne avrà bisogno, stia dalla  “sua” parte in cambio di qualche strapuntino nel governo e non pretenda invece la poltrona principale.
    Berlusconi, giocando  sulla faccenda della discesa-salita,  ha commentato  che Monti sale, perché era un presidente del consiglio di rango inferiore, mentre lui stesso, Berlusconi, era di rango superiore.  Insomma, se si è capito bene, a parte gli altri che vanno via  piatti, ci sono in campo un contendente che sale  (Monti)  e uno  (Berlusconi) che scende.  Contento lui.
     Beppe Grillo ha definito l'inatteso concorrente (ma può stare tranquillo,  chi pencola verso l'universo grillino ha altri  difetti, ma  non voterà mai per Monti)  un “energumeno anticostituzionale”. Quanto all'anticostituzionale  è  vero che fin  dalla sua prima apparizione sotto l'ala protettrice di  Giorgio Napolitano e di Angela Merkel sono stati sollevati  da più parti dubbi  sulla conformità al sistema democratico  della  nomina e  delle modalità di subentro al precedente governo. Tuttavia la definizione di “energumeno” (peggio ancora nella sua versione british,  “brute”) risulta quanto mai inappropriata per  il compassato e algido rettore bocconiano.  E' vero che ha già fatto più danni di quanto avrebbero potuto farne il pelide Achille o i  due più noti energumeni mitologici, Ercole e Marte, e che altri, forse peggiori, si appresta a farne, ma il genere è diverso, quello dell'acqua cheta che rovina i ponti.
    Fin qui   tutto da ridere se non  fosse che  siamo tutti in  ballo e, quindi, inferiori o superiori che siano questi candidati al governo del  paese, energumeni o acque chete, a rischio  coinvolgimento nel crac finale. Più seria, ma appunto per questo preoccupante, la presa di posizione del Vaticano, che, avendo  letto nella sua  agenda l'aspirazione ad una politica alta e nobile, auspica che Monti possa intercettare il consenso della  maggioranza degli italiani, che appunto ad una politica di  questo genere aspirano. Di rinforzo, il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco,  ha informato l'opinione pubblica della sua convinzione che  “sulla onestà e capacità di Monti ci sia un riconoscimento comune”. Quanto all'onestà il termine ha molti significati  e prima di pronunciarsi  occorre vedere a quale il cardinale si riferisca (certamente non all'impegno a suo tempo preso di non partecipare alle elezioni). Sulla capacità, nel giro di un anno il comune consenso, stando ai sondaggi, è precipitato dal 75 al 35% (e il trend negativo prosegue). L'esperienza sta  insegnando qualcosa anche ai più ottimisti.bResta l'agenda. Basta leggerla (la si trova facilmente su Internet)  per rendersi conto che la politica alta e nobile sta tutta nelle parole, negli intenti e nei fini che  si proclama di volere raggiungere nell'interesse del popolo italiano, mentre nulla o ben poco si dice  dei mezzi da utilizzare per realizzarli. Esattamente  come nei programmi di tutti i partiti. A chiacchiere uno più nobile dell'altro.
      Inevitabile chiedersi  cosa, nonostante la sua  millennaria prudenza e la scarsa propensione a cedere al fascino delle millanterie e delle chiacchiere, abbia spinto la Chiesa italiana, la Cei, a scendere in campo.  E' verosimile che  la risposta si trovi nel timore  di una totale  vittoria, fino ad oggi ritenuta inevitabile (con appena qualche riserva per la maggioranza in Senato), di un Partito democratico che, perfettamente consapevole di non potere muovere foglia in economia che l'Europa non voglia, quanto alle riforme punta tutto, anche per compiacere  il co-équipier Vendola, sui cosiddetti (molto cosiddetti) “diritti civili”, così  entrando in piena collisione con quelli che la Chiesa considera (molto giustamente) “valori non negoziabili”.
   In realtà di questi valori, con tutta la sua elevatezza e nobiltà, non c'è traccia nemmeno nell'Agenda Monti,  tuttavia mai come in questo caso, in una situazione già  data  persa (nel Pd i cattolici, oltre ad essere “adulti”, contano come il due di picche), il silenzio è d'oro.

di Francesco Mario Agnoli -

06 gennaio 2013

Il Gran Maestro



 MARIO MONTI
Se un merito va riconosciuto a Mario Monti è di contribuire ad una maggiore chiarezza del dibattito; ha scelto il suo avversario, Silvio Berlusconi, il suo referente, Bersani, quest’ultimo con un Vendola più addomesticato; ha definito il perimetro entro cui si schiereranno e si formeranno le forze politiche a lui affini; ha tracciato gli orientamenti che ispirano il suo “Cambiare l’Italia, Riformare l’Europa: Agenda per l’impegno comune” di prossima pubblicazione. La conferenza stampa di fine anno tenutasi oggi, domenica 23 dicembre, è stata esemplare nella sua semplicità e incisività. Come al solito i commenti a caldo dei pontefici dell’informazione, a cominciare da Mentana, hanno piegato il senso delle sue dichiarazioni alla logica della quale è vittima la quasi totalità del giornalismo italiano: la riduzione al semplice scontro di fazioni partitiche nel palcoscenico politico e, quindi, l’implicito sostegno tattico allo schieramento di Casini e Montezemolo.
In realtà Monti ha detto molto di più e con un respiro che va al di là dell’attuale scadenza elettorale:
  • Non autorizza nessuno ad utilizzare indebitamente il suo nome; l’avvertimento a Casini e ad alcune componenti del PDL mi pare evidente.
  • La società civile è diffidente nei confronti dei politici professionisti compresi quelli che intendessero sostenere il suo programma
  • Piuttosto che tra destra e sinistra il discrimine della lotta politica dovrebbe essere l’Europa e il rinnovamento
  • Nei tre schieramenti classici e ormai antiquati ci sono cespugli europeisti, innovatori e liberali che andrebbero raccolti sulla base del nuovo discrimine
Il Professore, quindi, più che partecipare e tentare di vincere queste elezioni cerca di orientare il dibattito della campagna elettorale in modo che i partiti in qualche maniera rinuncino parzialmente alla demagogia necessaria a raccogliere voti e alleanze talmente eterogenei  da inficiare però la fluidità successiva dell’azione politica; Monti, infatti, ha già più volte dichiarato di non farsi troppe illusioni sulla frantumazione dei partiti prima delle elezioni. Dal PDL si aspetta poche defezioni importanti, meno del numero di dita delle mani. Paradossalmente, aggiungo io, potrebbe conseguire qualche successo più rilevante dal versante meno ostile, il PD. Sulla base del risultato elettorale, poi, si porrà il problema della coalizione, di chi sarà il Capo di Governo e di quale ruolo svolgerà Monti stesso da una parte e della destrutturazione degli attuali partiti dall’altra. L’altra preoccupazione è quella di circoscrivere il più possibile la campagna elettorale di Berlusconi il quale con i suoi argomenti, in caso di successo, rischia di innescare, contro le sue stesse intenzioni, una politicizzazione del processo di disgregazione dell’Unione Europea attraverso la crisi di una delle due correnti politiche europee, il Partito Popolare Europeo; da qui il senso della recente trappola perpetrata a Bruxelles dal PPE con l’incoronazione di Monti e il processo a Berlusconi.
Per tranciare in questo modo il dibattito politico, il Presidente dimissionario deve ricorrere a sua volta a delle forzature; deve  discriminare tra chi sostiene o ritiene compatibile il suo manifesto ed è in possesso, quindi, dell’attestazione di europeista ed innovatore; gli altri ne sono la semplice negazione. Non esiste pertanto altra dinamica positiva che l’attuale processo di Unione Europea; non esiste altro rinnovamento che il montismo.
Ma Monti, così come l’attuale Unione Europea, in realtà ha molto poco da offrire.
Prospettando una unione da costruire sulle macerie delle nazioni e degli stati nazionali, ignora del tutto i lunghi processi identitari  necessari a creare una comunità, uno stato rappresentativo e una nazione quale dovrebbe essere l’Europa nel caso riuscisse a realizzarsi e quali continuano ad essere gli attuali o almeno quelli che riescono a preservare la propria sovranità. L’Europa, agli occhi di Monti, sarebbe un popolo senza nazione, fatto di persone, consumatori e cittadini muniti di diritti e doveri formali. La sua costituzione sarebbe il frutto di una combinazione accorta dell’azione volontaria di élites e tecnocrati e di una rappresentazione dei cittadini di tipo parlamentare costruita attraverso un semplice atto di volontà di gruppi elitari. L’amalgama e lo sviluppo, invece, sarebbero garantiti dalla costruzione di un mercato continentale libero a sua volta integrato con quello americano e, in qualche momento di là da venire, mondiale.
Una impostazione che evita opportunamente ogni velleità di distinzione di interessi e di identità da quella dell’attuale potenza dominante americana e ogni possibilità di seria e trasparente trattativa tra gruppi e stati nazionali tesa a creare strutture organizzative, statuali, di impresa, culturali necessari per la formazione di blocchi sociali e popoli con una loro peculiarità.
Una visione simile, sia pure allo stato embrionale, apparteneva al De Gaulle degli anni ’60, quando propugnava un processo unitario fondato sugli stati nazionali e sull’integrazione verticale dei settori contestuale alla creazione del mercato europeo, piuttosto che sulla mera liberalizzazione dei mercati e sul continuo frazionamento delle imprese, sull’anomia culturale condita di retorica; la gestione di questi processi, però, comporta l’esistenza di gruppi nazionali forti, consapevoli degli interessi nazionali ma disposti a trattare con i vicini di casa e a delimitare l’azione rispetto alle altre potenze mondiali. Una condizione antitetica rispetto alla situazione europea scaturita dalla seconda guerra mondiale, proseguita nel bipolarismo, protrattasi ulteriormente, con qualche illusione fugace, con la caduta dell’URSS.
Quello che Monti ha da offrire è, più che una speranza, l’accettazione di una pesante regressione in alternativa ad una regressione ancora più marcata in caso di tradimento del suo verbo; l’occupazione tutt’al più  delle nicchie lasciate libere dalle forze dominanti. La recente vendita di Avio aereonautica alla General Electric, il taglio integrale per il secondo anno consecutivo dei finanziamenti sulla ricerca aerospaziale, i continui attacchi ad ENI e Finmeccanica, le scelte di politica estera e di difesa, la nuova enfasi riconosciuta alle scelte di Marchionne, esempi tra i tanti, lasciano intravedere quale sia la consistenza di queste nicchie e quali saranno le dinamiche di un libero mercato ridotto a campo di azione di lobby e gruppi organizzati nascosti dietro l’ideologia del consumatore e produttore individuale. Lascia intravedere, altresì, quali saranno le forze suscettibili di sostenere l’impulso “riformatore” di Mario Monti: i beneficiari di queste nicchie e i settori aggrappati alla possibilità di salvaguardare parte delle proprie prerogative parassitarie. Qualche accenno a questo arrembaggio l’abbiamo già visto nella gestione dei processi di liberalizzazione e nelle modalità di riorganizzazione della spesa pubblica avviati quest’anno. Sino ad ora Monti ha avuto buon gioco nell’accusare i partiti come zavorra antiriformatrice; il groppo ha invece un potere e una inerzia ben più rilevanti, radici ben presenti nel suo stesso governo tecnico “riformatore”.
Un dibattito simile ebbe luogo in Italia nell’immediato dopoguerra, ma in un contesto diverso. L’Italia di allora sviluppò rapidamente il settore tessile, ma con aspri scontri interni e una politica dirigista sostenuta dal piano Marshall riuscì a sviluppare anche una notevole industria meccanica e avviare uno sviluppo importante anche se complementare. Gli americani vincitori, allora, dovevano creare un blocco espansivo capace di alimentare la propria forza, offrire sbocchi alla propria capacità industriale e finanziaria, fronteggiare la minaccia sovietica, questo creò gli spazi necessari allo sviluppo e all’emergere di figure come Mattei. Oggi, al paese, viene richiesto un sacrificio di natura ben diversa e con più invitati alla condivisione delle spoglie, compresi alcuni paesi “amici” europei.
Il trasformismo e l’avventurismo di Berlusconi, a sua volta, rappresentano l’alter ego perfetto per giustificare e fornire motivi e forza a questa politica, per rinfocolare i timori sui quali basare i propri successi, così come avvenuto, in un contesto per ora ancora più drammatico, in Grecia.
È sempre più curiosa e intrigante, tra l’altro, l’affinità tra le tesi di Berlusconi, anche lui ormai ispirato dalle teorie espansiviste e di sovranità monetaria di Krugman e quelle antigermanocentriche  dei neoantimperialisti smemorati.
Non appena sarà pubblicato il manifesto di Monti, sulla falsa riga dei miei precedenti articoli di un anno fa sull’Unione Europea,  approfondirò tutti questi aspetti.

di Giuseppe Germinario 

05 gennaio 2013

2012, anno del Golpe morbido. E adesso impariamo a difenderci





     
Si chiude un anno di dittatura bancaria, un anno di debiti e di debito, un anno di politica concepita dalle banche come truffa sociale dei soliti politici truffatori.
Lo spread, come “il Mammone”, ha spaventato i bambini: la mannaia del gabelliere Equitaliano ha colpito indiscriminatamente come un killer seriale e lo Stato è stato trasformato in semplice esattore per nome e per conto dei poteri internazionali. Come il fanatismo ideologico liberista impone, lo Stato ha un solo compito: tassare tutto, tutti e dappertutto. E una sola funzione: garantire che quello che chiamano debito sia garantito al debitore. Il debitore resta occulto, il debito virtuale invece incombe su tutti noi come un incubo metafisico. Siamo all’epica del Dio debito e all’epopea del popolo debitore.

Nulla di quello che i politicanti avevano “promesso” al popolo bue è stato fatto e all’orizzonte nemmeno una speranza di reale cambiamento. Al massimo, in virtù di un ricordo lontano di dignità perduta, alcuni si agitano ormai semi coscienti che così non solo non si può andare avanti ma che è anche inutile andare avanti così. Saranno quelli che forse, nel 2013, porteranno un po’ di caos nel sistema. Che sia benvenuto questo caos.
Da quello che i media asserviti ci raccontano, dobbiamo pagare il 112% l’anno, rispetto al 100% che produciamo e quindi anche agli occhi di un bambino lo Stato è fallito e quindi la macelleria sociale in atto non solo è inutile ma soprattutto è sadica.

E' all’interno del fallimento che cresce la questione meridionale: il divario fra Nord e Sud cresce quando l’economia va bene, cresce quando l’economia va male, segno evidente che la questione meridionale non è una questione semplicemente economica ma un cancro endemico della stessa invasione coloniale.

Crolla l’utopia democratica che autorizza un vero e proprio golpe morbido che gli storici chiameranno Golpe Napolitano-Monti
Crolla la favoletta per i piccoli e buoni “cittadini italiani” del sistema maggioritario, della riduzione dei partiti, del bipolarismo, del bipartitismo.
Crolla il mito della democrazia come pace nel mondo, crolla grazie alle intercettazioni di Napolitano, all’ipocrisia dello Stato Italiano che si proclama anti mafia, mentre Taranto muore, Napoli è come sempre sfruttata per visibilità personale di alcuni a scapito dei napoletani, il Sud è sommerso dai veleni e trasformato in discarica del Nord, i meridionali continuano ad emigrare, vengono derubati della dignità e dei propri soldi attraverso le leggi italiane e per finire anche la chiesa accetta i “30 denari” e tradisce il popolo elogiando i banchieri.
 Da quello che avete letto, sarebbe più giusto dire che si chiude un “normale” anno dei quasi 152esimi di regime italiano più che dire che si è chiuso il 2012esimo anno dopo Cristo.
Ma pur nel “cielo cupo” qualcosa in quest’anno è cambiato: nulla che possa farci dire che possiamo ancora incidere sul sistema, ma sicuramente che l’identitarismo è la strada da percorrere.
Come abbiamo dimostrato per primi nella seconda repubblica al Sud si può lavorare per creare una rappresentanza politica propria ed indipendente attraverso l’opera degli stessi meridionali: peccato che molti hanno copiato la forma, ma non l’essenza fondamentale soprattutto di indipendenza dalla partitocrazia.
Abbiamo dimostrato compattezza ed identità, quando abbiamo reagito da popolo all’offesa della ” pizza veneta” svelando come fosse una copertura dei grandi e soliti interessi economici del nord, abbiamo ottenuto il licenziamento del giornalista “lombrosiano” della Rai piemontese, l’istituzione del Registro Tumorale poi scippatoci dal governo centrale, ma soprattutto abbiamo iniziato a difenderci da popolo e non a lamentarci da singoli schiavi.
Che l’anno si chiude con il crollo del 62% di vendita di panettoni nordici al sud è un bel segnale, che il Compra Sud Insorgente regala a tutti noi per capodanno.
Il 2013 si apre allo stesso modo in cui si chiude il 2012, un anno di spietato colonialismo finanziario. Che più sarà spietato più ci costringerà a imparare a difenderci. Ed è tutto in questa seconda parte il mio augurio insorgente a tutti voi.
Non negate la realtà, siate uomini, affrontatela: chi vi dice che risolverà i vostri problemi è li solo per crearli.

di Nando Dicè 

04 gennaio 2013


Bersani farà la guerra al contante. Opponiamoci

Dall’estate le banche svedesi hanno messo in atto la più determinata offensiva ai pagamenti in contanti. Coadiuvate dalla rete di banda larga più avanzata del mondo e sotto la regia della Banca Centrale, Riksbank, tre delle quattro maggiori banche del Paese, ossia 530 delle 780 filiali, non accettano banconote in pagamento né pagano in contanti. Ormai 200 su 300 uffici della Nordea Bank, e tre quarti degli sportelli della Swedbank, fanno solo transazioni elettroniche.

«Stiamo attivamente riducendo il contante nella società», vanta Peter Borsos, portavoce della Swedbank. I motivi proclamati dalla propaganda sono quelli che già conosciamo: non già che alle banche conviene prelevare una commissione da ogni transazione, questo no; i pagamenti elettronici sono più sicuri, riducono il pericolo di furti e rapine, e soprattutto – per toccare la corda «verde» della popolazione – «il trasporto del denaro su automezzi blindati produce centinaia di tonnellate di gas-serra; noi soli della Swedbank emettiamo 700 tonnellate di biossido di carbonio per questo, con un costo per la società di 11 miliardi l’anno». Orrore, orrore.
Come resistere al richiamo alla responsabilità ecologista? Ristoranti di sushi ad Uppsala sono passati di botto al «no contanti». Le chiese luterane (sempre all’avanguardia del politicamente corretto) hanno approntato all’entrata impianti per raccogliere offerte ed elemosine, i kollektomat.
Ma la cittadinanza, benché storicamente ligia, progressista e disciplinata, non sembra abboccare alle meravigliose promesse della «cashless society». L’anno scorso il valore delle transazioni in contanti è stato di 99 miliardi di krona, solo lievemente inferiore rispetto a un decennio prima. I piccoli negozi continuano ad accettare pagamenti in contanti tra un terzo e la metà dei casi. Un’indagine sulla soddisfazione dei clienti delle banche condotto dallo «Swedish Quality Index» ha mostrato che i clienti sono, appunto, poco soddisfatti di quelle banche che praticano il «niente contanti».
Il guaio è che il passaggio al «niente contanti» non è stato reso obbligatorio, e il più grande istituto bancario del Paese, Handelsbanken, s’è dissociato dall’iniziativa, «vediamo arrivare clienti da altre banche», dichiara Kai Jokitulppo, il capo dei servizi privati del grande gruppo bancario. «Finché i nostri clienti chiedono banconote, è nostro compito, come banca, fornirle». Le 461 filiali della Handelbanken trattano banconote, tranne una decina, e la banca si propone di continuare a farlo nel 2013».
La Svezia è all’avanguardia delle sperimentazioni sociali di marca «progressista»; negli anni ‘90 provò la legalizzazione degli stupefacenti, per poi tornare indietro quando l’esperimento rivelò un aumento disastroso del consumo tra i giovanissimi; il progressismo svedese non giunge fino all’accecamento ideologico. Per questo l’esperimento «no-cash» in corso è da seguire con attenzione. Perché certamente il prossimo governo Bersani-PD, con o senza Mario Monti, imporrà anche agli italiani fiere limitazioni all’uso del contante; più di quanto abbia già fatto Monti vietando i pagamenti oltre mille euro. Del resto, il «Contrasto all’uso del contante» è già scritto nella finanziaria di Monti, orwellianamente ridenominata «Decreto Salva Italia».
Giuseppe Mussari
  Giuseppe Mussari
La convergenza d’interessi fra le grandi banche, il professore e il Partito a questo fine sono patenti. Basti ricordare che il presidente dell’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, ha recentemente chiamato il contrasto al contante annunciato da Monti «una battaglia di civiltà». E chi è il presidente dell’ABI? Lo sapete: il compagno Giuseppe Mussari, già capo supremo del Monte dei Paschi di Siena. La banca dei compagni, che lui e loro hanno mandato in rovina utilizzandola come vaso della marmellata per le loro clientele, e che Mario Monti ha salvato in molti modi. Prima, esentando Montepaschi dal pagamento degli interessi che doveva sui Tremonti Bond, i 2 miliardi di euro che aveva ottenuto in prestito dallo Stato (e non ancora rimborsati), circa 200 milioni che grazie a Monti noi contribuenti non rivedremo più. (Tassati per arricchire i banchieri)
Non è bastato. In bancarotta, Montepaschi avrebbe dovuto rivolgersi al «mercato» per raccogliere 4 miliardi di fondi. Ma così facendo, le azioni in mano ai compagni del direttivo PD che possiedono la banca, si sarebbero diluiti, e il PD avrebbe perso il controllo assoluto della sua vacca da latte. Ma il «liberismo di mercato» ha incontrato un limite in questo caso. Il governo Monti ha versato a Montepaschi i 4 miliardi che gli servivano: come ha notato sarcastico Tremonti, è lintero gettito dellImu sulla prima casa. Invece di impiegarlo per i tanti pressanti bisogni del Paese, dalla riduzione del debito alle pensioni degli esodati (ridotti in quello stato dalla Fornero), il governo «tecnico» ha semplicemente girato l’introito fiscale della patrimoniale alla banca dei rossi. Che è un buco nero da cui nulla sarà più restituito.
Da qui si capisce che Bersani e il suo governo comunista, e i banchieri, abbiano il medesimo interesse all’abolizione del contante nelle transazioni, come ne hanno all’imposizione di una più feroce patrimoniale sui piccoli patrimoni visibili (immobili, conti bancari) per girarla ai grandi patrimoni finanziari dissestati.
A questa spoliazione del ceto medio il PD porterà tutto il know-how propagandistico-incitante che ha affinato nei decenni in cui si chiamava PCI e dipendeva dall’URSS. «Lotta all’evasione», «colpire le grandi fortune», tutto ciò che invelenisce l’invidia sociale (molla primaria dell’elettorato di sinistra) sono i motivi che notoriamente vengono agitati.
Quando la sinistra sarà al potere, preso possesso di tutti i mezzi televisivi di propaganda (pardon, «informazione») di Stato, la demonizzazione del contante – e di chi lo usa – diverrà assordante.
Non si potrà più ribattere che il contante come mezzo di evasione conta poco, e solo il piccolo «nero» dei meccanici e degli idraulici, ma che il governo lascia impunita la grande evasione fiscale fatta per i loro clienti privilegiati, o per se stesse, dalle banche; sarete bollati come complici dell’evasione, gente che «non ama la nostra Costituzione». Provate a dire che il ministro Passera è indagato per una evasione miliardaria fatta quando era capintesta di Intesa, e fatta a forza di transazioni elettroniche all’estero, ciò che dimostra che l’evasione riesce meglio senza contanti. (Passera indagato per frode fiscale)
Il titano bancario anglo-americano HSBC è stato trovato colpevole (ancorché non processato, «per non destabilizzare il sistema») di aver riciclato almeno 7 miliardi di dollari dal cartello dei narcos messicani: ossia ha trasformato vagonate di contanti sporchi in bit elettronici candidi e profumati. Delitto che un divieto dell’uso del contante non avrebbe certo ostacolato.
Persino la Bundesbank, ed è tutto dire, ha smentito i miti demonizzanti sull’uso del contante («insicuro, costoso, inquinante, pericoloso») in un recente seminario, riscoprendo l’acqua calda, cioè che «il pagamento in contanti è il più naturale» (e infatti in Germania l’80% degli acquisti avviene in contanti).(Cash symposium)
Ma tutte le obiezioni saranno inutili: il governo Bersani scatenerà la guerra al contante, indurirà la campagna già lanciata da Monti. Lo farà per molti motivi. Uno, perché questo è uno dei cavalli di battaglia ideologici delle sinistre, come le «nozze gay», e bisogna accontentare settori estremi, come la Gabanelli che hanno proposto di tassare l’uso del contante (perché già, occorre renderlo costoso come l’uso delle carte di credito: le banche lo chiedono).
Il secondo motivo attiene al fatto che il PD è il nucleo di grossi e concreti interessi, che «naturalmente» convergono con quelli dei banchieri. Chi crede Bersani «una brava» persona perché ha una faccia così e l’accento emiliano, tende a dimenticare che è il rappresentante e l’agente dei conglomerati d’affari detti Cooperative Rosse: polipi con tentacoli grossi e idrovori dappertutto, nella grande distribuzione come nella banche, nelle assicurazioni come nelle grandi opere e nei «servizi» sanitari. Tra parentesi, le COOP sono dei campioni di evasione fiscale: «legale», ovviamente, perché profittano di agevolazioni nate nel tempo in cui «cooperativa» voleva dire un gruppo di operai poveri e solidali, mica Unipol, Ipercoop e CMC. È interesse del PD sviare l’attenzione verso gli idraulici che fanno il nero.
Finché siamo in tempo, opponiamoci. Converrà ricordare i motivi profondi per cui il sistema bancario vuole ad ogni costo abolire il contante. Ovviamente, nei miliardi di pagamenti in contanti le banche non ci guadagnano nulla, e vogliono trovare il modo di annullare questo «scandalo», vogliono estrarre la loro commissione dal caffè e cornetto mattutino, incettare il loro tributo dalla corsa in taxi e dalle verdure che compriamo al fruttivendolo. Ma questo è solo il motivo più evidente. Molto più importante è il seguente:

Imponendo la
 «cashless society», le banche si liberano del loro incubo secolarela corsa agli sportelli. Le banche non hanno veramente in cassa i soldi che avete dato loro in deposito; li hanno impegnati dieci o venti volte il loro valore, in «investimenti» vari; lucrano gli interessi su questa moneta fittizia. Il gioco regge perché la gente non conosce questo fatto – la frode fondamentale del credito frazionale – e crede che i suoi depositi «siano al sicuro in banca». Ma basta che spaventata da qualche crack la massa dei risparmiatori si presenti agli sportelli a reclamare i suoi depositi, e scopre che essi non ci sono più. Che la banca non ha nemmeno l’obbligo di restituirli, essendone diventata per il codice civile, la proprietaria. Ma la corsa agli sportelli rivela la frode fondamentale e scuote la cosiddetta «fiducia» nel sistema, in modo permanente.
Nella cashless society, il problema è risolto. La banca può mancare di banconote in cassa, ma non è mai a corto di bit elettronici. Volete 10 mila euro? Oggi, chiamano il direttore, ti dicono che «è vietato», e se proprio insisti, ti dicono di passare «fra cinque giorni». Domani: pronti, i 10 mila euro sono già versati nel vostro borsellino virtuale, che può essere anche il vostro smartphone.
E qui si apre un altro grande business, in rapido sviluppo. Voi umani non siete capaci di vedere quei 10 mila euro in bit sul vostro smartphone. Ma li «vedono» le migliaia di sensori di cui presto saranno sparse le città, dai cartelloni pubblicitari alle entrate dei negozi: e faranno a gara per farveli spendere. Passate accanto a un ristorante? Un SMS vi trilla: «Amico entra! Oggi lasagne al pesto, cima genovese e tiramisù alla pera!». Un manifesto della Toyota vi «sente», scruta il vostro borsellino, e vi invita all’acquisto dell’ultima utilitaria a «9.990 euro TAEG Zero». Qualunque entità economica o poliziesca vi segue passo passo, conoscendo perfettamente la vostra identità, la vostra posizione geografica, la vostra possibilità economica e la capienza del vostro protafoglio in bit.

Non ci credete? È l’esperimento in corso a Tokio, dove esistono già 650 mila carte (Edy Cards, le chiamano) che possono essere lette da sensori a distanza, WiFi. Queste carte hanno una inquietante caratteristica: che non c’è bisogno di strisciarle in una macchinetta, né di digitare un pin o una password per effettuare il pagamento. Ciò ha un vantaggio: salite in metropolitana, e il prezzo del biglietto vi viene detratto dal vostro smartphone automaticamente dal sensore appena passate la bussola girevole. Ciò ha anche uno svantaggio enorme: un buon gruppo di hacker può svuotarvi il borsellino elettronico senza che voi ve ne accorgiate. Nasce il borsaiolo elettronico, con la mano più leggera che si possa immaginare. Ecco il punto da tener presente quando la banca vi dice che il contante è esposto a furti e rapine, quindi non è sicuro. Coi bit, la banca si libera da questo rischio, e lo accolla a voi. Come fa sempre, del resto.


Naturalmente al termine di questo «progresso» ci sono i chips RFID impiantati sottopelle, che fanno di voi un essere di cui chiunque lo voglia, e ne abbia i mezzi tecnici, saprà tutto di voi. Saremo alla società descritta dall’Apocalisse 13, in cui l’Anticristo o il suo portavoce «obbligò tutti,piccoli e grandiricchi e poveriliberi e gli schiavia farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchiocioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome». Numero che, come sapete, è 666.
Sarete perfettamente trasparenti al potere, bancario o statale che sia (sempre più i due poteri coincidono, essendo ex funzionari di Goldman Sachs a governare in Occidente). È ciò che pretendono, del resto, i virtuosi cittadini che militano soprattutto a sinistra, gli innocenti, i puri angeli che proclamano: «Mi intercettino pure, non ho niente da nascondereIO».

Questi innocenti creano il clima, in cui chi non vuole essere intercettato al telefono o nella e-mail, viene bollato come sospetto, e oggetto di indagini poliziesche o tributarie. Una società in cui non sarà più possibile difendere il principio: «Non è affar vostro sapere come spendo i miei soldi, una volta che li ho guadagnati onestamente», perché ciò sarà visto come potenzialmente delinquenziale. Dove, cioè, è sospetto l’esercizio della volontà individuale – altro nome della libertà. La tecnologia fornisce i mezzi a questa società della trasparenza assoluta, voluta dagli «innocenti» fra noi. Una società di dossier, dove si accumuleranno i dati imbarazzanti per voi: quel giorno in cui siete andati fuori porta con l’amante invece che con la moglie, quel giorno in cui vi siete fatti visitare da uno specialista di un genere di malattie che non volete divulgare, eccetera, eccetera. Il «magistrato» Ingroia e la procura di Palermo si volevano tenere care le intercettazioni telefoniche tra Napolitano e Manini; eppure dicevano che in queste non si configurava alcun reato: e allora perché tenerle, se non per ricattare?
Una società senza contanti è una società della sorveglianza totale e più intrusiva: via satellite, fibre ottiche, sensori e chips, sarete sempre allo scoperto. Nel romanzo 1984, il protagonista Winston poteva almeno sottrarsi allo sguardo del Grande Fratello dietro una nicchia del muro; qui, nessuna nicchia. Chi è tentato di dar ragione agli «innocenti» che esigono trasparenza assoluta, si prenda una vista del tipo di società che vogliono instaurare, guardando un film degli anni ‘70, l’utopia realizzata in distopia mortale: «La fuga di Logan». (La fuga di Logan)
Vedrà quegli «innocenti», che quando vengono avvertiti da Logan che la loro felicità governata da un supercomputer termina in realtà dentro una macelleria cannibalica gestita da un androide in delirio d’onnipotenza, non gli prestano credito, anzi in pratica nemmeno lo vedono. Ci ricorda già qualcosa...
E qui veniamo al motivo più fondamentale per cui personalmente, benché non abbia «nero» da proteggere, sento un pericolo estremo nella cashless society:che in essanessun oppositore politico può più esistere. Se disturbi il potere vigente, esso ti neutralizza in silenzio, senza spararti per la strada né arrestarti di notte; ti condanna senza processo e senza appello. Senza che nessuno lo sappia. Togliendoti i bit-denaro. Il monitor del Bancomat ti risponde: «Carta di credito non riconosciuta», e tu sei un paria. A poche ore dal prossimo pasto che non potrai consumare, alla fame che piega ogni velleità di resistenza. Nemmeno potrai più chiedere l’elemosina di un panino, o il prestito di un amico. Non avrai nemmeno i soldi elettronici per comprare un biglietto e saltare sul primo treno per la Svizzera, rifugio di perseguitati (se hai da mantenerti): Addio Lugano bellamai più ti rivedrò.
Ora capite meglio la strana convergenza di interessi ed intese per cui il governo Bersani, in accordo con il tecnico Monti, e il sistema bancario, vuole abolire il contante. Non è solo che «la sinistra fa sempre il gioco del grande capitale, a volte perfino senza saperlo» (Spengler). È che vuole sorvegliarti. Vuole controllare cosa fai, come eserciti la tua privata volontà (altresì detta libertà), che il Partito trova indebita e illegittima. La sorveglianza totale è la sua passione e la sua ossessione; è nel suo DNA fin dai tempi in cui i comunisti non fingevano di essere altro che comunisti sovietici. Loro devono sapere tutto di te, tu non saprai nulla di loro: banchieri o partitanti, è lo stesso.

La società della trasparenza globale è a senso unico. Senza contanti, il Partito – e la Banca, o la banca-partito – ti tiene in pugno. Te e me, tutti noi.
Se la prospettiva non vi piace, vi invito ad aderire all’iniziativa Contante Libero, una raccolta di firme in favore dell’uso e della circolazione del denaro contante, dunque per impedire alle banche e al governo di controllare la nostra vita e espropriare la nostra ricchezza, non solo materiale. Il manifesto dell’iniziativa si trova qui: Manifesto per il contante libero. Più in breve, 10 Punti per Il Contante Libero: 10 punti per il contante libero.

 di Maurizio Blondet

03 gennaio 2013

Auguri a Tutti.
Auguri a tutti quelli che pensano che il 2013 sarà un anno terribile, a tutti quelli che non riescono a vedere il peggio e pensano al vecchio detto " al peggio non c'è mai fine".
Auguri.
Io voglio pensare che che il 2012 ha chiuso un anno orribile dove molte "cose" sono state fatte o costruite in modo da creare insoddisfazione, disordine sociale e diseguaglianze. E' stato l'anno dove tutto è stato amplificato in una risonanza disarmonica.

La fine del mondo, ma nessuno al mondo, ha veramente pensato alla fine in senso fisico. Ma neanche metafisico. Allora rinnovo i miei auguri a chi pensa che sia iniziata l'alba di una nuova era, non chiedetemi il nome, ma l'alba di un nuovo modo di "chiedere" o, ricevere comunicazione.
Voglio pensare che l'inizio sarà difficile e problematico ma, l'anno zero di un qualcosa che non so di preciso ma, intuisco.

Una parola mi ha impressionato dai vari mass media RIVOLUZIONE DEMOCRATICA una specie di ossimoro che a molti fa comodo, per riempire gli spazi del vuoto culturale e intellettuale dell'ultimo periodo. Auguro a tutti di riconquistare la cultura come lasciapassare per interpretare nel miglior modo i cambiamenti in atto e futuri. Ad maiora

01 gennaio 2013

Auguri a tutti